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Autore: Charly_Baby    21/06/2014    3 recensioni
"Caro Amico,
Credo che questa sia la volta buona per cominciare a scrivere un Diario. Non ti parlerò di come sono, dei miei capelli o del mio carattere. Vorrei solo sfogarmi con qualcuno. E che questo qualcuno non mi giudichi per quello che sono, o del mio modo di fare. Non voglio ne fare pena, ne voglio compassione; voglio solo un amico per poter parlare. In questo caso, sono un po’ spaesato; non ho mai avuto un Diario Segreto o qualcosa di simile a questo, e non so esattamente come iniziare. Delle ragazze mi hanno detto che devo scrivere ciò che mi turba, e che mi devo descrivere. Io credo che non sia necessario. Credo che l’inizio della mia storia, possa essere sufficiente come inizio. Beh, tutto iniziò con una lettera."
***
Vissero per sempre felici e contenti?
***
||Larry||
Genere: Dark, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Monday.



 
13/12/14
 
Caro Amico,
    Credo che questa sia la volta buona per cominciare a scrivere un Diario. Non ti parlerò di come sono, dei miei capelli o del mio carattere. Vorrei solo sfogarmi con qualcuno. E che questo qualcuno non mi giudichi per quello che sono, o del mio modo di fare. Non voglio ne fare pena, ne voglio compassione; voglio solo un amico per poter parlare. In questo caso, sono un po’ spaesato; non ho mai avuto un Diario Segreto o qualcosa di simile a questo, e non so esattamente come iniziare. Delle ragazze mi hanno detto che devo scrivere ciò che mi turba, e che mi devo descrivere. Io credo che non sia necessario. Credo che l’inizio della mia storia, possa essere sufficiente come inizio. Beh, tutto iniziò con una lettera.
   Mi ricordo che come inizio di quel giorno, era un comune fottutissimo giorno di Lunedì. Sapevo quello che mi aspettava una volta arrivato a scuola, eppure la rabbia, la paura e la voglia di scappare da quel posto erano ancora dentro di me. Pronte ad uscire e concretizzarsi ad un sol lamento o gemito che sarebbe uscito dalle mie labbra.
   Non amavo di certo la mia vita, caro Amico, no di certo. Ma l’idea di laurearsi ed avere una vita normale, a Harry Styles, era sempre piaciuto. Affrontavo, quindi, la vita passo dopo passo. Scansando ogni tipo di ostacolo, e impedendo a qualsiasi amico di farsi avanti e far amicizia.  Ero più che altro uno a cui la parola “Amico” non è mai andata a genio, per questo potrei dirti che in quel momento tu saresti potuto essere il primo.  Ero un ragazzo complicato per una mente sana. Sì perché io ero malato. Malato da quella malattia che si può definire Amore. Ero un ragazzo cieco, inconscio di quello che potrebbe offrirmi il mondo il giorno dopo, ma ero sempre stato pronto, organizzato, perfetto, fin troppo perfetto nel mondo dell’organizzazione. Sempre pronto a ciò che diventerà il mondo del lavoro, della famiglia, e di un marito.
   Non avevo una famiglia, proprio come in quei film famosi, sai? Come quando alla protagonista le muoiono i genitori e poi incontra il ragazzo perfetto, e come da programma, appariva il famoso “e vissero per sempre felici e contenti”. Se io ti racconto la mia storia, potresti credere che uno di questi non lo ha avuto? No, perché la mia, di vita, non è un fottuto film, no, era una vita da rimpiangere con lacrime fin troppo amare. Che quando sei vecchio, e riguardi indietro,  ti viene da vomitare.
   E dire che quella era proprio una vita che non potrei mai augurare a nessun mio peggior nemico. Perché sì, io Harry Styles, futuro studente modello del college con sua borsa di studio assicurata, assicurato lavoratore in una fabbrica famosa, a mantenere i suoi futuri figli, avevo proprio una vita da schifo.
   Forse era perché Dio, stufo di tutte quelle ragazze e ragazzi perfetti  ha voluto creare uno fottutamente imperfetto. Tra le meraviglie del mondo, una ragazzo sfigato, secchione, orfano e gay, doveva rovinare il quadro. Forse anche per questo che tra le famiglie più belle del mondo mi era ritrovato a casa, quando una lite piuttosto tra fuoco e fiamme si era appena accesa.  Mi ricordo di come ogni giorno quella lite si faceva più ardente e di come un giorno mi ritrovai con le cuffie nelle orecchie e con la musica a mille.
