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Autore: _Kiiko Kyah    19/06/2014    5 recensioni
“Neanche tu ami” -per non dire odi- “le feste?”
“Non quel tipo di feste in cui il novantanove percento dei presenti finisce ubriaco con l’unico scopo di scoparsi qualcuno senza rimorsi al mattino.” replicò con un’alzata di spalle.
La castana inarcò un sopracciglio, incuriosita. “Perché, esistono feste diverse da queste?”
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hayden Frost/Atsuya Fubuki, Yuuka Gouenji/Julia Blaze
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Perks of an Hangover



Quando la sua esuberante compagna di stanza le aveva proposto di andare insieme alla festa organizzata per l’inizio del nuovo anno universitario, lei aveva risposto con un chiaro e deciso “No”. Eppure era ovvio che quella replica sarebbe stata vana; quella di Rika non era un’offerta. Era un ordine. Perché era così imperdonabile che lei fosse l’unica a non andare a quella stupidissima festa. Il fatto che lei odiasse eventi del genere, pensati solo come scusa per ubriacarsi e fare sesso era come prevedibile un dettaglio irrilevante per la ragazza dai capelli azzurri.
E quindi eccola lì, appoggiata al muro, le braccia conserte, a scrutare con i suoi grandi occhi a mandorla la sala la cui accecante eppure buia luce da discoteca le stava facendo pulsare le tempie. I capelli color cioccolata legati in due trecce alte ai lati del capo, il bel seppur minuto corpo infilato in un esageratamente corto vestito composto da uno sbuffo di stoffa nera intorno al petto e una gonna di stoffa leggera rosa che le cadeva fino a manco mezza coscia. Ai piedi dei sandali aperti dal tacco troppo alto neri, e una borsetta inutile dalla tracolla troppo lunga.
Signori e signori, ecco il gusto che Urabe Rika aveva nel vestire la sua, ahimè, migliore amica. Non che la nativa di Osaka non ci si fosse impegnata... ma la ragazza in questione non era affatto tipa da indossare vestiti, non di quel genere. A lei piacevano cose che la mettessero meno in risalto, ecco tutto. E la solita scusa “Ma sei così carina, è uno spreco!” non le andava affatto giù.
Lanciò uno sguardo al suo orologio da polso, e si rese conto di aver letteralmente passato due ore lì ferma a fissare un braco di idioti che alzavano il gomito e si strusciavano l’un l’altro. Ugh. Si guardò intorno e, non vedendo Rika, decise che era un buon momento per tagliare la corda. Cosa che fece con piacere, afferrando una lattina a caso dal tavolo più vicino a sé e dirigendosi rapidamente quanto discretamente la porta. Detto fatto, si stupì di quanto poco ci volle.
Sfortunatamente, alla sua stanza non poteva tornare; il campus era gigantesco e la facoltà di legge (nella quale si stava svolgendo quel chiasso di festa) era dalla parte opposta ai dormitori femminili. Lei non sapeva guidare e comunque era arrivata sulla moto dell’Urabe, non poteva certo prenderla... non che quell’altra ne avesse bisogno; di sicuro sarebbe finita nei pantaloni di qualcuno e si sarebbe fatta riaccompagnare al mattino, se non avesse avuto un mezzo suo.
Comunque, scelta non ce n’era. La ragazza camminò per un po’ per il corridoio, finché non trovò uno sbocco che portava chissà dove, che però era anche abbastanza buio e isolato dal suono frastornante della musica remixata che proveniva dalla festa. Percorse il muro con le dita fino ad arrivare ad un punto che le parve buono e si lasciò semplicemente cadere per terra, schiena contro il muro, chiudendo le gambe accanto a sé. Prese un respiro e diede un’occhiata alla lattina che aveva preso. Che roba era?
La sollevò un poco per guardarla meglio. Era nera... e non c’erano scritte o nomi sopra. Cioè, avevano comprato bibite senza neppure sapere di cosa si trattasse? Forse era più logico che lì per lì l’avessero saputo... uffa, perché non aveva ascoltato Rika quando si era messa a disquisire di cose importanti per un party? ...Ah, già, non l’aveva fatto perché a lei non fregava un tubo.
