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Autore: Roswind    20/06/2014    3 recensioni
Dalla storia:
"Geremia le rivolse uno sguardo divertito e solo a quel punto si soffermò sul suo viso. Il suo sorrisetto si spense subito, nell’osservarla dormire in un modo così spensierato e sereno, con un’espressione buffa, una smorfia ad incorniciarle le sottili labbra. Sottili labbra. Labbra.
Geremia cancellò subito quel pensiero e si ripromise di essere almeno un po’ più gentile con lei, dopotutto Michaela non aveva fatto niente di male nel concedergli un po’ di compagnia, anche se non richiesta.
O forse era lei che aveva bisogno di compagnia?"
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Goodbye wall.

"Cosa credi? Che voglia stare sola? Ma sono fatta così, non riesco ad avvicinarmi veramente a nessuno. È un dato di fatto.
È come se mi mancasse quella parte d'anima che si incastra negli altri, come nel Lego. Che si unisce veramente a qualcun altro.
Alla fine tutto cade a pezzi. Famiglia, amici. Non resta più niente."

(cit. David Grossman, Qualcuno con cui correre)



Silenzio.
Il ragazzo si affrettò per le strette vie di una Praga ormai addormentata. Qualcuno ancora chiudeva le imposte e spegneva le luci, gli ultimi lavoratori esausti si apprestavano ad abbracciare le loro donne nel letto caldo, e intanto le prime gocce di pioggia bagnavano l’asfalto di strade deserte e poco illuminate.
Aveva davvero fretta il ragazzo, era stanco per la lunga e pesante giornata di lavoro e non desiderava altro che tornare a casa, fumarsi un dannatissimo spinello e dormire.
E invece…
«Geremia!»
Il ragazzo volle illudersi di essersela solo immaginata, quella voce. Che poi avrebbe significato che ci pensava, dannazione, e invece no, semplicemente non voleva credere alle sue orecchie. Dio, non era possibile!
«Hey, Rem, fermati!»
Geremia continuò imperterrito per la sua strada, senza fermarsi e anzi, sempre più determinato. Non poteva crederci, Dio, no!
Passi veloci sull’asfalto bagnato, una risatina spasmodica, fiato corto ed eccola lì davanti a lui. Michaela lo guardava con le mani sui fianchi, gli occhi immensi e briosi, la bocca aperta in uno sconfinato sorriso.
«Finalmente, lo sapevo che ti avrei incontrato!» gli disse, rivolgendogli un vivace occhiolino.
Geremia trattenne a stento una risata sarcastica, incredulo. Certo che era sicura che l’avrebbe incontrato, piccola stalker che non era altro.
«Comunque, dove stavi andando?»
Il ragazzo si sistemò la tracolla sulla spalla e tornò sulla sua strada, superandola senza neanche degnarla di una risposta.
«Dai, idiota, vengo con te.»
Michaela lo stupì, prendendolo sottobraccio e incamminandosi con lui.
Ma soprattutto Geremia si meravigliò di se stesso perché, per la prima volta, non si oppose a quel contatto.

