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Autore: Delilah Phoinix Blair    20/06/2014    5 recensioni
12 febbraio 2014
Il pianeta deve prepararsi ad una Terza Guerra Mondiale.
Tutti sanno che non è pronto, ma che è necessario.
Sarà una lotta per la libertà contro l'oppressione dell'uguaglianza ridotta ai minimi termini: il comunismo, così come lo conosciamo, non è una soluzione accettabile.
In questo fiume di sangue, un soldato e una ragazza troveranno il loro angolo di paradiso in Abruzzo per tenersi a galla l'un l'altra.
Dal testo:
"《Ti amo, piccola Dea.》 Dopo aver pronunciato quelle parole, accostò la fronte a quella di lei. La sua voce era una carezza.《Non con la consapevolezza che questa potrebbe essere l'ultima volta che i miei occhi incontreranno i tuoi. Non potrei amarti come meriti sapendo che la guerra potrebbe strapparmi a te in qualunque momento.》 Lo disse scandendo le parole lentamente, come a volerle imprimere sul cuore di entrambi. Fece una pausa accarezzando dolcemente quella pelle di porcellana con entrambe le mani ruvide e grandi. 《No, ti amo come se potessi davvero farlo per sempre.》
C'era qualcosa che stonava nelle lacrime amare che le piovvero dagli occhi, simili a frammenti del cielo in estate.
La loro estate."
Genere: Guerra, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Grazie a LisaJWolfe, nickka, Ahlia, malaria (Oh, mio Dio!), Ally M che hanno aggiunto la storia alle seguite.
Grazie a Zanna Aleksandrovna, DarkViolet92, ki_ra, Lady Angel 2002, Sun_Rise93, _runaway, Bijouttina, sognandoti, malaria (doppio "Oh, mio Dio!") che hanno recensito.
Grazie ad Arlie che ha aggiunto la storia alle preferite.




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Sweet love, so pure.



 
18 giugno 2014
 
Take me down to the river bend
Take me down to the fighting end
Wash the poison from off my skin
Show me how to be whole again
 