Sospirò. Accidenti... posò la lattina accanto a sé e strinse le ginocchia al petto, limitandosi a scrutare il soffitto come se all’improvviso fosse la cosa più interessante del mondo. Forse avrebbe davvero dovuto diventare un tipo più festoso... niisan non le aveva sempre detto che doveva fare quello che si sentiva e non essere necessariamente come tutti gli altri?
E infatti lui, da bravo ragazzo sano di mente, non era lì a far casino con quei cafoni dei suoi compagni di corso. ...probabilmente se avesse saputo che lei aveva fatto il contrario si sarebbe molto, molto inquietato. La sua sorellina, in mezzo a quel branco di arrapati... a pensarci, avrebbe fatto paura a chiunque. Soprattutto al suo geloso e iperprotettivo niisan.
Sarebbe dovuta rimanere al dormitorio. Però insomma, lei che poteva farci se Rika l’aveva vestita e portata di peso?!
“Oh, ma c’è qualcuno.” Il tono sorpreso di una voce virile la fece sussultare.
Spostando il viso nella direzione di provenienza di quella frase stupita, non troppo lontano da lei, seduto e appoggiato al muro opposto, stava la figura di qualcuno, scurita e ovattata dall’ombra del corridoio. La castana spostò qualche ciocca dietro l’orecchio e fissò la persona con aria sorpresa. Beh, lei era sorpresa. Che non si fosse accorta di quella presenza al proprio arrivo? Viceversa?
“Non sapevo che questo posto fosse occupato.” aggiunse il ragazzo -perché di ragazzo si trattava, almeno questo era certo.
Lei fece spallucce. “Il corridoio non mi appartiene mica.” borbottò ostentatamente indifferente, anche se in realtà si stava annoiando e se c’era la possibilità di parlare con qualcuno le sarebbe piaciuto coglierla. Certo, a meno che questo qualcuno non fosse ubriaco. ...non lo sembrava.
Quell’altro ridacchiò sommessamente, divertito. “Hai ragione.” convenne stropicciandosi le palpebre. Si avvicinò appena, probabilmente per guardarla meglio, e di conseguenza anche lei poté analizzare meglio l’aspetto di chi le stava parlando. Anche da seduto, si vedeva perfettamente che era un ragazzo molto alto. I capelli spettinati sembravano rosa, rosa salmone, e gli occhi chiari erano forse blu o forse grigi, difficile dirlo. A completare, la carnagione era nivea come la porcellana.
Finirono l’uno davanti all’altra e rimasero a fissarsi a vicenda per un paio di momenti. “Allora...” cominciò lei, pensando ad un qualsiasi appiglio di conversazione che la facesse sentire meno imbarazzata all’idea di essere seduta per terra davanti ad un ragazzo, con quel vestito vergognoso addosso a coprirle a malapena le gambe. “Neanche tu ami” -per non dire odi- “le feste?”
“Non quel tipo di feste in cui il novantanove percento dei presenti finisce ubriaco con l’unico scopo di scoparsi qualcuno senza rimorsi al mattino.” replicò con un’alzata di spalle.
La castana inarcò un sopracciglio, incuriosita. “Perché, esistono feste diverse da queste?”
Di nuovo, il rosato rise e si coprì la bocca con la mano per mostrare i denti, molto educatamente. “Sì, quelle a cui partecipano persone amiche fra loro, ad esempio.” spiegò quando ebbe finito di ridere di quella domanda che evidentemente gli parve alquanto strana.
La ragazza sbuffò. “Perché sei venuto, se queste feste non ti piacciono?” domandò dopo poco, quasi con disinteresse, buttando letteralmente la questione lì a caso.
“Il mio adorabile compagno di stanza mi ha trascinato.” Fu la risposta, ottenuto a seguito di svariati secondi di esitazione da parte del salmonato. Era forse una cosa umiliante?
La castana sorrise. “Benvenuto nel club.” passò un paio di dita sulle labbra istintivamente, e si ritrovò i polpastrelli lievemente punzecchiati di brillantini. Il lucidalabbra di Rika, già. “La mia coinquilina mi ha caricata di peso sulla sua moto dopo avermi preparata a forza.” ricordò esasperata, piegando il capo all’indietro per colpire il muro con la nuca. “Che nervi.”
