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Autore: fuoritema    21/06/2014    3 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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Banner stupenderrimo fatto da ThanatoseHypnos, che ringrazio molto <3

 

(IX)
Nulla avrebbe potuto essere più logico.
 
 


Ridevano.
Amethyst chiuse nuovamente gli occhi, accecata dalla luce della torcia che le stavano puntando contro. Stava tremando, ma cercò di farsi forza e guardare i suoi aguzzini per capire chi fossero. Chi era ancora vivo, nell’Arena? Il maschio del nove, quello del sei e anche quello del dieci. La piccola del sette. I Favoriti. Rabbrividì inconsciamente all’ultima ipotesi, costringendosi ad aprire gli occhi.
«Toh… Lo scricciolo s’è deciso a smettere di tremare e guardare in faccia i cacciatori!» esclamò una ragazza dai capelli biondi, giocherellando con un coltello. Lo lanciava e lo riprendeva, passandoselo tra le mani con abilità. Amethyst la guardò negli occhi, ormai conscia che il suo peggiore incubo era reale.
«Certo che le tue trappole funzionano bene, Hurry!» aggiunse, pronunciando quel soprannome con un’espressione divertita. Aveva gli occhi freddi come il ghiaccio circostante e i capelli biondi, spruzzati di neve alle estremità.
«Certe volte servono» sbottò l’unico ad avere i capelli blu in quell’edizione e gli altri Favoriti accolsero la sua risposta con un’esclamazione di felicità. Amethyst li osservò uno per uno, rabbrividendo leggermente.
«Non possiamo continuare a giocare così.»
La bionda si girò di scatto verso il giovane che aveva pronunciato quelle parole. Il suo sorriso si spense in un attimo. «Dai Golia! È divertentissimo» disse, indicando la rete con un ghigno.
«E’ da coglioni. Non ha senso. Al massimo dovresti capire che quella è una bambina, e non un Tributo degno della nostra attenzione» sussurrò quello, con una smorfia di disprezzo. Che gusto c’era ad uccidere una bambina? A giocarci come con un topolino in una trappola? Ricordava di averlo fatto, una volta: aveva osservato un gatto randagio giocare con uno di quei piccoli, insulsi animaletti. Aveva visto il felino acquattarsi e lasciarlo scappare, per poi riprenderlo in un attimo e lanciarlo per aria. Erano furbi, i gatti, ma non uccidevano con stile. Volevano solo far diventare la paura delle vittime più grande, in modo penoso.
Golia guardò la piccola del dodici negli occhi, ridendo del suo tentativo di guardarlo male.
«Dovremmo farla finita» disse in un soffio e avvicinò la sua faccia a quella della preda. «Decidete voi, io me ne vado a cacciare qualche Tributo degno della mia attenzione» esclamò, calcando la voce sull’aggettivo possessivo, poi se ne andò e i suoi passi divennero sempre più lontani, fino a sparire del tutto.
Sentì uno sparo di cannone, quando ormai era troppo lontano per sentire le urla di ‘dodici’, poi più nulla.
 

