Ma ora vi lascio al primo capitolo di questa storia e spero vi piaccia :D a presto, Roby :)
New
York –
Periferia
Cecilia
Baker aprì gli occhi alle 08.00 in punto.
Spense
la sveglia e afferrò il telecomando dello stereo per
accenderlo. Premette play
e lasciò che la musica inondasse casa.
Si
spogliò velocemente a ritmo di Feeling Good,
improvvisando un balletto che, nelle intenzioni voleva essere qualcosa
di
malizioso e sexy, ma che invece era una sequenza di movimenti senza
senso e
senza armonia.
Aprì
l'acqua e dopo aver controllato con la mano che fosse calda al punto
giusto, si
infilò sotto la doccia.
Si
insaponò senza smettere di muoversi e poi si
risciacquò chiudendo gli occhi e
la bocca, per impedire che lo shampoo finisse dove non doveva.
Chiuse
l'acqua ed uscì avvolgendosi in un accappatoio rosa,
completo di cappuccio:
regalo della sua amica Renee,
per il suo
venticinquesimo compleanno.
Annodò
piano la cinta e si spostò davanti allo specchio.
Lo
ripulì dal vapore e osservò il suo riflesso; non
aveva un bell'aspetto.
Il
suo viso era spento, la sua pelle non più brillante come un
tempo e i suoi
capelli sembravano di paglia.
Forse
è giunto
il momento di tagliarli,
disse tra sé e sé.
Tolse
il cappuccio e li pettinò con amore, con calma, spazzolando
una ciocca per
volta.
Non
voleva che i suoi capelli si rovinassero. Erano l'unica cosa amava di
sé.
Anche
se molti la consideravano bella, lei – seppur aveva un buon
rapporto col suo
corpo – non si era mai considerata tale.
Carina
si. Ma nella giusta misura, né più né
meno.
Non
era molto alta, e nemmeno magra come le donne delle
pubblicità.
Il
suo corpo era obiettivamente armonico. Un po' di forme lì
dove erano necessarie
per distinguere un ramo secco da una vera donna.
I
suoi capelli erano di un caldo castano che a volte, sotto il sole,
tendeva al
rossiccio, e i suoi occhi di uno strano color nocciola che variava a
seconda
degli abiti e del trucco che indossava.
La
pelle chiara e liscia, i denti sani e due piccole fossette che
comparivano
sulle guance ogni qual volta rideva di gusto o semplicemente abbozzava
un
sorriso.
Caratterialmente
non aveva particolari rilevanti; socievole, solare e generosa, erano
gli
aggettivi che più spesso venivano usati per descriverla. Ma
oltre ad una
spaventosa estroversione, una solarità che per qualcuno era
fastidiosa, e una
generosità di fondo, Cecilia aveva anche un bel temperamento.
Non
si faceva mettere i piedi in testa e non si lasciava intimorire
facilmente.
Difendeva
quello in cui credeva con le unghie e con i denti, e anche se si
arrabbiava
raramente, quando lo faceva, era un'arrabbiatura coi fiocchi.
Era
sempre in movimento, e per questo Renee,
che era
praticamente l'unica vera amica che aveva, aveva iniziato a chiamarla
“trottola”.
Non
aveva viaggiato molto.
Si
poteva tranquillamente dire che l'unico viaggio che aveva fatto, era
stato
quello che dal North Carolina l'aveva portata a New York, per inseguire
il suo
sogno di vivere da sola.
Si
era adattata alla vita solitaria abbastanza in fretta, per nulla
spaventata
dall'idea di staccarsi dalla tranquillità e dalla
comodità che la vita con
mamma e papà le forniva.
Aveva
fatto diversi lavoretti tra cui la cameriera, la barista e la
babysitter. E
infine aveva trovato lavoro come gelataia, in una piccola gelateria del
centro.
Lavorava
cinque ore al giorno, guadagnando quello che le era necessario per
vivere
tranquillamente.
Non
poteva permettersi grandi lussi, ma non le erano mai interessati.
