Ottobre.
Cuffie nelle orecchie, Ray
Ban sul naso, un vestitino molto corto che metteva in
risalto le sue slancianti gambe, calzanti panta-collant neri, che lasciavano
intravedere la piccola tartaruga che si era tatuata il giorno del suo
diciottesimo compleanno come portafortuna.
Le lunghe gambe terminavano in scarpe da
ginnastica che rovinavano l’insieme più che grazioso della sua mise.
Lo zaino, pieno di scritte e decori firmati
da lei, era al suo fianco.
Rugiada sedeva sui gradini della stazione,
persa nella sua solitudine come sempre, che aspettava l’arrivo del suo treno.
Ogni giorno, fra andata e ritorno, doveva
farsi circa un’ora e mezza di viaggio in treno.
Andava a scuola in una città diversa da
quella in cui viveva: non aveva compagne di classe che potevano tenerle
compagnia in questo tragitto, ma lei non avrebbe neanche voluto averle, anzi, a
dire il vero le odiava.
Lei era la classica secchiona
che pensava solo alla scuola, o quasi. Una sua gran passione era scrivere
canzoni: era anche gravina, ma non osava proporsi ad una casa discografica, non
si reputava all’altezza.
Non aveva amicizie in classe, nemmeno fuori
di essa, non se ne curava, avendo le sue poesie che
metteva in musica ed un rapporto quasi di amicizia con sua madre, che era
rimasta vedova finché la sua Giada ancora riposava nel suo grembo.
Non aveva voluto risposarsi per non
rischiare di incappare in uomini che avrebbero potuto fare del male alla luce
dei suoi occhi.
Sara, la madre, da un lato era triste che
la figlia fosse così sola, sempre chiusa in camera a scrivere o a suonare;
dall’altro era contenta che fosse una ragazza coscienziosa senza troppi grilli
per la testa.
Ora che Giada era diventata maggiorenne,
aveva paura che potesse dissolversi come rugiada al sole, ma la figlia non aveva
la minima intenzione di lasciare la felice casa materna: lì aveva tutto ciò che
desiderava, dove poteva andare, a complicarsi la vita?
Giada sedeva ad occhi chiusi ascoltando e
memorizzando la musica che le scorreva nelle orecchie, quando arrivò una folata
di vento che fece cadere il suo zaino e riversando per terra tutto ciò che
conteneva, soprattutto il suo prezioso quaderno dove annotava tutto ciò che
poteva ispirarle nuove poesie e canzoni.
Scattò in piedi e si diede da fare per
raccogliere tutti i suoi averi, quando vide un ragazzo, un compagno di scuola,
che si chinava per darle una mano.
Strano, quel ragazzo era sul treno con le
da sempre, frequentava l’ultimo anno di liceo, mentre a lei ne mancavano ancora
due, ma non ricordava di averci mai parlato insieme.
Si erano osservati, quello
si. E tanto anche. Del resto erano due bei ragazzi
entrambi. Lui aveva anche cercato più volte di sbirciare in quel suo quaderno
per vedere cosa scrivesse, invano.
Era attratto da
lei, lo incuriosiva molto: quei lunghi capelli corvini, nettamente in contrasto
con la pelle diafana e i vividi occhi azzurri, quelle dita affusolate che
sempre stringevano la sua stilografica, regalatale dalla madre per i 18 anni:
la stilografica in edizione limitata di Cartier, con
una chitarra dorata sul cappuccio.
Mentre il ragazzo
l’aiutava, si presentò:
“Piacere, Marco. Sono un tuo compagno di
scuola!”
Ma si pentì subito di
averlo detto, e si sentì molto stupido. Ma lei,
intuendo i suoi pensieri, cercò di rispondergli in modo da non fargli capire i
suoi, di pensieri, che coincidevano con quelli di Marco.
“Piacere, Giada. Lo so,
ti guardo dal mio primo giorno di scuola…”
No questo era ancora più stupido! Arrossì,
e dopo scoppiarono a ridere insieme, contenti di essere finalmente riusciti a
conoscersi.
Il viaggio in treno lo fecero
insieme, e si dettero appuntamento per la mattina dopo.
Cominciò così una piacevole abitudine
quella di prendere il treno insieme sia la mattina che a mezzogiorno:
all’andata si raccontavano il pomeriggio, la sera, la notte, i sogni; al
ritorno si raccontavano la mattinata trascorsa, insultavano, per così dire, i
professori che avevano in comune.
Dopo un paio di settimane si scambiarono i
numeri di cellulare, per trovarsi poi il pomeriggio: Giada era carente in matematica, mentre Marco era più che bravo.
Decisero così di trovarsi per poter aiutare giada a prepararsi per il prossimo
compito.
Passarono tutto il pomeriggio a studiare e,
dopo aver faticato tanto, decisero di andare a prendersi un gelato vicino a
casa di Giada. Andarono a piedi e, per sbaglio, le loro mani
si toccarono. Imbarazzati entrambi, scoppiarono a ridere: avevano capito
che quello era l’unico modo per vincere l’imbarazzo. Dopo di che, si presero
per mano.