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L’aria era gelida, laggiù, gelida e viziata.
Maple era seduta per terra, con la testa poggiata tra le gambe. Non le era mai piaciuto stare in posti chiusi. Si sentiva la testa girare e non riusciva a ragionare per bene. Non ne aveva paura, ma non riusciva a smettere di pensare che magari, quelle pareti, sarebbero crollate schiacciandola. Ricordava che non era sempre stato così, che non aveva sempre avuto quella sensazione di precarietà. Al suo distretto, lei e Thor eludevano spesso la sorveglianza dei Pacificatori, passando sotto la recinzione che ormai non era più elettrificata. Bastava tendere l’orecchio, per vedere se era accesa oppure no, e regolarsi di conseguenza.
Quel giorno erano andati oltre i confini che si erano posti, oltrepassando perfino la vecchia fonte, con l’intenzione di cercare qualche animale a cui dare la caccia. Thor aveva dei coltelli, nella borsa, regalo del loro padre, mentre sua sorella portava una fionda legata con dello spago ai pantaloni. Gliel’aveva insegnato lui ad usarla, tanto tempo prima.
Maple ricordava di aver sentito dei rumori provenire dalla strada, e che suo fratello l’aveva trascinata via, nascondendosi dietro ad un cespuglio. Era una macchina, da dove stavano uscendo degli uomini vestiti in bianco. La piccola stava per urlare ma suo fratello le aveva messo una mano davanti alla bocca. Si erano guardati attorno, come animali in trappola, per poi correre verso una grotta nelle vicinanze. Lì il rumore dei loro passi rimbombava tra le pareti, delle gocce d’acqua cadevano dal soffitto. Era stata la prima volta che la piccola si era accorta di non riuscire a stare lì dentro. Ad un certo punto erano caduti dei massi davanti all’entrata, bloccandoli all’interno. Maple non ricordava come avessero fatto a uscire, ma quella sensazione di paura non l’aveva più lasciata.
Se solo ci fosse stato Thor a stringerla tra le braccia, sussurrandole parole dolci tra i capelli! Ma lui era morto, ucciso dal ragazzo del due.
La piccola soffocò un singhiozzo, inghiottendolo come bile. Era poca la luce che riusciva ad entrare nella grotta, veniva filtrata dal soffitto, e proveniva da alcuni buchi nel ghiaccio. Si guardò intorno, socchiudendo gli occhi verdi. Le pareti non riflettevano la luce, sembrava anzi che fossero attraversate dai raggi. Maple si alzò con le gambe che tremavano, andando ad appoggiarsi contro una delle lastre di ghiaccio. Vi si specchiò: si sentiva un mostro pur non avendo ancora ucciso nessuno. La voglia di vendetta la stava logorando lentamente, dall’interno.
Dopo pochi secondi il riverbero cambiò, non riflettendola più. Maple fece un passo all’indietro, sconvolta, poi sorrise. Vi si avvicinò nuovamente e appoggiò l’orecchio contro la superficie ghiacciata. Ticchettò con le dita sulla lastra. Non faceva rumore, non faceva alcun rumore. La ragazzina ci provò nuovamente, e nuovamente non sentì nulla, se non il battere dei suoi denti. Sorrise.
«Ogni sistema ha i suoi punti deboli. Vedete di coglierli e sfruttarli a vostro vantaggio» aveva detto Blight, il suo Mentore. Poi se n’era andato nella sua camera, lasciandola a riflettere da sola.
 

