Fanfic su artisti musicali > Beatles
Segui la storia  |       
Autore: Kia85    20/06/2014    6 recensioni
Se c’è una cosa che l’ispettore McCartney odia, quella sono i ladri.
Quando gli affidano il caso dell’anno, il caso di Hermes, il ladro melomane, Paul sa che farà di tutto per acciuffarlo.
Ma gli imprevisti nella vita possono celarsi dove meno te lo aspetti.
Anche nel negozio di musica davanti casa, gestito da un certo John Lennon...
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'I'll get you'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

I’ll get you

 

Capitolo 10: “Help!”

 

“Non è lui.”

“Cosa?”

“Non si tratta di Hermes.” spiegò con molta convinzione Paul ai presenti, ovvero l’ispettore Starkey e la sua squadra di agenti scelti.

Si trovavano nel vicino quartiere di South Kensington, nella seconda sede di Christie’s, una delle più famose case d’asta del mondo. Proprio qui erano in mostra cimeli di qualunque genere di Slash, il chitarrista dei Guns’n’Roses, che aveva deciso di metterli all’asta e devolvere il ricavato in beneficienza.

Proprio qui era avvenuto il furto di una maglietta che il musicista era solito indossare nei suoi concerti.

Il problema era che l’autore questa volta non era Hermes, almeno, questo era ciò di cui era convinto Paul.

“Ma ha avvisato come al solito dove e quando avrebbe colpito.” fece notare l’agente Eastman.

“C’è una differenza fondamentale dagli altri furti.” affermò Paul, avvicinandosi alla porta che dava sul corridoio e facendo scorrere il suo sguardo per tutta la sua lunghezza.

“Ovvero?”

“La guardia ferita.” rispose Richard, il quale fino ad allora aveva assistito in silenzio ai ragionamenti di Paul, pensando a lungo su quanto fosse appena accaduto.

Paul si voltò verso di lui per rivolgergli uno sguardo di profonda approvazione, “Esattamente. Hermes sarà anche un furfante, ma non ha mai fatto del male a nessuno. Anche quando ha rubato la chitarra di Dylan, ha fatto in modo che l’auto di scorta sbandasse dopo averla fatta rallentare. Qui la situazione è diversa.”

Era diversa perché il malcapitato agente si era ritrovato proprio sull’unica via di scampo che il ladro potesse usare. E quando questi era sopraggiunto, aveva estratto la pistola e sparato a sangue freddo, senza neanche prendere la mira. Il poliziotto ferito, Mal Evans, era stato molto fortunato, dal momento che era stato colpito alla gamba e si era subito accasciato a terra, lasciando via libera all’uomo.

Ora Mal si trovava nell’ospedale più vicino, trasportato con urgenza da un’ambulanza, ma fortunatamente non era in pericolo di vita.

“Quindi ci troviamo di fronte a un secondo Hermes?” domandò Linda.

“Sarebbe più giusto dire che siamo di fronte a un finto Hermes.” la corresse Paul, “Agisce con lo stesso stile, o quasi, sperando di farci credere che lui e Hermes siano la stessa persona, ma ormai abbiamo appurato che non è così.”

“Viene da chiedersi se questo delinquente e il vero Hermes siano in contatto fra loro.” aggiunse Richard, strofinandosi il meno con due dita, “Dopotutto abbiamo visto che il nostro uomo ha un complice.”

Paul sospirò, scuotendo vigorosamente la testa, “Lo ritengo altamente improbabile. Il complice di Hermes non agirebbe mai da solo e soprattutto in questo modo. Non ne avrebbe motivo.”

“Forse per depistare le indagini?” domandò l’ispettore capo.

“No, signore, da quello che ho potuto vedere in questi mesi, Hermes pensa solo ai suoi furti, li programma, colpisce e poi pensa subito al furto successivo. Non organizzerebbe mai qualcosa del genere con qualcuno che non ha certamente alcuna remora a usare una pistola.” spiegò Paul, incrociando le braccia sul petto.

“Bene, McCartney, se ne è davvero convinto, allora siamo tutti con lei.” commentò Richard, sorridendogli incoraggiante.

Paul gli rivolse un cortese cenno del capo, “Grazie, signore. Ora dovremmo pensare a un modo per catturare entrambi.”

“Sono d’accordo, e intanto faremo spostare la mostra nella sede di King Street.” aggiunse Richard, mentre si avviavano verso l’uscita dell’edificio, “Così potremo svolgere le indagini in tutta tranquillità, senza che il signor Pinault (1) venga a lamentarsi delle terribili ripercussioni che questo furto avrà sulla sua mostra.”

“Comunque…”  iniziò a dire l’agente Eastman, una volta raggiunte le volanti, “Non trovate strano che il vero Hermes non si sia ancora fatto vivo per rubare qualcosa da questa mostra?” 

“Ha ragione, agente Eastman, è molto strano. In fondo sono già diversi giorni che la mostra è aperta al pubblico e l’annuncio dell’asta è stato pubblicato ancora prima.” rispose Richard, aprendo la portiera dell’auto accanto al conducente, “Lei cosa ne pensa, McCartney?”

Paul non sapeva davvero cosa rispondere, non aveva assolutamente idea del perché il vero Hermes ancora non avesse annunciato un furto. In situazioni “normali” a quest’ora l’avrebbe già fatto.

Forse aveva capito che stava succedendo qualcosa di strano. O forse…

Paul ridacchiò divertito fra sé.

“Forse non gli piacciono i Guns’n’Roses.”

****

“Dio santo, quanto amo i Guns’n’Roses!”

Paul rise quando John esclamò questo. Erano nel retro del negozio, ma questa volta non suonavano loro.  John aveva sorpreso Paul e l'aveva convinto ad ascoltare un cd del gruppo statunitense, G N' R Lies, e quando era partita Patience, John si era lasciato scappare un verso di chiaro apprezzamento.

