Crossover
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Autore: bloodred_rose    16/08/2008    1 recensioni
Ventidue anni dopo il compimento della sua vendetta il conte di Montecristo torna a Parigi facendo un trionfale ingresso all'Opera. Quello che non sa è che da alcuni anni, in quello stesso teatro, circolano strane voci riguardanti un certo Fantasma dell'Opera...Direttamente dalla mia mente malata ecco un crossover semi-assurdo tra, appunto, il Conte di Montecristo (il libro naturalmente) e il Fantasma dell'Opera (sia libro che film/musical)!!Spero che vi piaccia...e che mi arrivino un po' di recensioni ^^!! P.S.vi avviso fin da ora che ci sarà anche un capitolo Erik/Christine...
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Film, Libri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1870

Disclaimer: Ebbene no, nessuno dei personaggi mi appartiene (purtroppo)


Trap Doors and Masks

  

Parigi, 1870. Gli Champs-Élysées sembravano non esistere più sotto il profondo strato di neve che li ricopriva. Non si poteva dire altrettanto per le notizie, che invece volavano, sospinte dal vento, da una parte all’altra della città nel buio della notte. L’Opera Populaire stava andando a fuoco e la soprano Christine Daaé, insieme al visconte di Chagny, era scomparsa. Erano queste le nuove che, sulle ali del vento, erano giunte fino alla villa del conte di Montecristo. Seduto di fronte alla grande portafinestra della sua stanza, Dantès fissava immerso nei suoi pensieri i bagliori rossi del rogo dell’Opera che si stagliavano contro il nero della notte. Si tormentava chiedendosi quanto Erik avesse a che fare con quegli avvenimenti e tremava alla possibilità che la risposta fosse “molto”. Appena un anno prima il Fantasma gli aveva confessato di aver dovuto rinunciare alla sua vendetta per amore di quella che si era rivelata essere la stella nascente dell’Opera, Christine Daaé, ma il conte sapeva che difficilmente un uomo come Erik avrebbe veramente abbandonato i suoi progetti. Per questo, appena la notizia dell’incendio l’aveva raggiunto, aveva fatto spostare la sua poltrona di fronte alla finestra. Per questo attendeva con ansia e malcelato nervosismo che Erik si facesse vivo. Per questo non aveva esitato a mandare Bertuccio e i suoi più fedeli servitori in cerca di informazioni. Fino ad un paio di anni prima sarebbe corso lui stesso a Place de l’Opera, ma il tempo aveva fatto il suo dovere e ora riusciva e stento a mettere due passi in fila. Gli sembrava quasi di essere tornato tra le mura della sua cella nello Château d’If, o almeno provava la stessa sensazione di impotenza e rassegnazione di tanti anni prima. Solo che questa volta non sarebbe arrivato nessun abate Faria a salvarlo… o forse sì? Sorrise ripensando al suo vecchio mentore. Era passato tanto tempo… un tempo che forse stava per finire… Il ricordo dell’abate lo portò a ripercorrere gli eventi quasi fantastici della sua lunga vita: la prigionia, la fuga miracolosa, il tesoro di Montecristo, i viaggi in Oriente, Haydée, Parigi, la vendetta… e poi di nuovo Haydée, il loro amore, la Persia e… Erik. Ormai pensava a lui come ad un figlio. Un figlio oltremodo disobbediente e capriccioso, che non seguiva altra legge se non la propria e che gli faceva tremare il cuore di preoccupazione. Come in quel momento, a chiedersi che ne fosse di lui, mentre l’Opera, il suo teatro, la sua casa, andava a fuoco. Fu riscosso dal breve bussare che precedette un Bertuccio pallido e ansante, anche lui ormai molto, molto invecchiato, ma sempre fedele ed efficiente.
«Eccellenza,» mormorò appena ebbe recuperato abbastanza fiato «il vostro ospite è alla porta.»
Montecristo tirò un sospiro di sollievo. Quante volte in dieci anni aveva sentito quella frase? Quella frase che poteva introdurre una sola persona, l’unica che in quel momento smaniava di vedere.