La guerra stava attraversando un momento di stallo durante il quale le due coalizioni sembravano osservarsi reciprocamente in cagnesco, senza però avere l’ardire di fare la prima mossa. Quella che, secondo gli statunitensi, sarebbe dovuta essere una guerra lampo, si stava rivelando una situazione più complicata del previsto. Come spesso accade, l’uomo, sommerso dalla sua sconfinata presunzione, aveva creduto di riuscire a raggiungere i propri obiettivi in men che non si dica, senza fare i conti con la superbia di quanti si trovano dall'altra parte. Ovviamente i mondiali di calcio, che sarebbero dovuti iniziare il 12 giugno con la partita Brasile-Croazia, erano stati annullati a causa del conflitto bellico e non si era ancora accennato ad una possibile data di rinvio, così come era avvenuto nel '42 e nel '46.
Com'è facilmente prevedibile, tutta la popolazione maschile rimasta in patria era uscita devastata da questa notizia.
Afrodite, invece, aveva tirato un sospiro di sollievo.
Orgoglio nazionale a parte, e lei ne aveva ben poco, trovava davvero difficile da accettare l'idea che venissero a trovarsi ad una così breve, e allo stesso tempo così ampia, distanza persone che potevano permettersi anche venti auto (come ad esempio Cristiano Ronaldo) ed altre che vivevano nelle favelas con a malapena il necessario per vivere. Aveva tenuto queste elucubrazioni per sè, ad ogni modo: durante i mondiali tutti diventavano improvvisamente italiani. Questo sentimento era ancora più accentuato quell'anno a causa del loro annullamento e non era il caso di mostrarsi anti-calcistica.
Dopotutto, secondo la poco modesta opinione della Samsung Group, "football will save the planet", come si era cercato di far passare in ogni modo nelle loro campagne pubblicitarie per il Samsung Galaxy S5 (in che modo avrebbe potuto salvare il pianeta? Questo non ci è dato saperlo). I due eventi, ossia il lancio del nuovo telefonino e l'inizio del campionato mondiale di calcio, dovevano infatti sponsorizzarsi vicendevolmente. Quando, però, il presidente della FIFA si era vista negata la possibilità di avviare davvero la manifestazione, il castello di carte messo in piedi dalla federazione e dall'azienda sulla superficialità delle persone era inevitabilmente crollato su se stesso e la FIFA aveva perso un sacco di soldi, mentre la Samsung Group aveva dovuto ricominciare tutta la campagna da capo, perdendo anche lei un sacco di soldi. Insomma il calcio non aveva potuto adempiere alla sua missione salvifica.
Certo, sarebbe potuto essere comunque un modo per staccare la spina dalle tragedie che andavano perpetrandosi nel mondo ad opera dell'una e dell'altra parte, ma avrebbe rappresentato, in realtà, solo l'ennesima ingiustizia, un'ulteriore ipocrisia da aggiungere a quelle di cui l'umanità si stava già rendendo colpevole. Tanto più, visto che in Brasile la situazione per la popolazione era ancora più critica da quando era iniziata la guerra.
Ci si potrebbe chiedere: e i calciatori non hanno partecipato alla leva?
Non scherziamo.
Si erano semplicemente limitati a fornire dei finanziamenti per la loro fazione, chi per gli Euro-Statunitensi e chi per i Comunisti.
In questo clima di profonda delusione per l'ingombrante assenza di un passatempo così popolare, Afrodite si limitava ad annuire quando Silvia le rammentava che quell'anno non avrebbero potuto bearsi dei "bei maschioni", come li chiamava lei, delle varie nazionali.
Esattamente come stava facendo in quel momento, mentre tornavano dalla spiaggia sotto il sole rossastro del pomeriggio che pian, piano diventava sera.
La bicicletta le era decisamente mancata: la sensazione del vento fresco, proveniente dal mare, sulla pelle accaldata e umida di sudore la faceva sentire rinata.
Le due amiche si separarono all'altezza della chiesa di Sant'Antonio, vicino casa della bionda, con il proposito di uscire a prendere un gelato sul lungo mare quella sera assieme alle altre ragazze.
Afrodite rincasò cercando segni dei suoi genitori e li trovò intenti a vedere un film sul divano, teneramente abbracciati.
《Vado a fare una doccia!》 esclamò sorridendo alla vista di quella scena.
《Sbrigati, ho già preparato il carpaccio》 la informò entusiasta Silvana. 《Sta aspettando solo te.》
《Oh, grazie mammina!》 Quando si trattava di cibo, Afrodite tornava ad essere una bambina, sopratutto se le venivano preparati i suoi piatti preferiti. Infatti si getto sul divano tra i suoi genitori, baciando sonoramente le guance di entrambi.
