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Autore: ELE106    20/06/2014    6 recensioni
È possibile psicanalizzare un Winchester?
(...) Il dottor William Holmes era un uomo onesto e preciso. Un professionista serio, stimato, uno di quelli che amano il proprio lavoro e lo onorano svolgendolo con la giusta combinazione di cuore e mente, buon senso e competenza. Era sempre stato un ottimo osservatore, con straordinarie doti deduttive e l’indole buona di chi desidera davvero aiutare le persone, senza alcun secondo fine. (...) L’osservazione diretta era il suo punto di forza. Il corpo parlava più di quanto si credesse comunemente, bastava saperlo leggere, bastava non farsi sfuggire i dettagli. E quello di Dean Winchester era particolarmente loquace. (...) ‘Possibile comparsa di impulsi sessuali per il fratello minore. Li reprime. Frustrazione e aggressività derivate. Indagare.’ (...) Buona lettura ;)
[wincest]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio
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Capitolo 6.






 
Febbraio 1999, Studio privato del Dottor William Holmes, Baltimore – Maryland



Il dottor Holmes poteva ritenersi un professionista ormai navigato, con una certa esperienza sulle spalle e un numero considerevole di pazienti ostili trattati durante la sua carriera, sufficiente ad avergli conferito quello che può definirsi un infallibile sesto senso nel riconoscere il momento esatto in cui, per un terapista, si interrompe la mera analisi del paziente e si inizia invece ad ascoltarlo, a considerarlo una persona.

Con Dean Winchester, quel significativo momento era arrivato un tardo pomeriggio di febbraio, particolarmente freddo e nuvoloso, che aveva riportato a galla ricordi ormai lontani, ma ancora vivi e forti nella mente del dottore.





“Perché siamo sul dannato tetto a congelarci il culo, Doc?”

Dean si stringeva goffamente nel cappotto pesante e sbuffava fiato caldo sulle mani intirizzite. Nervoso, infreddolito e agitato, si dondolava sulle ginocchia per combattere il freddo pungente e l’aria gelida che sferzava impietosa sul dannato tetto del dannato edificio, che ospitava lo studio del dannato dottore.
Holmes, qualche passo davanti a lui, scrutava il grigio panorama di fronte a sé, serio, impassibile ed elegante come sempre, le mani appoggiate alla robusta ringhiera posta a perimetrare l’enorme terrazzo.

“Dimmelo tu!”

Gli rispose, voltandosi per osservarlo attentamente. Dean non gli rispose, ma evitò con ostinazione il suo sguardo per osservarsi attentamente le scarpe. Slacciate, tra l’altro.
Gli fece quindi cenno con la testa di avvicinarsi e, una volta che Dean fu al suo fianco, si accese distrattamente una sigaretta, accorgendosi subito dello stupore del ragazzo. Si era evidentemente fatto una certa immagine di lui e quel gesto lo aveva messo di fronte alla fastidiosa certezza di essersi sbagliato.

A Dean piaceva avere la situazione sotto controllo, Holmes lo aveva capito; era tranquillo solo quando inquadrava le persone, quando tutto era schematizzato e chiaro. Non si sarebbe mai ritrovato su quel tetto, visibilmente agitato, se gli eventi in corso non lo avessero definitivamente fatto uscire da quel preciso schema mentale.
Prima la relazione col fratello, poi gli assistenti sociali, poi questo impiccione di dottore tutto ‘perfettino’ (che, guarda un po’, almeno qualche vizio lo possedeva), che conosceva tutti i suoi segreti e voleva conoscerne altri.
Era andato tutto a rotoli in così poco tempo che Dean cadeva letteralmente a pezzi, non serviva uno psicologo per dedurlo.

Prese un profondo respiro, prima di rivolgersi a lui con la consueta pazienza.

“Per quanto mi riguarda, i motivi per cui siamo sul tetto sono più di uno.”

Si prese ancora qualche attimo per osservarlo di profilo, mentre questo strano e complicato ragazzo tirava su rumorosamente col naso arrossato e nascosto sotto il suo giaccone, guardando il nulla in mezzo a nuvole grigie sempre più minacciose; si riscoprì quasi intenerito da tanta fragilità, mascherata da altrettanta goffa ostilità.

