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Autore: TeenAngelita_92    20/06/2014    5 recensioni
Una giovane psicologa, da poco entrata a far parte del mondo del lavoro.
Un ragazzo di origini spagnole con un carattere alquanto ribelle e particolare.
Nessuno era mai riuscito a comprendere le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue paure.
Nessuno era mai riuscito a farlo sentire al sicuro, amato...
Fino a quel giorno.
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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3.
"Janet, si è fatto tardi. Va pure a casa, ci vediamo domani."
"Ne è sicura dottoressa? Potrei ancora restare, per me non è un problema."
"Sta tranquilla, appena avrò finito andrò a casa anch'io. Ora va."
"Va bene. A domani dottoressa."
"A domani Janet."
Si era appena svegliato, e il primo suono che aveva attirato la sua completa attenzione era stata la sua voce, la sua dolce e rassicurante voce. Sentì la porta chiudersi e intuì che Janet, probabilmente la giovane ragazza alla reception, se ne era andata. Provò con le mani a tastare il piccolo lettino dove ora si trovava, e capì che era ancora nel suo studio. Gli sforzi che aveva fatto quella mattina l'avevano evidentemente stancato, tanto da fargli perdere i sensi e chiudere gli occhi. Ma ripensandoci, l'idea di aver dormito per tutto quel tempo nel suo studio, non gli piacque affatto.
"Agh..." gemette quando provò ad alzarsi per andare via.
"Andres." lo chiamò, e per l'ennesima volta bastò solo la sua voce a fermarlo. 
Ma come poteva solo il suono della sua voce riuscire a fermarlo? A fermare tutte le sue imminenti azioni? Si voltò verso di lui e si avvicinò per fermarlo.
"Stenditi, per favore." e se quello doveva sembrare un ordine, per Andres non lo fu. 
Per Andres fu solo l'ennesima occasione che i suoi pensieri ebbero per tornare a confonderlo: quelle sue parole piene di preoccupazione e buone intenzioni. 
"Mi lasci in pace" le disse freddamente, ma forse voleva solo dirlo a quei suoi pensieri ancora intenzionati a confonderlo.
"Andres, guardami." gli chiese, e stavolta sembrava essere davvero un ordine. 
Ma perchè mai doveva guardarla? Perchè glielo stava chiedendo? Perchè ancora una volta?
"Perchè continua a chiedermi di guardarla?" le chiese, ma solo allora si accorse di avere lo sguardo basso, come ormai aveva iniziato a fare dal loro primo incontro. Ora forse capiva il perchè.
"Continui ad evitare il mio sguardo. Guardami." gli ripetè ancora, ma non servì a fargli cambiare idea.
"Devo tornare a casa.. D-Devo..." provò ancora ad alzarsi, già consapevole che non ci sarebbe riuscito. "¡Dios!" si stinse involontariamente il busto quando un dolore lancinante prese il completo possesso del suo corpo, con la disperata intenzione di poterlo alleviare e riuscire ad andarsene. 
"Andres!" richiamò il suo nome e stavolta obbligandolo a guardarla: gli prese stretto il viso tra le mani e lo alzò, quel poco che bastava per poter conoscere meglio i suoi occhi. I suoi occhi..
Quelli che ora, contro la sua volontà, le stavano mostrando ciò che davvero era, ciò che aveva sempre cercato di nascondere.
Quelli che ora sembravano spaesati, incapaci di fissare i suoi per qualche strano motivo.
Quelli che ora sembravano voler chiedere aiuto, contro ogni suo capriccio e intenzione di non farlo.
"Stenditi." gli ripetè con tono tranquillo e calmo, allentando la presa del suo viso. 
Distolse lo sguardo dal suo, quasi come se si fosse pentita di quella sua improvvisa reazione, quasi come se ciò che aveva visto nel suo sguardo le sembrasse strano, o la spaventasse. 
"Perchè mi ha lasciato dormire? Perchè non mi ha svegliato?" le chiese, cercando di cambiare completamente discorso.
"Eri stanco. Hai iniziato a gemere nel sonno. Qualcosa ti faceva terribilmente male ma non sono riuscita a capire cosa. Come avrei potuto svegliarti?" gli rispose, allontanandosi.
"E tutti i suoi..."
"I miei pazienti? Gli ho cortesemente chiesto di tornare a casa, cosi come Janet, la ragazza alla reception." lo informò, ancor prima che lui potesse chiederglielo.
