14.
It is a wise father that knows his own child
Loki
dormì a lungo. Sognò, anche, ed era una cosa che non gli capitava da molto
tempo. Fece sogni privi di forma di cui nulla rammentò al risveglio; altri
furono belli e strani, brandelli di luminosi ricordi più o meno recenti che
nemmeno credeva di avere e guizzi del sorriso di Erin – Erin che
finalmente era tornata a riposargli accanto e che ogni mattina si destava col
corpo che aderiva al suo alla perfezione. E ogni mattina i guaritori si
recavano nei loro alloggi, applicavano gli unguenti necessari e cambiavano i
bendaggi che coprivano le molte ferite del Dio degli Inganni, e ogni giorno che
passava le sue condizioni miglioravano a vista d’occhio. L’irlandese si rimise
in forze assai più velocemente, e tuttavia non ebbe né il modo né la volontà di
raccontare al marito quali erano state esattamente le sue vicissitudini mentre
lui languiva nel freddo palazzo di Býleistr: il più delle volte glissò
sull’argomento, poiché la musicista per prima non sapeva come rivelargli che
era morta da umana e risorta da immortale. Non sapeva come il principe
l’avrebbe presa, non avendo ancora capito come l’aveva presa lei medesima, e
d’altronde il dio era di rado da solo e spesso addormentato.
Egli, dal
canto suo, rimandò il confronto col Padre degli Dei riguardo a ciò che il
figlio di Laufey gli aveva raccontato, sebbene tanto Odino quanto Thor e Frigga
andassero regolarmente a fargli visita. Soltanto il Dio del Tuono si azzardò a
domandargli perché mai il ceruleo re lo avesse chiamato “figlio di Odino”, e
l’Ingannatore si limitò a rispondere che gli Jötnar non avevano mai avuto ben
chiaro quali fossero i suoi natali – e io nemmeno, finora, avrebbe voluto
aggiungere, ma serrò i denti e ancora procrastinò. Così entrambi sapevano di
non sapere qualcosa, lui ipotizzando che Lut il messaggero avesse mentito o
preso un abbaglio, lei rammentando la parola “fratellastro” pronunciata
dall’odioso Gigante, ed entrambi si rodevano quietamente dalla curiosità.
Poi,
quando ormai due settimane erano trascorse dal loro rientro ad Asgard, Loki
rivisse in sogno il gelo e le ingiurie delle terribili ore passate da
prigioniero nella Cittadella: udì nuovamente la risata tagliente del
fratellastro e le sue parole lapidarie gli rimbombarono nella mente come un
martellante ritornello, restandogli conficcate in testa anche dopo che si fu
svegliato. Quanta sofferenza inutile hai
seminato e patito, Loki figlio di Odino, ripeteva ossessivamente la voce di
Býleistr nel suo cervello, e il dio decise infine di darle ascolto.
Il
mattino era sorto da qualche giro di clessidra, quando quel giorno di due
settimane dopo gli scontri Erin si decise ad aprire gli occhi mugugnando. Al
suo fianco sedeva il marito, una casacca di morbida lana indossata sotto le
coltri e l’espressione corrucciata, e tutt’intorno al letto attendevano i
cerusici con aria rispettosamente divertita.
«Oh,
merda. Da quant’è che aspettate che mi svegli?» farfugliò riemergendo dalle
coperte.
«Non volevamo
svegliarti, mia signora.» sorrise il guaritore più anziano con estrema
cortesia; «È l’ora del medicamento del principe, e sua maestà il re desidera
convenire con lui una volta che avremo finito.»
L’irlandese
scosse i capelli arruffati e inarcò le sopracciglia mentre si costringeva ad
abbandonare il giaciglio: «Me ne vado, allora. Ne approfitto per tornare a
trovare i miei.»
«Non è
necessario.» protestò debolmente Loki agitando una mano nella sua direzione.
«No, non
lo è, ma ho voglia di andare a Galway.» rise Erin; non precisò che nemmeno i suoi
genitori, Seamus e nonno Enoch sapevano della sua nuova condizione e che forse
era giunto il momento di affrontare con loro per primi il difficile argomento.