《Su, corri a lavarti!》 la incitò Ferdinando, scompigliandole i capelli. Vedendolo così impaziente, chiunque sarebbe riuscito ad indovinare da chi sua figlia avesse preso la golosità.
La ragazza si alzò immediatamente, dirigendosi verso il bagno.
Si fiondò sotto la doccia e sperò che la fretta di mettersi a tavola le impedisse di avere il tempo per pensare troppo, ma non fu così.
Faticava ad ammetterlo perfino con se stessa, però aveva aspettato una chiamata o un messaggio da parte di Ryan per due lunghissimi giorni trascorsi in spiaggia con le sue amiche.
Ciò che era più facile da accettare era la delusione per non aver avuto notizie da Marco su Paolo: dopo tutto gli avevano permesso di telefonarle solo in via eccezionale, se non l'aveva chiamata doveva voler dire che era andato tutto bene. Continuava a ripetersi queste rassicurazioni come a volersi auto-convincere.
Uscì dalla doccia e si precipitò in camera per scegliere subito qualcosa da mettere.
Gettò l'asciugamano sulla pediera in ferro battuto nero del letto dalle lenzuola color panna e iniziò a frugare nel grande armadio in legno bianco, perfettamente abbinato allo stile antiquato della scrivania, candida anch'essa.
Alla fine optò per un vestitino estivo in cotone bianco a due strati, il secondo trasparente e traforato, al quale abbinò dei bassi sandali marroni.
Silvia passò a prenderla subito dopo cena e si incontrarono sul lungomare con le altre, iniziando a passeggiare tra la gente.
Era sempre molto strano andare in giro per una Pescara quasi priva di ragazzi.
Svoltarono in Viale Muzii e le cinque ragazze invasero il bar Napoli, una delle migliori gelaterie della città.
Appena entrate videro un insolito gruppo di uomini, davanti all'espositore frigorifero, che le lasciò interdette.
Uno di loro si voltò verso l'entrata e subito il suo volto si aprì in un sorriso.
《Cosa possiamo offrire a queste belle signorine?》 esclamò in inglese, richiamando l'attenzione dell'uomo affianco a lui.
Questi si volse e in un solo istante il suo volto divenne una maschera di incredulità.
《Un po' di sana tranquillità》 si limitò a dire, perdendosi negli occhi di un celeste cristallino che lo fissavano di rimando. 《Lasciale in pace, Joe》 concluse, senza distogliere lo sguardo da Afrodite, incantato.
《Ma sarebbe maleducato!》 lo zittì con un gesto della mano. 《Buonasera, non ci siamo nemmeno presentati. Io sono Joseph, caporale, e lui e Ryan.》
Afrodite non riusciva a smettere di guardare il sottotenente, non sapeva come comportarsi.
Non sapeva come evitare la catastrofe.
Le persone parlavano davvero tanto in quel grande paese che era Pescara (perchè sì, di questo si trattava) e il pettegolezzo di lei che, nonostante Paolo fosse in guerra a lottare ogni giorno per sopravvivere, conosceva abbastanza bene un ufficiale dell'esercito americano, ovvero il mostro cattivo che li aveva costretti alla leva, sarebbe stato davvero troppo da sopportare in quel momento.
Così semplicemente non disse niente, pregando Ryan con lo sguardo di fare altrettanto.
《Io sono-》 iniziò Federica, una delle amiche di Afrodite, bruscamente interrotta da quest'ultima.
《Non è necessario offrirci niente, grazie lo stesso》 esclamò con un entusiasmo forse troppo marcato. 《Tanto stavamo andando via.》
《Didi, ma che dici? Siamo arrivate adesso.》 Silvia la guardava dubbiosa.
《Sì, ma mi è venuta una gran voglia di una ciambella. Perchè non andiamo alla Cornetteria?》
《Io prenderò un gelato qui.》 Una ragazza di nome Giulia si allontanò dal gruppo, avvicinandosi alla cassa.
《Fantastico, offro io!》 si propose Joseph, facendo per seguirla.
Venne bruscamente fermato da un braccio di Ryan.
《In realtà ci tratterremmo molto volentieri con voi, ma stavamo andando via anche noi》 concluse in fretta trascinando l'amico con se verso l'uscita.
Tuttavia non prima di aver visto le spalle di Afrodite rilassarsi ed averla salutata con un sorriso malizioso appena accennato, che però bastò a farla arrossire.
La ragazza rimase imbambolata mentre le sue amiche si affrettavano alla cassa per prendere i loro gelati. Non si accorse nemmeno quando raggiunsero di nuovo lei e Silvia, che era rimasta ad osservarla vicino all'ingresso.
《Non volevi una ciambella?》 tentò di richiamarla all'ordine la sua migliore amica, con scarsi risultati. 《Didi?》 provò di nuovo, posandole una mano sulla spalla.
Afrodite si riscosse improvvisamente. 《Si, certo! Andiamo.》
 
