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Autore: ValentinaRenji    18/06/2014    1 recensioni
“Buongiorno Grimmjow, hai già bevuto il caffè oggi?”
Un uomo dai capelli argentati e lo sguardo beffardo, quasi socchiuso, scruta felino Grimmjow senza mai assopire il tagliente e ironico sorriso impresso sulle labbra sottili. La sua carnagione è chiara, anzi, chiarissima, talmente pallida da sembrare un raggio di luna.
“Avvocato Gin, buongiorno a lei.” Mormora l’azzurro, corrucciando le sopracciglia: ecco, il suo momento di serenità è già terminato. Sbuffa impercettibilmente, fra sé e sé: in fondo lo sapeva bene che quell' attimo magico non poteva durare in eterno.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Espada, Gin Ichimaru, Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 1:     Rain


“Kami … che brutto tempo …”
La pioggia gelida precipita dal cielo grigiastro, pallido, coperto da una fitta coltre di nubi dense, affollate, cariche da giorni ormai e ancora sembrano non voler smettere di piangere tanto fortemente.
Le strade di Tokyo sono affollate da un andirivieni di persone continuo, un brulicare di piccole formiche colorate armate di ombrello e stivali da pioggia, cappotto pesante, guanti e sciarpa. Novembre è appena arrivato e con sé ha portato il gelo, le lunghe giornate plumbee e umide, la foschia algida della notte che arriva sempre più presto, sgranocchiando le ore di luce come un tarlo.
Grimmjow si massaggia i capelli bagnati, tamponandoli con un asciugamano improvvisato mentre assapora con piacere il caldo tepore interno all’edificio, rassicurante, rinvigorente.
Butta l’occhio, azzurro come il cielo d’estate, sull’orologio al polso e controlla l’orario: 8.00 in punto, perfettamente giusto, anzi, a dir la verità anche in anticipo a giudicare dall’atrio vuoto della grande struttura; il palazzo, come la maggior parte di quelli della gigantesca città, è decisamente alto, ripartito in una moltitudine di piani, scale, ascensori, ampie vetrate che mostrano il mondo dall’alto, come se ci si trovasse in paradiso. Eppure quello non è esattamente l’Eden, anzi, talvolta potrebbe risultare l’esatto contrario, soprattutto quando le pratiche da svolgere si accumulano le une sulle altre in piramidi invalicabili oppure quando clienti troppo spocchiosi, o altresì troppo esigenti, sembrano volerti corrodere l’anima con le loro lamentele o ti fanno perdere un sacco di tempo prezioso.
L’atrio è spazioso, le pareti bianche delimitano la vasta area tappezzata da un mobilio grigio, metallico, moderno ma essenziale. Al centro si trovano diversi sportelli di informazione e consulenza rivolti al pubblico ma al momento devono ancora essere aperti; un leggero odore di vaniglia emesso dai diffusori per ambiente pervade dolcemente la stanza, contrastando con il meteo aspro e impervio che scuote le strade e le autovetture all’esterno. Il ragazzo socchiude gli occhi, passando una mano fra le ciocche turchesi ancora umide, assaporando quell’aroma delicato e la quiete del mattino, tranquillità che sarebbe ben presto sfumata con l’arrivo dei colleghi e, soprattutto, dei clienti.
La sala si biforca poi in vari corridoi, abbelliti da quadri colorati tenuamente, astratti, le cornici dal design sottile ed elegante; a indicare i vari uffici ai piani superiori e le loro diverse funzioni un cartello rappresentante una mappa dei piani arricchita da simboli e frecce facilmente comprensibili.
“Buongiorno Grimmjow, hai già bevuto il caffè oggi?”
Un uomo dai capelli argentati e lo sguardo beffardo, quasi socchiuso, scruta felino Grimmjow senza mai assopire il tagliente e ironico sorriso impresso sulle labbra sottili. La sua carnagione è chiara, anzi, chiarissima, talmente pallida da sembrare un raggio di luna.
“Avvocato Gin, buongiorno a lei.” Mormora l’azzurro, corrucciando le sopracciglia: ecco, il suo momento di serenità è già terminato. Sbuffa impercettibilmente, fra sé e sé: in fondo lo sapeva bene che non quell’attimo magico non poteva durare in eterno. Eppure Ichimaru Gin, di prima mattina fra l’altro, era simile al corvo della disgrazia. Certo, non che portasse cattive notizie, ma quella sua aria perennemente divertita, il sorriso fittizio sempre impresso nel viso affilato gli danno un certo che di pericoloso, malvagio, insano. Non sa perché eppure è questo ciò che gli trasmette ogni volta, da tre anni ormai, da quando è stato assunto a lavorare in quel grande edificio dedito al lavoro sociale.