«Hey, ciao, mmh… – la ragazza strinse gli occhi e lesse soddisfatta la targhetta – Geremia.»
«Ciao anche a te, ragazzina, che ti serve?»
Lei si guardò attorno quasi affamata, gustandosi con gli occhi tutti quei libri colorati, logori, nuovi, profumati e quando riportò lo sguardo sul bibliotecario disse solo: «Michaela.»
«Come, scusa?»
«Michaela. Mi chiamo Michaela.»
«Oh. Va bene, Michaela. Ora posso sapere in cosa posso aiutarti?»
«Sì. Vorrei… Di dove sei?»
Geremia si alzò di scatto dalla sedia girevole su cui era comodamente seduto, e non seppe neanche perché. Forse la curiosità di quella ragazzina l’aveva stupito, forse la sua sfrontatezza.
La osservò meglio. Era sicuramente più bassa di lui di almeno una ventina di centimetri, eppure non aveva problemi a guardarlo dritto negli occhi, scandagliandolo nel profondo, quasi volesse strappargli l’anima e farla danzare insieme a lei. Ma cosa diavolo stava blaterando?, pensò un po' infastidito. Michaela continuava a fissarlo intensamente, con occhi immensi e giocosi e ingenui e fiduciosi.
«Rem, di dove sei?»
Rem?!
«Frena, ragazzina! Rem sarebbe cosa, un diminutivo? Spero tu stia scherzando, non ti hanno insegnato che le persone bisogna prima conoscerle per entrare in confidenza?»
Lei semplicemente gli rivolse un sorrisetto innocente e ripeté: «Di dove sei?»
«Spagna.»
Lei rise e gli ripeté di nuovo la stessa domanda.
«Italia, sei contenta?»
«Nah, tanto lo sapevo.»
Appoggiò i gomiti sul bancone in legno e iniziò a toccare dappertutto. Letteralmente, dovunque. Geremia era semplicemente sbalordito.
Quando tese le mani verso il piccolo quaderno rilegato a mano ancora aperto, il ragazzo scattò in avanti e la bloccò, stringendo e chiudendole le dita con le sue.
«Stai ferma, dannazione, ma che ti prende?» le sibilò quasi ringhiando.
Michaela, per la prima volta, gli rivolse uno sguardo dispiaciuto. Era più che evidente che ciò che era scritto nel quadernetto era personale, e sicuramente non si trattava di un agenda da bibliotecario, sempre se i bibliotecari possedessero delle agende.
«Scusami. È che sono una persona molto curiosa e non riesco a tenermi a freno.»
«Ho notato. – bofonchiò Geremia, chiudendo rapidamente il suo libricino e spingendolo sotto un mucchio di fascicoli – Ora, cortesemente, potresti dirmi cosa ti serve?»
«Sì, allora, mi hanno suggerito di leggere Grossman. Vorrei un suo libro, ma non ho la minima idea da dove iniziare. Non è che sapresti darmi un consiglio, per favore?» gli chiese con occhioni da cerbiatta.
Ecco, gli ricordava una cerbiatta ingenua e impaurita, eppure non sembrava avere timore di niente, quasi fosse un essere invincibile. Forse semplicemente sapeva come affrontare la vita. Beh, buon per lei.
Geremia abbassò lo sguardo sul legno macchiato del bancone e con un sorriso nascosto le rispose soddisfatto: «Sì, è il mio scrittore preferito. Fammi dare un’occhiata a cosa abbiamo.»
E mentre tornava a sedersi sulla sedia girevole, concentrando la sua attenzione verso il vecchio computer lì accanto, non poté non notare come Michaela si illuminò a quell’affermazione, quasi fosse sollevata, manco si trattasse di una questione di vita o di morte.
«Dio, grazie. O più giusto, grazie Geremia, era una questione di vita o di morte.»
Il ragazzo sussultò meravigliato a quell’espressione che sembrava avergli letto nella mente. Quella ragazzina era davvero incredibile e strana.
«Allora?» lo incitò da dietro le spalle.
Dietro le spalle?!
«Ma cosa…» balbettò voltandosi dietro.
Michaela si strinse semplicemente nelle spalle e, prendendogli la testa tra le dita, lo riportò con lo sguardo sull’aggeggio elettronico, invitandolo quindi a continuare la sua ricerca. Geremia, senza accorgersene, si strinse lievemente nelle spalle.
«Sì, ecco, qua abbiamo “Il sorriso dell’agnello”, “Che tu sia per me il coltello” e “Qualcuno con cui correre”. Io ti consiglierei–»
«“Qualcuno con cui correre”, voglio quello.» lo interruppe lei, decisa.
Geremia soffocò una debole risata che involontariamente gli stava salendo per la gola e annuì d’accordo con lei. Controllò su che scaffale si trovasse il libro e, alzandosi, le disse: «Avevi detto che avevi bisogno di un consiglio, o mi sbaglio?»
Non c’era disappunto nel suo tono di voce, era quasi canzonatorio. Geremia si ritrovò a stupirsi per la seconda volta per come Michaela sembrava essere in grado di leggergli nella mente.
Allontanandosi da lei, sentì qualcosa come uno squittio felice e quando tornò al bancone col libro di Grossman in mano, la guardò accigliato.
«Che c’è? Cos’hai risposto prima?»
«Che sei una persona prevedibile, si è capito subito che volevi consigliarmi quel libro.»
Il ragazzo, quasi sulla difensiva per quell’aggettivo che un po’ gli dava fastidio fosse attribuito a lui, le chiese, con sincera curiosità, perché pensasse che lui fosse un tipo scontato. Michaela posò le mani sul libro che lui ancora teneva in mano e piantando i suoi occhi in quelli di Geremia, gli sussurrò piano: «Non ho detto scontato, ho detto prevedibile. Nel senso che sto facendo crollare il muro e ti fai capire.»
Muro? Che muro? Geremia era sbigottito e confuso. Lui proprio non la capiva quella ragazzina stramba e pazza, iniziava anche ad irritarlo per come sembrava riuscire ad entrargli dentro e percepire quello che pensava. Furioso, le spinse con violenza il libro nelle mani e tornò dietro il bancone, alla postazione del computer. Scosse con forza il mouse per terminare lo standby, pensando a come fosse possibile che lei, quell’insulsa ragazzina sconosciuta, stesse facendo cadere il muro. Si sbagliava, continuava a ripetersi, si sbagliava di grosso. Lei non avrebbe distrutto proprio un bel niente.
Tornò a voltarsi verso di lei, che era rimasta ad osservarlo come se con il suo comportamento l’avesse… accontentata? È sicuramente pazza, si ripeté Geremia.
Con voce neutra, senza alcuna espressione, di nuovo al riparo dietro il suo muro, Geremia le chiese: «Bene, ora se vuoi fare la tessera, devi darmi un tuo documento, altrimenti vanno bene nome e cognome.»