“Prima di tutto, hai terrorizzato la povera Clarisse irrompendo nel mio ufficio oltre mezz’ora prima dell’orario fissato per il nostro incontro. Ti ho portato qua su per salvarti dalla sua furia. Poi, hai iniziato a sbraitare frasi allarmati, tra le quali (se ben ricordo) ‘non se ne fa più niente, Doc’ e ‘si dimentichi tutto’ e anche ‘non so più che fare, che devo fare?’; al termine di tale sfogo ho sentito l’improvviso ed estremo bisogno di fumare. Siamo usciti anche per salvare me da Clarisse, che mi avrebbe sottoposto ad inquisizioni peggiori delle mie, se mi avesse scoperto ad accendermi una sigaretta.”

Dean lo ascoltava con attenzione, quasi confortato dalla particolare intonazione che il dottore dava alla sua voce, anche quando era chiaramente ironico nello spiegare cose all’apparenza poco importanti.

Mentre lo sguardo di Holmes alternava veloci occhiate al suo paziente, a lunghe e pacifiche osservazioni del sempre più grigio panorama, Dean sembrava faticare a non ingoiarsi la lingua nel tentativo di trattenersi dall’urlare la sua frustrazione e morire nel violento scontro a fuoco in corso tra il suo cuore e la sua mente.

“Infine, ho come la sensazione che avresti gradito accendertene una insieme a me. La dipendenza da nicotina è una delle cose più semplici da individuare, basta sapere dove guardare...”

Quando gli sorrise divertito, accennando col mento a guardarsi le mani, Dean non poté evitare di rispondere a quel sorriso di rimando, osservando le macchie giallognole ben visibili sui polpastrelli delle dita che usava tenere le sigarette.

“Me l’accenderei volentieri, ma ho promesso a Sam di non fumare più. Se ne accorgerebbe immediatamente e non la passerei liscia.”

Rise, ma fu solo per pochi secondi, finché forse si rese conto di quante cose Holmes stesse facilmente deducendo da quelle semplici parole.

“È un osso duro, eh? Tuo fratello, intendo...”

Dean sbuffò, le labbra ancora distese in un sorriso triste.

“Sa, con le ragazze è facile. Loro non mi conoscono, non mi conosceranno mai. Con Sammy... è come avere una moglie, cazzo! Lui sa tutto di me, ha idea di come ci si sente?”

Chiese, passandosi una mano tra i capelli.

“È la cosa più... bella e insieme la più terrificante al mondo. Avere qualcuno così dentro, così in profondità nella testa, nel sangue, nel cuore, nell’anima, sempre, ovunque vai. È così con Sam, capisce?”

Concluse, guardando finalmente Holmes negli occhi.
Il dottore, al suo fianco ma ancor a qualche passo distante da lui, lasciò passare qualche istante in silenzio. Gli sembrò saggio che Dean ragionasse da solo su quanto aveva appena detto, prima di avvicinarsi e proseguire con la conversazione.

“Ora, saresti così gentile da spiegare tu a me il perché ho dovuto salvare i nostri culi da Clarisse, portandoli a congelarsi sul tetto del mio dannato studio?”

E ancora una volta, con quegli occhi di ghiaccio addosso, affilati e attenti, eppure così espressivi e interessati, Dean srotolò la lingua.
Si appoggiò alla ringhiera coi gomiti e sospirò stanco.

“Secondo lei perché sto così? Sul serio, me lo dica. Quello che dice sembra avere sempre un senso per me, lei ha questo dono. Mi dica come devo fare con Sam.”

Il dottore si accomodò nella medesima posizione del ragazzo e congiunse le mani sotto il mento.

“Posso facilmente dedurre che hai provato a parlare con tuo fratello; lo hai affrontato e probabilmente lui non l’ha presa bene.”

Bastò l’occhiataccia torva di Dean in risposta, a confermargli che aveva capito perfettamente.

“Questo ci pone di fronte ad un problema serio, Dean.”

“Un’altro?” chiese lui, e non era ironico, ma terrorizzato. “Dio, quand’è che è diventato tutto così incasinato?!”

Holmes gli mise una mano sulla spalla e lo fece voltare per affrontare il suo sguardo e tranquillizzarlo, quanto possibile.

“Da quanto so fin’ora posso affermare con una certa sicurezza che, senza coinvolgere anche tuo fratello Sam nella tua terapia, non c’è modo in cui io possa aiutarti a controllare questi impulsi.”

Dean scattò all’indietro, infastidito.

“No! No, Sam deve restarne fuori. Non posso metterlo in mezzo, non ce la farebbe.”