“E il caffè l’hai bevuto si o no?” ghigna l’avvocato passando un dito sottile sulla propria guancia candida.
“No, non ancora.”
“Ohh allora accompagnami in ufficio, beviamolo insieme, così mi farai compagnia. Il direttore deve ancora arrivare ed io sono tutto solo.”
Si sistema il maglione nero, elegante, dalle cui maniche spuntano i risvolti di un’altrettanto pregiata camicia, della medesima tinta. Si sfrega le mani sulle braccia, mostrando due iridi color ghiaccio, tanto chiare da sembrare trasparenti.
“Fa proprio freddo oggi eh, Grimmjow?”
Il giovane annuisce sbottonandosi il cappotto lungo e grigio, bottone dopo bottone. Piccole goccioline d’acqua cadono sul pavimento lucidissimo, punteggiandolo di luce. Lo appoggia sull’attaccapanni, racimola cellulare e portafoglio per poi avviarsi con il collega verso la rampa di scale.
I loro passi riecheggiano rimbalzando sui muri freddi, il silenzio è pungente come il freddo di questo inverno piovoso.
“Cosa fai oggi Gin? Stai giù o aiuti il capo?”
L’altro schiude ulteriormente la smorfia, voltandosi appena verso l’interlocutore.
“Oh, ancora non lo so. In teoria oggi non ho appuntamenti perciò credo di stare giù allo sportello. Ma se il direttore vuole una mano con le scartoffie non posso rifiutare.”
Il secondo piano si illumina di un bianco artificiale, prodotto dai faretti a neon posizionati sul soffitto bianco. Dalle grandi vetrate si può osservare l’uggiosità incombere sul grigiore dell’asfalto, sulle insegne colorate dei negozi sottostanti, sui taxi parcheggiati ai margini della strada. Grimmjow punta l’occhio su alcuni studenti, forse poco più giovani di lui, che sfidano il maltempo con ombrelli e giubbotti impermeabili, stringendo forte lo zaino e correndo lungo il marciapiede.
Probabilmente sono in ritardo. Riflette, senza distogliere le iridi cerulee dal via vai di persone: e pensare che anch’io potrei ancora essere al loro posto…
Un profumo denso e amaro gli punge le narici, inebriante, distogliendolo dalla folata di pensieri nella mente:
“Grazie.”
Afferra cautamente il bicchierino di plastica bianca colmo fino all’orlo, sottraendolo dalla mani affusolata di Gin che glielo stava porgendo gentilmente anche se troppo ravvicinato al volto dai lineamenti decisi, mascolini.
“Di nulla!”
Con il costante ghigno schiuso fra le labbra mescola divertito lo zucchero nel proprio caffè, lanciandosi sulla sedia girevole e stiracchiando gli arti, simile ad un gatto appena sveglio.
Il profumo di Ichimaru, fragranza pregiata dalle note delicate, invade la stanza ombreggiata prevaricando l’aroma di vaniglia.
“Hai dormito male?” domanda l’altro con disinteresse, forse senza nemmeno accorgersi di aver appena pronunciato una frase.
“Hmm .. no, non proprio male. Ho solo faticato a prendere sonno, forse ho assunto troppa caffeina durante la giornata. Ma d’altronde … non ho nemmeno il tempo per mangiare … in qualche modo devo tenermi su.”
Dalla tasca dei pantaloni bianchi estrae una caramella alla menta, scartandola rumorosamente e ficcandola in bocca:
“Vuoi?”
Grimmjow, il bicchiere ancora mezzo pieno fra le mani, scuote la testa in segno di diniego, senza celare un lampo di disgusto:
“No grazie … non amo l’accoppiata caffè+menta.”
“D’accordo. Uff, oggi sembra proprio che la pioggia abbia reso tutti ritardatari vero? Va be dai raccontami qualcosa allora … come procede il lavoro?”
“Complessivamente bene … ormai ho imparato a memoria tutte le normative e le leggi… anche se cambiano continuamente.”
“Potevi fare l’avvocato come me.”