Le luci la stavano accecando.
Maple sbatté gli occhi, stringendo con più forza il bracciolo della sua sedia, che aveva sostituito la mano di suo fratello Thor.
«Ma quanto sei bella, stasera!»
La piccola alzò lo sguardo, osservando la faccia del buffo presentatore degli Hunger Games. Aveva cambiato il colore dei capelli e quello dei vestiti, per l’ennesima volta. L’anno prima era un verde menta, mentre quello era una tonalità più vicina al viola lavanda. A Maple piacevano i fiori di lavanda, il loro profumo soprattutto, ma decise di stringere le labbra, senza lasciarsi scappare una sola parola.
«Su, su – l’uomo le carezzò leggermente la mano, prima di continuare – Un po’ nervosette, stasera. Dico bene?»
Il pubblico applaudì come risposta, esultando per l’ennesima bambina da mandare al macello.
Maple continuò a far dondolare i piedi giù dalla sedia, rifiutandosi di aprire bocca. I capelli castani le ricadevano sugli occhi, intrecciati in diverse treccioline, legate con dei nastri verdi.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Scosse la testa, poi guardò verso i suoi preparatori, che la stavano incenerendo con lo sguardo.
«Caesar, tu m’imbarazzi. Davvero!» esclamò, dopo aver fatto un bel respiro, per prepararsi a fingere. «E’ tutto merito loro!» la bambina indicò i suoi preparatori con un sorriso, questa volta vero. Augustin la guardò di rimando, ammiccando leggermente. Era giovane, un novellino in quell’ambiente, ma era veramente portato a far sentire meglio i suoi Tributi.
«Vedo che vi volete bene, voi due» sorrise Caesar, osservando il giovane scomparire tra le truccatrici.
«E’ molto gentile, e poi è l’unico a non volermi uccidere… Lui non mi tortura con quella cera» ammise la piccola, dondolandosi sulla sedia. «Dice che canto bene.»
«Sai cantare?»
Maple aveva stretto le labbra, come una bambina che non vuole rivelare un segreto, scuotendo forte la testa. Non le andava di cantare. Non lì. Non in quel momento. Non per quella gente, se proprio poteva chiamarla così. Posò lo sguardo sul pubblico, cercando di sorridere. Swed le aveva detto che doveva comportarsi da bambina imbarazzata, perché solo così gli Sponsor la avrebbero aiutata durante i Giochi. Aveva detto anche un’altra cosa, ma Maple non riusciva a ricordarla, persa nelle mille informazioni che aveva cercato di assimilare.
«Non essere timida. Parlaci della tua famiglia. Vi ricordo, gentili signori, che Thor è suo fratello.» Caesar le aveva sorriso complice, guadagnandosi un applauso di assenso da parte del pubblico.
«Beh… Che posso dire. Eravamo in quattro. Mia madre, mio padre, Thor ed io. Stavamo molto bene insieme.» La bambina costrinse le lacrime, che le pizzicavano i lati degli occhi, a non uscire. Persino il più piccolo ricordo di casa le faceva quell’effetto, la rattristava immensamente.
«Aspettate un attimo. Se non ricordo male, ci fu una finalista di cognome Bark, anni fa. Ero appena diventato presentatore.»
Maple annuì distrattamente. «Mia zia» rispose in un soffio, «mamma dice che le assomiglio tanto e che dovrei vincere per lei. La vecchia Liz dice che sono la sua reincarnazione.»
La ragazzina guardò per terra, osservando i suoi piedi tracciare dei cerchi sul pavimento lucido del palco. Non era esattamente così: anche sua madre ne era convinta, che doveva vincere. Lei era destinata a partecipare agli Hunger Games. Suo padre gliel’aveva detto un giorno, tra i capelli, dopo essere tornato da lavoro. Era successa una cosa brutta, per colpa sua. Maple ne era certa. Non sapeva, però, cosa.
«E’ buffo. Due giovani donne della stessa famiglia. Molto simili» esclamò Caesar, mentre il pubblico applaudiva estasiato.
«Già.»
Non mentire.
Maple aveva stretto gli occhi e, riducendoli quasi a due fessure, aveva inficcato le unghie nella poltrona di cuoio per non dire altro. Quel giorno suo padre l’aveva chiamata principessa. Aveva fatto una cosa molto brutta, molto sbagliata, ma non era stato lui a pagare. La sua estrazione era colpa sua, la decisione di Thor di offrirsi volontario era merito suo.
«Maple. C’è qualcos’altro che vuoi dirci?»
La ragazzina scosse la testa, cercando di continuare a sorridere mentre Caesar la guardava con fare incoraggiante. Il segnale acustico scattò prima che l’uomo potesse dire o fare qualcosa.
«Ah… Non mi chiamo Maple. Sono Mape, per gli amici.»
E quella era l’ultima bugia che aveva dovuto dire, prima di andare veramente in scena, perché quelli erano solo i preliminari: i Giochi sarebbero cominciati più tardi.
 