Odino se
ne stava sulla soglia, stranamente dimesso senza Gungnir in pugno e con una
semplicissima tunica di velluto color ruggine: sembrava un vecchio qualunque e
non capitava spesso che la musicista lo vedesse privo di orpelli regali,
sebbene abitasse alla reggia da ormai un anno della propria vita. Le piaceva,
quell’uomo antico e dall’aria familiare, quando non si mostrava unicamente come
Padre degli Dei, e non perché quando lo faceva la mettesse a disagio –
solo, le piaceva di più. Lui le rivolse un sorriso mentre gli passava accanto:
«Buongiorno,
figlia.» la apostrofò con gentilezza.
«‘Giorno,
suocero.» rispose Erin chinando appena la testa scarmigliata.
Il
sovrano la osservò dileguarsi con passo leggero lungo il corridoio, diretta
alle sale da bagno con un mucchietto di indumenti tra le braccia e la veste da
notte stretta sul petto, e provò per quell’esile, giovane donna di Midgard un
rinnovato trasporto d’affetto impossibile da esprimere con termini che gli
rendessero giustizia. Continuando a sorridere tra sé, Odino si affacciò alla
porta della camera e con pazienza attese che i cerusici terminassero il loro
minuzioso lavoro intorno alle ferite ormai asciutte di suo figlio; questi di
tanto in tanto gli gettava brevi occhiate sfumate d’apprensione, e il re non ne
capì il motivo. Intuiva che Loki andava portandosi in petto un nodo, un
segreto, qualcosa che lo tormentava dal momento in cui aveva rimesso piede sul
sicuro suolo di Asgard, e non riusciva a discernere se fosse dovuto unicamente
a ciò che aveva subìto per mano di Býleistr o a crucci di diversa
natura.
Infine i
guaritori se ne andarono, ossequiosi com’erano giunti, e il Padre degli Dei
scivolò oltre i battenti intarsiati richiudendoli con cura dietro di sé; per un
istante l’immota bellezza della stanza illuminata dal sole, i raggi che si
riflettevano sul pavimento lucido, lo distrasse, inducendolo a respirare
profondamente per bearsi del senso di calma che quel mattino pacifico gli
comunicava. L’aria profumava di foglie nuove.
«Vuoi
accomodarti, padre? Posso offrirti soltanto l’idromele rimasto da ieri sera.»
se ne uscì Loki a mezza voce, il tono incolore. Aveva distolto lo sguardo e
mirava le alte finestre.
«Accetto
volentieri, figlio.» disse Odino, e sedendo sul bordo del letto si servì una
coppa della dorata bevanda. Iniziò a sorseggiarla, l’occhio basso, e quando si
fu bagnato la gola alzò il capo verso il secondogenito: «Sono felice di vedere
che hai riacquistato le forze. Le tue ferite erano numerose e terribili, e ho
temuto per te. Tra pochi giorni potremo finalmente celebrare le vostre gesta di
fronte al popolo intero, come sempre facciamo. Il tuo piano è stato di grande
rischio per tutti, per te più di chiunque altro, ma la tua idea era giusta.»
«No, non era
giusta affatto.» lo interruppe l’Ingannatore, guardandolo di sbieco.
L’anziano
dio posò il calice mezzo pieno sul piccolo tavolo vicino all’alcova: «Cosa
intendi dire? Non potevi prevedere che gli Jötnar ti avrebbero catturato e
avrebbero cercato di uccidere la tua sposa. L’importante è che il nemico non
abbia mai sospettato di te.» argomentò attentamente. Alla luce di quanto era avvenuto
si pentiva di aver dubitato del principe cadetto per l’ennesima volta, e voleva
rendergli merito e giustizia per la sua impresa.
«Non
avrei dovuto sottovalutarlo, il nemico.» lo corresse amaramente Loki.