"Cos'è? Una delle sue buone azioni quotidiane queste? Avrebbe dovuto svegliarmi e.."
"Tu vuoi a tutti i costi che le persone ti trattino male. No?"
"Sa perfettamente che ricominciare a farmi domande non la porterà da nessuna parte."
"Sono le tue risposte e questo tuo comportamento a non portarti da nessuna parte." gli rispose, e lui restò in silenzio, anzi, entrambi restarono in silenzio dopo quello scambio di battute alquanto provocatorie.
"Lascia che veda le tue ferite." gli chiese avvicinandosi. Perchè voleva vedere le sue ferite? A cosa gli sarebbe servito?
"Vuole farmi da medico ora?" rise a quella sua affermazione, ma in realtà il solo pensiero che lei potesse vedere il suo corpo sembrò spaventarlo.
"Voglio solo aiutarti."
"Non ho bisogno d'aiuto."
Lei si avvicinò, del tutto incurante di ciò che aveva appena detto. Prese le sue mani. Notò che una delle due sembrava bruciargli, era ferita.
"Sei stato tu ad iniziare?" gli chiese, accarezzando delicatamente con un dito le sue nocche.
"Che?" ritirò leggermente la mano alla nuova sensazione di bruciore e piacere che stava provando.
"La tua mano è ferita. Devi aver dato un pugno molto forte." notò, spiegandogli.
"Ma evidentemente è l'unica cosa che ho fatto per difendermi." le disse, alludendo al resto dei lividi.
"Stenditi. Lascia che controlli il busto. Ti fa molto male a quanto vedo." e lui, senza dire neanche una parola, obbedì. Stava davvero facendo ciò che gli stava chiedendo senza controbattere? si chiese tra se e se. Adagiò completamente la schiena al lettino, ma stavolta il dolore sembrava essere sopportabile. Lei prese tra le mani l'orlo della sua maglia e lentamente iniziò ad alzarla.
"Perchè sta continuando ad aiutarmi?" le chiese, afferrandole leggermente una mano per fermarla. Ma lei, senza rispondergli, continuò.
"Dio... Chi ti ha fatto questo?" esclamò quando i suoi occhi potettero vedere i segni di quell'insistente dolore. Sfiorò delicatamente la sua pelle, ora di un colore viola, scuro.
"Non ha ancora risposto alla mia domanda" le fece notare, afferrando di nuovo la sua mano.
"E' il mio lavoro." gli rispose semplicemente, rivolgendogli lo sguardo.
"Questo non è il suo lavoro. Se davvero lo fosse stato, a quest'ora mi avrebbe già sbattuto fuori da quella porta, avrebbe chiesto un incontro con mia madre e le avrebbe spiegato che non è in grado di aiutarmi, che neanche la sua tanta esperienza è abbastanza per capire ciò di cui ho bisogno, che..."
"E' quello che hanno fatto tutti gli altri, no? E' quello che tu ora vuoi sentirti dire." lo interruppe, e dopo una breve pausa riprese "Tu non lo sai, non puoi saperlo, ma io conosco tutti gli psicologi che ti hanno seguito. Mi hanno parlato di te, e ancor prima di incontrarti sapevo che ti saresti comportato cosi. Dopotutto è ciò che hai fatto anche con loro no? Con tutti loro."
"Lei non sa niente" rise, debolmente.
"So abbastanza. Quanto basta per non fare lo stesso errore che hanno fatto loro, per  non arrendermi subito alle prime tue provocazioni, per non lasciarti sprofondare ancora di più in questa tua idea di non aver bisogno di aiuto."
"Queste sono cavolate. Presto anche lei si comporterà esattamente come tutti gli altri."
"Sei tu che vuoi che io faccia come tutti gli altri, sei tu che mi stai portando a farlo. E' facile non affrontare le tue paure, le tue sofferenze, far finta che non esistano e dare la colpa agli altri. Si, cosi è facile no?"
"Ah, avanti questa mi è nuova, nessuno me lo aveva ancora mai detto."
"Ti aiuterei se mi comportassi come loro? Se dicessi quelle inutili quanto convenzionali frasi di profonda delusione a tua madre e me ne lavassi le mani?"