Paul era seduto nella sua solita postazione: gli piaceva ascoltare quel cd con John, ma la cosa più bella era osservare come quel giovane uomo fosse assorto nell’ascolto della canzone, come tenesse il tempo con la testa o il piede, come ogni tanto la cantasse o fischiettasse, insieme al cantante. Era uno spettacolo affascinante a cui assistere, gli sembrava quasi che John fosse molto più rilassato ora, più a suo agio con Paul. Non che prima, prima di quella chiacchierata, non lo fosse. Era solo che adesso la differenza era davvero palpabile. Forse era in John che sorrideva più spesso, oppure John che scherzava facilmente con Paul.

Ma che importava, in fondo? Erano tante piccole cose che rendevano il tempo passato con lui così piacevole.

John, dal canto suo, si sentiva anche lui così, così a proprio agio, come se conoscesse Paul da tutta una vita e non da pochi mesi. Questo nonostante stesse sforzandosi di mantenere comunque il controllo di se stesso. Aveva già messo in chiaro con la sua coscienza e soprattutto, con quel furfante del suo cuore, che doveva darsi un contegno e non lasciarsi andare in quella nuova, pericolosa amicizia. Un po’ sì, ma non troppo, sia chiaro.

E ci riusciva, ora, ricordando a se stesso che aveva un problema, un problema di nome “finto Hermes”, o fasullo, o impostore, o come diavolo si chiamava.

Chi caspita era questo nuovo arrivato? E perché stava sfruttando il suo nome in quel modo ignobile, impedendogli di compiere quel furto che John tanto agognava?

Dannazione, era stato così eccitato quando aveva capito di avere la possibilità di recuperare un cimelio di Slash, tanto che quando Paul gli aveva detto che avevano ricevuto un avviso di Hermes, dovette ricorrere a tutte le sue forze per non perdere il controllo e sbraitare e imprecare perché, cazzo, non era lui!

Così insieme a George avevano deciso di aspettare e vedere cosa fosse successo, e quello che era successo era una tragedia: il nome di Hermes infangato da un impostore che aveva addirittura ferito un agente con un colpo di pistola. John non poteva sopportarlo.

"È un bel cd." disse improvvisamente Paul.

John scosse il capo per destarsi dai suoi pensieri, "Cosa odono le mie orecchie? Il signor Paul Non-Ascolto-Più-Musica McCartney sta apprezzando il cd che ho scelto io?"

Paul rise, nascondendosi dietro la mano, "Sì, ma ora non cantare vittoria."

"No, ma così come io, da quanto mi hai detto, sono migliorato, anche tu stai facendo passi da gigante." esclamò John, avvicinandosi per sedersi di fronte a lui e guardarlo negli occhi, "Una volta ti saresti opposto alla mia proposta o ti saresti sentito male all'inizio del cd. Invece, guardati ora. Stai benissimo."

John lo indicò con un sorriso fiducioso e Paul arrossì lievemente, mentre il suo cuore sussultò alla realizzazione che John aveva appena messo di fronte a lui: non ci aveva mai fatto caso prima, ma Paul non stava male ora, anzi.

Non aveva palpitazioni di angoscia, ma di gioia; il respiro non era agitato, ma tranquillo.  Andava davvero tutto bene.

“Sì, è vero.” disse Paul, annuendo, “Ma è merito tuo, sai, da solo non ce l’avrei mai fatta.”

Poi sorrise verso John, il quale senza pensarci, allungò una mano per appoggiarla sopra quelle intrecciate di Paul. Erano così calde, così forti, e John le sentì sulla propria pelle, prima di poterle vedere. E...

Che diamine, che cosa ci faceva la sua mano lì?

Veloce come le aveva raggiunte, John allontanò subito la sua mano da quelle di Paul, alzandosi per tornare allo stereo e spegnerlo.

“Allora come…” iniziò a dire, schiarendosi la voce improvvisamente secca, “Come è andata a lavoro? Ho letto che c’è stato un risvolto inaspettato.”

“Oh, sì, è andata proprio così. Questo furto non è opera del nostro uomo.” commentò Paul, abbandonandosi allo schienale della sedia.

“Chi è allora?” domandò John e si voltò per guardare Paul con occhi indagatori.

“Non lo so.” rispose lui, scrollando le spalle, “Ma so quello che non è, e non è Hermes.”

“Come fai a esserne così sicuro?”

“Ne sono sicuro perché ormai ho capito Hermes, o almeno il suo stile. Lui non avrebbe mai sparato a uno dei miei uomini.”

John si ritrovò a sorridere nuovamente. Tuttavia, se una volta questo sorriso sarebbe stato di sfida, perché Paul non avrebbe mai e poi mai potuto capire appieno Hermes, ora invece era un sorriso di gratitudine, un sorriso compiaciuto, perché Paul sapeva che lui, o perlomeno Hermes, non si sarebbe comportato in quel modo.

“La tua sembrerebbe quasi un’affermazione di rispetto verso quel ladro.” commentò John, mantenendo quel sorrisino sulle sue labbra.

Paul spalancò gli occhi, sorpreso, anzi, profondamente turbato dalle parole di John, “Rispetto? Verso un ladro? Spero che tu stia scherzando, John.”

“Intendo dire, rispetto verso quella parte del suo stile, non verso il suo essere ladro.” ribatté John, “In fondo, non ha mai fatto del male a nessuno.”

Paul lo fissò, aggrottando la fronte con perplessità, “Resta comunque un delinquente, non porterò mai rispetto per una persona così.”

La sua promessa suonò stranamente malinconica per John, fu come una piccola dolorosa stretta al cuore, perché ora sapeva che una parte di lui voleva essere davvero amica di Paul. Invece quelle parole mostrarono un così chiaro e categorico rifiuto che John rimase in silenzio per un istante, a fissare Paul, cercando di capire cosa fare e dire ora, cercando di far acquietare quei due lati di se stesso che per la prima volta entrarono in conflitto.