«Non
riesco a immaginare su quale punto tu lo abbia sottovalutato.» replicò il re
scuotendo la testa canuta; «Ignoravi che Býleistr fosse figlio di
Laufey? Thor mi ha raccontato che costui ti ha chiamato “fratello”, mentre vi
minacciava. Cos’è accaduto realmente laggiù, Loki?»
Il Dio
degli Inganni inghiottì un grosso, lunghissimo sospiro, e così rispose:
«Sin dal
nostro primo incontro Býleistr ha ritenuto opportuno rivelarmi i suoi
natali. Sapevo chi era e sapevo chi voleva farmi credere ch’io fossi. Eppure
non sono chi credevo di essere, ed è stato durante le tremende ore di prigionia
su Jotunheim che l’ho scoperto. Era ciò che lui voleva. La mia sofferenza, la
morte di Erin, l’assedio di Asgard, la mia
morte, tutto era concepito come vendetta per Laufey e Jotunheim, e mettere in chiaro
quali siano le mie vere origini è stato il culmine del suo implacabile disegno.»
Odino si
protese in avanti, confuso, le rughe del viso accentuate dal dubbio: «Quali origini,
figlio? Býleistr non era forse il tuo fratellastro?» indagò. Uno strano
sentimento gli adombrò la mente, disseppellendo lontane memorie che aveva
doviziosamente relegato nell’incoscienza nel corso dei secoli, per volontà
propria o per puro istinto.
«Lo era.
Solo, non da parte di padre.» affermò Loki, riportando le esatte parole dello
jotun, e contrasse le dita sulle pesanti coperte; «Perché quel giorno mi
dicesti con tanta sicurezza che ero figlio di Laufey?» soggiunse.
Cadde il
silenzio. Il Padre degli Dei aggrottò le folte sopracciglia, come se stesse
racimolando e riordinando le idee, e lentamente parlò: «Fu durante l’ultima
battaglia su Jotunheim. Eravamo penetrati di molto nel territorio nemico, e il
nostro esercito stava scontrandosi con quello dei Giganti nei pressi di una
zona ricca di templi di ghiaccio e pietra nera. Da dove mi trovavo vidi una
figura muoversi circospetta all’interno di uno dei cortili sacri, e riconobbi
Laufey. Non esitai a raggiungerlo, poiché era la mia occasione per eliminarlo.
Non si accorse subito di me: aveva qualcosa tra le mani e lo vidi trafficare
con essa tra le colonne del tempio, nel suo angolo più buio. Gli arrivai alle
spalle, lo attaccai, lui reagì e cominciammo a lottare. Fu un duello serrato,
estenuante, e il prezzo ch’io pagai fu il mio occhio destro. Laufey rimase a
sua volta ferito ma mi sfuggì, vanificando in tal modo il mio tentativo.»
Loki
immaginò la tenzone tra i suoi due padri, entrambi reali e presunti a fasi
alterne, e con un brivido ben celato realizzò come la storia si fosse ripetuta
e rispecchiata in lui, in Býleistr, forse finanche in Thor per riflesso
e conseguenza. Poi lasciò che Odino proseguisse:
«Ero
stremato, eppure non avevo dimenticato la strana scena cui avevo assistito.
Così mi avvicinai all’angolo in ombra del tempio, dal quale si era levato un
flebile pianto che il vento disperdeva tra la neve, e ti vidi.» egli narrò,
l’espressione fattasi d’improvviso sognante; «Per cerulea che fosse la tua
pelle e rossi i tuoi occhi, apparivi in tutto e per tutto un esile figlio degli
Ási o degli uomini, e non ebbi difficoltà a credere che fossi un erede
illegittimo che nessuno tra gli Jötnar avrebbe potuto scambiare per purosangue.
Per questo Laufey ti aveva abbandonato a morire di stenti. Ti presi in braccio,
e come ti sfiorai il blu e il rosso sbiadirono in una carnagione di pallido
rosa e in due brillanti iridi verdi, e cessò il tuo pianto. Mi imposi di
ragionare come si conviene a un sovrano, di portarti via con me unicamente come
riverito ostaggio, come principe nemico decaduto e dunque plasmabile secondo il
volere di Asgard, ma non riuscii a frenare l’affetto che il solo guardarti mi
provocò.»