Era rientrata a casa poco prima dell'una di notte e, nella tranquillità dell'appartamento silenzioso, aveva finalmente rilasciato la tensione accumulata, durante quella passeggiata interminabile, nel timore di scontrarsi di nuovo con gli americani.
Doveva ammettere, però, che l'incontro con Ryan le aveva messo un agitazione addosso da non potersi considerare completamente negativa, anzi vederlo voltarsi verso di lei prima di scappare dal bar le aveva provocato una scarica di caldi brividi lungo la schiena. Così come aveva fatto anche il messaggio che le aveva inviato pochi minuti dopo, facendola rizzare con la schiena sulla sedia. Si era guardata intorno furtiva dopo aver visto il nome del mittente e lo aveva aperto con la stessa cautela con cui si disinnesca una bomba, cercando di non farsi notare dalle altre ragazze, sedute con lei su una panchina del largo marciapiede del lungomare.
Tirò di nuovo fuori il cellulare per rileggerlo, mentre si dirigeva in camera sua, scalza per non fare rumore.
"Mi sto occupando di alcuni perlustramenti, per la prossima settimana dovremmo aver finito. Ho visto tanti nuovi posti da farti vedere, piccola Dea. Ti chiamo domenica."
E così si spiegava anche l'assenza degli ultimi due giorni.
Cavolo, Afrodite, devi darti una calmata! Per quanto tentasse di ripeterselo non riusciva a placare la trepidazione anche solo nel vedere quelle parole.
Si gettò sul letto affondando la testa nel cuscino.
Stava iniziando ad imparare come convivere con quella confusione e quel senso di colpa latente che ormai non la lasciavano mai. Li arginava in un cantuccio del cervello, vivendo le sensazioni al momento.
E Ryan sembrava essere l'unico in grado di provocargliene.
Si addormentò con quel pensiero martellante: il sottotenente Martins la faceva sentire viva in quel clima di morte e intorpidimento, le rendeva più facili da sopportare il veleno e la cattiveria dell'uomo. Quando era con lui la guerra non esisteva e lei poteva tornare ad essere se stessa.
 
***
 
But oh alas, so long, so far,
our bodies why do we forbear?
 
Tra mare e passeggiate in centro, arrivò la tanto agognata e temuta domenica.
Afrodite non sapeva proprio cosa aspettarsi, ma nell'impazienza che era andata aumentando da quella sera al bar, si era svegliata di buon mattino e aveva fatto una bella doccia rinfrescante dopo l'insolita calura della notte precedente.
Era completamente sola in casa, i suoi genitori erano al lavoro.
Il telefono squillò mentre era intenta a frizionare i capelli con un asciugamano, appena uscita dalla doccia, e si precipitò subito a rispondere.
Appena ebbe preso in mano il telefono, però, le mancò il coraggio. Si decise solo quando ormai la chiamata stava probabilmente per giungere a termine.
《Buongiorno》 disse, alzando le iridi celesti verso la fidata finestra sopra la scrivania, nella sua stanza, da cui poteva scorgere la distesa calma e luminosa del mare estivo. Si ravvivò i biondi capelli ancora spettinati, mentre iniziava a misurare a piccoli, frettolosi passi il pavimento della sua stanza.
《Buongiorno.》 Anche attraverso la cornetta, Afrodite poteva immaginare il sorriso ammiccante di lui. 《Allora, sei pronta?》
《Per...?》 La voce poteva sembrare dubbiosa, ma in realtà sapevano entrambi benissimo che Ryan intendeva portarla da qualche parte.
《Molto divertente》 scherzò infatti. 《Passo a prenderti tra venti minuti.》
《Ma sono appena uscita dalla doccia! Non ce la farò mai in venti minuti》 piagnucolò la ragazza, fermandosi nel bel mezzo della stanza ed iniziando a scrutare l'interno dell'armadio.
《Sono sicuro che ce la farai, invece.》 Lo sentì ridacchiare e poi interrompere la telefonata.
Si passò una mano tra i capelli e iniziò a frugare tra i vestiti.
 