 
 
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Dall’alto la forma dell’Arena era più chiara: si riuscivano perfino a vedere i cerchi concentrici in cui era divisa l’Arena, ognuno delimitato da almeno un paio di grotte, gli alberi che si irradiavano dalla Cornucopia fino alla fine del campo di forza.
India sospirò, sporgendo il viso verso nord, dove supponeva non ci fosse più nessuno. Non vedeva altri Tributi da un giorno, ormai, e quella non era una buona notizia. Aveva fatto due più due, arrivando alla conclusione che qualcosa li stava riunendo, per combattersi. Aveva visto un’edizione in cui i ragazzi erano stati costretti a uccidersi l’un l’altro, mentre un campo di forza li teneva ancorati nella stessa radura. Era stata un’edizione disastrosa, o almeno così ricordava.
La ragazza dell’undici scosse la testa, ormai appesantita dal sonno. Il freddo non l’aiutava per niente: ogni secondo poteva esserle fatale, perché addormentarsi in quel momento sarebbe stato come decretare la propria fine. Troppo gelo uguale morte imminente.
Non era piacevole lasciarsi trasportare da quei pensieri, ma la giovane sapeva di dover tenere in moto il cervello. Gli ingranaggi dovevano muoversi e aiutarla a trovare una soluzione all’enigma dell’Arena. Ormai poteva dire di conoscere bene quell’ambiente. L’incontro ravvicinato con il Minotauro l’aveva aiutata a ragionare, a capire come fossero effettivamente disposte le gallerie. “L’Arena sotterranea”, l’aveva soprannominata, osservando il lento ghiacciarsi del lago sotto di sé. Il freddo aumentava e diminuiva a sprazzi, evidentemente per mano degli Strateghi, e portava dei grandi cambiamenti a tutto ciò che la circondava.
“L’inverno sta diventando più rigido” pensò, seguendo con la mano i solchi nella corteccia. Arrivava alla fine del ramo e ricominciava, senza mai fermarsi: la aiutava a non congelare. Chiuse gli occhi per un secondo, visualizzando l’Arena davanti a sé: le strade innevate che si riunivano in un punto centrale, il lago sempre più solido, il freddo che stava aumentando senza sosta. Sorrise leggermente.
Nulla avrebbe potuto essere più logico.
 

