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Autore: Twiggy_Earlgrey    19/06/2014    1 recensioni
E il peggio degli incubi con cui avevo a che fare erano sempre e comunque i risvegli...
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Angela, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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Dal diario di Bella...

I
nsieme avevamo trascorso momenti davvero magici; tuttavia l’incidente accaduto la sera della festa organizzata da Alice per il mio stramaledetto compleanno, nonostante fossi sempre stata irremovibile sul fatto che fosse irrilevante, avevano convinto Edward ancora di più che la mia vita sarebbe stata in costante pericolo accanto a lui e che quindi meritassi qualcuno che mi fosse più affine.
 
Perciò se n’era andato, lasciandomi sola. Era stato questo il momento di caduta nel baratro; in poco tempo, mi ero ridotta ad essere, il fantasma di me stessa.
L’unica cosa che si sostituiva al dolore, era la collera: un astio profondo, che esplodeva anche per un nonnulla e che inglobava ogni cosa. Uno di questi ingestibili scatti d’ira, aveva dato un senso diverso alle piccole attenzioni che Angela, l’unica che davvero aveva ancora la pazienza di rimanere stoicamente al mio fianco, si prodigava a compiere, per cercare di farmi stare meglio.
Accecata dal dolore, mescolato alla furia e alla stanchezza, avevo riversato ingiustamente su di lei, la mia frustrazione; avevamo inveito e urlato l’una contro l’altra, per l’ennesima volta.
-Sai cosa c’è? Che forse Edward ha fatto bene a lasciarti, perché non sei altro che una ragazzina capricciosa, ostinata e alla quale piace crogiolarsi nei suoi problemi! Ti credi tanto adulta, non è così? Credi di poter fare a meno degli altri? Ebbene: ne prendo atto e mi comporterò di conseguenza. Sei solo un’irriconoscente!-
La mattina seguente a quella sfuriata, Angela non si era presentata a scuola e poi il venerdì successivo aveva preso ad evitarmi più che poteva. A considerarmi invisibile. Edward. Alice. E ora anche Angela. Tutto, era scomparso.
Adesso, ciò che rimaneva di quanto di più caro avessi, erano solamente i miei ricordi.
 
E nient’altro.
 
 
 ***
 
 
 
Credimi Mneme*, se non fosse che siamo quasi a Natale, darei di matto!- biascicai, con la voce ancora impastata dal sonno al trillo della sveglia, che spensi immediatamente, quasi con cattiveria.
 