«Fatelo entrare, Bertuccio.» sussurrò con la voce incrinata dall’emozione. Ma quello che vide varcare la soglia non era l’Erik che conosceva. Poteva un fantasma essere lo spettro di sé stesso? Evidentemente sì. L’uomo che entrò era coperto da un lungo mantello nero, il cappuccio tirato in modo da coprire interamente il viso, la camicia bianca quasi completamente aperta sul petto solido scosso da respiri affannati.
«Erik?» domandò il conte, incredulo. Quello si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona alle sue spalle, gemendo e prendendosi il volto tra le mani.
«Cos’è successo?» chiese dolcemente Montecristo. L’uomo alzò appena il viso, abbastanza da puntare gli occhi arrossati in quelli del suo interlocutore, ma non da mostrarne la parte sfigurata.
«L’amavo, Edmond. Voi sapete che io l’amavo.» la sua voce era poco più di un rantolo tanto era spezzata dai singhiozzi «E ora morirò… e morirò d’amore…»
«Cos’è successo, Erik?» richiese, questa volta con più urgenza.
«Mi ha tradito… Christine mi ha tradito. Ha cercato di ingannarmi… mi ha tolto la maschera di fronte a tutta l’Opera! Ho dovuto… ho dovuto rapirla. Volevo uccidere il suo ridicolo amante e passare il resto della mia vita con lei, ma…» una risata amara interruppe per un attimo lacrime e parole «fatico ancora a crederci… mi ha baciato, Edmond! Christine… Christine mi ha baciato. Mi ha tolto la maschera e mi ha baciato… sulle labbra, come se mi amasse quanto io l’amo…»
«E dov’è ora?»
«L’ho lasciata andare… l’ho lasciata andare con Raoul di Chagny. C’era solo pietà nei suoi occhi… non mi avrebbe mai amato come avrei voluto… e ora io morirò per questo amore…» Montecristo sospirò tristemente.
«Ricordi la nostra prima conversazione di dieci anni fa?» L’uomo sollevò il capo per rivolgergli uno sguardo confuso. Poi, quando il delirio lasciò spazio ad un piccolo barlume di consapevolezza, mormorò con amarezza:
«Sto morendo, Edmond! Che cosa credete che mi importi ormai di una vendetta che non posso più avere?»
«Taci!» ordinò il conte, forse più duramente di quanto avrebbe voluto «Non stai morendo, ti stai disperando, che è ben diverso.»
«E che dovrei fare, di grazia? Mettermi a ridere?» sbottò Erik dimenticandosi completamente della depressione di poco prima.
«Io ti avevo avvertito. Ti avevo avvertito riguardo i pericoli della vendetta…»
«E avevate ragione! È questo che volete sentirvi dire?» gridò fuori di sé «Avevate ragione! Ma ormai è tutto finito, ho perso tutto…» Montecristo si lasciò andare contro lo schienale della poltrona sorridendo.
«È qui che ti sbagli.»
«Che cosa intendete dire?»
«Sei convinto di aver perso tutto, ma ti resta ancora una cosa: la possibilità di ricominciare. Non hai voluto ascoltare i miei consigli dieci anni fa, fallo ora! Hai tutta una vita davanti, abbi pazienza e potrai ancora ottenere la tua vendetta.»
«E come?» chiese sull’orlo della disperazione. Sul punto di rispondergli, il conte si fermò, per la prima volta incerto sulle parole da scegliere. Scuotendo la testa, lasciò andare un profondo sospiro e alzò lo sguardo sugli occhi grigi dell’uomo. No, non poteva dirgli cosa aveva in mente di fare, non lo avrebbe mai accettato. Così disse semplicemente:
«Di certo non lasciandoti andare in questo modo.» Lasciò che la severità di cui erano impregnate le sue parole facesse il suo effetto, poi riprese più dolcemente.
«C’è stato un periodo in cui anche io pensavo che la mia morte avrebbe risolto tutto. Grazie a Dio, il mio vecchio mentore giunse in tempo per farmi cambiare idea, salvarmi la vita e, così, donarmi la libertà e la vendetta. Io ora farò lo stesso con te.» Gli fece cenno di alzarsi e quando se lo vide di fronte lo fissò con un’intensità tale da dargli l’impressione che il suo sguardo potesse leggergli anche l’anima.
«Ora giurami su quanto hai di più caro al mondo che non farai nulla per andare incontro alla tua morte prima del dovuto.» E calcò tanto su ogni singola parola da costringere Erik ad annuire.
«Ve lo giuro.» sussurrò «So che lo rimpiangerò, ma ve lo giuro.»

 