La
casa in cui viveva gliel'avevano comprata i suoi, quindi niente
affitto. Tutto
quello che faceva coi soldi guadagnati era pagare le bollette, fare la
spesa e
permettersi un'uscita con Renee
per un film o una
cena fuori ogni tanto.
Per
il resto faceva una vita abbastanza tranquilla.
Lavorava,
tornava a casa, si preparava da mangiare, accudiva i suoi due
pesciolini rossi,
e poi guardava la televisione, oppure leggeva un buon libro.
Niente
stravaganze, e niente follie notturne nella Grande Mela.
Non
facevano per lei.
Era
una trottola di giorno, ma non di notte.
Sospirò
e legò i capelli facendo due treccine. Poi
indossò un paio di pantaloni neri,
una camicia bianca e i suoi immancabili stivaletti.
Prese
la borsa ed uscì di corsa.
Aveva
lasciato la casa in uno stato caotico, ma era in ritardo per un
appuntamento
molto importante.
Avrebbe
messo in ordine al suo ritorno.
Lo
studio del Dott. Martin era uno studio piuttosto deprimente.
Una
stanza di media grandezza, pareti bianche piuttosto anonime e un
silenzio quasi
contemplativo.
Era
un po' inquietante a dire il vero, e il gorgheggiare dell'acqua dentro
il
distributore automatico fissato alla parete, urtava i nervi dopo un po'
che lo
si ascoltava.
Ma
tutto sommato poteva essere peggio.
Una
volta Cecilia si era ritrovata casualmente in un poliambulatorio
gratuito.
Era
andata a prendere Renee,
che di mestiere faceva il
paramedico, alla fine del turno.
Era
rimasta scioccata, senza parole davanti allo spettacolo che si era
offerto ai
suoi occhi.
C'erano
bambini col naso colante che piangevano accorati, madri e padri che
litigavano
per i lunghi tempi d'attesa, e vecchietti che tossivano diventando
paonazzi
quasi stessero per soffocare.
In
quello studio quel giorno, era diventata tristemente consapevole, di
quanto il
mondo fosse disonesto.
I
ricchi avevano ospedali con parcheggi privati e medici con macchine di
lusso.
Quelli
meno agiati invece dovevano accontentarsi di poliambulatori colmi di
buone
intenzioni, ma dimenticati da Dio e dal resto della città.
Era
stato deprimente, più di quello studio in cui si trovava ora
e per un paio di
settimane si era sentita triste dentro, perdendo la solarità
e l'allegria che
la caratterizzavano da sempre.
Poi
però aveva seppellito quel ricordo, cercando di non pensarci
più, amaramente
certa che non avrebbe potuto fare nulla per cambiare quella situazione.
Lo
studio del Dott. Martin comunque, era avvilente anche per la
specializzazione
del dottore stesso: oncologia.
L'oncologo
era un dottore che una persona sperava di non incontrare mai nella
propria
vita, eppure molto spesso, quella stessa gente che ardentemente
desiderava di
non averci mai a che fare, si ritrovava seduta in uno studio come
quello in cui
era seduta lei, ad aspettare pazientemente il proprio turno per
conoscere il
proprio destino.
Ora
toccava a lei, ed era pronta ad affrontare qualunque cosa il dottore le
avrebbe
detto.
Prese
una rivista, sfogliandola distrattamente.
Era
una rivista di moda, satura di pubblicità di abiti costosi
che lei non avrebbe
mai indossato.
Erano
piuttosto orrendi.
C'erano
piume, paillettes e strane fantasie che, per quel che la riguardava
erano come
ricevere un pugno in un occhio.
La
poggiò nuovamente sulla sedia accanto a lei e si
alzò avvicinandosi alla
segretaria.
«Mi
scusi,» le disse sorridendo «crede che ci
vorrà ancora molto?»
La
segretaria, una ragazza alta, bionda e con due occhi azzurro cielo, la
guardò e
le riservò un sorriso compassionevole.
«Dovrebbe
essere questione di minuti oramai.» disse.