L’ingannatore
avvertì le proprie palpebre pizzicare e vibrare, inequivocabile segno di una
commozione che premeva per sopraffarlo, e ricacciandola indietro a fatica
raddrizzò il busto sui cuscini, ormai pronto alla rivelazione che tanto aveva
rimandato.
«Se non è
però il sangue di Laufey quello che condividevi con Býleistr, di chi è
dunque?» lo anticipò Odino scuotendosi d’un tratto dagli antichi ricordi.
«Di
Farbáuti.» mormorò Loki, e tosto suo padre vacillò e sgranò l’occhio, e parve
quasi che il tambureggiare del suo vecchio cuore riecheggiasse tra le pareti
auree della stanza.
«Farbáuti.»
sillabò il re come per riassaporare quel nome dopo lungo tempo: «Farbáuti era
tua madre. Allora con chi ella ti generò?», e nel dirlo già seppe la risposta e
si sentì mancare, e ciononostante continuò a fissare il giovane dio aspettando
che fosse lui a rispondere.
«Eri tu
il viandante che si presentò alla reggia di Laufey con la guerra in corso,
nevvero?» chiese il principe di rimando. Tenne a stento sotto controllo il
proprio tono febbrile, ansioso di sapere se Býleistr aveva mentito o no,
e si rese conto di essere stato fin lì completamente sincero e se ne stupì.
D’altronde a cosa gli sarebbero servite le menzogne, in quel momento?
«La amai
in gioventù, e la amai follemente. Quando conobbi Frigga avevo già rinunciato a
Farbáuti e non m’innamorai della mia sposa per ripiego.» ci tenne a
sottolineare Odino, roco per l’emozione; «Mi giunse notizia dell’unione tra
Laufey e Farbáuti, ma non la vidi né più la pensai sino a quel giorno, quando
spinto da una vaga e pericolosa idea per carpire informazioni sul nemico e
bloccarne la scellerata avanzata contro Midgard mi introdussi come mendicante
nel palazzo di Laufey medesimo. Ella non mi riconobbe subito, e d’altronde io
non lo desideravo, ignorando se e come fosse mutato il suo animo e se si fosse
data al Re dei Ghiacci per onesto amore. Mi accolse e sfamò ogni volta che mi
presentai alla loro porta, credendomi qualcuno che non ero, e io mantenni il
segreto ottenendone al contempo di importanti sui piani di Laufey. Eppure più
le stavo vicino e meno resistevo alla tentazione di rivelarmi, alla tentazione
di sfiorarla, poiché era bella e nobile come la ricordavo, e triste si era fatta.
E non resistetti, Loki, mi fu impossibile. Che Frigga mi perdoni per questo, ma
non resistetti! S’illuminò a tal punto, Farbáuti, nel vedermi gettar via il mio
travestimento, che non mi pentii affatto di aver ceduto al desiderio, nelle
notti che seguirono.»
S’interruppe,
quasi sorpreso di quel che andava raccontando, prese fiato e bevve di nuovo
dalla coppa di idromele: «Scoprii che Laufey aveva intenzione di conquistare
quanti più regni possibile, dopo Midgard, e che quindi andava fermato in tempo.
Lei mi pregò di portarla via di lì, a guerra finita – non di portarla via
con me, solo di liberarla da un
legame che il padre le aveva imposto. Promisi di farlo, grato per l’aiuto che
mi aveva dato e per ciò che ci aveva uniti, ci amammo un’ultima volta e infine
me ne andai. Il resto è storia nota: sconfitti dal nostro esercito su Midgard,
gli jotun ripiegarono in patria e gli scontri si spostarono là. Frigga diede
alla luce tuo fratello, io ti trovai, vincemmo e non m’interessai più alla
sorte di Farbáuti. Tu sai quale fu, figlio?»
«Laufey
la uccise subito dopo la nascita di Býleistr.» disse l’Ingannatore, i
denti stretti.