“Te lo dico io, i coinquilini sono una fregatura.” Lo sguardo degli occhi neri della ragazza si posò ancora una volta su di lui. “Mi hanno affibbiato uno svitato completo e me lo devo tenere, lui e tutte le sue manie da egocentrico narcisista della malora.”
“Tzè, sono sicura che non è niente in confronto alla mia. E’ suonata! Per carità, le voglio bene e tutto il resto ma non la sopporto più, parla di ragazzi e vestiti tutto il giorno e non so neanche come abbia fatto ad entrare in quest’università dato che non studia mai.” calcò il tono sull’ultima parola dandole un’aria definitiva ed inevitabile.
In compenso, passato un altro momento silenzioso, ci fu un’altra risata. Di entrambi.
“Atsuya.” La ragazza in rosa e nero strinse la mano che il ragazzo in camicia bianca e jeans neri le stava offrendo. Mentre la stringeva percepì la presenza di un anello alquanto semplice al dito medio e si accorse che il proprio pugno poteva essere stretto in quello di Atsuya come lei poteva stringere quello di suo cugino. Di dodici anni. Orrore. Si sentì proprio piccola.
“Yuuka.” si presentò a sua volta, per poi staccare quella presa che le aveva messo leggermente soggezione. Ebbe la sensazione di aver fatto un ragionamento simile a quello del suo interlocutore, perché lui si fissò il palmo per un secondo prima di tornare a lei.
“Piacere.”
“Piacere mio.” Si osservarono ancora per un po’. E poi finirono per sorridersi ancora. Chissà se si erano accorti di essersi scambiati solo i nomi. Così, ad uno sconosciuto, avevano già dato l’implicito permesso di chiamarsi per nome. “Che facoltà frequenti?” inquisì Yuuka con curiosità, chiudendo meglio le gambe. Stupida gonna.
Atsuya spostò i capelli chiari dalla fronte. “Psicopedagogia.”
“Wow, davvero?” si mostrò particolarmente colpita lei- perché poi era un mistero per entrambi. “Psicologia infantile... vuoi fare lo psicologo?” Eh sì, Gouenji Yuuka era una tipa curiosa.
“L’insegnante.” corresse con un sorriso l’interpellato. “Voglio insegnare alle elementari come faceva mia madre.” aggiunse, guardando da un’altra parte, come se la cosa lo imbarazzasse.
La ragazza mormorò un lieve “Awh” che lo fece arrossire. O almeno, al buio parve proprio che fosse arrossito e lo sguardo che le rivolse era a metà fra l’imbarazzo e un’occhiata torva.
“Tu invece?” spostò in fretta l’argomento sulla nuova ami- conoscenza. ‘Amica’ era troppo, si erano appena conosciuti in un corridoio, all’una del mattino, perché erano entrambi atipici nei confronti dei party che i loro ‘colleghi’ imbandivano ogni volta che potevano.
Amica era troppo. Dunque. Perché quella era la parola che gli era venuta in mente?
La castana si afferrò una delle spalle nude. “Medicina.” abbassò una palpebra con un sorriso. “Perché voglio diventare un medico come mio padre.” ricevette un altro sorriso da quel giovane uomo che sembrava dannatamente una bambola di porcellana. Una bella, attraente e simpatica bambola di porcellana finissima e candida. ...Sì, mh.
Era sicura come la morte di essere avvampata. Per distrarsi da questo fatto che era effettivamente vero, afferrò la lattina scura che aveva portato con sé.
“Quello...” cominciò Atsuya, quasi titubante.
Yuuka lo interruppe con un’alzata di spalle e aprì la lattina, accostando il naso all’apertura per sentirne l’odore. Sembrava aranciata. Era anche arancione... “Sembra aranciata.” commentò, toccando il liquido chiaro con l’indice e baciando poi il dito per saggiarne il sapore. Arancia.
“...Sembra.” mormorò il ragazzo, atono. Era difficile capire in che senso quella parola fosse detta. E in generale, Yuuka non ci pensò.