Evento traumatico scatenante.

Ascoltandolo, Holmes ripassava mentalmente i suoi stessi appunti, memorizzati durante la seduta precedente, aggiungendo ulteriori dati a sostegno dei suoi sospetti.

“Ma lui ti cerca, non è così? Chiede le tue attenzioni in quel senso?”

“Non ci provi, Doc!” Dean lo interruppe alzando la voce e allontanandosi con un gesto secco e oltraggiato. “Non si azzardi nemmeno a sospettare che possa essere stata colpa di Sammy se abbiamo fatto quello che abbiamo fatto! È stata colpa mia, io...-”

Il dottore mantenne il distacco imposto da Dean e gli lasciò lo spazio di cui necessitava per calmarsi per conto proprio. Rimase appoggiato alla ringhiera e continuò invece a guardarlo tranquillo mentre lui si spostava verso il portone che dava accesso al terrazzo, in attesa che riprendesse il controllo.

Iperprotettività.

“Non intendevo questo, Dean. Ma come puoi sperare di smettere di desiderarlo così, se anche lui vuole te allo stesso modo?”

Lui distolse immediatamente lo sguardo, visibilmente imbarazzato.

“Devo riuscirci e basta! Lei deve aiutarmi. Non posso più avere di queste crisi, devo... devo resistere, non possiamo continuare così, capisce?”

Dean si voltò verso di lui e poggiò la schiena alla parete accanto alla porta, una mano nervosa che si tormentava i capelli e la nuca, senza sosta.

“Questa cosa tra noi non ha futuro. Può solo andare male, un giorno se ne accorgerà e mi odierà e io... “

“Va bene, Dean, ho capito.”

Holmes gli si avvicinò cauto e si mise al suo fianco, spalla contro spalla, entrambi appoggiati la parete.

“Quello che non ti è chiaro, mentre è sin troppo evidente dal mio punto di vista, è che questa ‘cosa’, come la chiami tu, non è una malattia mentale. Non è un impulso sessuale fine a se stesso che io possa insegnarti a reprimere. Ed è reciproca.”

Dean si voltò a guardarlo, confusione e un qualcosa di molto simile alla disperata e stanca rassegnazione, marcava i lineamenti del suo giovane volto tirato. Presto, comprese di cosa il dottore stava parlando.

Amore, sentimenti, emozioni.

Holmes addolcì ulteriormente il tono e continuò riflessivo.

“La sfera sentimentale non si domina con la psicologia applicata. I sentimenti sono intimi, sono personali. Le emozioni sono... indipendenti dalla volontà di un essere umano.”

“Lo so anche io questo. Mi accontento che lei faccia sparire l’impulso sessuale fine a se stesso.”

“E che mi dici degli impulsi di Sam?”

Chiese secco, occhi nei suoi, dritto al punto.
Dean pareva essere stato colpito da un meteorite infuocato, tanto le sue iridi si spalancarono per la sorpresa.



Gli impulsi di Sam...

Holmes non poteva sapere della notte che Dean e Sam avevano passato insieme solo qualche giorno prima, dopo essersi parlati nel parco. E non poteva sapere della mattina successiva, quando avevano quasi fatto l’amore, appena svegli, interrotti per puro e semplice caso, da John e Bobby che avevano deciso di rientrare proprio quel giorno.
Non poteva sapere come si era sentito Dean, quando aveva avuto Sam tra le braccia, nudo e a cavalcioni del suo bacino, pronto a darsi a lui, a dargli ogni cosa volesse; illuminati dal biancore pallido della neve che penetrava da fuori le ampie finestre.
Non poteva in nessun modo immaginare il dolore fisico che aveva provato dentro di sé, ed insieme il sollievo per non aver commesso quell’ultimo, folle errore, quando aveva guardato Sam correre via per tornare a chiudersi nella sua stanza.

Holmes non poteva sapere tutto questo, eppure osservando Dean e lo stupore manifestato a quel semplice quesito, capì perfettamente che qualcosa tra loro era accaduto di nuovo, che Dean aveva ceduto ancora una volta ai suoi desideri e che era arrivato nel suo studio sconvolto, quella sera, poiché consapevole che trattenersi da soli era un conto, ma farlo di fronte all’iniziativa del fratello, erano tutto un altro paio di maniche.

Dopo lunghi attimi d’attesa, Dean sembrò riprendersi e le sue mani smisero di tremare quando le strinse forte a pugno.

