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Autore: Lauretta Koizumi Reid    21/06/2014    2 recensioni
C’è qualcosa che mi fa impazzire più del freddo. Più dei topi o dell’oscurità, più delle urla e dei pianti di Peeta, delle botte e delle domande delle guardie e dei carcerieri. Ed è una semplice domanda: perché sono viva? Perché non mi uccidono e basta? Non servo a nessuno, sanno che non collaborerò, non hanno nulla per farmi davvero del male. Sono un fantoccio rotto e inutile in una cella. Ma forse è questa la mia punizione... la vita. Nonostante tutto.
Johanna Mason, Distretto 7. Prigioniera di Capitol City per un tempo che ella non può contare. In un luogo terrificante. Che forse, però, si può immaginare.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le mie urla sovrastano persino il ronzio di quella stupida macchinetta vicino al mio orecchio.
Anche l’altra metà della mia testa oggi è stata torturata a morte.

- Parla, Johanna! Parla e noi ti libereremo! - urla uno di loro.
- Credete davvero che me la beva così? - grido, e sono le prime parole in assoluto che mi sentono dire.
- E per quale ragione mai dovremmo ucciderti, bambola? Tu sei molto preziosa. Perché il biondino potrà anche non sapere nulla, ma tu... come faresti a essere all’oscuro di una cosa così?
Non ce la faccio più. Basta.

- Ok....se parlo... liberate Peeta...e.... lo fate davanti ai...miei occhi. - sentenzio, con una voce che vorrebbe essere autoritaria come al solito, ma assomiglia di più al latrato di un cane.
La macchinetta si ferma, sotto ordine del torturatore. Quel pezzo di merda, sorvegliato a distanza da alcuni Pacificatori, allunga il viso verso il mio.
- Sai, Johanna....la tua offerta è vantaggiosa e molto ragionevole, però... temo di non poterti accontentare. Bada bene, io sarei perfettamente d’accordo.

- Ma? - e stavolta sono io ad avvicinarmi, guardandolo fisso negli occhi castano scuro.

- Ma sotto ordine diretto del Presidente Snow, Peeta resterà qui.

- Lui non sa nulla. L’hai detto anche tu, deficiente. - rispondo, con il tono autoritario e freddo che finalmente riconosco come mio - a cosa può servire al Presidente? E comunque le cose non cambiano...liberatelo e io parlerò. Tenetelo prigioniero o uccidetelo, e farete lo stesso con me. Puoi tornare ad accendere quella cosa, se tanto ti diverte. Ma io non parlerò mai.

- Possiamo sempre ritentare - sentenzia, con il suo sorriso sghembo, non prima di farmi patire un’altra umiliazione stampandomi un bacio dritto sulle mie labbra rinsecchite e spaccate.

 Loro urlano, io urlo, loro mi ordinano di parlare, io taccio.
E penso alla spiaggia, a Finnick, a Katniss e i suoi goffi tentativi di fare amicizia. Penso a Peeta, e al fatto che devo scoprire perché il Presidente lo voglia così tanto.

I miei capelli finiscono.
Stavolta nessuno mi riaccompagna in cella, sono io che senza forze e senza voce, gattono fino ad arrivare dentro. Nessuno mi cambia la divisa, è sempre questa da quando sono rinchiusa qui. E’ sporca, strappata. I pantaloncini hanno perso pezzi, la maglietta, a furia di essere tirata, usata per soffiare il naso, asciugarmi la faccia e il sangue, puzza da fare schifo. E ha perso così tanta stoffa anche lei che si intravede benissimo quasi tutto il seno sinistro, raggrinzito per il freddo e per il dimagrimento.
Stasera non si mangia nulla. Arranco fino alla latrina, dove so che sentirò Peeta. Ma c’è solo silenzio.

Starà dormendo? Oggi non l’ho sentito proprio. Forse quei bastardi si sono accorti che noi parliamo per farci forza, e magari alternano i turni di tortura in modo che non possiamo parlare.
Li odio.