"Beh, in fondo si tratta solo di ladro. Non devi certo diventare amico suo." scherzò John con una risata nervosa.

"No, infatti."

"Gli amici sono altri."

“Gli amici sono altri.” ripeté Paul, e si lasciò scappare un sorriso, che ebbe lo straordinario risultato di mettere pace al conflitto interiore di John.

C'era qualcosa di così forte e allo stesso tempo dolce in quel giovane. Era un mix pericoloso, con un potere immenso, e John fu molto sorpreso nel comprendere appieno che effetto avesse su di lui.

"Caspita!” esclamò all’improvviso Paul, quando il suo sguardo cadde sull’orologio, “È tardissimo."

"Tardi per cosa?" domandò John, incuriosito.

"Devo dare da mangiare a Pepper e telefonare a Jane prima che parta per Parigi."

John batté le palpebre, sorpreso, “Parigi?”

"Sì.” sospirò Paul, rendendo più che evidente il suo dispiacere per questa partenza, “Ora è in Scozia per girare uno sceneggiato per la BBC, ma devono trasferirsi in un set allestito in Francia. Sembra che si tratti di una co-produzione anglo-francese."

"È piena di lavoro questa ragazza." commentò John, incredulo, “Beata lei.”

Paul sorrise malinconicamente fra sé, mentre si alzava in piedi, "Sono contento per lei. La sua carriera sta andando alla grande. Se lo merita perché ha lavorato tantissimo per arrivare a questo punto."

"Da quanto tempo non la vedi?" domandò John, non credendo di averlo chiesto davvero.

Gli interessava così tanto quell’aspetto della vita di Paul? E soprattutto, perché gli interessava?

"Dal mio compleanno."

Ah, ecco perché. Come diavolo faceva a stare così a lungo lontano da lei? E come faceva Jane a non pensare di passare a trovarlo più spesso? Che razza di relazione era mai questa?

"È tanto tempo." gli fece notare John.

Paul annuì, perdendo il proprio sguardo sul pavimento, "Lo so, ma la capisco. E poi se io avessi avuto un lavoro normale, avrei potuto prendermi dei giorni di ferie per andare a trovarla, ma per ora non posso assentarmi da Londra."

John annuì, mordendosi il labbro. Ci mancava solo che fosse colpa sua ora, questo rapporto decisamente freddo tra Paul e Jane.

"E quando dovrebbe tornare?"

"Penso che dovrà stare lì almeno per un mese."

"Non pensi mai che lei potrebbe..." disse John e terminò facendo un vago gesto con la mano, che Paul evidentemente non capì, perché gli rivolse uno sguardo di pura perplessità.

"Lei potrebbe cosa?"

"Beh…” iniziò a dire John, scrollando le spalle, “Lontana da te, potrebbe conoscere qualcun altro."

"No.” protestò accorato Paul, “Non lo farebbe mai. Siamo lontani e non ci vediamo spesso, è vero, ma non mi tradirebbe mai."

"Scusami, Paul.” disse John, alzando le mani, “Non volevo intromettermi. È solo che, anche se è così impegnata, se ti amasse davvero, farebbe di tutto per poter passare più tempo con te."

Paul sussultò lievemente quando udì quel “se ti amasse davvero”, e cercò di non darlo a vedere, "Ti ringrazio per esserti preoccupato per me, ma fidati, John. Lei mi ama."

"Tu la conosci meglio.” sospirò John, rivolgendogli poi un sorriso rassicurante, “Quindi sarà sicuramente così."

"Sì.” mormorò Paul, annuendo più a se stesso che a John, “Sì, è così. E ora perdonami, ma devo proprio scappare."

"Certo. Non sei arrabbiato, vero?" si affrettò a chiedere John, balzando in piedi.

"Figuriamoci." rispose Paul, sorridendogli, "Perché dovrei esserlo?"

"Beh, perché ho insinuato certe cose su te e Jane e ora capisco che non ne avevo alcun diritto."

"Ma stai tranquillo, John.” lo rassicurò Paul, “Piuttosto, pensa a studiare il brano che ti ho assegnato oggi. La prossima volta ti interrogo."

Dopodiché gli fece l'occhiolino, prima di salutarlo e sparire attraverso la tenda. John rimase fermo al proprio posto, ascoltando Paul che salutava brevemente George e poi usciva dal negozio. L’istante successivo il suo amico e compagno di avventure lo raggiunse nella stanza.

"Dunque... Abbiamo a che fare con un finto Hermes?" chiese George.

"George, dovresti fare qualcosa per questo tuo continuo origliare, sai?" esclamò John, ridendo divertito, "Comincia a diventare inopportuno."

"E per quale motivo?” domandò George, accigliandosi, “Che segreti vi scambiate che io non posso sentire?"

"Niente, figurati, ma...” iniziò a rispondere John, ma poi si rese conto che la sua fosse stata un’affermazione decisamente sciocca, e sospirò, “Oh, lascia perdere. E pensiamo a questo finto Hermes."

"Cosa dobbiamo fare?"

"Non lo so. Per adesso possiamo solo aspettare la sua prossima mossa." commentò amaramente John, abbandonandosi sulla sedia.

"Come fai a sapere che agirà ancora?"

John intrecciò le mani sul grembo, voltandosi verso la finestra che dava sulla strada, "Lo so perché lui non è me."

 E da quella finestra, osservò Paul entrare in casa sua e poi chiudere la porta.

"Lo so perché sono io il vero Hermes."

****

Il Pinnacle, soprannominato Helter Skelter, era uno dei grattacieli più famosi di Londra. Aveva la forma caratteristica di uno scivolo a spirale, e con i suoi sessantatré piani spiccava indubbiamente nello skyline di Londra.