“Non credo, non fa per me. Preferisco rimanere un operatore sociale.”
“Cosa ci trovi di bello nel passare tutta la giornata ad ascoltare gente frignona che ti spiattella in faccia i suoi problemi? Cioè dico io … cavoli loro … nemmeno ti pagano.”
“E tu cosa ci trovi di divertente nello spillare soldi alla gente che ha bisogno d’aiuto e lo implora a te?”
“Ma come siamo sentimentali …”
“Non è questo. Semplicemente non devi criticare la mia attività, poiché la tua non dovrebbe essere tanto diversa. In fondo sei qui solo come consulente, non dovresti accalappiarti chi ti chiede aiuto con servizi extra. Cosa che invece fai sempre.”
Gin ridacchia, scostandosi un ciuffo argento dalla fronte.
“Già hai ragione … però io non li obbligo. Propongo e basta … sono loro ad accettare …”
“Lo fanno perché sono disperati. Se si rivolgono a noi è perché si sono ritrovati in una situazione di disagio. Non gliene serve altro in più … e a caro prezzo …”
“Suvvia, il Centro Espada è nato proprio per questo no? Siamo un insieme di specialisti a servizio della comunità, meglio di così.”
Kami, quanto lo irrita quell’uomo! Se solo potesse lanciargli in testa il fermacarte lo farebbe più che volentieri.
Il Centro Espada, questo è il bizzarro nome dell’edificio, è infatti un complesso di servizi volti al pubblico: consulenza lavorativa, sportello informativo, avvocati, servizio medico di base gratuito, assistenza sociale, supporto psicologico, servizio sindacale; un consultorio più innovativo e  moderno, più efficiente insomma, sviluppato  in larga scala e con minuziosità. Chiunque ha la possibilità di accedervi: giovani in cerca di aiuto per qualsiasi ragione, anche la più banale, famiglie in crisi, individui alla deriva, o semplicemente qualcuno che non sa come compilare questa o quella carta, che non conosce una determinata normativa e non sa come agire, che vuole risolvere un contenzioso e non ha idea di come gestire la situazione.
Un centro all’avanguardia, socialmente utile, unico nel suo genere.
La porta dell’atrio al piano terra sbatte sonoramente, forse trascinata dalla corrente del vento impetuoso che soffia fra gli alti grattacieli: un mugugno sommesso e scocciato affianca l’ovattato rumore dei passi, ben presto moltiplicato, amplificato, associato ad una moltitudine di suoni e rumori ormai consueti, quotidiani.
“Pare che siano arrivati tutti. Bene, torno al mio ufficio. Grazie del caffè Gin.”
L’avvocato inclina buffamente la testa e scuote la mano, in cenno di saluto finchè Grimmjow chiude la porta alle sue spalle.
“Tsk.”
Sbuffando si allontana velocemente, pronto ad affrontare una nuova lunga mattinata anche se a dir la verità in questo momento il suo unico desiderio è tornare a casa, nel suo appartamento monolocale, e lanciarsi nel morbido letto ad una piazza e mezza avvolgendosi nel piumone, al caldo, per dormire fino metà pomeriggio.
Assorto in quei pensieri non si accorge di sbattere involontariamente contro qualcuno che, accigliato e grigio in volto, sta salendo le scale mentre lui è intento a scenderle.
“Mi scusi non vole….. Ah, sei tu.”
Due occhi smeraldo si posano sul suo volto, chiusi nel silenzio, osservandolo con gelida e distaccata intensità.
Si scrutano per pochi istanti, per proseguire poi ognuno nella propria direzione.
“Almeno potevi salutare, psicologo di sto cazzo.”
Il ragazzo si volta tristemente, lanciando fluttuare i capelli corvini semilunghi, aderenti al volto magro, latteo. Lo trafigge con le iridi verdi, ferendolo con uno sguardo simile ad un pugnale affilato.
“Buongiorno.” Asserisce monocorde, totalmente apatico.
“Mi domando come i pazienti riescano a non suicidarsi dopo le sedute con te.”
Come tutta risposta ottiene un’alzata di spalle, nulla di più. Il moro si volta del tutto, continuando placidamente la sua strada.
Ulquiorra Schiffer. Lo psicologo più depresso della storia. La pigna nelle mutande peggiore di Tokyo. Il peggiore vicino d’ufficio che potessi desiderare.