Il gattone color carbone si stiracchiò, risalendo pigramente verso il cuscino per venire a darmi il buongiorno. Sorrisi alla sua testata contro la mia spalla, con la quale mi spronava ad alzarmi e lo presi in braccio, cercando a tastoni con i piedi, le pantofole.
Mentre caricavo la stufa del bagno e della cucina e nel contempo, preparavo il caffè e davo la colazione a Mneme, cercavo con tutte le forze di placare il senso di angoscia, contro il quale combattevo per parecchi minuti ogni mattina, nel tentativo di non lasciarmi abbattere.
“Sia la tua migliore amica, sia l’uomo che ami se ne sono andati e sono passati mesi. Nessuno dei due ti ha più contattata. Datti una svegliata e piantala di continuare a rimuginare! Non cambierà certo la tua situazione!” sbraitò Ragione nella mia testa, dannatamente crudele.
Ormai non ci facevo più nemmeno caso. Alle voci nella mia testa, intendo. Avevo iniziato questo strano e forse insano “gioco”, subito dopo la scomparsa di Edward; parlavo da sola, ma come se mi trovassi in un aula di tribunale e dovessi esporre tutti i pro e contro di ogni mia singola azione; vagliarli razionalmente e di tanto in tanto, certo, ricordare anche che ero un essere umano e che dunque, non potevo essere sempre intransigente con me stessa, senza eccezione alcuna. A “smussare gli angoli” ci pensava la comare di Ragione: Sentimento. Era quella parte della mia coscienza che mi ricordava, appunto, di non essere una macchina e di non pretendere sempre l’impossibile.
“Signorina Testardaggine, devi arrenderti al fatto che non puoi spiegare tutto con la logica, a questo mondo. Ti sfuggirà sempre qualcosa e rimarrai sempre indietro di un passo se non ammetti che l'essere umano non è solo pura logica, ma che ci piaccia o meno esistono anche i sentimenti. Non puoi usare le stesse regole del cervello anche con il cuore. E soprattutto non puoi prevedere, calcolare e tenere tutto sotto controllo. Fatica inutile!”
La voce di Edward andò affievolendosi, nella mia mente, lasciando che la sferzata di sofferenza mi colpisse in pieno.
Fare i conti con i ricordi che lo riguardavano, era qualcosa che per il momento,non avevo imparato a gestire bene. E se, per quanto riguardava Alice o Angela, riuscivo ad impedire che le lacrime mi sopraffacessero la maggior parte delle volte, per quanto invece concerneva Lui, ancora non ero stata in grado di ispessire la corazza a sufficienza per non crollare, praticamente sempre.
Il profumo di caffè che riempì l’aria mi distrasse dai miei pensieri, quel tanto che bastava a ricacciare indietro le lacrime. Riempii la mia tazza preferita di caffè e appoggiata al bancone della cucina consumai la mia pseudo colazione, mentre assorta guardavo Mneme con il testone infilato nella ciotola, che sgranocchiava con gusto i suoi croccantini.
Sospirai affranta, alzando gli occhi verso il chiarore che si faceva strada a passi leggeri, dalla finestra della cucina, colorando il parquet di un’insolita luce ambrata. Del tutto inusuale e quanto mai bizzarro per gli standard di Forks. Posai la tazza di un vivace color smeraldo,sul ripiano di legno lucido, d’un tratto troppo pesante per riuscire a reggerla. Me n’ero resa conto pochissimo tempo dopo il disastro, di questo “nuovo problema”: la mancanza di forze. Per quanto tentassi di spronarmi, con le buone o le cattive, dal ragionare razionalmente, agli svariati tentativi di più dolce persuasione autoimposta, dai repentini scatti d’ira, nel vano tentativo di scuotermi dall’apatia, alla rassegnazione che mi gettava in uno stato di profonda prostrazione; ero completamente prosciugata di ogni energia. Mi sentivo debole fisicamente e mentalmente ero devastata; il misero barlume di lucidità rimasta era l’unica cosa che, con immensa fatica, mi costringeva ad adempiere ai miei doveri un giorno dopo l’altro, per inerzia.
Ne ero cosciente; avevo sempre l’aria di volermene tornare a letto, perché non desideravo altro in realtà. Il momento migliore era la sera quando, finalmente spegnevo le luci e crollavo esausta, avvolgendomi nelle coperte, come in un bozzolo, stupita e tuttavia in parte fiera di me stessa,  per essere giunta alla fine di un’altra giornata. In quei momenti di silenzio, circondata dall’oscurità, percepivo la stanchezza irradiarsi in tutto il mio corpo. Come se avessi corso per miglia.