Le gallerie e gli uffici della casa d'asta Christie's erano in tutti gli ultimi dieci piani del grattacielo. Si trovavano letteralmente a un passo dal cielo. E se qualcuno, uno come Hermes o il suo doppione avesse provato a infiltrarsi per rubare qualche cimelio dalla mostra di Slash, beh, sarebbe caduto in una trappola. Praticamente non vi erano vie di fuga. A meno che uno dei due non fosse capace di volare.

Paul rise fra sé, ma che stava pensando? Nessuno poteva volare. No, questa volta non avrebbero rubato proprio nulla. Anzi, Paul sapeva che sarebbe riuscito a mettere le sue mani su Hermes. O perlomeno sulla sua brutta copia. Era arrivato un nuovo messaggio, la settimana prima, che avvisava la polizia di un altro furto che avrebbe colpito quella mostra così appetitosa. Non sapevano con certezza da chi potesse arrivare. Forse il vero Hermes aveva infine deciso di agire anche lui e recuperare un souvenir dalla mostra. Oppure era da parte di quello fasullo e Paul era assolutamente convinto di questa idea. Per quanto scaltro e insolente, il vero Hermes era anche prudente e non avrebbe rischiato di farsi arrestare per un soggetto che era già stato colpito una volta.

Ora Paul si trovava al penultimo piano del grattacielo e stava guardando dalla vetrata l'intera città di Londra stendersi sotto di lui, mentre il caldo sole estivo spariva lentamente all'orizzonte. Era una visione che metteva i brividi, e Paul ringraziò di non soffrire di vertigini, altrimenti quella sarebbe stata una vera impresa per lui, lavorare a 288 metri di altezza. Santo cielo!

C'era anche qualcosa che lo aiutava a… restare con i piedi per terra, per poter affrontare meglio il suo lavoro: era il portachiavi a forma di chitarra che rigirava in quel momento tra le sue mani, il portachiavi regalatogli da John. Sorrise al ricordo di quando John si era mostrato preoccupato per la sua difficile relazione a distanza con Jane. Era stato molto gentile da parte sua; preoccuparsi era qualcosa che facevano i veri amici e Paul non poteva che esserne felice. Sapere di avere il suo aiuto, il suo sostegno per affrontare la sua vita a Londra, con tutti i problemi che comportava, quelli di lavoro o la lontananza da Jane, rendeva tutto più sopportabile e anche più facile.

“Che carino.” esclamò una voce femminile accanto a lui.

Paul sussultò lievemente, per essere stato sorpreso nei suoi pensieri, e si voltò per vedere il bel viso di Linda fissare con interesse l’oggetto che aveva tra le mani.

“Oh, grazie.”

“E’ un portachiavi?”

“Sì, me l’ha regalato un mio amico. Come portafortuna.” aggiunse Paul, lasciandosi scappare una risata, mentre ricordava le parole di John.

“E funziona?”

“Per adesso non proprio, se devo essere sincero.” rispose Paul con un sospiro rassegnato, “Ma ce l’ho da poco, quindi, diamogli tempo.”

Terminò facendole l’occhiolino e lei ridacchiò, portandosi una mano davanti alla bocca.

“Beh, intanto ha fatto in modo che il nostro Mal sopravvivesse all’aggressione del ladro.” gli fece notare subito dopo.

“Hai ragione, è già un risultato.” ammise lui, sorprendendosi di non aver preso in considerazione quel particolare.

Se Mal fosse morto sarebbe stata innanzitutto una vera tragedia, e inoltre, Paul sapeva che la colpa sarebbe ricaduta su di lui, perché era il responsabile di quel caso.

Linda gli sorrise dolcemente, voltandosi meglio verso di lui ora, “Ho saputo che è andato a trovarlo in ospedale.”

Paul annuì, abbassando il capo e riportando lo sguardo sull’oggetto tra le sue mani, “Sì, l’altro giorno, con l’ispettore Starkey.”

“E’ stato molto gentile da parte sua.”

“Ho fatto solo quello che sentivo.” commentò Paul, scrollando le spalle, “Lui stava solo facendo il suo lavoro quando ha cercato di fermare il ladro, e noi rispettiamo lui e l’impegno che dimostra ogni giorno. La nostra visita voleva semplicemente dimostrare questo.”

“Sì, beh, ma…” iniziò a dire lei, avvicinandosi e appoggiando una mano sul suo avambraccio, “Altri non l’avrebbero fatto, perciò volevo solo dirle che io la rispetto molto, signore.”

“Grazie.” disse Paul, sottraendosi al suo tocco gentile per controllare l’orologio, “Sarà meglio ora che raggiungiamo tutti le nostre postazioni. È quasi l’ora X.”

Linda sospirò, prima di annuire, “Sì, signore.”

Paul la guardò andare via, ripensando alle sue parole: il portafortuna aveva funzionato?

Gli stava davvero dando un aiuto?

Paul non lo poteva ancora affermare con certezza, ma sentiva che in qualche modo l’avrebbe scoperto solo a fine serata, perché era ora sicuro che proprio quella sera avrebbe catturato almeno uno dei due possibili Hermes.

****

Il vento di quella sera di inizio luglio era piuttosto pungente.

Forse era dovuto al fatto che il sole fosse ormai tramontato da un paio di ore.

O forse, anzi, molto probabilmente era dovuto a quelle centinaia e centinaia di metri che separavano John dalla terra.

Stava letteralmente sorvolando Londra con un deltaplano e caspita, era davvero molto in alto. Aveva provato altre volte questa esperienza, ma ogni volta l’emozione di vedere quella città stendersi sotto il suo corpo perfettamente allineato con l’orizzonte faceva venire i brividi.

“John, pensaci bene, per favore.” disse all’improvviso la voce di George, dall’auricolare, “Sei ancora in tempo per cambiare idea.”

“Ho già pensato bene, grazie, George. E no, non voglio cambiare idea.” rispose John, sorridendo alla domanda dell’amico.

“Ma quell’avviso..” continuò George, “Potrebbe essere una trappola.”

“Un trappola?”