In quei pensieri poco piacevoli Grimmjow si lascia finalmente cadere sulle sedia girevole nera e morbida, buttando il capo pesante sulla scrivania, sopra una pila di carte da compilare.
Socchiude le palpebre dopo aver controllato d’essere solo nel proprio ufficio e soprattutto dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno nel corridoio: la sua porta è, purtroppo, di vetro lavorato e rende difficile nascondersi quando l’unico vero obiettivo è dormire un’ora in più.
 
* * *
 
 
 
“Buongiorno, c’è nessuno?”
Nessuna risposta.
“Buongiorno? Ei? È uno sportello senza personale??”
Il ragazzo si morde il labbro, agitato. Con una mano massaggia la chioma arancione, sbarazzina, mentre sbatte con impazienza la punta del piede contro il pavimento, traballando. Il fiato è corto dalla tensione, le guance leggermente arrossate, gli occhi nocciola, espressivi, lasciano trapelare l’ansia del momento.
“Buongiorno, ha bisogno d’aiuto?”
Una voce giovanile, dall’accento leggermente saccente, interpella il giovane di fronte allo sportello, facendolo sobbalzare.
“Oh! Ehm! Si! Si grazie!”
“Sta bene?”
Il segretario si avvicina a quello che sembrerebbe essere uno studente spaesato, infreddolito e bagnato, tremante, con tutta l’aria di sentirsi perso.
Si sistema gli occhiali, scostando un ciuffo dai riflessi blu, per poi appoggiare la cartella di pratiche stretta fra le mani fino poco prima.
“Allora? Mi dica, su.”
“Oh ehm ecco … mi hanno detto che dovevo rivolgermi allo sportello in entrata… e credo sia questo … però non c’è nessuno.”
L’altro, corrugando la fronte, gli fa cortesemente cenno di aspettare e scompare immediatamente dietro la porta bianca per poi fare nuovamente capolino dopo una manciata di minuti.
“Sistemato. Prego, le ho trovato l’operatore.”
Oltre il vetro giungono aspre imprecazioni, probabilmente rivolte al segretario:
“Ishida la prossima volta ti ammazzo! L’unica volta che non c’è il direttore cosa fai? Eh? Vieni a svegliarmi? Potevi pigliartelo te visto che tanto sai sempre tutto!”
Il segretario sbuffa, raccogliendo le pratiche ed allontanandosi stizzito, abbandonando lo studente al suo destino.
Quest’ultimo, con voce tremolante e indecisa, si rivolge allo spaventoso essere di fronte a lui:
“Buongiorno, io sono …”
“Buongiorno un cazzo!”
“Mi scusi non volevo disturbarla.”
Una domanda preme sulla lingua del ragazzo ma fortunatamente riesce a frenare le parole prima che sia troppo tardi: perché diamine porta una benda sull’occhio? Sembra un delinquente, che razza di gente c’è qui!?
“Ok, niente buongiorno. È …  è lei l’addetto al pubblico?”
L’uomo digrigna i denti, passandoci successivamente la lingua appuntita. Con fare sbarazzino scosta la chioma nera e liscia per poi rispondere sgomento alla tanto agognata domanda:
“Purtroppo si. Cosa vuoi?”
“Mi chiamo Kurosaki Ichigo. Sono il nuovo stagista. Mi è stato detto di presentarmi a quest’ora esattamente qui.”
“Non ne so nulla. Arrivederci.”
“Nnoitra Jilga, è questo il modo di rivolgersi ad un nostro futuro collega?”
Una voce profonda, celatamente roca, immobilizza all’istante l’operatore, costringendolo a sgranare le iridi nere come la pece.
“Direttore!”
Deglutisce sonoramente, il volto paonazzo e i pugni tremanti.
“Allora? Voglio una risposta. Ora.”
L’uomo che parla è alto, massiccio, muscoloso anche se l’ampio cappotto nero, lussuoso, cela quello che dev’essere un fisico atletico, probabilmente statuario.
I capelli castano scuro sono tirati all’indietro, un solo ciuffo ricade dolcemente sulle fronte, sfiorando il naso dritto, perfetto. Due grandi occhi mogano osservano seri l’impiegato decisamente scortese, lasciando trapelare un moto di disapprovazione.
“Mi … mi dispiace direttore.”
“Non deve accadere mai più. Mi sono spiegato?”