Il Fantasma dell’Opera, fautore dell’incendio che aveva distrutto l’Opera Populaire, era morto. Questo era quello che si leggeva sui più importanti giornali di Parigi due giorni dopo il terribile incidente. Solo quattro persone sapevano la verità: Erik, diretto interessato, che, notando quanto il conte fosse invecchiato, aveva accettato di rimanere nella villa agli Champs-Élysées, il conte stesso, che, consapevole di non avere più molto tempo a disposizione, non avrebbe mai permesso al suo protetto di allontanarsi, Haydée, incantata dalla sua musica, che lo aveva consolato come avrebbe fatto una madre, e Bertuccio, senza il quale, sconvolto com’era, due sere prima Erik sarebbe caduto nelle mani dei gendarmi. Per quanto riguarda Christine Daaé, era ricomparsa il giorno dopo il rogo dell’Opera insieme al visconte di Chagny, con il quale correva voce che stesse per fidanzarsi ufficialmente. Grazie alle accurate veglie di Montecristo quelle voci non avevano ancora raggiunto l’orecchio attento di Erik che si era chiuso in un ostinato isolamento nell’ala della villa che gli era stata riservata, solo con la sua musica. Così trascorse un mese, in quella che si poteva definire come la calma prima della tempesta, una tempesta terribile. Una notte di fine febbraio Edmond Dantès, conte di Montecristo, morì tra le braccia della donna che aveva amato, sotto lo sguardo burrascoso dell’uomo che aveva finito per considerare come il figlio che non aveva avuto. La notizia si diffuse solo all’alba, quando Erik, sconvolto, uscì finalmente dalla stanza portando in braccio Haydée, svenuta per la stanchezza e il dolore. In poche ore tutta la villa era impegnata nei febbrili preparativi del funerale accompagnata dalle tristi note di una messa da requiem intonate da un pianoforte. Non c’era alcun bisogno di chiedersi chi fosse il musicista. Uno dei tanti salotti fu svuotato e adibito a camera ardente, la bara posta al centro, ma Haydée non mise piede fuori dalla propria stanza e la musica non smise mai di risuonare nell’aria, diventando a tratti intensa e rabbiosa come l’uomo che le dava vita. Nel pomeriggio si presentò alla porta il notaio, chiamato da Bertuccio, ancora pallido e quanto mai provato dagli ultimi avvenimenti. Il testamento, lasciato in un cassetto della scrivania del conte, fu aperto alla sola presenza del fedele intendente, mentre il pianoforte continuava ad intonare la sua triste melodia.

 

Suonava. Non poteva, non voleva smettere. O si sarebbe ritrovato a pensare a qualcosa che non fossero le note. Note che, per tenere impegnata la mente, non leggeva sullo spartito davanti a sé, ma sullo sfondo nero delle sue palpebre chiuse. D’altra parte non aveva alcun bisogno di vedere le sue dita lunghe e sottili correre su tasti che conosceva a memoria. Suonava. Continuava a suonare. Non si interruppe nemmeno quando sentì la porta alle sue spalle aprirsi. Non poteva. O avrebbe aperto gli occhi su una realtà troppo dolorosa dopo quello che aveva appena passato.
«Siete voi monsieur Erik Lucher?» Spalancò gli occhi. E si fermò. Un solo uomo conosceva quel nome. E quell’uomo era morto. Si alzò lentamente e si voltò verso chi l’aveva costretto a tornare alla dura realtà. Doveva essere il notaio, perché quello che teneva in mano era il testamento di Edmond Dantès. Un lampo di comprensione gli illuminò gli occhi e tendendo la mano in una muta richiesta si fece consegnare il documento.

 Io, Edmond Dantès, conte di Montecristo, in pieno possesso delle mie facoltà mentali, nomino come mio erede universale Erik Lucher, ospite presso la mia villa agli Champs-Élysées, con la sola preghiera di vegliare su mia moglie, la contessa Haydée, prima di usufruire come meglio crede del titolo e dei beni che gli cedo. Desidero inoltre che venga concessa ad Alì, Baptistin e Bertuccio una retribuzione vita natural durante nel caso in cui esprimessero la volontà di ritirarsi dopo essermi così fedelmente rimasti accanto. Esigo infine che non sia celebrato nessun funerale, perché voglio andarmene da questo mondo così come vi sono giunto, in silenzio. Come mia ultimissima volontà, allego a questo testamento delle lettere, con la richiesta che vengano consegnate ai destinatari indicati solo dopo la mia morte.
Scritto di mio pugno il 3 febbraio 1870. 

L’inchiostro era colato laddove le lacrime erano inesorabilmente cadute. Terminata la lettura, la parte di viso lasciata scoperta dalla maschera bianca si contrasse in una smorfia al contempo di ira e di dolore.
“Maledetto…” pensò tremando “Che tu sia maledetto, Edmond Dantès! Sapevi che non avrei mai acconsentito ad una simile follia e hai fatto in modo che non potessi cambiare i tuoi piani…” Un ghigno amaro contorse la metà libera del suo volto.
«Monsieur?» azzardò cautamente il notaio «Vi sentite bene?» Erik lo ignorò, perso nella rilettura del testamento.
«Monsieur,» riprese l’uomo «una delle lettere lasciate dal conte è per voi…» Lui sollevò immediatamente il capo puntando gli occhi grigi sul notaio.
«L’avete qui?» domandò impaziente. L’uomo annuì ed estrasse una busta da una tasca della giacca. Erik gliela strappò dalle mani, ruppe il sigillo di ceralacca e si lanciò a capofitto nella lettura della lettera, sforzandosi di ignorare la sensazione di nostalgia nel vedere la scrittura elegante di Montecristo.