“Io... io non lo so. Cristo, non so un cazzo, pensavo solo che lei... che se c’era qualcuno che poteva tirarmene fuori, quello era lei. Sono un fottuto idiota!”

Colpì il muro con il tallone e si raddrizzò, allontanandosi e facendo qualche passo in giro, per calmarsi.
Holmes lo seguiva con lo sguardo e si stringeva nel suo cappotto elegante. Iniziava a sentire freddo anche lui, solitamente indifferente alle basse temperature.




Devo capire. Agire.

“La tua valutazione per la libertà sulla parola è quasi terminata, Dean.”

Quest’ultimo sgranò gli occhi, in risposta. Il panico che gli allargava velocemente le pupille.

“Cosa?”

Sibilò, incredulo.

“I dubbi sulla tua aggressività sono ormai chiariti e posso affermare con assoluta certezza che tu non sia un pericolo gli altri. Sono meno certo che tu non sia pericoloso per te stesso, ma non ho motivo di continuare con la tua valutazione. Il nostro prossimo incontro sarà probabilmente l’ultimo.”

Dean gli arrivò di fronte, sgomento, arrabbiato, spaventato.

“No! Doc se lei firma quei documenti noi ce ne andremo il giorno stesso! Mio padre non...”

“Toccherà di nuovo a te decidere: continuare a venire da me e affrontare il problema con tuo fratello, o andartene e affrontarlo da solo.”

Dean si prese la testa tra le mani e si addossò al muro con tutto il corpo.

“Cazzo... Cazzo!”

Paura di deludere il padre.



“Dean...” Holmes lo chiamò con voce ferma, per indurlo ad ascoltarlo con attenzione. “Durante il nostro precedente colloquio mi hai confidato che le cose, tra te e tuo fratello, sono cambiate da quando siete a Baltimore. Posso presumere con facilità che sia stato un episodio in qualche modo traumatico a spingervi oltre i confini fraterni. Mi sbaglio?”
Nessuna risposta.

Occhi sgranati, fiato trattenuto, di nuovo tremore alle mani; deduzione corretta.

“A cosa le serve saperlo? Tanto mi sta mollando, giusto?”

Chiese infine, esitante, sostenuto.

“Non è esatto; capire quello che vi è successo è fondamentale se vuoi che io ti aiuti. Diamo un senso a questi pochi incontri, se me lo permetti. Mi è chiaro che non puoi evidentemente parlamene nei dettagli, ma puoi confermare o negare i miei sospetti. Vuoi farlo?”

Dean annuì debolmente, ancora visibilmente scosso dalla notizia dell’imminente fine della sua valutazione.

“Credo di si.”

“Cerca di seguire il mio ragionamento: è provato che in particolari situazioni di pericolo e di forte stress, per prolungati periodi di tempo, possano indurre un’estremizzazione di sentimenti ed impulsi latenti; è questo che è successo?

“Si.”

“Va bene. Questo non toglie che essi fossero già presenti, mi capisci? L’attrazione sessuale tra te e Sam non è spuntata dal nulla, Dean. Riesci a dirmi a quando risale? Riesci a collocarla nel tempo?”

Il dottore sperò di non essersi spinto troppo oltre, di non aver infilato le dita in una intimità ancora acerba e confusa, potenzialmente catastrofica per l’equilibrio emotivo di un ragazzo così giovane alle prese con esperienze sessuali così estreme e complesse; sperò che Dean fosse pronto ad affrontare la verità, che fosse pronto ad ammettere a sé stesso un qualcosa che avrebbe potuto benissimo sconvolgerlo più del previsto.

“C’è sempre stata, Doc...”

In risposta ai suoi dubbi, Dean lo sorprese per l’ennesima volta.




Si ritrovarono a guardarsi negli occhi, e il dottore riconobbe il momento: su quel terrazzo non erano più medico e paziente, erano solo due persone unite nella condivisione della dolorosa ascesa di ricordi ed emozioni che per lungo tempo erano state spinte e zittite in un angolo con la forza.
E anche i ricordi di Holmes, come spesso accadeva in presenza di Dean, trovarono di nuovo la strada per raggiungerlo, sulla scia dei brividi di quel gelido febbraio, tanto simile ad un inverno lontano molti anni, che si era portato via qualcosa di importante.