Già, sua madre. Sapeva che ormai si era abituata a sentirle quelle parole, ormai era abituata a tutto anche se ogni volta quell'espressione delusa, disperata e triste era sempre sul suo viso, ogni maledetta volta. Ed il sorriso che quella mattina era riuscito a vedere, pensò, quello era il primo suo vero sorriso, il primo che le avesse visto splendere sulle labbra. Non poteva deluderla ancora, per quanto egoista potesse essere, non voleva distruggere quel magnifico sorriso. 
"Fidati di me. Scegli tu per quanto tempo, ma prova a fidarti di me."
"Lei... Lei è cosi decisa a volermi aiutare a tutti i costi, come se sentisse di doverlo fare per forza, come..."
"Perchè so di poterti aiutare! Andres so di poterlo fare, ne sono certa."
E lui restò in silenzio, restò in silenzio a quelle sue parole che ora l'avevano convinto davvero. Si era accorto sin dal loro primo incontro che c'era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che tutti gli altri non gli avevano dimostrato di avere, qualcosa che ancora non sapeva definire con sicurezza. 
"C-cosa... Cosa vuole che faccia?" le chiese, abbassando lo sguardo.
"Voglio solo che tu ti fidi di me. Permettimi di conoscerti, di aiutarti." gli rispose, avvicinandosi "E guardami. Sono una persona normale, ho due occhi anche io, prova a guardarli ogni tanto." continuò sorridendo, e lo stesso fece lui. 
Già, sorrise. Il suo primo sorriso, il primo che le sue labbra avessero sentito davvero dopo anni ed anni. 
"D.. D'accordo."
"Inizieremo da domani. Faremo finta di non esserci mai visti prima, ricominceremo da capo. Okay?" gli chiese ancora, e lui annui semplicemente. "Ora, prima che tu vada a casa, ti va di raccontarmi chi ti ha fatto questo?"
Lui si abbassò l'orlo della maglia, si alzò per mettersi a sedere e la guardò.
"E' importante per lei saperlo?"
"E' importante per me saperlo per non permetterti di ritrovarti ancora in queste condizioni." gli rispose, e si sedette accanto a lui.
"Già..." sussurrò, quasi come a se stesso "Semplicemente ero ubriaco. Non ero mai stato in uno di quei locali dove la musica ti rompe i timpani, non mi sono mai piaciuti. Stavo cercando un posto per sedermi ma ho involontariamente pestato il piede ad un palestrato grande e grosso con un cervello simile ad una pallina da tennis."
"Ed è solo per questo che ti ha ridotto cosi? Perchè per sbaglio gli hai pestato un piede?" chiese, ma forse già sapeva che non era solo per quello.
"Odio i tipi come quello."
"E..?"
"L'ho provocato."
"Volevi farti picchiare?"
"Io non..." cercò di spiegarle, ma in realtà forse era vero. 
"Mi hai detto che non sei mai stato in posti del genere, che non ti sono mai piaciuti, ma ci sei andato, hai bevuto ed hai cercato di farti picchiare e senza difenderti minimamente perchè se solo tu l'avessi voluto avresti potuto farlo. Cos'è che volevi dimenticare?"
"Di... di che sta parlando?" le chiese ed inspiegabilmente il suo cuore prese a battere. Come diavolo aveva capito che era andato in quel locale per pensare ad altro? Per dimenticare?
"Hai lasciato che ti riducesse cosi. Perchè non hai provato a difenderti?"
"Io.. Io ci ho provato ma lui era molto più forte di me! Di cosa sta parlando?"
"Tu stesso hai detto che quel pugno è stata l'unica cosa che hai fatto per difenderti."
Già, era stato lui a dirglielo. Quelle erano parole sue, ricordò.
"N-no, io..." provò a giustificarsi, ma in realtà sapeva che tutto ciò che stava dicendo era vero, maledettamente vero. Ma non avrebbe potuto dirle che era andato li per dimenticarsi di quel loro catastrofico primo incontro, per dimenticarsi di lei.
"E' successo è basta, è stato solo una delle tante cavolate che ho fatto nella mia vita e.. Avanti, smettiamo di parlarne" le disse, di nuovo freddo e lei sorrise leggermente. Ora forse inziava a capire a cosa era dovuto quel suo comportamento.
"Tiri fuori questa parte di te quando qualcosa ti da fastidio, in questo caso le mie domande, dico bene?"