La giornata sembrava assolutamente perfetta: il sole brillava alto nel cielo, ma la sua azione era mitigata da una piacevole brezza dal sapore di mare e risate. A evitare che i capelli ancora umidi svolazzassero ovunque, Afrodite aveva indossato un cappello in paglia dalla tesa abbastanza larga con un nastro bianco, abbinato ad un vestitino in cotone celeste. Appena scesa in strada si era guardata intorno per cercare la Gran Torino, ma aveva individuato piuttosto il soldato che la macchina: la aspettava poco distante dal portone del suo condominio, in quella posa di attesa che aveva ormai imparato a conoscere, con i fianchi poggiati alla portiera dell'auto dal lato del passeggero e le braccia conserte.
Era bellissimo, la T-shirt verde militare metteva perfettamente in risalto il suo fisico temprato dal duro allenamento nell'esercito ed il sorriso caldo, che gli comparve sul volto non appena la vide dirigersi verso di lui, avrebbe sciolto anche un ghiacciaio, così come quello sguardo avido con cui la accarezzava attentamente.
Quando lei fu abbastanza vicina, Ryan si scostò dall'auto aprendole la portiera senza distogliere nemmeno per un attimo gli occhi da quelli della ragazza.
《Visto?》 la rimbeccò, prendendo posto al suo fianco. 《Ho aspettato solo cinque minuti.》
《Vorrei bene vedere! Mi sono scapicollata》 replicò ridendo, mentre il soldato abbassava il freno a mano e si immetteva nel traffico scarso di quella domenica mattina.
《Immagino che non vorrai dirmi nemmeno questa volta dove mi porterai.》 Stava sorridendo dal momento in cui lo aveva visto e non riusciva a smettere.
《Ovviamente no》 rispose lui, gettandole un'occhiata furtiva prima di tornare a dedicarsi alla strada.
Afrodite si guardò un attimo intorno, poi rinunciò all'impresa di tentare di indovinare dove fossero diretti e si affidò al soldato che guidava al suo fianco.
Accese oziosamente la radio, abbandonandosi con la schiena contro lo schienale.
Clocks strikes upon the hour and the sun begins to fade.
Il volto di Afrodite si illuminò di un bellissimo sorriso, mentre riconosceva quella melodia ed iniziava a canticchiarla sottovoce.
Still enough time to figure out how to chase my blues away.
《Ti piace Whitney Houston?》 le domandò Ryan osservandola attentamente.
《Alcune canzoni, perchè no? Faceva musica molto...》 si interruppe un attimo come per cercare l'aggettivo giusto. 《Potente》 concluse.
Proprio in quel momento partì il ritornello di quella bellissima canzone degli anni '80.
I wanna dance with somebody, I wanna feel the heat with somebody. Yeah! I wanna dance with somebody, with somebody who loves me.》 Afrodite si ritrovò a cantare a perdifiato, alzando anche il volume della radio quasi al massimo, seguita da Ryan non appena la cantante iniziò a ripetere quei quattro versi. 《I wanna dance with somebody, I wanna feel the heat with somebody. Yeah! I wanna dance with somebody, with somebody who loves me.
《Ma sei pessimo!》 esclamò lei nel cercare di farsi sentire sopra la muscia, guardandolo ad occhi sbarrati e ridendo senza riuscire a fermarsi.
《Non è vero!》 Lui si finse offeso. 《Soon or later the fever ends and I wind up feeling down》 continuò da solo, come a voler dimostrare di saper cantare.
I need a man who'll take a chance on a love that burns hot enough to last》 lo interruppe lei, senza riuscire a smettere del tutto di ridere.
《Non è che tu sia tanto meglio!》 la prese in giro allora, sentendo un'evidente stonatura su "on a love".
《Ma scherzi?》 replicò lei, impettita. 《Sono bravissima!》
Nel frattempo era tornato di nuovo il ritornello ed entrambi ripresero a cantare anche più forte di prima, cercando di trattenere le risate a beneficio della canzone. 《I wanna dance with somebody, I wanna feel the heat with somebody. Yeah! I wanna dance with somebody, with somebody who loves me.
Somebody, huu! Somebody, huu!》 si esibì Afrodite, muovendosi sul sedile a tempo di musica.
Somebody who loves me!》 continuò lui, cimentandosi in un urletto davvero poco virile.
《Whitney ti sta odiando da lassù.》
Lui sembrò scacciare quelle parole con un gesto distratto della mano. 《La tua è tutta invidia per le mie doti canore.》
《Come no!》 Il suo tono era decisamente sarcastico.
L'atmosfera si era fatta estremamente leggera, loro stessi sembravano non avere più alcun peso, come se quel semplice espellere aria in maniera più o meno intonata avesse permesso loro di liberarsi anche delle preoccupazioni. Le persone sul tratto di statale che stavano percorrendo li guardavano sconvolti, scambiando la loro momentanea spensieratezza con il menefreghismo dei più.
Afrodite e Ryan non se ne curarono, ma anzi continuarono a girovagare tra le frequenze alla ricerca di qualunque cosa fosse cantabile.
Quando arrivarono a Ghiomera, mezz'ora dopo essere partiti da casa di Afrodite, la strada piegò a ridosso del litorale, esponendo le auto di passaggio all'odore di salsedine proveniente dal mare. Continuarono ad avanzare verso sud lungo la cosa, fino ad arrivare in un luogo che Afrodite aveva sentito spesso elogiare dai bagnanti, senza però visitarlo mai.
Si trovavano ai Ripari di Giobbe, una delle spiagge migliori d'Abruzzo a detta delle guide turistiche.
In effetti la vista che si aprì ai loro occhi, una volta che ebbero parcheggiato la macchina e furono arrivati in prossimità del mare, era davvero spettacolare.
Ryan però la trascinò verso una zona quasi isolata da un ammasso di scogli sulla sinistra e a destra da un promontorio erboso nel quale l'acqua aveva scavato una piccola grotta semi-sommersa come ce n'erano molte lungo quel tratto di costa.
La spiaggia rocciosa non era molto ampia in quel punto, ma abbastanza per la famiglia che vi trovarono e per loro due. L'acqua era limpidissima e sembrava perfettamente fresca, una vera tentazione nell'afa di quel giorno.
Afrodite, infatti, si affrettò subito a liberarsi delle infradito per immergere i piedi tra le piccole onde in cui quella superficie trasparente andava increspandosi.
La prima cosa che fecero, dopo aver piantato tra i sassi un piccolo ombrellone ed essersi liberati dei vestiti, fu un bel bagno.
Ryan entrò in acqua correndo e sollevando così un sacco di schizzi, tra le risate non solo di Afrodite, ma anche dei due bambini della coppia che si trovava poco distante. La ragazza, invece, tentò di abituarsi lentamente alla notevole differenza di temperatura, avanzando con piccoli passi e fermandosi quasi del tutto quando il livello dell'acqua arrivò a lambirle la pancia lasciata scoperta dal bikini. Il soldato iniziò a ridacchiare vedendola sobbalzare ad ogni piccola onda che arrivava a sfiorarle l'ombelico, ma d'un tratto il suo sguardo si fece famelico e lui si immerse fino a lasciar sporgere solo gli occhi e i capelli, per poi prendere ad avanzare lentamente.