Dean riprese a parlare con voce malferma, mentre gli occhi del dottore si allargavano di sorpresa ed emozione, nel riconoscersi profondamente coinvolto dalla storia di questo ragazzo.

“Forse né io né Sam lo abbiamo mai capito o abbiamo mai voluto vederlo, fino a quando è successo quello che è successo. Ma quella tensione, quel ‘qualcosa’ era lì da qualche parte; nel modo in cui mi accorgevo che non era più un bambino; nel modo in cui non sopportavo come questo lo avrebbe allontanato da me; nel modo in cui sentivo di volerlo per me in tutti i modi in cui potevo averlo; nel modo in cui mi guardava quando capiva che ero stato con una ragazza; nel modo in cui avevo paura e insieme mi eccitava la sua gelosia; nel modo in cui... lo guardavo io, quando non credevo mi vedesse.”

Dean si lasciò andare, subendo la forza dei sentimenti che quei ricordi suscitavano in lui, curvò le spalle e, scivolando piano a terra, si sedette portandosi le ginocchia al petto e prendendosi la testa tra le mani, forse per proteggersi e allo stesso tempo nascondersi da quanto stava rivelando al dottore.
Holmes lo imitò sedendosi a sua volta e poggiò la mano gelida sulla sua spalla, gli occhi su di lui, il dispiacere ben visibile nel suo sguardo preoccupato.

Se Dean a stento tratteneva le lacrime, Holmes era ben oltre la soglia del normale coinvolgimento emotivo per un paziente. Per lui provava empatia; pura, semplice e pericolosa. Lo sapeva, ne era consapevole forse dal primo giorno. Ma doveva aiutarlo e se per farlo avesse dovuto esporsi, allora si sarebbe esposto.

Rimase accanto a lui, osservando il graduale ma inesorabile sgretolamento delle sue speranze di sistemare la situazione, le spalle rigide, le labbra contratte in una smorfia dolorosa, gli occhi coperti dai pugni in cui aveva stretto le mani. E prese la sua decisione: si lasciò travolgere dai propri ricordi e scelse di condividerli.




“Avevo un fratello anche io, sai?”

Ottenne quantomeno l’immediata attenzione di Dean, che si riscosse e lo guardò confuso, imbarazzato eppure curioso.

“Ovvio che non lo sai.” Gli sorrise e continuò, prima che lui potesse soffermarsi su quel ‘avevo’ che già diceva tutto. Spostò lo sguardo di fronte a sé; si stava facendo buio, il cielo era sempre più scuro e l’orizzonte ormai invisibile, inghiottito da grossi ammassi di nuvoloni bianchi. “Un fratello maggiore, come te. Una vera spina nel culo!”

Risero entrambi, senza guardarsi.

“Non abbiamo mai avuto un gran rapporto, siamo sempre stati piuttosto freddi. Ma lui aveva questa ossessione che doveva proteggermi, tenermi d’occhio.”
Holmes si voltò verso di lui prima di continuare.

“Tu me lo ricordi molto in questo… gli somigli, Dean.”

Disse piano, ora con la piena attenzione del suo paziente.

“Comunque, io non lo sopportavo! Perché interpretavo la cosa come una fastidiosa e costante manifestazione della sua sfiducia nei miei confronti e nelle mie capacità. Odiavo il suo trattarmi come fossi un bambino incapace e fragile. E posso dire in tutta onestà di aver passato gran parte della mia giovinezza a scappare da lui, a tenerlo lontano...”

“E poi che è successo?”

Chiese Dean, sinceramente interessato al racconto così personale che il dottore aveva deciso di condividere.
Holmes lo guardò serafico, ancora quel sorriso che addolciva i suoi lineamenti altrimenti duri, prima di spostare nuovamente lo sguardo altrove.

“Si è ammalato gravemente e qualche anno fa è venuto a mancare.”

“Oh ca- mi dispiace, i-io...”

“Buon Dio, non ti starai per scusare? Di cosa dovresti sentirti in colpa, Dean? Ho scelto io di parlartene.”

“Ma lei, cioè voi due... vi siete visti prima che lui...”

“Si. Quando mio fratello si ammalò, volle che io e solo io mi occupassi della sua salute. Oh, ero arrabbiato, ero furioso con lui e con me stesso. E mi detestavo, mi sentivo un mostro perché stava morendo e io non riuscivo comunque a smettere di avercela a morte con lui. Ero così giovane... non fui per niente una presenza confortante nei suoi ultimi mesi di vita. Non capivo, dopo gli anni di indifferenza e silenzio, perché volesse me al suo fianco. Ma lui non sentì ragioni, non voleva nessun altro. E io rimasi fino alla fine. Solo allora capii, ma non c’era più tempo... capisci cosa voglio dirti?”

