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Autore: OmegaHolmes    18/06/2014    2 recensioni
"John Watson era un’esplosione di colori e di vita.
Amava il mondo, amava la vita, amava la sua famiglia e i suoi amici.
Anche se non aveva una famiglia come tutte le altre, a lui non importava.
Era felice delle piccole cose: del the troppo caldo, dei suoi amati maglioni di fronte al camino acceso, della neve che presto avrebbe ricoperto la città, delle stelle troppo brillanti e lontane nel cielo, delle sue Converse rosse un po’ sgualcite, ma soprattutto… del raro sorriso del suo migliore amico, Sherlock Holmes."
Johnlock AU: Teenlock
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell'autrice: Ringrazio di cuore coloro che stanno seguendo questa storia. Per me è importantissimo!
Se volete avere l'atmosfera adatta per leggerla... ecco la musica ;) 
https://www.youtube.com/watch?v=k1-TrAvp_xs
 

Ci sono cose così imprevedibili che non riusciremmo mai a darvi una spiegazione.

Fu questo il pensiero che il minore degli Holmes ebbe la mattina della sua grottesca sparizione.
So, miei cari lettori, che fremete per aver mostrato che cosa accadde al giovane Sherlock.
Ebbene, sedetevi comodi e attendete che il mistero venga svelato.
Quella mattina, dopo aver salutato John via messaggio, aveva finito di preparare la cartella e si stava infilando il cappotto quando il maggiore degli Holmes irruppe nella stanza:
-E’ arrivato il momento, Sherlock.-
-Cosa? Mycroft non ho tempo devo finire i miei “noiosi” studi.- Sherlock gli passò di lato, ma Mycroft lo immobilizzò stringendogli un braccio.
-Non rendere le cose più difficili, fratellino.-
Il moro lo fulminò:
-Ti ho già risposto: No, non voglio andarci.-
-Sei l’unico con competenze adeguate per la missione, Sherlock.-
Sherlock si avvicinò e gli ringhiò contro:
-Non andrò mai a suicidarmi in una missione per l’MI6, Mycroft.-
Il fratello maggiore sospirò e sussurrò:
-Mi dispiace…- successivamente il giovane Holmes sentì solo un bruciore lancinante al braccio e…buio.
Quando si risvegliò, si trovava su un Jet privato diretto in Russia.
Il ragazzo si guardò attorno, ancora intontito.. No, non era vero… Mycroft…non poteva averlo fatto veramente…
Uno degli agenti segreti gli venne incontro e gli mostrò i dettagli della missione.
Sherlock l’osservò con occhi increduli, leggermente lucidi, infine sospirò tristemente e si sprofondò nel sedile.
Non ascoltò nemmeno una parola di quello che l’uomo disse.
Si portò la mano chiusa a pugno alla bocca ed iniziò a pensare a quello che aveva lasciato alle spalle: alla scuola (il che non gli dispiaceva), al violino, ai suoi esperimenti… poi un lampo.
John.
John non sapeva che gli era accaduto, lo avrebbe cercato, si sarebbe disperato, lo conosceva, era un sentimentale, avrebbe sofferto!
Iniziò a cercare il cellulare, disperatamente, nelle tasche dei pantaloni, ma.. non c’era!
L’agente gli chiese se avesse capito, lui non rispose e semplicemente chiuse gli occhi affondando il capo nel poggiatesta.
Sarebbe morto.
N’era certo.
Il colmo era che la sua famiglia credeva davvero che fosse in America a studiare.
 
Quale missione così importante poteva richiedere il rischio della vita a un ragazzo dell’età di Sherlock, in Russia?
Che interesse aveva l’Inghilterra?
Lui, non seppe aver risposte, perché né quell’agente né Mycroft gliele diedero.
 
Sherlock venne portato in un prestigioso collegio Internazionale di Mosca, dove erano spariti alcuni figli d’ Ambasciatori inglesi.
L’MI6 aveva il sospetto che all’interno del collegio ci fosse un giro di prostituzione giovanile e che questi ragazzi ne fossero stati coinvolti.
Ecco, perché l’Inghilterra aveva l’interesse… ecco perché volevano Sherlock: un ragazzo dal QI di 165, puramente Inglese, dal bell’aspetto che avrebbe messo appetito a qualunque pedofilo e pervertito al mondo.
Se non ci fosse stato questo “piccolo” dettaglio, chiunque avrebbe detto che Sherlock fosse stato mandato ad approfondire i suoi studi in Russia.
 