《Ryan, no!》 esclamò, intuendo le sue intenzioni.
L'uomo finse di non sentirla.
《No, no, eddai!》 provò ad implorarlo, prima di ritrovarsi bombardata da un'infinità di schizzi, senza avere la possibilità di proteggersi in alcun modo.
In un attimo l'uomo le fu addosso e la costrinse con la testa sotto il pelo dell'acqua, per poi prenderla da sotto le ascelle e scaraventarla poco lontano.
《Sei un mostro!》 esclamò la ragazza, appena riemerse dall'acqua ormai agitata da tutto quel movimento.
Lo vide tenersi la pancia mentre rideva e anche lei lo imitò, mentre però gli occhi si abbandonavano a ben altre occupazioni, seguendo avidi la linea decisa della mandibola, i tendini lungo il collo virile, le clavicole che andavano a fondersi in quelle spalle larghe. Il suo sguardo si perse tra i muscoli guizzanti delle braccia e quelli dell'addome, contratti dalle troppe risate, e prima ancora di accorgersene era tornata seria. Lui se ne accorse e prese a guardarla dubbioso.
Prima che potesse fare qualche osservazione scomoda, così come preannunciava il sorrisetto malizioso comparso sulle sue labbra, Afrodite si riscosse e si voltò verso la piccola grotta.
《Andiamo a dare un'occhiata?》 esclamò, iniziando poi a nuotare rapidamente in quella direzione senza aspettarlo. 《Vediamo chi arriva prima》 aggiunse poco dopo voltandosi, ma Ryan non aveva mosso un muscolo.
《Non mi sembra una buona idea: lì dentro non arriva il sole e l'acqua è scura, potresti sbattere un piede contro un sasso nuotando.》 disse infatti.
《Oh, avanti! Signor Oceano, mi deludi!》 lo canzonò la ragazza, tornando a voltarsi e a nuotare verso la grotta.
Non trascorse nemmeno un minuto prima di sentirsi afferrare alla vita da due braccia forti. La sua schiena si ritrovò a contatto con un petto solido e le sue guance diventarono immediatamente roventi.
《Signorina, sei sotto la mia custodia.》 le sussurrò una voce all'orecchio, accarezzandole prima il viso e poi tutto il corpo con quel sospiro fresco e ricoprendo la sue pelle di brividi.
《Sottotenente, guardi che sono maggiorenne, non ho bisogno del baby sitter.》 borbottò lei, voltandosi per recuperare il suo spazio vitale, necessario a pensare lucidamente.
Pessima mossa.
Il soldato non allentò la presa sulla sua vita e lei fu costretta a tenersi con le mani sulle sue spalle per rimanere a galla, visto che, vicina com'era al suo corpo, non poteva nuotare e, a differenza sua, non arrivava a toccare con i piedi il fondo.
《A casa mia non saresti affatto maggiorenne, ti mancherebbero ancora tre anni.》 la rimbeccò, piegando un lato di quella bocca carnosa in un sorriso e attirando inevitabilmente in quel punto l'attenzione della ragazza tra le sue braccia.
《Ma siamo in Italia.》
《Non ricordarmelo》 la prese in giro lui, abbassando il capo con rassegnazione e provocando un moto di ilarità in entrambi.
Pochi istanti dopo fu il turno di Afrodite di scoprirlo a contemplarla. Se ne stavano li, in quella specie di abbraccio, a scrutarsi reciprocamente senza accennare a voler rompere il contatto.
La ragazza quasi non si accorse di quanto il sottotenente si fosse avvicinato.
Era troppo vicino.
Doveva fare qualcosa.
《Ryan...》 tentò di fermarlo, senza troppa convinzione, ottenendo come unico risultato quello di sentire la pelle bruciare sotto lo sguardo assetato di lui.
Fu un attimo, in un momento quelle labbra morbide scesero ad accarezzare la bocca rosea di lei, dischiusa in quel nome che sarebbe dovuto essere una preghiera. Di liberarla da quelle braccia? Di andarle più vicino? Afrodite non avrebbe saputo dirlo.
Lei si allontanò bruscamente e tutto finì prima ancora che potessero davvero prendere coscienza dell'accaduto. 
Era stato solo uno sfregamento di sospiri, la promessa di un bacio piuttosto che un bacio vero e proprio, eppure era bastato per accorciarle il respiro fino a lasciarla con il fiatone che, accompagnato dalle gote rosse e l'aria sconvolta, la faceva apparire davvero persa.
《Mi dispiace》 le sussurrò Ryan, gli occhi sbarrati in un'espressione riflesso della sua.
《Non fa niente》 rispose lei, dirigendosi mestamente verso la riva e cercando di ricomporre il suo volto in un sorriso convincente.
Era decisa a non permettere a quel quasi-bacio di rovinare l'atmosfera idilliaca che erano riusciti a creare.
Ryan la seguì immediatamente fuori dall'acqua, raggiungendola in pochi, ampi passi.
《Afrodite, mi dispiace davvero》 insistette, afferrandole delicatamente il braccio per convincerla a voltarsi e guardarlo in faccia.
《Non è successo niente, dico sul serio.》 Quella volta la sua espressione riuscì ad essere più convincente e vide i muscoli tesi dell'uomo rilassarsi.
Si sdraiarono sui teli a prendere il sole, finchè il caldo del mezzogiorno non divenne insopportabile e li costrinse a rintanarsi all'ombra.
Quando Ryan le disse che aveva preparato dei panini per il pranzo, tutto l'imbarazzo si sciolse definitivamente.
《Non ci credo!》 sbottò lei, sfumando l'esclamazione in una risata.
《Che c'è!》 Ryan aprì la borsa frigo sbuffando. 《Pensavo potesse essere una cosa carina.》 Si strinse nelle spalle, tendendole un involto di carta argentata.
《Oh, certo, lo è!》 si affrettò a chiarire lei. 《Ma non sai nemmeno cosa mi piace, se ho delle intolleranze》 osservò semplicemente.
《Lì dentro ci sono tonno e maionese》 la avvertì, prendendo anche un panino per se.
《Sono allergica al tonno.》 Vide nettamente gli angoli della sua bocca curvarsi verso il basso.
《Davvero?》
Si guardarono per un momento, in silenzio.
《No, ma avresti dovuto vedere la tua faccia.》 Afrodite si lasciò andare ad un'altra risata, schivando solo all'ultimo la carta d'alluminio che Ryan aveva tolto al suo panino per farne una pallina da lanciarle.
《Mangia quel panino, bambina ingrata, prima che io cambi idea e decida di riprendermelo》 la avvertì, dando il primo morso al suo pranzo. 《Hai idea di quanto sia distante il primo pasto commestibile? Almeno una mezz'ora a piedi e stai sicura che io non ti ci accompagno.》
《Allora prenderò la tua macchina.》 Afrodite scrollò le spalle, tentando di trattenere il sorriso che le nasceva spontaneo sulle labbra.
《Oh certo! Come no! Puoi provarci》 rispose semplicemente. 《Peccato che io sia un ufficiale e tu una bambina, non hai alcuna possibilità di successo》 concluse con un sorriso sadico.
《Scommetto che ci riuscirei》 lo sfidò.
《Mangia》 la rimbeccò, indicando il suo panino con il proprio ormai quasi terminato.
Afrodite lasciò andare il sorriso che tratteneva ormai da troppo tempo e diede il primo morso.
 