“Sì, non hai pensato che magari questa possa essere solo una messinscena della polizia per attirarti in quel cazzo di grattacielo e arrestarti?” gli fece notare George, particolarmente accorato.

“Oh, mio caro George, non hai sentito le parole di Paul?” sospirò lui, scuotendo il capo in rassegnazione, anche se George non poteva vederlo, “Perché avrebbe dovuto dirmi quelle cose, se fosse stata una messinscena?”

“Resta comunque un’azione pericolosa.” sbottò l’amico.

Sembrava stranamente agitato questa volta, ma John non aveva alcuna intenzione di ritirarsi e annullare tutta l’operazione.

“Dobbiamo venirne a capo, George. Non posso tollerare uno che agisca indegnamente usando il mio nome. È una questione di principio.”

Per non parlare del fatto che ormai fosse tardi per un ripensamento, dal momento che era quasi arrivato all’Helter Skelter. Aveva deciso di arrivare dall’alto perché sicuramente nessuno avrebbe immaginato che Hermes potesse calarsi dal cielo.

“Oh, John.”

“Fidati, andrà tutto bene.” lo rassicurò John, “Sono o non sono il famigerato Hermes?”

George sospirò, “Sì.”

“Bene, allora, rilassati ora, amico mio, stiamo per entrare in azione.”

“Cerca di stare attento.”

“Non ti preoccupare.” ribadì John con tutta la tranquillità che poteva recuperare dentro di lui, “Pensa piuttosto a essere qui al momento giusto.”

“Ci sarò.”

John sorrise fra sé, e poi finalmente si preparò all’atterraggio. Inclinandosi lievemente da un lato, fece un giro di ricognizione per avere un idea di come fosse il tetto. Di sicuro, non era un tetto fatto per un atterraggio di questo tipo. Ma d’altra parte, chi mai avrebbe potuto progettare una pista d’atterraggio su uno dei grattacieli più eccentrici di Londra?

Infine decise di calarsi definitivamente e appena giunto in prossimità del tetto, allungò le gambe per frenare. Peccato che appena toccato il suolo con i piedi, inciampò e franò a terra. Un sonoro crac gli comunicò che aveva appena rotto la punta destra del deltaplano.

Porca put-”

Tutto a posto, John?” domandò George.

“Sì, sì, tutto a posto. Solo un...” iniziò John, alzandosi in piedi e pulendosi i pantaloni, “Un sassolino che mi ha fatto inciampare.”

“Un sassolino? Come c’è finito un sassolino a 300 metri sopra Londra?” domandò George, ridendo.

“Non ho tempo ora per le tue domande esistenziali, George.” gli fece notare, slacciando tutta l’imbracatura che lo legava allo strumento di volo.

“Come vuoi, ma sei sicuro di stare bene?”

“Sto bene, George, mai stato meglio di così.” lo tranquillizzò John, “Adesso cerco l’apertura del condotto di aerazione e poi siamo dentro.”

“Indossa la bandana, non si sa mai cosa possa accadere.”

“Sissignore, signore."

John, finalmente libero da corde e caschi e tutto l'equipaggiamento necessario per il volo, si stiracchiò e poi si concentrò sul tetto di quel grattacielo. La base era di forma rettangolare e solo un lato, uno di quelli più corti, era completamente esposto all'aria. Da uno dei due lati più lunghi partiva una vetrata concava che circondava l’edificio e si innalzava sempre più verso il cielo fino a terminare sul lato parallelo in una sorta di punta metallica. Proprio da quella parte c'era una piccola porta che con grande gioia, John scoprì essere aperta. Questa dava su una rampa di scale che molto probabilmente percorreva l'edificio in tutta la sua lunghezza. Sarebbe stata quella la sua via di fuga, se le cose fossero andate male. Di fianco alla rampa di scale, c'era l'ascensore ma era fuori questione usarlo. Sicuramente sarebbe stato sorvegliato con una telecamera e questa volta George non ne aveva il controllo.

E poi John lo vide, il condotto di areazione. Si avvicinò per esaminarlo: non sembrava particolarmente stretto. John poteva passarci in tutta tranquillità. Ok, non era un fuscello e qualche chilo in meno sarebbe stato ben accetto, ma non era neanche così grosso.

Ridestandosi da quei pensieri che erano più adatti a una palestra piuttosto che al luogo di un furto, John si apprestò a rimuovere la grata che chiudeva il condotto di areazione e lo appoggiò per terra senza far rumore. Poi sistemò la piccola sacca che portava sulle spalle, spostandola sul petto e si arrampicò dentro.

Lo spazio era decisamente angusto e claustrofobico, ma era importante che lui restasse calmo e che respirasse tranquillamente per non farsi prendere dal panico. Insomma, anche il grande Hermes poteva lasciarsi andare a queste crisi e rovinare tutto. Poteva essere scaltro e sfrontato quanto voleva, ma era pur sempre un essere umano con i suoi punti deboli.

Quando si convinse che non c'era motivo per cui dovesse agitarsi (e ci riuscì ricordando a se stesso cosa lo aspettava un paio di piani più in basso), cominciò ad avanzare cercando di fare meno rumore possibile, strisciando con movimenti felpati e facendo attenzione a non urtare contro le pareti.

Arrivato in fondo al cunicolo, si fermò e si sedette. Il condotto proseguiva in verticale verso il basso e non se ne vedeva la fine. John aprì la sua sacca e ne estrasse un congegno tecnologico che aveva portato con sé proprio per questa fase del piano: era una sorta di bobina che lo avrebbe aiutato a calarsi nel condotto. Lo attaccò sulla parete superiore e poi tirò l'estremità con il moschettone per agganciarlo alla cintura in vita. Con un paio di strattoni violenti si assicurò che il congegno con la bobina sostenesse il suo peso e poi, sentendo un tuffo al cuore, si lasciò andare nel vuoto.