Poi
guardò il dottore uscire salutando un paziente e volse di
nuovo lo sguardo
verso di lei.
«Ecco
qui. È il suo turno adesso.» le
annunciò.
Cecilia
alzò un sopracciglio perplessa e annuì gentile.
Si
sistemò la borsa sulla spalla e raggiunse il dottore sul
limitare della porta.
Lentamente,
quasi come per ritardare il suo incontro col destino, varcò
la soglia
rendendosi conto che, non era poi tanto pronta.
Si
mise a sedere sulla sedia rossa imbottita e osservò
attentamente il dottore e i
suoi movimenti, notando che tradivano una certa… amarezza.
Fece
un grosso respiro e si mise seduta più dritta puntando gli
occhi dentro i suoi,
quando anche lui si mise a sedere dall'altra parte della scrivania.
«Signorina
Baker, purtroppo ho delle brutte notizie.» le disse
«Gli esami che le ho fatto
fare hanno rilevato la presenza di una massa tumorale di natura maligna
al suo
seno sinistro.»
Cecilia
deglutì a vuoto, annuendo ingenuamente «Cosa
significa?»
«Significa
che si prospetta un momento molto duro per lei.» le
spiegò «Faremo tutto quello
che è necessario. Operazioni, cure e trattamenti, e sono
sicuro che con la sua
forza di volontà lei potrà…»
«Guarirò?»
chiese Cecilia interrompendolo «Voglio dire, con queste cure,
questi…
trattamenti, questi interventi, guarirò e starò
di nuovo bene?»
«Onestamente?»
chiese il dottore «Non credo. Il suo tumore è ad
uno stadio piuttosto avanzato.
Ma il corpo umano è una macchina meravigliosa. Potrebbe
guarire perfettamente.»
«E
se,» Cecilia si fermò sporgendosi in avanti per
poggiare le mani sul freddo
legno della scrivania «se non mi sottopongo a nessuna cura, o
a nessun
intervento, quanto tempo mi rimane?»
Il
Dott. Martin fece un grosso respiro.
Un
respiro amaro, triste, desolato ma quasi rassegnato.
Chissà
quante di quelle risposte e di quelle spiegazioni dava al giorno, a
chissà
quante persone.
«Un
anno al massimo.» disse infine.
Un
anno al massimo.
Quello
studio ora le sembrava ancora più triste di quanto
già non fosse.
Scosse
il capo incredula, indietreggiando fino a poggiare la schiena alla
spalliera
della sedia, e si sentì improvvisamente incapace di
respirare.
Si
portò una mano sulla bocca, come per reprimere un conato di
vomito, e poi gli
occhi le si bagnarono di lacrime.
Si
ritrovò a piangere, disperata e singhiozzante, nello studio
dell'uomo che le
aveva appena comunicato l'approssimativa data della sua morte.
Le
sembrò surreale ritrovarsi in quella situazione, e la pelle
spenta che aveva
visto allo specchio quella stessa mattina, ebbe un senso.
Il
suo corpo l'aveva avvertita che qualcosa non andava, ma lei si era
trovata
comunque impreparata.
Chi
mai potrebbe essere preparata per una cosa del genere?
Si
alzò dalla sedia, schivando le mani del dottore che,
avvicinatosi cercava di
abbracciarla, e raggiunse la piccola finestra.
Si
perse nel mondo fuori da quella stanza. Quel mondo che probabilmente
tra un
anno non avrebbe più visto.
I
paesaggi malinconici dell'autunno, i bambini che correvano gioiosi
inseguiti
dai loro amici a quattro zampe.
Si
inginocchiò a terra, scossa dai singulti.
La
sua vita le passò davanti aderendo perfettamente al
cliché “la vita ti passa
davanti tutta d'un fiato un attimo prima della fine”.
E
benché quello fosse per lei solo l'inizio della sua fine, le
restava solo un
anno e un anno era pressappoco un soffio davanti alla prospettiva di
vivere a
lungo, per tutta una vita.