Odino si
nascose il viso tra le mani: «Per Yggdrasil.» sussurrò pieno di amarezza, e il
senso di colpa lo travolse. Sapeva che difficilmente avrebbe potuto fare
qualcosa per la sua antica amante, e sapeva anche che quasi con sollievo la
aveva presto dimenticata.
Aveva
fatto quel che voleva fare ignorando le conseguenze, aveva volto e sfruttato la
situazione a proprio vantaggio e per il bene del Reame Eterno, e poco contava che
gli fosse rimasta, nascosta tra le pieghe di animo e memoria, una traccia del
passato amore per Farbáuti. E aveva tradito la sua regina.
«Se solo
avessi saputo, se solo avessi saputo…» ripeté dondolandosi appena in avanti.
Loki
spostò le gambe in modo da sedergli al fianco. Avrebbe potuto infierire e
affondare parole taglienti nella piaga riaperta della vigliaccheria del padre,
eppure non volle farlo. Le palpebre continuavano a fremergli, e d’impulso toccò
la spalla destra di Odino:
«Davvero
non sospettavi alcunché, quando mi hai trovato?» gli chiese lentamente.
«Forse il
dubbio mi sfiorò, e se lo fece seppi reprimerlo in fretta. Che tu fossi il
figlio non voluto di Laufey mi parve l’ipotesi più verosimile.» ammise il re, e
guardando il principe con occhio carico di rimpianto riprese a mormorare: «Se
soltanto avessi saputo!»
Il
giovane dio strinse la presa sul velluto color ruggine della tunica dell’altro:
«Una
volta mi dicesti che ero tuo figlio, che sempre lo sarei stato. Ed era così, è così. Senza saperlo lo hai comunque
saputo sin dall’inizio.» sentenziò in tono vibrante, e la voce gli si incrinò e
aggiunse: «Niente conta più di questo, padre.»
E non vi
furono più incertezze né interrogativi, e con un singulto Odino abbracciò Loki con
tutta la forza che aveva: «Figlio, mio figlio!» esclamò, e in silenzio pianse
lacrime che gli liberarono il cuore come null’altro prima di allora. E Loki di
rimando lo abbracciò, e padre e figlio così rimasero nella luce danzante che i
tendaggi lasciavano entrare nella stanza.
Erin fece
ritorno quando ad Asgard il meriggio era appena iniziato.
Aveva gli
occhi lucidi ed era scossa: la rivelazione della musicista aveva provocato una
crisi di pianto collettiva negli Anwar-McNulty, e lei non aveva fatto
eccezione, prendendo infine coscienza della longevità non prevista che adesso
le si dipanava dinnanzi. La voleva, perché così non avrebbe più dovuto rinunciare
al suo sposo o fuggire da lui nel momento in cui la vecchiaia avesse iniziato a
impossessarsi del suo corpo – o una malattia, o un’altra tremenda ferita,
o semplicemente la stanchezza che assale ogni umano negli anni – e al
tempo stesso sarebbe volentieri tornata indietro per evitarla, per liberarsi da
quella scelta, per rimanere com’era: se fosse tornata indietro non avrebbe
tentato di salvare Thor, si diceva, e tuttavia sapeva che salvare lui,
sacrificandosi, le aveva permesso di salvare Loki. Se gli asgardiani, e in
particolare il re e il principe, non fossero stati in debito con lei, nessuno
si sarebbe mosso tempestivamente per assicurarsi che l’Ingannatore avesse
davvero tradito o meno, nessuno avrebbe messo in gioco la vittoria per recarsi
a Jotunheim e Býleistr avrebbe avuto la meglio. L’immortalità era la
sola via che avrebbe e aveva voluto seguire, ed era tempo di accettarla. Accettarla
significava raccontare tutto al marito, si ripeté per l’ennesima volta, e per
sdrammatizzare ripensò a come suo fratello e suo nonno avevano risolto il
pianto collettivo chiedendole se potevano trasferirsi nel Reame Eterno e bere
idromele divino sino a diventare immortali come lei e spassarsela per
l’eternità.