La mano di Marco era grande, liscia, calda:
accoglieva come un nido quella di Giada.
Si salutarono con un bacio sulla guancia, e
poi Marco partì in sella alla sua moto.
Il giorno dopo, sul treno, si vedeva che
qualcosa fra loro era cambiato: erano diventati più intimi.
Un paio di giorni dopo, Giada arrivò sul
treno tutta felice e contenta: aveva preso 7 in matematica! Non riusciva a
crederci: in questo modo aveva quasi recuperato il votaccio della volta scorsa.
Marco le propose di uscire per festeggiare:
sarebbe passato a prenderla sabato alle 8 e mezza, e lei avrebbe dovuto
vestirsi elegante.
Lei non stava più nella pelle, ed era
agitatissima. In fondo era il suo primo appuntamento con chiunque.
Passò tutto il sabato pomeriggio a provare
vestiti, scarpe, trucchi, pettinature.
Aveva un solo vestito elegante, preso per
un matrimonio, che le stava d’incanto: sembrava una bambolina!
Alla fine, verso le
otto, era pronta: vestito al ginocchio con le balze, marrone, con una
scollatura tonda; calze color carne che, se possibile, rendevano ancor più
belle le sue gambe; scarpe marrone e oro con un tacco da 10 centimetri che la
slanciava tantissimo.
Lui arrivò puntualissimo alle 20.30 con la
sua Audi; scese e si presentò con un elegantissimo
completo nero con una camicia bianca di Burberry e…la
cravatta. Giada non aveva mai visto un ragazzo tanto elegante.
Marco si presentò a Sara, molto compiaciuta
dell’educazione di Marco.
I due giovani partirono, diretti verso il
centro della città, al ristorante “Romeo e Giulietta”.
Quando arrivarono, Giada
notò l’elegante pergolato che copriva la veranda ed un cameriere con tanto di
cravattino che si accingeva a farli accomodare al tavolo prenotato.
Mangiarono una gustosa cenetta e quando
arrivò il cameriere con il conto, pagò tutto Marco, senza cedere alle
insistenze di Giada di voler contribuire.
La portò a casa e, con molta galanteria, le
aprì la portiera per permetterle di scendere, la accompagnò fino alla porta di
casa e lì si guardarono. Gli occhi nocciola di Marco si perdevano in quelli di
Giada, così simili all’oceano per grandezza e colore. Si soffermavano anche
sulla fragolina bocca della ragazza, così carnosa e invitante. E finché la guardava, si chinò a baciarla. Prima di invadere
la sua intimità con la lingua, le diede tanti piccoli bacini lievi a fior di
labbra e, quando non riuscì più a resistere, cerco la lingua di Giada con la
sua. Giada era lì che lo aspettava, quasi impaziente. Non aveva mai ricevuto un
bacio, ma pensava che fosse stato superbo.
Domenica mattina alle 10 Marco si presentò
da Giada e Sara con delle brioche calde e profumate per fare colazione insieme.
A Giada brillavano gli occhi dalla gioia ed era così bella, con il suo pigiamone rosa e i capelli arruffati. Sara era più che
felice di come stava andando questa storia, però era anche preoccupata, perché
temeva che, se fosse finita troppo in fretta, Giada ne avrebbe
risentito non poco. Cercò di scacciare questi pensieri negativi per godersi la
colazione insieme alla figlia e a quello che sperava sarebbe
diventato il suo ragazzo.
Dicembre.
I giorni passarono in fretta, e a Giada si era stampato un sorriso a 32 denti per tutto il giorno tutti
i giorni. Era più che felice del legame che si andava via via
creando fra lei e Marco però sentiva che desiderava qualcosa in più: lo voleva
tutto per lei. Sapeva che non sarebbe andato in cerca di altre
ragazze, però voleva esserne sicura.
Gennaio.
Un sabato sera Marco passò a prenderla con
la sua moto. Direzione: cinema e ristorante cinese. Anche
questo piaceva a Giada: la versatilità di Marco di passare dall’ambiente
elegante al meno fine.
Dopo una divertente commedia che fece
ridere Giada fino alle lacrime, andarono a cena nel
ristorante di fianco al cinema e presero il loro solito menu: una porzione di
involtino primavera divisa a metà, riso al curry e alla “cantonese” da mangiare
insieme, pollo alle mandorle e, per finire, biscotti della fortuna. Quello di
Giada aveva una strana forma a cuore e, quando lo ruppe, trovò un bigliettino
scritto a mano. Diceva: “Mia dolce Rugiada, dopo tutte queste settimane passate
a corteggiarti ho capito cosa provo veramente per te, ed è per questo che ora
prendo in mano tutto il mio coraggio per chiederti se
vuoi diventare la mia ragazza.”
Giada divenne tutta rossa, e non sapeva
cosa rispondere, o meglio: lo sapeva benissimo.
“Certo Marco! Si! Lo voglio!”