Bevve un sorso e dovette ammettere che era buono, nonostante fossero stati quei cretini là non troppo lontano a far baldoria, a comprarlo. Insomma, era abbastanza normale, finché un calore insolito prese possesso del suo stomaco. Pur essendo strano, non le dava comunque fastidio.
Prese un altro sorso e porse la lattina verso Atsuya. “Vuoi?” offrì tranquillamente.
L’interpellato sospirò leggero, posandosi una mano sulla fronte e spostandosi la frangia dei capelli all’indietro. “Sì, che male mi può fare.” disse, più a sé stesso che alla ragazza davanti a lui.

Atsuya non beveva alcol; mai. Cioè, quando era diventato maggiorenne aveva cominciato. Da un paio d’anni a quella parte aveva smesso. Non che il tipico sapore acre delle bevande alcoliche gli dispiacesse, anzi, a piacergli gli piaceva molto. Ciò che non sopportava era perdere il controllo della situazione e di sé stesso. Bere comportava un sacco di risvolti negativi, mal di testa, perdita di ricordi riguardo a ciò che si è fatto da sbronzi, perdita di ogni minimo buon senso a partire da quel livello di alcol nel sangue che ti affibbiava la definizione di brillo. Questo è quanto.
E invece adesso eccolo là. A condividere una bevanda estremamente alcolica con una ragazza che non sapeva nemmeno di star bevendo alcol. C’era da scommettere che neanche lei fosse una grande bevitrice- probabilmente non lo era affatto. Una bellissima ragazza dagli occhi del colore della pece più nera ma che brillavano come due stelle bianche in contrasto con un cielo senza luna, con dei lineamenti sinuosi e simpatici e due labbra rosa che brillavano di lucidalabbra e una splendida risata che sembrava l’armonico risuonare di mille campanelli e dei capelli scuri e morbidi che di sicuro profumavano come fiori in un prato e due bellissime gambe che---
Ehm. Dicasi l’effetto dell’alcol, che oltre ad essere ad un livello elevato in questa stupida bevanda, stava entrando nel suo corpo per la prima volta in due anni. Controllo ridotto a zero, Atsuya non era in grado di definire il momento in cui il discorso gli era scivolato fra le dita come sabbia e aveva smesso di capire le parole che si stavano scambiando, che gli arrivavano ovattate. Né fu poi mai capace di indicare, in futuro, quale fosse il momento in cui avessero cominciato a baciarsi.
Un bacio, così, labbra contro labbra, e poi denti contro denti, lingua contro lingua, un cuore che batteva all’impazzata sotto la sua mano che era finita inevitabilmente sopra -okay, sotto- la stoffa nera che copriva il petto di Yuuka, appoggiata contro il muro con le dita fra i capelli rosa del ragazzo, appoggiato quasi interamente sopra di lei. Uno con un briciolo di lucidità si sarebbe chiesto se la ragazza respirasse bene in quella posizione o se stesse soffocando sotto il peso del viso di Fubuki incollato al suo. Beh, la lucidità era proprio una cosa che nessuno dei due poteva dire di avere, al momento.
Il motivo per cui tutto si fermò allo stare incollati per un tempo indeterminatamente lungo e a quale palpata qua e là non lo sapevano, né lui, né lei. Magari si erano ricordati di essersi lamentati di quelli che usavano le feste come scuse per ubriacarsi e far sesso; sì, forse. O forse semplicemente avevano deciso che, anche da ubriachi, a loro andava bene così e basta. Sempre attaccati, seduti l’uno accanto all’altra, mano nella mano e con la testa di Yuuka appoggiata al petto del salmonato, lei si addormentò subito, nell’immediato.
Atsuya rimase sveglio per un secondo a riflettere, per quanto la sbronza glielo permettesse. Questa ragazza gli piaceva. Non era l’alcol a fargliela piacere. Era bella e simpatica. Le cose che si era impedito di pensare prima di bere da quella stupida lattina erano semplicemente uscite fuori quando la sobrietà aveva fatto ciao-ciao con la manina e se ne era andata. Le avrebbe chiesto di uscire, pensò, se il mal di testa al loro risveglio non lo avesse ucciso prima. Con questo bel e brutto pensiero, cadde di testa fra le braccia di Morfeo.