Egli seguiva le lezioni come tutti gli altri ragazzi, ma nel frattempo doveva assimilare, registrare e comunicare tutte le azioni sospette da parte dei docenti e non solo, che avvenivano all’interno dell’Istituto.
La sua stanza si trovava al piano più alto di tutto l’edificio, isolata e fredda.
Dalla sua finestra poteva adorare tutto il freddo di Mosca, che era arrivato fino al suo cuore.
In realtà Sherlock non era così cupo e freddo come tutti credevano, l’unico ad esserne a conoscenza lievemente era John.
Quella situazione, però lo cambiò.
L’aria Russa era molto più gelida e spietata del dolce inverno Londinese.
Mai come allora avrebbe voluto essere a casa e festeggiare il Natale, ma no…
Non avrebbe più amato il Natale.
Non avrebbe più amato nessuno.
Il Mondo si era dimenticato di lui.
La sua famiglia si era dimenticata di lui.
Suo fratello l’ aveva tradito, buttandolo in mezzo a una gabbia di cani affamati.
Sherlock era solo…
Eppure nelle notti di solitudine, alle volte accompagnate da una lacrima (una sola), un volto e una voce amica riaffioravano alla sua mente.
Quella voce… Oh, Quella voce!
Era così calda, dolce, allegra e spensierata…
Una voce che stava cambiando, facendosi sempre più maschile.
Era la voce di John, l’unico amico.
L’unico che non l’aveva tradito, ma… forse l’aveva dimenticato?
Lui non lo sapeva e questa ignoranza gli ribolliva nello stomaco così tanto, da farlo vomitare tutte le notti.
 
Ad un passo dall’anoressia, Sherlock credeva che sarebbe stato scoperto e torturato nel giro di poco tempo.
Eppure un mese passò e nessuno lo scoprì, allora capì che era tempo di fare il SUO GIOCO.
Senza cellulare era difficile aumentare le possibilità di sopravvivenza e denaro non ne aveva.
Per guadagnare… c’era una sola possibilità rischiosa, ma l’unica che lo avrebbe riportato a casa entro Natale.
Decise di tenere d’occhio i bagni e li scoprì come i ragazzini venivano scelti per i loschi e perversi giri, finendoci a farne parte.
Gli uomini d’affari Russi, erano ben diversi dagli Inglesi distinti e pudici.
Loro volevano provare il brivido della loro ricchezza e nulla era migliore d’ un giovane corpo adolescenziale.
Sherlock divenne in poco tempo il preferito da tutti, richiesto come se fosse un diamante pregiato.
Lui non provava né piacere, né pena, né si sentiva una vittima, ben sì il carnefice.
Voleva distruggerli tutti, dal primo all’ultimo, come un demone insinuarsi nelle loro anime, rapirli ed infine gettarli giù nel baratro della fredda giustizia.
Quando doveva compiere i suoi servizi, spegneva il cervello, rispondendo come un automa e rifugiandosi nella più remota sala del suo Mind Palace dove aveva riposto tutti i momenti più felici.
La costatazione incredibile che il giovane Holmes arrivò a fare fu che tutti quei ricordi erano condivisi solo con una persona: John.
Quando ebbe guadagnato abbastanza denaro, si acquistò un cellulare ultra accessoriato, duplicando la sua vecchia Sim.
Era certo che quando avrebbe acceso il telefono e reinstallato Whatsapp nessuno lo avrebbe cercato, invece…
Il suo cuore ebbe un tonfo così forte che per un attimo pensò che tutto l’Istituto lo avesse udito.
 
221 chiamate perse da John:]
930 nuovi messaggi - Ultimo da John:]
 
Le lacrime che non aveva mai versato tutte insieme, si riversarono su quello schermo così luminoso agli occhi del giovane Sherlock.
Non era vero… non poteva ricordarsi ancora di lui…
Aprì con un rantolo i messaggi, leggendoli velocemente, come se fosse la storia più avvincente al mondo.
Erano messaggi come sempre… solo raramente John alludeva al fatto che gli mancasse.
“Buongiorno, foto, foto, foto, foto, foto, foto, Buonanotte… stronzo, bastardo…”
 
Di colpo la suoneria di un nuovo messaggio lo fece sussultare sul letto.
 