Sorrise e
varcò la soglia della camera, spolverandosi distrattamente le gonne dell’abito
informale che indossava; Loki se ne stava seduto sul letto, poggiato alla
testiera finemente lavorata, ed Erin si stupì lievemente nel notare che anche
lui aveva lo sguardo velato.
«Ciao tesoro, sono a casa.» lo salutò
allegra, e mentalmente prese nota del fatto che per asgardiana d’adozione che
fosse diventata continuava a snocciolare stupide citazioni da Doctor Who che lei soltanto, lassù,
poteva apprezzare.
Il Dio
degli Inganni si voltò e la sua espressione si distese nel vedere l’irlandese:
«Bentornata,
moglie. Hai l’aria di una che ha pianto.» commentò pacatamente.
«Potrei
dirti lo stesso.» gli rinfacciò Erin inarcando le sopracciglia; chiuse la porta
e si lanciò a peso morto sul giaciglio, accomodandosi accanto al marito: «Non è
facile trovarti così emozionato dopo un colloquio con Odino. Di che diavolo avete
parlato?» volle sapere.
Stranamente
Loki non sogghignò, né rispose subito. Il suo viso si fece invece malinconico e
pacifico come poco prima, e passando un braccio dietro le spalle della donna
d’Irlanda non attese oltre per riferirle quanto ancora ignorava – sul
Padre degli Dei, su Býleistr, su Farbáuti, su lui medesimo che davvero
era sangue del sangue di Odino. Le raccontò di ciò che aveva passato alla
Cittadella, di come il fratellastro avesse goduto nello sputargli in faccia la
verità, senza fretta e pezzo per pezzo, e di quando gli aveva mostrato,
trionfante, le due metà del flauto d’argento spezzato mentre Lut descriveva la
fine di Erin sul campo di battaglia. E nel toccare finalmente quel tasto, il
dio chiese alla consorte:
«Lut ha
dunque mentito, Erin? Oppure ha visto soltanto una parte di quel che è
accaduto, credendoti perita, e non ha assistito al momento in cui ti hanno
tratta in salvo per curarti? Perché non v’è altra spiegazione, se non una tra
queste. Sei umana, e nessun umano potrebbe sopravvivere alla ferita ch’egli ha
descritto.»
Lei fece
un sorriso storto e prese fiato: «Non ho mai detto di essere sopravvissuta.»
Venne il
suo turno di narrare ogni cosa, e più parlava e più la luce sui bei tratti del
volto dell’asgardiano oscillava e mutava al pari di quella che le tende
lasciavano entrare, e i suoi verdi occhi ardenti si spalancavano dallo stupore
e sempre più vicino si faceva alla sua sposa. E una volta che quest’ultima ebbe
terminato il proprio racconto lui rimase muto e incredulo a fissarla, e la
musicista non riuscì a trattenere una brevissima risata sbuffante:
«Quello
stronzo di Býleistr a qualcosa è servito, dopotutto. Tu e tuo padre
avete scoperto di aver fatto molto rumore per nulla, finora, e io ho risolto
senza volerlo l’annosa questione della mia deperibilità.» constatò con voce
squillante per mascherare l’emozione.
Risero
allora entrambi, senza fiato, stringendosi l’uno all’altra, e Loki non seppe
decifrare con chiarezza quello che provava. Nel pensare alla vita di Erin come a
qualcosa destinato a finire aveva sperato di poterne cancellare la scadenza
senza tuttavia credere che fosse possibile, e ora quel nuovo “per sempre” lo
sbigottiva, lo sconvolgeva quasi: per sempre avrebbe avuto la donna d’Irlanda
al proprio fianco, per sempre giovane e bella, per sempre sua. Sebbene non
fosse l’unico sentimento che gli scuoteva in quel momento l’animo, riconobbe
che il più forte e vivo tra tutti era una gioia pura e serena, un enorme ed
eterno sollievo.
Sorrise e
delicatamente spinse la moglie giù sulle coltri, stendendolesi accanto e
posandole la mano destra in mezzo al petto, la sinistra che le sfiorava le
chiome sciolte; sentì il suo cuore battere e le carezzò la pelle che la
scollatura lasciava scoperta, e lei di nuovo ridacchiò dolcemente a un soffio
dalle sue labbra.