Imprecò mentalmente, mentre allontanava qualunque timore per quella situazione precaria, cercando di non pensare che se il congegno avesse ceduto, lui sarebbe stato un uomo morto e Julian un orfano di padre. Così si appoggiò con la schiena ad una parete e puntò i piedi ben saldi dalla parte opposta, prima di iniziare la sua lenta e attenta discesa. Oltrepassò il cunicolo che si stendeva sopra l'ultimo piano del grattacielo. Era già a metà strada e per ora stava andando tutto bene. Ottimo.

Proseguì verso il basso, mentre le mani sudavano copiosamente e il cuore batteva forte nel petto, echeggiando nel condotto stretto e silenzioso. Imbecille, così li avrebbe fatti scoprire.

Fortuna che ormai era arrivato. Si arrampicò dentro il secondo cunicolo incontrato nel tragitto e quando fu al sicuro, sganciò il moschettone dalla cintura, accompagnando il gesto con un sospiro di sollievo.

Strisciò nuovamente in silenzio, pensando che proprio sotto di lui vi era la più grande mostra di cimeli che avesse mai visto. In altre occasioni sarebbe stato difficile scegliere, ma trattandosi di Slash, John sapeva bene cosa rubare: una delle sue famose tube che indossava sopra quei ricci neri e indomabili.

C'era solo un problema.

Qualcuno era arrivato prima di lui.

La grata sul lato del condotto sopra cui stava scivolando John era già stata rimossa e appoggiata di lato.

E John sapeva che potesse trattarsi solo di quell'impostore.

Si morse il labbro, pensieroso. Era rischioso, dal momento che questo finto Hermes poteva essere aggressivo anche verso di lui, ma John non avrebbe permesso che quella sua farsa continuasse a infangare il suo nome.

Presa la sua decisione, si chinò e cercò di dare un'occhiata a cosa stesse accadendo all'interno della stanza. Questa era ben illuminata e per la miseria, quante cose meravigliose c'erano: vestiti, ciondoli, catene, chitarre, miniature di dinosauri e...i cappelli a tuba!

John notò anche una piccola porta secondaria dalla parte opposta a quella principale e lì, di fianco, tre guardie legate, imbavagliate e addormentate in angolo. Probabilmente il suo doppione li aveva fatti fuori con qualche gas soporifero.

Poi John lo vide. Era un uomo alto e snello, indossava una felpa col cappuccio, proprio come John e sul volto aveva una bandana. Stava aggirandosi fra le tube e ne aveva adocchiata una che John sperava di poter trovare: una tuba nera completamente rivestita da borchie.

Quando l'uomo allungò una mano per toccarla, John non esitò. Sollevò sul viso la propria bandana e si tuffò nella stanza.

"Fermo dove sei."

L'uomo si bloccò per un istante con la mano a mezz'aria, prima di sorridere e voltarsi verso di lui.

"Speravo venissi, caro il mio Hermes."

John batté le palpebre in confusione, mentre l'uomo lo fissava con uno sguardo eccitato e un sorriso soddisfatto che sicuramente si trovava al di là della bandana. Sembrava molto giovane, forse coetaneo di John, ma non c’era tempo da perdere in queste riflessioni. John doveva sapere.

"Chi sei?"

"Mi chiamo Brian Epstein.” rispose l’uomo, “E sono un tuo ammiratore."

"Un ammiratore?"

Brian annuì lentamente, chiudendo gli occhi per un istante, "Sì. Ti seguo dai tuoi primi furti. Sei una creatura straordinaria, Hermes. Il tuo stile mi fa impazzire: sei geniale, astuto e riesci a farla franca, nonostante la polizia sia sempre lì ad aspettarti."

"Stai scherzando?" domandò John, quasi ridendo per l’assurdità delle sue parole.

Come poteva un uomo qualunque provare ammirazione per un delinquente come lui?

Insomma, ovviamente John sapeva di essere un grande in quello che faceva, ma non avrebbe mai pensato di avere degli ammiratori. Uno che sembrava anche molto strano da quello che lui poteva vedere.

"Come potrei scherzare ora che finalmente sto parlando con te?! Sono così felice che tu ti sia accorto di me, non puoi immaginare quanto."

John spalancò gli occhi. Le parole di Brian lasciavano intendere che...

"Aspetta, mi stai dicendo che hai organizzato tutto questo solo per attirarmi qui e incontrarmi?"

"Sì.” confermò Brian, lanciandogli uno sguardo di pura estasi, “Sapevo che se avessi iniziato a copiare il tuo stile, prima o poi saresti intervenuto."

"Ma... Perché?"

"Perché sei il mio idolo e volevo conoscerti e chiederti di permettermi di aiutarti nei tuoi futuri progetti." spiegò Brian, come se fosse qualcosa di così naturale, che John avrebbe dovuto accettare senza pensarci due volte.

Ma John aveva ben altre risposte in mente.

"Non se ne parla." gli disse, mentre si avvicinava al cappello che aveva intenzione di portare a casa.

Brian, totalmente preso in contropiede, lo guardò spalancando gli occhi, "Cosa? Perché? Ho imparato il tuo stile. Insieme possiamo fare grandi cose."

"Tu non hai imparato proprio un cazzo.” sbottò John, senza nascondere tutta la sua irritazione, “Hai mandato in ospedale un poliziotto sparandogli alla gamba. Io non sono così. Non metto a rischio la vita di altre persone. Quindi te lo puoi scordare."

"Ma io-"

"Ma niente.” esclamò John, stringendo il cappello fra le mani e osservandolo con più interesse di quanto stesse dimostrando all’uomo dietro di lui, “Tu sei pazzo, sei completamente fuori di testa, lasciatelo dire e-"

Un rumore metallico, un rumore simile a una pistola che veniva caricata lo fece sussultare all'improvviso. John, con il cappello in mano, si voltò ritrovandosi con l'arma puntata in faccia.

Il suo cuore perse un battito e il silenzio assordante di quell'istante gli fece credere di essere già morto. Ma no, non era morto e poter sentire la risata sardonica di Brian era una prova sufficiente.