 Ti devo delle spiegazioni. So di dovertene, soprattutto tenendo conto dell’odio che, in questo momento, sono certo tu stia provando per me. Mi dispiace non averti informato dei miei progetti, ma non potevo permetterti di rifiutare la mia eredità. Che tu lo voglia o no, Erik, ormai sei mio figlio. Erediterai il titolo e il nome di conte di Montecristo…assieme a tutto ciò che questo comporta. Ringraziami, invece di odiarmi, perché ti sto dando l’occasione di ottenere la tua vendetta. E in fondo, dopo tutto quello che ho fatto per te, penso anche di meritarmi un minimo di obbedienza e riconoscenza da parte tua. Ho solo una richiesta da farti: la Francia, e Parigi in particolare, è troppo legata a me perché Haydée possa restarvi. Riportala in Oriente, lontana da ricordi che risulterebbero essere troppo dolorosi per lei…e per te. Avete entrambi bisogno di tempo per dimenticare. Per cui sta’ lontano da Parigi e, soprattutto, prenditi cura di Haydée. È tutto quello che ti chiedo. Il mio unico rammarico è quello di non poterti più essere di alcun aiuto, ma pare che sia il destino di chi cerca vendetta ritrovarsi soli al mondo. Spero solo che i miei insegnamenti siano valsi a qualcosa. E spero che un giorno arriverai, forse non a perdonarmi, ma perlomeno a comprendere perché ho fatto tutto questo. Fino a quel giorno ricordati del giuramento che mi hai fatto. E ora, figlio mio, temo che sia giunto il momento di abbandonare definitivamente questo mondo. Addio, Erik, e buona fortuna.

Edmond Dantès

Un sospiro infinitamente triste gli sfuggì dalle labbra, ma riuscì ugualmente a sorridere tra le lacrime che scivolavano impietose sul suo volto. Si lasciò cadere seduto davanti al pianoforte e sollevando lo sguardo si accorse di essere solo. Posò lettera e testamento accanto allo spartito, chiuse gli occhi e riprese a suonare, sentendo i tasti sotto le sue dita bagnati di lacrime che non era riuscito a fermare. Le note avevano ripreso a scorrere come se non fossero mai state interrotte, echeggiavano nel silenzio della villa, nel buio della sua mente libera da ogni pensiero, persa nella musica. La porta si aprì di nuovo, forse un minuto, forse un’ora dopo.
«Eccellenza…» sussurrò la voce di Bertuccio. Erik si fermò, serrando le palpebre. Avrebbe dovuto aspettarselo. Non poteva essere l’unico a conoscenza del testamento.
«La contessa ha chiesto di voi…» Annuì in silenzio e trovò il coraggio di riaprire gli occhi ancora rossi di pianto. Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro. Era calata la notte e lui nemmeno se n’era accorto. Si alzò e, preceduto dall’intendente, raggiunse le stanze di Haydée. Bussò piano ad una porta e dopo un attimo, socchiudendola appena, entrò. Si ritrovò nel buio quasi completo, salvato dal debole chiarore delle stelle. Lei era alla finestra, fissava il cielo con le lacrime agli occhi, piccoli specchi in cui si rifletteva una pace lontana.
«Haydée…» la chiamò dolcemente. Gli rispose solo un singhiozzo. Le andò vicino e l’abbracciò, stringendola tanto da arrivare quasi a farle male. Le baciò i capelli mentre nuove lacrime prendevano il posto di quelle ormai asciutte. Lei nascose il viso nel suo collo, mordendosi le labbra per trattenere il più possibile i gemiti addolorati. Non era una consolazione, per nessuno dei due, ma era sempre meglio che soffrire soli, abbandonati al proprio dolore. Dopo quella che sembrò un’eternità, Haydée sollevò gli occhi lucidi in quelli di lui.
«Portami via da qui…» mormorò.
«Ovunque vuoi…» le rispose. “…anche se dubito che perfino in capo al mondo sarò abbastanza lontano da Parigi… e da Christine.”

 
xXx

Note dell'Autrice: 

Puntuale come il mal di pancia dopo quattro chili di Nutella riecchime qua! Noto con piacere che qualcuno ha trovato il coraggio di leggere questo aborto di storia, anche se per ora hanno recensito solo in due... Guardate che non mi offendo mica se mi dite cosa ne pansate... mi bastano anche solo due righe piccine piccine, solo per sapere se vi piace o meno....... Grazie! Ora, visto che non ho piccole precisazioni da fare, mi alzo e me ne vado.

I remain, ladies and gentlemen, your humble servant, 

bloodred_rose  
  
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