“Io non... non ne sono sicuro, Doc.”

“Era il suo modo di amarmi, Dean. Tenermi sotto controllo era una cosa che mi faceva stare male, ma era l’unico modo che lui aveva per dimostrare il suo interesse. Era una persona schiva, poco incline al contatto fisico, ai gesti d’affetto. L’ossessivo proteggermi era il suo modo di dirmi che mi voleva bene e io lo capii quando era tardi. Sarebbe bastato affrontarlo, parlare con lui apertamente, io invece non compresi, finché non mi costrinse a rimanere con lui, solo allora avemmo la possibilità di confrontarci ed essere sinceri l’uno con l’altro.”

“Mi dispiace...”

“Il senso di colpa va superato, Dean. E allora ti si aprirà un mondo davanti. Prima che morisse, ricordo di avergli dato un bacio sulla fronte. Il solo e unico contatto che mai abbiamo avuto; pensai mi rifiutasse invece si strinse a me e tenne la mia mano tra le sue. E io sentii... che era tutto a posto, che era tutto passato. Provai un ondata di benessere e conforto tali da sconvolgermi.”

“B-benessere?”

“Si. Perché ho passato anni a fuggire da mio fratello e lui a cercare di prendermi e alla fine cosa c’era rimasto? Alla fine, tutto quello che restava eravamo noi due insieme. Alla fine era solo una questione di dialogo e di perdono.”
Holmes sospirò e tornò a guardarlo con coraggio negli occhi.

“Non importa quanti errori commetterai con Sam, o quanti ne hai già commessi, lo capisci? Non avranno importanza finché ti ricorderai che è tuo fratello e che tutto ciò che vuoi è il suo bene, come sono certo che lui voglia il tuo.”

Per voi non è tardi, Dean.

“Come può non avere importanza quello che ho fatto? Doc, io non capisco... dovremmo continuare a fare quello che facciamo? Cosa vuole dirmi?”

“No. Voglio che tu capisca che non è lo stare assieme il problema, che non devi allontanare Sam da te per risolvere la vostra situazione. Anzi, devi affrontarlo e fargli capire quello che per te è già chiaro: non potete continuare con questo tipo di relazione, semplicemente perché farà del male ad entrambi.”

Fece una lunga pausa, mentre osservava Dean comprendere lentamente le sue parole, e incurvarsi sotto il peso del loro significato.

“Per questo, poco prima, ti dicevo che senza di lui, senza il suo coinvolgimento, tutto questo è inutile.”

Per voi non è tardi.

Un'altra pausa e il dottor Holmes seppe di aver spinto oltre la sopportazione di un ragazzo tanto giovane e confuso, ma il tempo (nel loro caso specifico) non aiutava ed erano arrivati ad un punto centrale per la comprensione di quanto sarebbe avvenuto di lì all’immediato futuro.

“Tu sei molto simile a mio fratello, è vero, ma io non sono Sam! Io l’ho allontanato per paura di confrontarmi con lui e con le mie stesse insicurezze, delle quali lo colpevolizzavo; Sam, al contrario, cerca in te quelle sicurezze che probabilmente gli mancano; sei tutto ciò che conta per lui. Entrambi estremizzate la vostra codipendenza fino al desiderio sessuale, tramite il quale avvertite un forte senso di appartenenza e unione indissolubile. Come il nostro era forse un modo distorto di amarsi tenendosi a distanza, così anche quello che c'è tra te e Sam è semplicemente un modo distorto di amarvi, tenendovi legati in ogni forma possibile.”

Lo sguardo di nuovo basso e gli occhi lucidi, l’intera figura di Dean aveva preso a tremare nello sforzo di controllarsi e non scoppiare a piangere per la violenza con cui aveva compreso quale fosse la verità, cruda e assoluta.

“Non esiste una soluzione indolore, Dean, non per questo genere di sentimenti. Esiste la possibilità di scegliere il male minore: tu e Sam dovrete trovare un equilibrio vostro e dar fondo a quanta più forza di volontà possediate, per riportare il vostro rapporto nei confini fraterni, senza distruggerlo completamente. Ma restando assieme, decidendo assieme! Solo così sarà possibile ricostruire qualcosa di solido e duraturo, dalle macerie di ciò che avete adesso.”