Eppure per quanto cercassi ostinatamente di riuscire, la testa non mi concedeva pace; il pensiero di lui era sempre lì, irremovibile, nonostante fosse oscurato da un’angoscia così radicata, da cancellare dai miei ricordi la sua immagine.
Esattamente ciò che tentavo disperatamente di salvare, dall’oblio che mi stava risucchiando.
Così, come ogni notte dal momento in cui se n’era andato, come un’ondata mi inghiottiva l’ansia. L’avevo perso nel mondo reale e adesso mi stava lasciando, anche dai ricordi che affollavano la mia mente e sarei rimasta completamente sola.
Il pianto interminabile che accompagnava quotidianamente questa consapevolezza, non alleviava il peso che mi schiacciava il cuore, facendolo martellare impazzito nelle tempie; non mitigava la testa che doleva incessantemente; non mi spossava a sufficienza per lasciarmi riposare abbastanza, da poter recuperare un minimo di forze , per quanto continuassi a ripetermi che dovevo dormire. Acuiva solamente il freddo ed il vomito che sentivo risalire in gola.
Prima che riuscissi ad assopirmi, passavano ore intere, che contavo, fra i singhiozzi, ad ogni rintocco di orologio.
Poi poco dopo aver chiuso stancamente gli occhi, ecco il trillo acuto della sveglia, strapparmi da quel briciolo di calma che mi ero faticosamente conquistata. In quel preciso istante, cuore e mente si riattivavano prontamente ributtandomi davanti la realtà dei fatti, mentre il fisico bisognoso di una tregua, non collaborava. Così spesso rimettermi in piedi era più un danno che una necessità, poiché niente mi dava l’impulso sufficiente a gettarmi in pista e tutto era un’enorme e stupida fatica.
Mi trascinavo in bagno e mi costringevo a sollevare la testa e a guardarmi allo specchio, pregando che almeno il mio aspetto fosse migliore del mio spirito; invece il volto pallido e tirato, gli occhi arrossati e l’espressione esausta e impaurita, erano l’esatta raffigurazione del mio tormento, già così nettamente evidente nonostante non fosse trascorso molto tempo.
“Non puoi continuare in questo modo, cosa pensi ti direbbe Lui se ti vedesse in questo stato?”
“Ma Lui non può vedermi in questo stato. Non può dirmi nulla, perché non c’è! Non c’è!” sbottavo imbestialita, a mezza voce, con le lacrime che colavano nel lavabo.
“Ma se ci fosse?”
“Anche se ci fosse non gliene importerebbe!”
Sgranavo gli occhi ogni volta, come se fosse la prima. Come se non avessi mai capito, che la realtà era esattamente quella.
Così mi precipitavo di nuovo a letto, scossa e spaventata, rannicchiata fra le coperte calde, obbligandomi a fare dei respiri profondi per tranquillizzarmi, finchè finalmente recuperavo il controllo della mia mente.
“Tesoro ascolta, non puoi lasciarti andare così,” Sentimento interveniva nel modo più cauto possibile, per farmi ragionare. “sai bene che se Lui ci fosse, ti direbbe di andare avanti. Non sopporterebbe di vederti lì afflitta, incapace di reagire. Ricordi tutte le vostre chiacchierate?”
Come dimenticare?
“Cosa hai capito, durante tutte quelle vostre continue conversazioni?”
“Che detesta le donnicciole insulse, scialbe e deboli…”
“Brava! E dunque?”
“Ho capito! Ho capito! Mi alzo da questo dannato letto e mi metto al lavoro!”
E così a quel punto, per quanta poca voglia avessi, mi convincevo ad affrontare il mondo reale, che esulava dai miei deliri interiori.
 
 
Consumata la colazione, persa nei miei pensieri, impegnavo le ore successive, prima con le lezioni e nel tardo pomeriggio con i turni nel negozio dei Newton; infine mi occupavo, snervata, infastidita e frastornata, dei lavori a casa di Charlie, nei confronti del quale mi ero severamente imposta, di causare meno disagi possibili. Solo attorno alle dieci passate, finalmente potevo tornare nella tranquillità della mia camera e pensare ai miei crucci.


***spazio autrice***
Eccomi di nuovo da voi...
Questo invece è un piccolo "spaccato delle giornate" di Bella, che lei trascrive sul suo diario, per sfogarsi un pò buttando x iscritto la confusione e il dolore che ha in testa e nel cuore.

Per la cronaca: Mneme (significa ricordo memoria) è una figura della mitologia greca, figlia di Mnemosine e Zeus. Lei è una delle Muse che ha il compito di far ricordare le vicende accadute (all'incirca).
E questo gatto nero che Bells ha adottato, allevia in parte la sua solitudine e funge da "metafora felina" dato che come sappiamo bene lei non vuole dimenticare Edward.

Baci Itoe
  
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