 
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«Dove cazzo è finito Hazard?»
«Non ne ho idea, ma, come puoi vedere, non è qui.» Sigma allargò le braccia in un gesto di scherno, sorridendo al ragazzo a cui si era rivolta. «Si starà slinguazzando con la sua amichetta» aggiunse, cercando in Hurricane uno sguardo d’intesa. Non trovandolo, si mise a tormentarsi le pellicine della mano destra, evidentemente seccata ed annoiata.
«Probabile - sbottò Golia e, con grande calma, si andò ad appoggiare ad un albero - ma la cosa non ci riguarda.»
«Certo che ci riguarda, idiota.»
«Che hai detto?»
«Idiota» rispose la sua compagna di distretto, staccando bene le lettere l’una dall’altra. Intanto Hurricane continuava a guardarli, ben contento di non essere chiamato in causa: si uccidessero da soli, gli avrebbero fatto solo un piacere. Non amava le discussioni e gli sguardi che si stavano lanciando i suoi alleati – sorrise – non promettevano nulla di buono. Meglio per lui, veramente meglio per lui. Meno persone da ammazzare, più probabilità di vittoria. Si mise a contare i Tributi mancanti mentre si puliva le mani dal sangue della bambina del dodici.
I miei colleghi, la piccola del sette, sei e dieci, la puttanella dell’undici, il demone e Frost.
Sorrise inconsciamente all’ultima aggiunta alla lista, pensando che quella ragazzina aveva fatto una buona scelta a decidere di scappare. L’avrebbero uccisa di sicuro, in caso contrario, e lui non l’avrebbe mai fatto. Mai ammazzare bambini. Aveva cercato fin da subito di preservare quella marmocchia dall’orrore dell’Arena, eppure aveva fallito miseramente. Sperava solo che si fosse alleata con qualcuno di intelligente e che non si facesse vedere da loro.
«Il bovaro. Sta dall’altro lato del lago, con il biondino.» Hurricane si girò di scatto, incontrando gli occhi glaciali di Alysha.
«Il coniglio, vorresti forse dire? Se ne scapperà appena faremo un passo. Certo al cento per cento. Mi ha fuggito durante tutto l’Addestramento – disse Golia, scrocchiandosi rumorosamente le nocche – Dov’è il tuo amico?»
La ragazza fece uno strano sorriso e prese ad intonare una delle sue solite canzoni sugli Hunger Games, evitando di rispondere alla domanda. Tra gli occhi le passò il suo solito lampo maligno.
Sigma scrollò le spalle e, caricandosi lo zaino sulla schiena insieme alla sua amata falce, fece un passo verso la foresta.
«Acqua» sbuffò la bionda, poi si passò la lingua sulle labbra.
«Che?»
«Acqua, acquazzone…»
La femmina dell’uno maledisse mentalmente la sua alleata, chiedendosi il significato della sua risposta. «Non fare la cogliona, due.» E Hurricane pregò che la sua compagna di distretto stesse zitta.
«Acqua» ribatté Alysha con più forza, poi, vedendo che Golia stava venendo verso di lei, esclamò felice: «fuochino.»
«Cosa cazzo va blaterando?»
«Il gioco!» rispose Hurricane con uno scatto e oltrepassò Alysha. «Acqua è lontano, fuoco è vicino… Dobbiamo andare di là» spiegò ai suoi alleati, mentre Sigma sbuffava contrariata. Gli fece cenno di seguirlo verso il lago, sorridendo di quel lampo di genio. Si fermò poco dopo per riprendere fiato.
«Toh… Guarda: i due coglioni.» esclamò Golia ad alta voce ed indicò le figure che si stavano muovendo nell’ombra, appena dietro agli alberi.
«Prima, però, osserverei quello.» Sigma gli guidò lo sguardo verso destra, fino a fargli notare il corpo di Hazard, trafitto da una freccia. E i Favoriti si girarono verso la bionda, notando il sorriso che le aveva piegato le sue labbra rosee.
 
 


 Angolino dell’Autrice:
 
Questa volta sono più che di fretta, anche perché quel cretino del mio computer ha annullato le modifiche fatte al capitolo per ben quattro volte e, l’ultima, ero talmente arrabbiata che mi meraviglio di non averlo spaccato in due .-. Non posso scrivere più di tanto ma ci tengo ad informarvi che fino all’uno Luglio starò in Grecia e non potrò portarmi il computer, ergo… Aggiornerò solo allo scadere(?) del viaggio con mio padre. Mi scuso per l’inconveniente, davvero. Mi chiedo anche perché l’ispirazione mi venga sempre nei momenti meno opportuni, tutto qui.
Faccio il punto della situazione per quanto riguarda i Tributi. Come si è notato nello scorso capitolo, delle alleanze si sono formate e dureranno finché la mia mente malata non deciderà di farle finire, quindi tenetele a mente. Le condizioni dell’Arena sono fin troppo stabili, come giustamente ha notato India. E sì, nelle pareti è nascosto qualcosa. Hazard credo si sia capito da chi è stato ucciso, e sono tanto contenta di questo fatto perché l’ha deciso mio cugino quando, a Febbraio, ho iniziato a strutturare la long. Ora vi lascio una lista dei morti, per soddisfare il mio sadismo.
 
MORTI tanto per far cominciare le scommesse su chi vincerà
 
D1: Nessuno.
D2: Nicht.
D3: Entrambi.
D4: Hazard.
D5: Tutti e due.
D6: Solo la femmina.
D7: Thor.
D8: Entrambi.
D9: Solo la ragazza.
D10: Solo la giovine(?)
D11: Colin.
D12: Ora entrambi.
 
Talking Cricket *saluta con la manina*
PS: Tornerò il più presto possibile. Lo giuro, lo giuro. Io credo nelle fate (film errato)


 
 
  
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