"Questo è ciò che sono, non ci sono altre parti di me.  Mi danno fastidio le sue domande, la sua sicurezza e questo studio cosi..."
"Cosi solito, convenzionale, bianco... L'hai visto cosi tante volte."
"Posso ritornare a casa ora?" le chiese, chiaramente stanco ed irritato.
"Va bene. Per oggi è già abbastanza essere riuscita a parlare con te per più di cinque minuti." gli sorrise leggermente e lui sollevato, si alzò definitivamente per dirigersi alla porta. Il tempo di riprendere le sue cose e spegnere tutto ed anche lei lo seguì.
"Come tornerai a casa?" gli chiese una volta arrivati all'uscita dell'edificio. "Voglio dire, ce la fai?" continuò, sembrava davvero preoccupata.
"Sono venuto con un taxi e me ne andrò con un taxi" le rispose, di nuovo freddo e distaccato.
"Se ti offro un passaggio lo accetti?" gli chiese, e lui restò in silenzio per un attimo. Notò che la stessa auto che il giorno prima la attendeva davanti all'entrata era di nuovo li, e con lo stesso uomo.
"Non ne ho bisogno." rispose fingendosi del tutto disinteressato.
E forse lei capì che si era accorto di quell'auto, che si era accorto di quell'uomo che il giorno prima aveva baciato con tanta dolcezza e amore, ma non ci pose molta attenzione.
"Mi prometti che stasera ritornerai a casa?" gli chiese, cambiando completamente discorso.
"Avanti, mi bastava già mia madre." rise debolmente guardando altrove.
"Non sto scherzando. Promettimi che andrai a casa." gli ripetè, e lui voltò ancora la sua attenzione verso quell'auto.
"Sono troppo stanco per provocare di nuovo qualcuno e farmi picchiare." le rispose facendola ridere leggermente.
"A domani allora." lo guardò, quasi come implorando una sua conferma.
"A domani" le rispose, e la vide allontanarsi e dirigersi verso la sua tanto attesa auto. I suoi occhi non sembravano voler cambiare soggetto e contro ogni sua volontà restò a guardarla, mentre regalava a quell'uomo un altro dei suoi baci, cosi dolci e pieni d'amore. L'auto si era ormai allontanata, abbastanza da poterla confondere nel buio della sera, ma lui era rimasto li, fermo.
Decise di andare al suo amato parco, li avrebbe avuto la possibilità di pensare meglio e di riordinare un po' di cose. Quel giorno non era potuto andarci ed era stata la prima ed unica volta, pensò. Era una cosa importante per lui non mancare mai a quel suo appuntamento ormai quotidiano, ma ora avrebbe fatto un eccezione.
Arrivato, si sedette su una delle tante panchine e con grande piacere notò che di sera era molto più silenzioso e rilassante. L'aria leggermente fresca gli accarezzava la pelle mentre tra le sue dita un'altra delle sue tante sigarette stava producendo fumo, quell'odore sgradevole che rendeva il paesaggio davanti ai suoi occhi ancora più misterioso e rilassante di quanto già non fosse, grazie al confondersi del grigio e del nero. 
Ne era convinto, l'indomani sarebbe tornato in quello studio, sarebbe tornato a sedersi su quella bianca quando odiosa poltrona ed avrebbe cercato di fare del suo meglio. Per sua madre, per se stesso, e forse anche per lei. 


Spazio Autrice:
Sono ritornata, sono ritornata, sono ritornataaa *saltella stile canguro sorridente*
No, ma voi sapete che non dovete farci caso, no? Ma certo che lo sapete. Insomma, mi sono presa un bel po' di giorni per aggiornare poichè mi hanno dovuto resettare il computer... Resettare il computer = Io in vena di omicidi. E vi dirò, ero sul punto di diventare un killer (scheeerzo) ma per fortuna mi hanno poi riportato il mio amato computer e... Ho dovuto rifare tutto da capo. Capitoli nuovi sia di questa sia dell'altra fanfic andati persi per cui ho dovuto rifarli. (E Dio, mi erano venuti cosi bene, una volta tanto) Ma ora sono qui, nuovo capitolo e nuovi, infiniti e grandissimi "Grazie" per voi che continuate a sostenere la mia pazzia ed i miei scleri di fantasia. Ora sparisco, giuro. Buoonissima lettura.
Un abbraccio grande.
TeenAngelita_92
  
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