La prima cosa che si chiese quando lo squillo di un telefono lo svegliò lentamente, martellando con violenza le sue tempie, fu chi cazzo chiamasse a quell’ora, anche se non sapeva che ore fossero. Tenendosi la testa con una mano, frugò per le tasche e non vi trovò il proprio cellulare. La vista ancora semi appannata, lesse il nome Afuro Terumi sulla casella ‘chiamante’ e fu tentato di sbattere il telefono in faccia al suo idiotico compagno di stanza. Però non lo fece.
“Prrrrronto.” ringhiò, con la voce impastata dal sonno, dall’irritazione e dal dolore. Si rese conto che un qualsiasi suo movimento avrebbe svegliato Yuuka e decise di risparmiarle quella tortura -o almeno di posticipargliela, perché il dopo sbronza è la punizione che Dio infliggeva a tutti i comuni mortali, anche se lei sembrava più un angelo che un essere umano- ancora per un po’.
“Fubuki!” strillò il suo -inspiegabilmente- migliore amico, “Dove cazzo sei?!”
“Non urlare, coglione.” Il rosato scorse l’orologio al polso della ragazza e si piegò per controllare. Mezzogiorno. AH. Menomale che era domenica... Tentò di ricordarsi come era arrivato in quell’affranto di corridoio quando era quasi l’una di notte, quando aveva deciso di fuggire da Terumi e andarsi a rilassare -s’era visto, come s’era rilassato. S’era proprio visto. “Dalla sala della festa, cammina verso destra e il primo corridoio a sinistra che trovi, io sto là.”
“Come mai parli così piano?” domandò con aria sospetta il biondo dall’altro capo del telefono. “Ti fa male la testa?”
“...No.”
“Hai bevuto?”
“Io non bevo.”
“Hai bevuto.”
“Afuro-“
“Arrivo. Fudou ha portato delle aspirine ieri, te ne porto una.” Ah, allora anche i deficienti come Fudou sapevano che party come quelli conducevano solo a mal di testa colossali.
Il pensiero ricadde ancora sulla ragazza assopita su di lui. “Facciamo due... c’è una ragazza con me.” si staccò lievemente dal ricevitore del telefono per prevenire ciò che già sapeva.
“AAHHHHH adesso ho capito tutto!” trillò ancora il compagno di stanza, prima di borbottare un lieve “Ah, giusto. Scusa” e chiudere di scatto la chiamata per raggiungerlo con le aspirine.

Fubuki Atsuya era un ragazzo molto intelligente. Era capace di capire molte cose solo dall’espressione sul volto di una persona; sua madre gli aveva sempre detto che come psicologo sarebbe stato perfetto, anche se lui desiderava insegnare bene quanto lei faceva quando era viva. Che il lavoro di psicologo se lo tenesse suo fratello, Shirou non era portato quanto lui ma almeno gli piaceva entrare nella mente della gente. Al rosato no, era troppo invasivo.
Adesso, in quel momento, però, avrebbe tanto desiderato riuscire ad entrare nella testa bacata di Afuro e capire il perché di quell’espressione mista fra lo shock e un’apparente paura che aveva preso possesso dei suoi occhi rosso sangue e dei lineamenti contorti in quella smorfia.
“Afuro. Aspirina.” ripeté le parole chiave della situazione per ricordare all’amico il motivo per cui si era fatto raggiungere. Il biondo gli lanciò le aspirine, tuttavia il suo viso rimase tale. “Oh insomma, che c’è!” si costrinse a sollevare appena appena il tono di voce, per far capire il suo fastidio- perché cazzo doveva fare cose del genere, stava male e urlava? Era scemo forse?
Terumi si passò una mano sul viso e rise nervosamente. “Quella è Yuuka, oddio, è Yuuka.”
“Aspetta- la conosci?” emise, sorpreso, quell’altro. L’interpellato annuì, sospirando.
Un mugolio proveniente dalla castana fece intendere che si stava svegliando. E infatti... “A... tsuyAH!” Si prese la testa fra le mani, stringendo le palpebre e i denti per sopportare meglio il dolore alla testa e mettendosi ritta. “C-Che dol-lore...” si lamentò.