Il tono di voce è calmo, come la quiete prima della tempesta. Ad un primo ascolto potrebbe apparire cortese, dolce, ma in realtà è profondo come l’oceano, denso di correnti travolgenti, un vulcano pronto ad eruttare lava incandescente.
“Allora. Sei il nostro nuovo stagista, è così?”
Il ragazzo annuisce, protendendo la mano per presentarsi.
“Kurosaki Ichigo.”
L’uomo ricambia, allungando la sua, grande, curata e calda:
“Aizen Sosuke.”
Sorride amichevolmente ma lo sguardo è troppo irrequieto per essere sostenuto anche solo più di un secondo.
“Mi scuso per il comportamento di Nnoitra. Con lui farò i conti dopo. Vieni con me, ti accompagno dal tuo tutor d’accordo? Lui ti spiegherà ogni cosa e vi metterete d’accordo. Ti mostrerà la struttura e ti insegnerà il lavoro. Con chi hai parlato al telefono?”
Ichigo riflette per una manciata di attimi:
“Un certo Ichimaru Gin.”
“Capisco. Va bene, non è lui che ti accompagnerà, ma avrai modo di conoscerlo lo stesso. Ti accompagno al suo ufficio. Ma se hai bisogno di me non esitare a cercarmi, per qualsiasi cosa sono a tua disposizione.”
“La ringrazio signor Aizen.”
Finalmente la situazione sembra migliorare: ok, il posto è quello giusto. Ho trovato il direttore in persona e non sembra nemmeno terribile. Ok, calma e sangue freddo. Ora incontrerò il tutor, basterà fargli una buona impressione, imparare in fretta e fra un po’ di mesi il lavoro potrà essere mio. Semplice no?
Senza nemmeno rendersene conto ha risalito velocemente due intere rampe di scale ignorando bellamente le raccomandazioni del direttore ed accorgendosene, purtroppo, troppo tardi.
“Bene, ora ti lascio, hai capito tutto allora?”
Merda. No. Un bel niente.
“Certo! La ringrazio!”
Aizen annuisce, lasciandolo solo di fronte ad una porta bianca e chiusa. Accanto allo stipite una targhetta riporta scritto: Avvocato Ichimaru Gin.
Ok, dev’essere questo. Iiinspira. Eeespira. Vai.
Bussa, attendendo una risposta.
Una voce melliflua e divertita risponde prontamente:
“Avanti!”
Lo studente varca la soglia con un certo timore, tentando con coraggio di non mostrare la propria incertezza e goffaggine.
“Buongiorno, ho parlato pochi giorni fa al telefono con lei. Sono il vostro nuovo stagista, Kuros…”
“Kurosaki Ichigo? Si, mi ricordo di te. Benvenuto!”
Lui annuisce, inquietato da quell’uomo dal ghigno perfido e i capelli assurdamente privi di colore, quasi bianchi, come le pareti dell’intero palazzo.
Si fissano entrambi, scambiandosi occhiate curiose e –da parte di Ichigo- assolutamente terrorizzate.
“Beh, mi dispiace ma ho molto da fare. Che ne dici di parlare direttamente con il tuo tutor?”
Kurosaki non ci capisce più nulla. Passa una mano nel manto ramato, nervosamente.
“Come vuole …”
“Perfetto!” esulta Gin, afferrando prontamente il telefono sulla scrivania.
Digita velocemente un codice, le dita esperte puntellano i numeri con velocità incredibile.
Dopo una breve attesa si rivolge al soggetto dall’altra parte della cornetta:
“Vieni su, abbiamo bisogno di te.”
“…”
“Sì, ci servi adesso.”
Butta giù la linea immediatamente, tornando a rivolgere un sorriso finto al nuovo collega, schiudendo le palpebre e lasciando intravedere due chiarissime iridi azzurrognole, tremendamente gelide.
“Un po’ di pazienza Kurosaki Ichigo. Tra un momento arriva. Nel frattempo … vuoi un caffè?”



Buonasera lettori!
Questo è il primo capitolo della mia nuova storia, piuttosto diversa dalla precedente!
Che dire, sicuramente molti personaggi devono ancora essere svelati e ciò avverrà nei prossimi capitoli. Mi auguro possa piacervi, anche se è solo l'inizio :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, se avete domande o desiderate vedere scritto qualche avvenimento in particolare. Accettatissimi consigli e quant'altro di costruttivo!
A presto,
Baci :*
Valentina

 
   
 
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