"Tu credi ora di poter rifiutare la mia proposta, e poi sgattaiolare via così, come se niente fosse successo?"

"Brian..."

"Non puoi farla franca. Sai, prima di venire qui ho pensato, 'Gli conviene proprio accettare la mia offerta, altrimenti sarò costretto a ucciderlo'."

Lo sguardo che Brian gli rivolse fu di pura follia e John si sentì sbiancare in volto, ma cercò comunque di restare calmo e prendere tempo.

"Non lo faresti davvero."

"Tu dici? In fondo ho già sparato a un poliziotto e ora tu sai la mia identità. Se non collabori con me, dovrò proprio premere il grilletto. E poi, a quel punto, io diventerò l'unico vero Hermes."

Dannazione. Le cose si mettevano male e John non poteva neanche sperare nell'aiuto di George; l’amico, con molta probabilità, stava ascoltando tutta la conversazione, incredulo, sentendosi incredibilmente impotente. Cosa poteva fare lui ora per John?

Tuttavia, l'aiuto arrivò dalla persona da cui John poteva aspettarsi tutto, tranne quello.

La porta della sala si spalancò e dentro irruppero tre persone, una delle quali era...

Paul!

"Fermi. Mani in alto!" esclamò il giovane ispettore, puntando una pistola che per John era mille volte più sicura.

Paul non avrebbe mai sparato ad altezza uomo. Ne era certo. Lui non era folle come Brian.

Ma ora John non poteva perdersi in tali sentimentalismi, doveva pensare piuttosto a come scappare e raggiungere il tetto. Si ricordò della porta secondaria che aveva visto dall'altra parte della stanza. Era un'incognita pericolosa, John non sapeva dove portasse, ma tutto era meglio dell'altra uscita.

Così più veloce di un fulmine, approfittando della distrazione momentanea di Brian, John scappò, correndo a perdifiato verso quella porta.

E mentre sentiva Brian imprecare e Paul ordinare ai suoi uomini di placcare l’impostore, John si accorse che la porta aveva una maniglia antipanico, e l'insegna verde e luminosa in cima indicava che quella fosse un'uscita di sicurezza.

Una sicurezza, certo, la sicurezza della salvezza di John.

La spalancò, stringendo bene il cappello nella mano, e spuntò sulla rampa di scale che aveva visto al suo arrivo. Era la sua giornata fortunata.

Si precipitò su per le scale, sentendo passi concitati dietro di lui che salivano gli scalini.

"George, ho davvero bisogno del tuo aiuto ora."

"Sto arrivando e comunque, ti ho già aiutato."

"E in che modo?” domandò John, il respiro già affannato, “Perché non me ne sono accorto."

"Ho mandato un sms a Paul da un numero riservato, avvisandolo che c'erano i due Hermes nella sala della mostra."

"Ah grazie, George. Un gran bell'aiuto." commentò John, senza poter nascondere il suo sarcasmo.

"Beh, sei ancora vivo o sbaglio?!"

Ma prima che John potesse rispondere, si udì due spari provenire dal qualche parte da dove era venuto lui, e John saltò per lo spavento. Cazzo!

Imprecò decisamente spaventato ora; non sapeva cosa fosse successo, né chi avesse sparato, ma lui continuò solo a correre incurante della fatica e del cuore che batteva come un forsennato.

"Ancora per poco, a quanto pare." esclamò John per informare George, ancora all’ascolto.

Finalmente arrivò in cima e si affrettò a raggiungere il tetto. Il deltaplano era fuori uso e di George neanche l’ombra.

"George, dai, cazzo. Muoviti." sbottò, sentendo tutti i muscoli del corpo fremere per l’agitazione.

"Ci sono, ci sono."

Ma ogni secondo sembrava per John un’ora di attesa. E quando qualcuno sopraggiunse dietro di lui, John si voltò, sentendo l'adrenalina scorrere nelle sue vene come un fiume in piena.  

"Fermati.” disse la voce di Paul.

Era una voce decisa e autorevole, ma aveva anche, stranamente, una punta di dolcezza e questo bloccò John al proprio posto.

“Arrenditi ora, sei in trappola.”

John osservò Paul che puntava la sua pistola contro di lui. La mano era ancora ferma, ma si vedeva su tutto il volto di Paul che lui non avesse alcuna intenzione di sparare.

“So che non sei stato tu, la scorsa volta, tu non avresti mai sparato a uno dei miei poliziotti, vero?” domandò, avvicinandosi pericolosamente a John, “Se ti arrendi ora, mi assicurerò che non ricada tra i tuoi capi d’accusa.”

John non era proprio in grado di muoversi, Paul si avvicinava sempre più, ancora qualche passo e avrebbe potuto scoprire che l’uomo davanti a lui, Hermes, era proprio il suo amico John.

L’unica cosa che John potesse fare, era sperare nel tempestivo arrivo di George. Oppure in un altro tipo di aiuto, come l’arrivo di Brian, che sopraggiunse dietro Paul, strinse un braccio intorno al suo collo e lo colpì in testa con il calcio della pistola.

La testa di Paul ricadde in avanti come a peso morto.

Aveva perso i sensi.

****

C'era un dolore acuto che continuava a inviare impulsi fastidiosi ai suoi nervi e c'erano anche un ronzio in lontananza e un fischio insopportabile che risuonavano nella sua testa.

Strani rumori che si intrecciavano con una voce di uomo.

"Dammi quel cappello e unisciti a me. È la tua ultima possibilità."

"Altrimenti?" disse una voce soffocata.

"Altrimenti ucciderò l'ispettore."

Paul avrebbe voluto decisamente protestare a quella affermazione. Non aveva molta intenzione di morire, ma d'altra parte decise di non cercare di liberarsi, per evitare di far innervosire l'uomo e fargli perdere la testa. Era ancora una possibilità.

"E perché dovrebbe importarmi?"