Si sporse sul tavolo per dargli uno di quei
baci che amavano scambiarsi, con i loro giochetti di lingua, passandosela
reciprocamente sulle labbra, mordendosela, dandosi lievi bacetti…
Da quel momento la sua vita cambiò, in
meglio. Erano sempre uno a casa dell’altra, per
studiare, guardare film, coccolarsi. Giada era molto timorosa di sperimentare
cose nuove, ma sapeva che Marco avrebbe aspettato che lei fosse stata pronta
per spingersi avanti con le esperienze.
Aprile.
Un sabato d’aprile, precisamente la sera in
cui festeggiavano il loro terzo mesiversario, si
trovavano a casa di Marco, per cenare e guardare un film insieme.
Fuori imperversava il classico maltempo
tipico d’aprile e i giovani erano a casa da soli, i genitori di Marco erano
fuori a cena.
Lui preparò una cena a lume di candela con
i fiocchi: antipasto, primo, secondo e dolce.
Il menu era tutto a base di pesce, che
Giada adorava, come la torta, una magnifica Sachertorte
con scritte sopra due semplici parole, importantissime per Giada: “Ti amo”.
Lei lo guardò, non sapeva
veramente cosa dire. Era quello che provava, si, però era anche la prima volta
che sentiva certe cose per un ragazzo, e non sapeva come comportarsi.
Lui si avvicinò, la prese fra le braccia e
la baciò con passione, tanta passione e lei rispose al
bacio con tanta foga quanto lui.
Si guardarono, e sussurrarono nello stesso
momento “ti amo”. E si baciarono ancora, questa volta
con più dolcezza, lui la sollevò e la portò nel suo letto, guardandola fisso
negli occhi, cercando di scoprire se era quello che voleva anche lei.
Gli occhi di Giada esprimevano tutto
l’amore e il desiderio che provava per lui, e Marco capì che volevano la stessa
cosa.
La adagiò nel suo letto e delicatamente la
spogliò. Ammirò il suo corpo di giovane, con delle forme perfette, il seno
piccolo e sodo, che poteva comodamente stare in una coppa di champagne, le
cosce senza un filo di cellulite che sostenevano un magnifico fondoschiena.
Finché lei lo fissava dal suo letto, lui si spogliò e le si coricò
accanto.
Le prese il volto tra le mani e cominciò a
baciarla, e spostò le sue mani su e giù lungo il suo splendido corpo. Quando
passò le dita sul suo seno lo senti inturgidirsi, poi
passò sul ventre liscio fino giù, nel luogo inesplorato di Giada, dove nessuno
si era mai avventurato e lo sentì inumidirsi al suo passaggio.
Le mani di Giada, dapprima ferme sul petto
di Marco, cominciarono a spostarsi lungo il suo armonioso corpo, per tastare i
suoi pettorali, le cosce sode, per toccare per la prima volta nella sua vita un
uomo, felicissima che fosse Marco.
Lui la guardò di nuovo e le sussurrò un “vuoi…”
“si…”
Si adagiò su di lei e fece scivolare il suo
sesso dentro di lei, guardandola negli occhi, cercando di farle il meno male
possibile.
“Lo voglio talmente tanto, non mi fai alcun
male”.
“Lo spero, amore mio. Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo!”
Fu una nottata stupenda per Giada, piena
d’amore e di passione ed era tristissima quando
dovette tornare a casa.
Maggio.
I giorni passavano felicemente, con la
giovane coppia sempre più innamorata e felice.
Una domenica sera, uguale a tante altre,
Marco salutò Giada per tornare a casa. Non le scrisse il messaggio della
buonanotte, ma lei non se ne accorse fino al mattino
dopo, poiché si addormentò appena si mise a letto.
Quando si svegliò per andare a scuola vide che lui non le aveva ancora scritto, ma pensò
che potesse essere poiché aveva finito il credito.
Sul treno non lo vide e pensò che poteva stare male e, non avendo soldi nel cellulare, non
poteva avvertirla.
Arrivata a scuola, i suoi professori erano
in agitazione e si chiese perché.
Al metà appello, la
professoressa scoppiò in lacrime e si scusò con la classe dicendo che non
riusciva a proseguire, pensando che non avrebbe più visto il nome di un suo
studente nell’elenco, in quanto era morto nella notte appena trascorsa causa un
incidente in moto finché rientrava a casa.
A Giada si gelò il sangue nelle vene. Aveva
capito perché non aveva ricevuto il messaggio di Marco, perché non l’avevo
visto sul treno. Lui…non c’era più.
Svenne.
Dato che non rinveniva, venne
portata al pronto soccorso.
Durante il tragitto rimase incosciente,
all’apparenza, ma nella sua mente venne a trovarla Marco per l’ultima volta, le
spiegò cosa era successo: un ubriaco era uscito da uno stop senza fermarsi e
l’aveva centrato in pieno. Lui era morto sul colpo, era
andato a sbattere contro un albero. Il ragazzo era disperato, nella mente di
Giada, non voleva lasciarla, ma le disse di essere
forte e andare avanti, perché lui non se ne era andato del tutto: sarebbe
rimasto sempre nel suo cuore, e nel figlio che si stava formando nel grembo di
Giada.
ma.......ma......ma......l'hai scritta tu???comnque è molto bella......
sisi! ^^
tutta farina del mio sacco! ^^
sei
veramente brava!!!!