***
 
There comes a time when we hear a certain call
When the world must come together as one
There are people dying
and its time to lend a hand to life
There greatest gift of all
 
We cant go on pretending day by day
That someone, somewhere will soon make a change
We are all a part of Gods great big family
And the truth, you know,
Love is all we need
 
We are the world, we are the children
We are the ones who make a brighter day
So lets start giving
Theres a choice we're making
We're saving our own lives
it's true we'll make a better day
Just you and me
 
Erano rimasti in spiaggia fino alle sei di sera, visto che per tornare a Pescara erano necessari almeno quaranta minuti.
Si incamminarono quando il sole era ancora molto alto nel cielo, ma il loro ritorno si interruppe quasi subito.
《Che succede?》 chiese Afrodite, ancora seduta in macchina, mentre Ryan si avviava verso un bar.
《Devo andare in bagno》 rispose semplicemente, voltandosi. 《Vieni a prenderti qualcosa da bere, no?》 Le fece cenno di seguirlo con un braccio, per poi tornare ad avanzare verso la porta spalancata del locale.
Afrodite lo seguì. L'ambiente all'interno era troppo scuro e troppo caldo. Si sedette su uno sgabello ordinando una Fanta Lemon e dirigendo la sua attenzione allo schermo che, dall'angolo dietro il bancone, aveva catturato gli sguardi di tutti.
La telecamera inquadrava un uomo che, in piedi su una macchina, sembrava stesse tenendo un discorso davanti ad una folla molto inquieta. L'audio doveva essere in spagnolo, così il telegiornale aveva provveduto ad inserire dei sottotitoli.
《Vi sembra giusto che il governo ci abbia trascinato in questa guerra che non possiamo vincere? Credete che con le forze della sola Cuba possiamo sconfiggere gli Euro-Statunitensi? Perchè di questo si tratta, avete visto anche solo un soldato russo o cinese? Beh, io no.》 L'uomo sembrava parecchio infervorato e la folla raccolta in strada pendeva dalle sue labbra. 《E' giunto il momento di deporre le armi, da entrambe le parti. Sarà un massacro, ve lo garantisco, e io non voglio esserci quando accadrà, non voglio essere a Caracas quando i Comunisti verranno sconfitti su tutti i fronti, quando quelle bestie riusciranno ad entrare qui, per fare cosa? Per salvarci, dicono. Ve lo dico io cosa vogliono: vogliono il nostro petrolio. E sapete cosa ne penso? Che se lo prendessero, io non me ne faccio nulla. Voglio solo un posto dove lavorare, dove la mia famiglia possa vivere in una bella casa e i miei figli possano andare a scuola con la certezza di tornare sani e salvi a ora di pranzo. Voglio che l'umanità torni ad essere una sola. Perchè è così che deve essere: siamo tutti fratelli, ma tendiamo a dimenticarcene troppo spesso, guidati da questa assurda voglia di avere sempre di più e sempre più di tutti gli altri. E' necessario agire, cercare di cambiare le cose perchè, se non lo faremo noi, non lo farà nessuno. Cerchiamo di lasciare questo mondo un po' migliore di come l'abbiamo trovato*. Voglio un mondo dove comunismo e capitalismo non esistono, dove Chavez non è mai nato, dove Simons non è un bugiardo opportunista, dove Maduro non è uno stronzo che cerca di toglierci anche le mutande.》 L'uomo non riuscì a terminare l'ultima parola, un proiettile di pistola lo colpì in pieno petto, scaraventandolo giù dall'auto.
Afrodite si lasciò sfuggire un verso di sorpresa, prima che sullo schermo si scatenasse l'inferno, immobilizzandola con gli occhi sbarrati. La polizia e l'esercito sparavano sulla folla dai palazzi circostanti, si lanciavano tra la gente con manganelli o qualunque altro oggetto contundente, malmenando le persone completamente disarmate come se si fosse trattato di bambole di pezza.
《Andiamo via.》 Afrodite sentì la voce di Ryan al suo fianco come se provenisse da un altro pianeta. Non riusciva a muoversi.
Lo scenario cambiò e la telecamera inquadrò una giornalista nello studio del telegiornale.
《Questa la scena verificatasi pochi giorni fa a Caracas, in Venezuela. La manifestazione si è conclusa con un numero di morti che il nostro esercito non è stato in grado di quantificare. Lo stesso video ci è stato pervenuto semplicemente tramite Youtube.》
《Chiunque sia riuscito a pubblicarlo a quest'ora è morto, sicuramente.》 Disse qualcuno all'interno del bar.
La TV trasmise ancora alcune scene del video in slow-motion, finchè il campo visivo della videocamera non veniva completamente invaso da un poliziotto e il cameraman di fortuna si voltava, iniziando a correre e disattivando la registrazione.
《Afrodite, ti prego, andiamocene》 tentò ancora Ryan, stringendole una spalla per richiamarla al presente.
《Abbiamo motivo di credere che scene di questo tipo si svolgano quasi ogni giorno non solo nella capitale, ma anche in diverse altre città sudamericane. Il primo colpo di pistola pare essere partito dall'arma di un poliziotto venezuelano, nel momento in cui l'uomo ha iniziato ad insultare il presidente. Speriamo solo che il nostro esercito, che risulta essere stato purtroppo discretamente assottigliato, riesca a raggiungere queste zone prima che la situazione diventi irrecuperabile》 stava dicendo la giornalista con voce incolore.
Quelle poche parole della presentatrice bastarono per rompere l'incantesimo che sembrava trattenere Afrodite.
Corse in bagno, gettandosi ai piedi della tazza e piegandosi su di essa, senza riuscire a dare comunque alcun sollievo alle contrazioni che le stringevano lo stomaco.
《Dio...》 Sentì la presenza di Ryan sulla porta e lo vide con la coda dell'occhio chinarsi vicino a lei e scostarle i capelli dal viso. Afrodite si sedette sul pavimento, poggiandosi con la schiena alla parete affianco al WC e guardando l'uomo di fronte a lei con uno le iridi distrutte in mille schegge celesti che ormai colavano sul suo viso senza sosta.
《Cosa è rimasto da recuperare?》 chiese semplicemente, la voce rotta dai singhiozzi.
Ryan si inginocchiò davanti a lei a le prese il volto tra le mani, asciugando quelle guance che aveva visto arrossire tante volte. Accostò la fronte a quella della ragazza e prese un profondo respiro, come a voler assorbire il suo dolore per liberarla, prima di parlare.
《La speranza.》
 
***
 
Dejame un beso que me dure hasta el lunes,
un beso grande, un beso inmenso,
que me sostenga, que sea mi alimento
[...]
para llenar el silencio que dejas cuando te vas
porque contigo se van mis sueños.
Dejame un beso que me dure hasta el lunes,
que arranque todo el dolor,
que se apodere de mi.
 