Fubuki le porse una delle aspirine e lei la prese, forzandosi a sorridergli nonostante non ne avesse proprio voglia. Parve accorgersi solo dopo che c’era una terza persona nel corridoio... e la stessa espressione presa prima da Afuro, adesso la prese anche Yuuka.
“T-T-Terumi-s-san!” Difficile dire se quel nome gli uscì a fatica per il dolore alle tempie o per altro.
“Vi conoscete?” ripeté il ragazzo dai capelli rosa, sempre più perplesso.
La ragazza assentì appena, e il biondo le risparmiò la fatica di parlare. “Il suo geloso e iperprotettivo fratello maggiore è in classe con me e il tuo adorato gemellino,” spiegò seccamente, incrociando le braccia pur rimanendo con una mano sul viso. “E, tanto per la cronaca, si passano otto anni.” lo informò stancamente, posando infine le mani sui fianchi.
Otto anni. Shirou -e quindi anche Atsuya- aveva ventiquattro anni. Il fratello di Yuuka aveva la stessa età. Sottraendo otto anni... “Hai sedici anni.” cadde dalle nuvole, abbassando nuovamente lo sguardo sulla castana- “Hai, sedici, anni,” scandì ancora, senza gridare solo e unicamente per lo scopo di non farsi del male. “Come è possibile?! Studi all’università!”
Lei arrossì un po’. “Mi sono diplomata prima. E quindi?” Si voltò in un’altra direzione, quasi offesa dalla dichiarazione della propria età con quell’aria incredula.
Il rosato stropicciò una tempia, un sopracciglio bloccato in un riflesso nervoso che lo faceva muovere a scatti. “E quindi, ho approfittato di una dannatissima minorenne.”
“Dannato sarai tu.” replicò pronta quella, “E non hai ‘approfittato di me’. Non siamo mica arrivati a quel punto.” gli ricordò aspramente, infastidita dal tono seccato che Atsuya aveva preso.
Quest’ultimo la guardò di traverso. “Eri ubriaca.”
“Anche tu.”
“Io sapevo ciò che stavo bevendo, tu no.”
“Non ci ho messo tanto a capirlo, non sono mica scema.”
“E hai continuato lo stesso?!”
“Perché, non è quello che hai fatto tu?”
“Non sapevo che avessi sedici anni!”
“Ma che ti frega?”
“Io ne ho ventiquattro!”
“E quindi?!”
“E’ molto più di quanti ne abbia tu, mi pare!”
“Che c’è, mi deve per forza piacere uno della mia età?!”
“No, a meno che tu non sia un adulto a cui piace una minorenne!”
“Non c’è niente di male se anche alla minorenne piaci tu, no?!”
“Ma che stai dicendo?!”
“Sto dicendo che a me tu piaci, genio, quindi ti devi proprio rilassare!”
“Possiamo finirla di urlare?! Ho la testa che fra un po’ esplode!”
“Certo che sì!”
“Bene!”
“Bene!”
“Perfetto!”
“Perfetto!”
Terumi dovette sforzarsi infinitamente per non dimenticare il fatto che il suo migliore amico si era quasi fatto la sorella di Gouenji Shuuya e mettersi a ridere, mentre osservava i due litiganti smettere finalmente di gridarsi contro e portarsi quasi in contemporanea una mano sulla fronte, respirando pesantemente. I postumi da sbronza non erano facili da reggere, figurarsi per due astemi. O almeno. Per un astemio e per una che non aveva mai bevuto in vita sua.
Il rosato e la mora non si resero conto dello sguardo semi divertito e semi disperato del biondo. Erano piuttosto concentrati sul dolore allucinante alle tempie.
Yuuka lanciò un’occhiata all’aspirina che le era stata data poco prima, e sospirò. “Davvero ti piaccio?” mormorò dopo un attimo di esitazione, sollevando le palpebre doloranti per scrutare meglio la reazione di Atsuya.
Questi arrossì appena e guardò invece da un’altra parte. “...Forse. Davvero io piaccio a te?” si limitò a rigirare la domanda, aprendo la bustina dell’aspirina. Per quanto il discorso gli sembrasse importante, sentirsi meglio lo era di più.