1 nuovo messaggio – John :]
 
Sherlock lo aprì con il cuore che gli batteva forte in petto…
 
From John :]
-Sherlock… mi manchi.
Da morire. Ti..ti ho sempre mandato messaggi “idioti”, come avresti detto tu.
Ti prego, Sherlock, ti prego, fallo per me, torna o dammi un segno di vita.
Ti prego, ti prego, ti prego….
Sto impazzendo senza di te.
Non mangio più, non dormo più e cazzo penso continuamente ai momenti passati insieme.
Alle nostre estati passate ad indagare su casi perseguitando Scotland Yard, alle notti passate a guardare le stelle e tu non capivi un cazzo! A tutti gli esperimenti che hai fatto su di me e io ti ho sempre perdonato! Ai tuoi baffi da latte dopo il frullato o il tuo profumo al miele dopo esserti fatto una doccia.
Mi manca averti di fronte a me in classe e non vedere i tuoi ricci voluminosi e neri come la pece.
Non sai quante volte  avrei voluto alzarmi, affondarci le mani dentro e riempire, ogni singolo ricciolo che la tua capigliatura ribelle creava, di baci.
Sherlock, io ti amo.
Ti ho sempre amato, ma me ne sono reso conto solo adesso che non ci sei più.
Amo i tuoi occhi color ghiaccio quando sorridono o mi fulminano; amo quella particolare increspatura che le tue labbra creano quando ti annoi; Amo quando mi intontisci di deduzioni che non capisco; Amo quando mi lasci senza parole e tutto quello che riesco a dire è un “Fantastico”; Amo le leggere occhiaie che hai sotto gli occhi dopo notti insonni passate a studiare o a sperimentare sopra qualche stupido povero essere vivente; Amo la tua voce, il tuo caratteraccio…Amo te, Sherlock.
Ti prego.
Torna da me…solo per me.
Mio Dio… ho scritto un poema.
Cazzo, non riesco a smettere di piangere.
Sei un fottutissimo bastardo, tu e tutta la tua fottuta famiglia.-
 
Credette di essere morto.
Il suo cuore smise di battere.
Lo lesse una media di 8 volte.
Non era possibile…
Aveva davvero scritto quelle cose?
John?
John Watson?
John non mangiava?
John non dormiva?
John stava IMPAZZENDO SENZA DI LUI?
John pensava alle sue stesse cose?
John. . . lo. . . amava?
Come…come poteva amarlo?
Lui…
Si lasciò cadere sul letto e affondò il volto nel cuscino, piangendo come se non avesse fatto altro da quando fosse nato.
Pianse così tanto che quando si rialzò da quel cuscino e lo guardò, vide che era zuppo di lacrime, saliva e muco nasale.
Aprì la finestra, lasciandosi investire dall’aria gelida di Mosca.
Chiuse gli occhi e immaginò che quel vento gelido lo portasse via con sé, fino a Londra.
Ah, Londra…
La ripercorreva ogni giorno nella sua memoria.
Ma ora non gli interessava di ripercorrerla tutta, voleva solamente arrivare in una via specifica della periferia e bussare ad una finestra specifica.
Vedere quel volto illuminarsi, corrergli incontro e sporgersi verso di lui, tendendogli una mano.
Infine, entrare in quella stanza così calda e crogiolarsi del caldo abbraccio che lo attendeva.
Un torpore, dopo quel messaggio, aveva preso posto nel suo petto e non lo voleva abbandonare.
Quando riaprì gli occhi, compose la sua risposta:
 
-to John :]
Aspettami, John.
Ci rivedremo molto presto.
Aspettami…-
 
Non poteva scrivere di più, altrimenti sarebbe stato rintracciato.
Spense la connessione internet e depose il cellulare sotto il cuscino.
Aveva preso la sua decisione: la Vigilia di Natale lui sarebbe tornato a Londra e la missione sarebbe stata compiuta.
Si passò una mano tra i capelli, s’infilò sotto le coperte e sussurrò:
-Aspettami, John… Amore mio…-
 
  
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