Arrivarono davanti a casa di Afrodite intorno alle sette e mezza. Avevano trascorso l'ultima mezz'ora di viaggio nel più completo silenzio, una volta usciti dal bar. La ragazza sembrava completamente assente, aveva un'aria spossata.
《Non tornerà nessuno da questa guerra.》 Lo sguardo non accennava a posarsi su nulla di preciso.
《Non dire così》 sembrò implorarla Ryan, slacciandosi la cintura di sicurezza senza però voltarsi del tutto verso di lei, limitandosi solo a fissarla.
《Tu sai che è così anche meglio di me.》
Il soldato non trovò nulla da dire per rincuorarla.
《Quanto passerà prima che tu debba ripartire?》 gli chiese con rabbia, voltandosi finalmente nella sua direzione.
《Non vado da nessuna parte.》
《E tra quanto tempo dovrà andarsene anche mio padre? Prima o dopo che mio fratello sia morto?》 proseguì, ignorandolo. Il suo tono andava facendosi sempre più alto e spigoloso.
《Non lo permetterò》 disse semplicemente.
《E chi sei tu per impedirlo?》 chiese stizzita quasi urlando.
《Non è questo ciò che conta!》 esclamò Ryan sbattendo i palmi delle mani contro il volante. 《Non importa chi sono io. Tuo padre non partirà per il fronte e tuo fratello tornerà sano e salvo e devi crederci, cazzo.》 concluse alzando la voce anche lui. Si voltò verso di lei tuffando quegli occhi, resi più scuri dall'ira, nel suo mare personale incorniciato da una miriade di ciglia lunghissime.《Vedi? E' questo che fa la guerra: ti toglie qualunque briciolo di fiducia, ma non devi permetterglielo. Afrodite, mi hai capito? Non devi mai》 calcò su questa parola, prendendo una delle piccole mani di lei e facendola sparire tra le proprie, 《smettere di sperare che le cose possano migliorare. Perchè una volta che sono riusciti a toglierti l'ottimismo, una volta che hanno strappato quel bellissimo sorriso dal tuo cuore, allora hanno vinto. Comunisti, americani, europei... non ha importanza, non permettere a nessuno di loro di prendersi i tuoi sogni e la tua vita.》 Ryan pronunciò quelle parole senza abbandonare i suoi occhi nemmeno per il tempo di un battito di ciglia.
E allora Afrodite capì: il loro incontro casuale sul lungomare, gli appostamenti fuori dal liceo, il discorso dopo il primo funerale ai caduti, la spesa e la passeggiata sul ponte del mare, gli sms, le chiamate, la gita alla Torre di Cerrano e quella a San Vito, le canzoni in macchina, quello sfioramento di labbra in acqua... tutti quegli avvenimenti erano serviti solo ed unicamente per arrivare a quel punto, per darle la forza di sopportare tutte le immagini che avrebbe dovuto affrontare simili al reportage di quel pomeriggio e per portarla a desiderare l'uomo che le sedeva affianco più dello stesso ossigeno.
Lo baciò con tutta la forza che le rimaneva in corpo e la risposta di lui non si fece certamente attendere: la strinse tra le braccia per quanto permesso dall'abitacolo dell'auto, accarezzandole la schiena come a volersene imprimere ogni centimetro nella memoria. Afrodite sfiorò quelle guance ruvide di barba con i suoi morbidi polpastrelli, prima di affondare con le dita tra i suoi capelli e scendere sulla nuca per arrestare la sua corsa ancorata alle sue spalle, che, riuscì ad accettarlo solo in quel momento, aveva desiderato sforare dal primo momento in cui le aveva viste, fasciate perfettamente dalla divisa d'ordinanza. Vi si aggrappò come ci si affida ad una roccia, donandogli con quel bacio la sua resa. Perchè era inutile negarlo: lo voleva e aveva bisogno di lui, al resto avrebbe pensato dopo.
Purtroppo quel "dopo" arrivò troppo in fretta.
 


 
 
NDA
Il titolo è un verso della canzone Bound to you di Christina Aguilera, mentre la citazione a inizio capitolo viene da una canzone dei Linkin Park, Castle of glass.
La questione della sponsorizzazione reciproca tra Samsung e FIFA è vera e il motivo per cui ho deciso di inserire quel paragrafo è che ho avuto modo di vedere una pubblicità del Samsung Galaxy S5 in cui si diceva davvero che "Football will save the planet" e mi è sembrata una cosa talmente ridicola che non ho potuto non sottolineare che, almeno nella situazione che io sto descrivendo, i loro piani pubblicitari atti a prendere per il c**o la clientela non sono andati a buon fine.
Il bar Napoli esiste davvero ed è frequentato davvero da tutti ogni santa sera, quindi è piuttosto plausibile che Ryan e Afrodite si siano incontrati li casualmente.
Anche la Cornetteria esiste davvero (sì, si chiama davvero così e sì, fa cornetti, ma non solo; che fantasia, eh?) e le sue ciambelle glassate sono un qualcosa di eccezionale.
La seconda citazione fa parte di una poesia di John Donne e ve la traduco perchè è un inglese un po' arcaico, significa: "Ma, ahimè, perché così lungamente, e tanto, freniamo i nostri corpi?"
La canzone alla radio è evidentemente I wanna dance with somebody di Whitney Houston. La conoscete sicuramente, anche solo vagamente, e magari non sapevate titolo e autore, ma comunque vi consiglio di riascoltarla (oltre per il fatto che la amo!) perchè secondo me la scena rende di più sapendo cosa stanno cantando hahahah
La terza è un pezzo della canzone We are the world di Michael Jackson, mentre l'asterisco sta ad indicare una frase che ho preso dall'ultimo messaggio di Sir Robert Baden-Powell, che pochi di voi conosceranno, ma è il fondatore dello scoutismo e ha detto davvero tante cose bellissime.
L'ultima è una strofa di una canzone di Jerry Rivera, cantante portoricano, che si intitola Dejame un beso que me dure hasta el lunes. La traduzione è questa: "Lasciami un bacio che mi duri fino a lunedì, un bacio grande, un bacio immenso, che mi sostenga, che sia il mio alimento [...] per riempire il silenzio che lasci quando te ne vai perchè con te vanno via i miei sogni. Lasciami un bacio che mi duri fino a lunedì, che strappi tutto il dolore, che si impossessi di me." anche se in spagnolo rende moooooolto di più hahaha
Questa è la spiaggia ai Ripari di Giobbe :) O meglio, la spiaggia sarebbe più lunga, ma questo è l'angoletto di cui si appropriano Ryan e Afrodite.
 
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Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vogliate lasciarmi un parere! :D
Alla prossima, un bacione! :*
Delilah <3
  
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