“Può darsi...” bofonchiò imbarazzata quell’altra, infilandosi la compressa di analgesico in bocca. Sentì vagamente il compagno di classe di suo fratello sospirare. “Ti dà molta preoccupazione il fatto che sono minorenne?” aggiunse stropicciandosi un occhio, senza guardare l’interpellato.
Fubuki alzò le spalle. “Neanche tanto...” ammise roteando gli occhi –e pentendosene il secondo successivo. “Però quello che è successo è comunque sbagliato.”
Seguì una manciata di secondi di silenzio. “Hai paura di mio fratello?” ruppe nuovamente il ghiaccio la ragazza, lanciando anche un’occhiataccia ad Afuro, che gliene rivolse una come a discolparsi di qualsiasi cosa lei lo ritenesse responsabile.
“Io non ho paura di niente.” affermò, quasi offeso, l’aspirante insegnante.
“E allora non dovresti farti tanti problemi.” rimbeccò la minore, sospirando ancora e appoggiandosi pesantemente alla spalla del suo interlocutore. “E poi, i miei genitori si sono messi insieme quando mio padre aveva diciassette anni e mia madre ventuno. Non ci sono ragioni di credere che l’età sia un ostacolo concreto, non ti pare?”
“Io me ne vado.” annunciò il biondo, girando i tacchi e allontanandosi, borbottando qualcosa come “Non voglio avere niente a che fare con questa cosa” o giù di lì.
Atsuya prese Yuuka per le spalle e se la mise davanti, per guardarla in faccia. “Mi stai chiedendo di uscire?” domandò, sinceramente confuso.
“Diresti di sì, se lo facessi?” sorrise delicata, con una falsa espressione innocente dipinta in viso e una luce di qualcosa simile a speranza nello sguardo scuro come il carbone.
“Suppongo di sì.” Il sorriso della sedicenne si allargò così tanto che Fubuki perse un battito. Cavolo.
La ragazza aprì la bocca per dire qualcosa, tuttavia fu interrotta dal proprio cellulare.
“Yuuka, dove sei finita?” inquisì la voce preoccupata di suo fratello maggiore, proveniente dall’altro capo del telefono, non appena lei ebbe mugugnato un “Pronto?” non troppo convinto.
“Da qualche parte, niisan.” Yuuka e Atsuya si scambiarono un sorriso. “Da qualche parte.”


 
 
 
Note di _Kiiko
Beh, mentre schivo le pallonate che un certo Gouenji Shuuya si sta divertendo apparentemente un mondo a tirarmi -e mi lascerà anche qualche segno sul muro, ormai lo so- vi dico che ieri notte, sotto le coperte, stavo rileggendo una mia vecchia fic in cui “intervistavo” Shuuya (chissà se qualcuno la ricorda, boh) e mi sono accorta che è più della metà di un anno che non scrivo un’AtsuYuuka. Insomma. Sono un essere deplorevole! Ci sono rimasta malissimo!
Atsuya e Yuuka sono la mia linfa vitale, ed era così tanto tempo che non davo più spazio nella mia testa alla mia crack pairing! Che poi tanto crack non lo è più, eh? Vorrei sentirmi fiera ma sono più arrabbiata con me stessa che altro. Sono furibonda! E quindi niente. Ecco qua. 3948 parole di AtsuYuuka! Sinceramente vorrei provare a buttare giù un altro capitolo della mia prima fic AtsuYuuka, “Sentimento incolore”, nonché unica long al riguardo (dio, sul serio? Sono messa male), ma non so se ce la faccio. Almeno ci devo provare, eh.
Sigh. Beh, ora me ne vado. Spero che questa cosa vi piaccia. Volete la mia completa sincerità? La volete? Sarà che non scrivevo AtsuYuuka da un sacco di tempo ma a me piace. Tanto, anche. Non pensavo che potesse mai accadermi più, di apprezzare una mia fic già dopo averla scritta, ah. Probabilmente il mese prossimo penserò di essere stata un’idiota, ma finora tutto okay.
Per cui vi saluto. Vi mando un bacio, lettori e recensori.
Anna
  
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