«Non ti
libererai di me tanto facilmente, adesso.» gli disse piano.
«Né tu di
me.» mormorò il principe in risposta.
Si
baciarono, e fu un bacio lento, morbido, languido e profondo, e senza fretta lo
assaporarono; la mano destra di lui le scivolò sul seno attraverso la stoffa
dell’abito, ed Erin sospirò felice contro la sua bocca mentre il marito apriva
uno a uno i bottoni che le chiudevano la veste sul torace. Con le labbra il dio
sostituì le proprie dita sui suoi seni, e con le dita scese a sollevarle le
gonne di seta e velluto per insinuarsi tra le sue gambe, godendo nello
scoprirla già tiepida e umida di desiderio. L’irlandese si allungò
all’indietro, offrendoglisi completamente come amava fare, e Loki strinse la
presa sulle sue ciocche color dell’oro antico.
Poi si
alzò per liberarsi della casacca e rimase nudo in piedi di fronte a lei, le
bende candide che ancora aveva sulle ferite che a malapena si distinguevano
sulla sua carnagione pallida, i capelli color del buio che gli si arricciavano
magistralmente lungo la linea delle spalle. Ammirandolo, Erin si mise in piedi
a sua volta e misurando ogni gesto si spogliò del proprio abito facendolo scivolare
al suolo con un discreto fruscìo – e ancora senza fretta alcuna si baciarono
e sfiorarono ovunque, e i loro ansiti deliziati scandirono quei minuti,
dilatati e infiniti come giorni di sole, come la volta azzurra del cielo che
campeggiava oltre le alte finestre della stanza. E quando più non seppero
resistere ricaddero assieme sul letto, e lui le afferrò le mani e in lei entrò,
e con calma voluttà presero a ondeggiare l’uno contro l’altra – l’uno
dentro l’altra – i bacini soltanto che si toccavano, i muscoli che
armonicamente si contraevano, i corpi in un incastro perfetto, guardandosi con
la meraviglia di chi ancora non si capacita del dono immenso che ha ricevuto.
Infine la
tenerezza e l’ardore li travolsero, e l’asgardiano e la donna d’Irlanda si
abbracciarono, strinsero e amarono come se non ci fosse un domani ad
attenderli, ma di domani ne avrebbero
invece avuti a profusione. E rotolarono tra baci e sospiri, saziandosi di fuoco
e piacere e lavando via il sangue e l’orrore come già in passato erano stati
capaci di fare col solo reciproco e totale abbandono.
Fuori,
bagnata dalla luce gonfia del meriggio dell’ormai giunta primavera, ogni cosa
era pace.
Note
E così se ne va anche il terzultimo capitolo, e io già mordo le tende di
casa in preda alla nostalgia.
Questo è stato il giorno dei nodi sciolti, in quel di Asgard, e il dialogo
tra Loki e Odino ne è stato il punto focale; per chi non lo ricordasse,
rammento che in Earth-1610 Farbáuti e
Babbo Orbo sono gli effettivi genitori dell’Ingannatore, anche se le
circostanze sono molto diverse – e molto più crude. E Odino ha ancora
almeno un’altra conversazione delicata da affrontare sulla questione…
Il titolo del capitolo è una citazione dal II atto del Mercante di Venezia di Shakespeare, e
come brani portanti ho sempre avuto in mente la Suite dal Parsifal di
Wagner per la prima parte e Coming down
delle Dum Dum Girls per la (ennesima) scena d’ammmmòre tra i nostri
intergalattici coniugi.
Lascio nuovamente qui i link al mio tumblero (dove potete trovare,
tra le altre, un po’ di grafiche sulla storia) e a La Leggenda
degli straordinari Vendicatori (l’avventurosa long story che sto scrivendo a quattro
mani con un’allegra compagnona). E grazie mille millerrime a chi legge, segue e
commenta ;)
Ossequi asgardiani e alla prossima!