Mi accorgo solo dopo qualche minuto che il pavimento è più scivoloso del solito. Mi alzo in piedi. Sono quasi due dita di acqua fredda e pulita che ricoprono il pavimento. Da dovunque scorra, scorre velocissima, e mi arriva fino alla ginocchia, sommergendo il lurido materasso.

Non so cosa vogliano farci. Affogarmi? Non direi, ci sono le sbarre, l’acqua scorrerebbe da lì. Avvelenarmi? Forse contiene qualche sostanza irritante. Renderla ghiacciata per farmi morire di freddo? Lavarmici? Giusto poco fa pensavo a quanto devo puzzare e fare schifo. Magari vogliono che mi ci faccia un bagnetto in modo da presentarmi in modo meno rivoltante alle sedute di tortura.

Pensa, cazzo, quando è che l’acqua diventa pericolosa?

Urlo prima di sentire il dolore. Prima di sentire il rumore.
Una scossa micidiale mi si irradia dalla punta dei piedi fino alla testa. Credo di morire, finalmente, ma non è così. Sono solo cascata in acqua.

Non respiro. E ne arriva un'altra, fortissima, che sento fino ai capelli.
Elettroshock. Ecco cos’è. Mi mandano la corrente a un voltaggio che danneggerà il mio corpo ma non lo ucciderà.

La stanza inizia a girare vorticosamente. Non so dove appendermi.

Una voce possente si irradia in cella.
- Mason. Quando è pronta a parlare, si porti tre dita alla bocca e le sollevi in aria. Noi smetteremo immediatamente.
No, Johanna. No.
E intanto ne arriva un’altra.
Johanna, pensa a qualcosa di bello. Pensa all’acqua bella. Pensa.
 
 
- Io li ho portati qui per te! Capito? - e iniziai a urlare di rabbia, mentre le braccia possenti di Finnick mi presero  di peso e mi buttarono nell’acqua calda e salata del mare.
- Va bene, è passata, è passata! Ho detto che mi è passata!  - continuai, cercando di liberarmi dalla sua stretta.  
- Johanna, dai, smettila. L’importante è che stiamo tutti bene - mi disse, mentre toglieva i residui più grandi di sangue dalla mia faccia.
Capii dall’espressione dei suoi occhi cerulei che mi stava rimproverando. Non dovevo lasciarmi sfuggire frasi così difficilmente interpretabili, o il piano sarebbe saltato. Eravamo sempre in diretta tv. Plutarch rischiava di morire di infarto.
- Lo so. -
E’ difficile, scemo, cercai di comunicargli. Lo sai cosa stiamo rischiando?
Finnick mi sorride con quell’espressione che gli vedo così poco. So cosa gli ha fatto Capitol City e lui sa cosa ha fatto a me. Di solito mette una maschera di arroganza e stupidità perché così gli è stato ordinato. Ma dietro c’è una persona completamente diversa.
- Lavati, d’accordo? Vedo di procurarti un po’ d’acqua.
- Ne avete?
- Quanta ne vuoi. Ma promettimi che farai la brava - e riprende quell’espressione finta sensuale. Certo. Il pubblico ora  rivuole il Finnick tutto-sesso.
 
Questo è l’inferno. L’arena non è nulla.

E tento di riaggrapparmi sempre a questa immagine, ogni volta che la scossa mi prende e le voci odiose rimbombano nella cella, voci che sento a stento: l’immagine di me che resto nell’acqua a ripulirmi. Che sono salva. Dove ho quasi portato a termine il mio compito. Dove l’arena non sembrava più così orribile. Dove bevevo. Dove per pochi secondi, sono davvero tranquilla.
 

 
 
 

 


 
Nota dell’autrice: spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Non so se ho reso bene la tortura di Johanna… spero! Ah,  i tempi verbali nell’ultima frase sono volutamente alterati. Lei cerca di farsi forza pensando a quando l’acqua non era un pericolo, e cerca di spostare l’immagine passata a quella presente. Recensite se vi è piaciuta! E aggiungo, che anche se è appena giunta a conclusione, la storia di usagainst_theworld http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1898741&i=1 è sempre lì che vi aspetta. 
  
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