«E così, tu abiti qui» esclamò Michaela buttandosi sul divano in cotone ormai logoro e un po’ sporco. Allargò le braccia, stiracchiandosi e cedendo ad uno sbadiglio.
«Che fai? Rimani lì davanti alla porta? Entra pure, su.»
Lo guardava sorridente e Geremia non poté fare a meno di maledirsi per averle permesso di vedere per la prima volta il suo piccolo e misero appartamento.
Si massaggiò le tempie come a voler rilassare i nervi che, per la stanchezza e la presenza insistente di quella ragazzina, rischiavano di prendere fuoco e diventare cenere.
«È casa mia, non sei tu a dirmi se devo entrare o meno» borbottò stizzito rivolgendole un’occhiata di sbieco. Chiuse la porta con un veloce scatto e si avviò verso l’angolo cucina, diviso dal salotto solo da un’isola ricoperta da una pila di cartoni da pizza.
«Hai fame?»
Silenzio.
«Hey, Mich, vuoi qualcosa da mangiare?»
Ma perché caspita gli era venuto in mente di prepararle qualcosa? Neanche si degnava di dargli una risposta. Sbuffando, posò al suo posto la confezione di toast che aveva appena aperto e richiuse la credenza. Aveva assolutamente bisogno di uno spinello, dannazione.
Si voltò e raggiunse Michaela nel salotto. O meglio, una Michaela ormai addormentata.
Geremia chiuse gli occhi, esasperato. No, possibile che doveva dormire proprio da lui? Riaprì gli occhi, lentamente, quasi sperando che fosse stata un’illusione, che lei non era lì davvero, che lui non doveva sopportarla anche mentre russava.
Oddio, russava. Geremia le rivolse uno sguardo divertito e solo a quel punto si soffermò sul suo viso. Il suo sorrisetto si spense subito, nell’osservarla dormire in un modo così spensierato e sereno, con un’espressione buffa, una smorfia ad incorniciarle le sottili labbra. Sottili labbra. Labbra.
Geremia cancellò subito quel pensiero e si ripromise di essere almeno un po’ più gentile con lei, dopotutto Michaela non aveva fatto niente di male nel concedergli un po’ di compagnia, anche se non richiesta.
O forse era lei che aveva bisogno di compagnia?