"Perché come hai detto tu, non è nel tuo stile. Vuoi sconfiggerlo con la tua abilità, non uccidendolo. Ma se non accetti la mia offerta, gli sparo in testa e poi darò la colpa a te."

Paul sentì il cuore aumentare il proprio ritmo. No, doveva trovare un modo per liberarsi e salvarsi. Doveva trovare un aiuto, ma chi?

I suoi due uomini che avevano fermato l’impostore che fine avevano fatto? Avevano lasciato fuggire quell’uomo, allora forse era successo loro qualcosa? Forse quel finto Hermes aveva sparato anche a loro, e se fosse stato così, stavano bene ora?

E quanto impiegavano gli uomini dagli altri piani a venire in suo aiuto?

Non c’era nessuno che potesse aiutarlo in quel momento, a parte…

Ecco, forse qualcuno c'era: il vero Hermes.

Paul aprì gli occhi e subito incrociò quelli chiari della sua preda. Lo fissò intensamente e a lungo, cercando di trovare in lui un'umanità che Paul era sicuro lui avesse. Lo fissò come se volesse chiedergli di ricambiare quella fiducia che lui aveva riposto nel ladro, quando aveva subito rifiutato l'ipotesi che fosse stato lui a sparare a Mal Evans.

E l'altro uomo, suo nemico, capì.

"Va bene. Tieni." esclamò e lanciò verso di lui il cappello di Slash.

Questo cadde ai loro piedi con un rumore metallico dovuto alle borchie, e Paul sentì il falso Hermes ridere un po', mentre il ronzio nella sua testa divenne sempre più vicino. Quanto forte l’aveva colpito quel furfante?

"Ora di' che collaboreremo insieme e questo sbirro sarà salvo."

Paul osservò il ladro di fronte a sé, mentre si mordeva il labbro e chinava il capo.

Poi quel fastidioso ronzio divenne davvero assordante, sembrava un rumore di eliche, anzi, più precisamente, di elicottero. E pochi secondi dopo, dietro il vero Hermes, apparvero due fari accecanti che abbagliarono Paul. Lui chiuse gli occhi istintivamente e forse anche l'impostore fece la stessa cosa, perché Paul si sentì libero finalmente e cadde a terra.

Quello che accadde dopo fu qualcosa di estremamente concitato. Hermes si avventò sul suo doppione, atterrandolo e disarmandolo, lanciando la pistola il più lontano possibile dall’uomo.

Paul, ancora a terra, cercò di riacquistare parte della vista e riuscì a scorgere Hermes mentre colpiva in testa l'altro uomo, il quale perse i sensi.

Poi il ladro recuperò in fretta il cappello di Slash e lo indossò. E quando fece per andarsene, si voltò verso Paul e gli occhi si illuminarono, come se dietro quella bandana stesse sorridendo, beffardo. La sua mano si mosse verso il cappello, sollevandolo un po' mentre gli rivolgeva un profondo inchino. Restò in quella posizione per qualche istante, come se stesse aspettando qualcosa. Paul sbatté le palpebre confuso, incapace di muoversi: qualcosa lo tratteneva dall'alzarsi in piedi e arrestare l'uomo a cui dava la caccia da mesi, che ora era proprio lì, pronto per le manette e per lui. Ma quando il ladro si accorse che Paul non aveva intenzione di fare alcunché, alzò il busto e Paul, infine, lo guardò scappare. L'uomo si arrampicò su una scaletta che pendeva dall'elicottero, e subito dopo sparì inghiottito dall'oscurità della notte.

Paul scosse il capo, recuperando l’uso delle gambe e della vista, e si alzò in piedi ancora un po' intontito. Mentre sentiva rumori provenire dalle scale, si mosse verso il finto Hermes e lo bloccò con le manette ai polsi. Ce l’aveva fatta. Aveva arrestato almeno uno dei due delinquenti a cui dava la caccia, quello che senza dubbio era il più pericoloso.

Poi, finalmente, fu raggiunto dai rinforzi.

“Sta bene, signore? Cos'è successo? Quale dei due è questo?”

Erano tutte domande giuste in quel momento.

Eppure in quel momento, c'era una questione più importante per cui Paul non poteva che tormentarsi.

Questo non era stato un furto come altri fra quelli di Hermes.

Questa volta era stato diverso.

Hermes non era scappato.

Paul gli aveva permesso di scappare.

E volente o nolente, era una differenza importante.

 

(1)- Il signor François-Henri Pinault è il figlio del magnate francese François Pinault, proprietario della casa d’asta Christie’s.

 

Note dell’autrice: hola! Eccoci qua, oggi è venerdì, e quindi giorno di aggiornamento.

Allora, questo capitolo è un po’ sovrannaturale. Ho cercato di rendere tutto molto realistico, ma non credo di esserci riuscita. L Comunque la casa d’asta Christie’s esiste davvero, così come il grattacielo che è davvero soprannominato Helter Skelter. Ovviamente tra i molti grattacieli di Londra, non potevo non scegliere questo. ;)

Inoltre, Slash ha davvero messo all’asta tutti quegli oggetti per beneficienza. E sì, c’erano anche i dinosauri. xD

Tutto il resto è inventato.

Ho inserito anche Brian, mi sembrava adatto a essere il fanatico di Hermes. Cucciolo lui. :3

Bene, grazie a kiki per la correzione. Grazie a ringostarrismybeatle, per il supporto ma anche perché è merito suo se ho scelto i Guns’n’roses per questi due capitoli, e mi ha anche corretto il modo di scrivere del gruppo. Grazie a _SillyLoveSongs_ che mi incoraggia sempre moltissimo. :3

E grazie a paulmccartneyismylove, lety_beatle e ChiaraLennonGirl per le dolci parole.

Prossimo aggiornamento, “Good day sunshine”, venerdì prossimo.

Kia85

 

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Beatles / Vai alla pagina dell'autore: Kia85