A un passo dal crollo, il ragazzo singhiozzò un “Non ci riuscirò mai” in cui era contenuto un dolore tanto feroce e bruciante, che persino la voce solitamente ferma di Holmes, si incrinò nel comprendere il carico di sofferenza cui si accompagnavano quelle parole.

“Non può finire la mia valutazione, Doc. Non adesso..:”

“Abbi fiducia in Sam! Non aver paura di ferirlo, di perderlo, perché tuo fratello è probabilmente più forte di quanto tu pensi. Perché alla fine di tutto, restate voi due, vi resta quell’amore. Dovete solo capire che non serve sconfinare oltre certi limiti per legarsi l’un l’altro, perché siete già legati, lo sarete sempre.”





Dean pianse. La testa abbandonata alla sua spalla e la mano di Holmes ferma e rassicurante, tra i corti capelli biondo scuro; un pianto silenzioso, un fiume di parole mute liberate dentro lacrime salate.

Fu la prima e l’unica volta che lo fece in sua presenza, e il dottor Holmes si ritenne in qualche modo privilegiato per aver avuto l’opportunità di assisterlo e confortarlo durante la dolorosa e lenta apertura di una ferità che avrebbe sanguinato per sempre.






Valutazione sommaria terza seduta: comportamenti normo-aggressivi controllabili autonomamente dal paziente, indotti principalmente da una situazione di forte stress emotivo; non necessita ulteriori interventi di riabilitazione. Relazione incestuosa e problematiche relative in corso di analisi.







Quando, ormai in tarda serata e con buona parte delle articolazioni congelate, Holmes salutò Dean dopo aver fissato l’incontro della settimana successiva (l’ultimo), si ritrovò a sprofondare nella sua poltrona, estremamente stanco e spossato, ma soddisfatto per la piega che sembravano aver preso gli eventi, ormai avviati nella giusta direzione: quella del dialogo sincero e costruttivo.

Nonostante le autorità gli avessero reso impossibile proseguire il suo lavoro con Dean più a lungo, come avrebbe voluto e sarebbe forse stato necessario, era fiducioso che il ragazzo avrebbe attinto al coraggio necessario per affrontare la situazione senza scappare dalla città con suo padre, appena riottenuta la facoltà di farlo.

Ma come per John Winchester, anche per William Holmes esistevano cose che non si potevano in nessun modo controllare: gli imprevisti. E la straordinaria capacità degli eventi di cambiare direzione ad una velocità tale da schiantare tutti al suolo, seppelliti sotto un cumulo di confusione e paura, principali artefici e responsabili di quelle che un uomo, nel tempo, avrebbe potuto identificare come le peggiori decisioni di una vita intera.


 




Febbraio 1999, Abitazione del Dottor William Holmes, Zona Residenziale est di Baltimore – Maryland
Una settimana dopo



Era forse l’una di notte, quando il telefono di Holmes prese a squillare con insistenza. La testa del dottore sbucò a fatica fuori dalla coltre di coperte di lana sotto cui dormiva beatamente; non aveva mai sentito tanto freddo in vita sua come quell’anno, da ché aveva memoria.
Il fastidioso squillo del telefono continuò incessante e lo costrinse infine ad imprecare e scivolare fuori dal letto per andare a rispondere al dannato apparecchio, trascinandosi addosso una delle coperte.

“Pronto?”

Rispose con voce arrochita da un sonno che faticava a scrollarsi di dosso.

“Il dottor William Holmes?”

Al suono di una voce sconosciuta e incerta, che riconobbe immediatamente appartenere ad un ragazzo molto giovane e al momento particolarmente scosso, sentì un brivido famigliare correre lungo la spina dorsale, non appena la sua mente iniziò formulare mille ipotesi su chi potesse essere.

“Si, sono io... chi parla?”

“Mi chiamo Sam Winchester.”

Un istante solo, e il sonno sparì in un boato di assordante preoccupazione, il brivido divenne rigida consapevolezza e le varie ipotesi formulate, un’unica, gigantesca ed estremamente problematica certezza.

“Cos’è successo, Sam?”

“Siamo in Centrale, signore. Dean è stato arrestato.”





Continua...
 












Nda: SCUSATEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
   
 
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