«Buongiorno, dormigliona.»
«Mmh…»
Michaela spalancò gli occhi, cercando di trovare qualcosa di familiare in quell’ambiente così sconosciuto. Ed eccolo lì.
«Rem!» urlò, spaventando il ragazzo che fece cadere il cellulare che teneva in mano. Quello ovviamente si aprì lasciando uscire la batteria.
«Ma sei pazza!?» le sbraitò contro Geremia. «Che cazzo ti urli!?»
La ragazza trattenne a stento una risata e si affrettò ad inginocchiarsi per raccogliere i vari pezzi. Quando mai l’avesse fatto.
«Ahia!»
Geremia, anch’egli piegato sulle ginocchia, si teneva la testa tra le mani, nel tentativo di fermare quel terribile dolore. Davanti a lui, Michaela strizzò gli occhi per la botta e si massaggiò la fronte. Poi scoppiò in un’incontenibile risata; si buttò sulla schiena e, tenendosi la pancia con le mani, continuò a fremere di ilarità fino a quando qualcosa di freddo le tappò la bocca. A quel punto iniziò a tremare per la mancanza di ossigeno.
Aprì di scatto gli occhi e incontrò quelli scherzosi di Geremia, che intanto con una mano le impediva di prendere ossigeno. Tentò di caricare una ginocchiata verso "i vicini del piano di sotto", ma il ragazzo se ne accorse subito e la lasciò andare.
«Ma sei pazzo!?»
Michaela riprese, con assoluto piacere, a respirare. Poi iniziò di nuovo a ridere, ma questa volta durò poco. Guardò Geremia con un’espressione felice e gli prese una mano tra le sue, prima di pronunciare con tono soddisfatto e premuroso: «Finalmente, Rem.»
Il ragazzo, improvvisamente a disagio, fece per ritirare la mano, ma Michaela la chiuse tra le sue dita e Geremia sentì qualcosa azionarsi dentro di lui.
«Addio muro» mormorarono all’unisono.

«Perché fai così, cazzo, perché?! Pensavo ci tenessi a me, almeno un po’… Siamo tutte uguali per te, vero, Geremia, eh? Sei solo uno stronzo, vaffanculo.»

La mano, la sua mano.
Michaela lo teneva, era lì e lo teneva per mano. Una stretta dolce e, allo stesso tempo, forte.
«Sono qui.»
Lei era lì.

«Io non ce la faccio più a starti dietro, davvero. Sono stanco di risolvere sempre i tuoi guai. Basta, davvero, tanto a te non importa niente. Non ti importa niente di nessuno, vero? Rimarrai solo, Geremia.»

Le braccia, le sue braccia.
Michaela lo teneva, era lì e lo teneva tra le braccia. Un abbraccio vibrante e, allo stesso tempo, solido.
«Sono qui, Rem.»
Michaela era lì.

«Sai cosa, figliolo? Fai quello che ti pare. Porti solo problemi e noi ne abbiamo abbastanza, ogni sforzo che facciamo, ogni nostra preoccupazione, tutto sembra non scalfirti minimamente. Evidentemente non ti interessa niente.»

Le labbra, le sue labbra.
Michaela lo teneva, era lì, e lo teneva tra le braccia, una mano ancora ancorata alla sua. Le sue labbra gli baciavano le palpebre, le guance bagnate, succhiando le lacrime che, dopo tanto – troppo – tempo, sgorgavano silenziosamente, riversando fuori tutto ciò che di marcio era rimasto chiuso in quel corpo ora così debole e fragile e tremante.
«Geremia, guardami» gli sussurrò Michaela sulle palpebre ancora chiuse.
Lentamente, molto lentamente, quasi avesse paura di ritrovarsi da solo, di nuovo, come sempre, Geremia aprì gli occhi incontrando quelli pieni di calore della ragazza.
«Rem, io sono qui, sono qui per te.»
Michaela era lì, era lì per lui.
Per lui.


"Hai bisogno di uno con una mano grande così. [...]
Uno che se ne sta con la mano alzata, forte, ferma, come la statua della Libertà, ma senza quel cono gelato.
Solo con la mano aperta, in alto e allora tu... [...]
tu da lontano, da qualsiasi punto della terra, vedrai quella mano e saprai che lì potrai posarti e riposare."

(cit. David Grossman, Qualcuno con cui correre)




» SPAZIO AUTRICE «
E finalmente, per la primissima volta, eccomi qui!
Per ora con una One shot, abbastanza lunga direi. Quindi, se siete arrivati fin qui, i miei complimenti! c:
Beh, sinceramente non so che pensare. Questa breve “storia” mi piace ma, allo stesso tempo, non mi convince. Sono consapevole del fatto che alcuni punti sono poco chiari, che i personaggi sono poco approfonditi, ma diciamo che era proprio questa la mia intenzione: lasciare spazio anche alla vostra di immaginazione, permettervi di unire la mia mente e la vostra per poter interpretare con libertà le personalità dei due protagonisti. Non sono sicura di essere riuscita in questo intento, ma ci ho provato.
Quindi, che dire, vi invito a recensire per avere le vostre opinioni!
Con affetto,
Roswind
   
 
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