   I primi tempi dei loro litigi erano una cosa estranea e un’ossessione per me. Mi spalmavo contro la porta per tentare di ascoltare qualche parola, mi intromettevo come una mosca fastidiosa nelle loro discussioni, chiedendo, dentro di me, spiegazioni di cui non capivo il significato.
   Dentro di me, in quell’inverno piovoso di Gennaio a tre giorni dal mio compleanno, dal quale era appena un ragazzino stufo di quella situazione, mi sentivo come se quel giorno era diverso dagli altri. In tutti quei giorni terribilmente terrificanti, mio padre non faceva altro che sorridermi, accarezzarmi i capelli,e dirmi di non dovermi preoccupare, di non intromettermi che presto sarebbe finito tutto. Mia madre, invece, mi ignorava e come suo solito mi rimandava in stanza, continuando a dirmi che ero troppo piccolo per capire.
   Forse era così, ma ero grande abbastanza da credere che, a volte, tutto quel casino fosse a causa mia. Ne avevo terribilmente bisogno che qualcuno me lo dicesse. Era colpa mia, per il fatto che tornassi a casa ogni giorno con gli occhi neri e lividi sulle braccia, deciso a non aprir bocca con nessuno.
   Oppure per colpa di mio padre, che era troppo preso dal lavoro, che a malapena si accorgeva che esistevo.
   O colpa di mia madre, che era troppo impicciona, esigente, e insopportabilmente invadente. Forse era questo il motivo, per cui ancora non conosco risposta, del perché tornavo tardi a casa, tremendamente fatto e con un labbro spaccato: ero solo in cerca di attenzioni.
    Mi ricordo di come mia madre mi mise a soqquadro la mia camera così tante volte alla ricerca di prove che potessero condurla a chi mi riducesse in quel modo ogni sera, che ormai non le contavo più. Non era poi così tanto una sorpresa quando, una volta arrivato a casa, mi toccava rimettere la stanza a posto.
    E mi toccava pensare che no, no, era decisamente colpa mia! Doveva per forza esserlo.  Perché una di quelle volte che aveva trovato la vecchie foto delle medie, con il viso duro e freddo di Louis incorniciato da scritte e cuori, che la cosa andò in frantumi. Tutto mi scivolò tra le mani.
   Mi ricordo di come quella volta aveva gridato prima con me,e poi con suo marito. Forte, insopportabilmente forte. Gridò così tanto che pensavo che i vetri si frantumassero.
   Da quel giorno avevo iniziato a considerare la possibilità che si lasciassero per colpa mia, e dovevo ammettere che la prospettiva non mi spaventava. I miei vecchi amici dicevano che chi aveva i genitori divorziati erano sommersi da regali esagerati e doppie paghette. Magari mia madre avrebbe smesso di dire che avevo bisogno di una psicologo, e che ero malato, che la presenza di una figura maschile mi aveva ridotto… così.
   E forse mio padre avrebbe smesso di lavorare così tanto, per potermi vedere i soli due giorni che mia madre gli avrebbe concesso.  Comunque fosse andata, non pensavo che la situazione potesse precipitare.
   Ma Caro Amico, come ho detto in precedenza, io ero un umano creato per essere deriso da Dio. Perché come le conchiglie… nessuno prende quelle rotte.
   La certezza di quel pensiero la concretizzai quando, dopo circa due ore, mi decisi a togliere le cuffie e a guardare come era finita la guerra oltre quella porta.
   La macchina in giardino non c’era. E come da programma pensai che dopo una litigata mia madre lo avrebbe sbattuto fuori per l’intera notte a dormire in qualche stello o Motel. Il corridoio era investito dal silenzio più totale. Anche questo era normale dopo una litigata. La quiete dopo la tempesta, no? Era normale come la bottiglia di Rum mezza vuota che trovai sul tavolo in cucina. La cosa meno normale fu trovare mia madre, con un bicchiere in mano e le guance rigate dalle lacrime. E invece la cosa che mi spaventò è che invece di rimandarmi in stanza,mia madre mi abbracciò. 
   Da lì capì che mia madre potesse cambiare. Perché mio padre non tornò a casa il giorno dopo. E neanche quello successivo. Da quel giorno mia madre smise di esistere e con lei, anche io. Perché mia madre si rintanava sotto le coperte tutto il giorno, con una sigaretta perennemente tra le labbra e una bottiglia diversa di alcolico sul suo comodino, e scatole vuote di tranquillanti che si ammucchiavano nel cassetto.
   Sapevo che non aveva forze per curare se stessa, figuriamoci per badare a me, o ai miei lividi, ai libri bruciati, ai quaderni strappati, o alla cartella su cui gli amici e componenti della banda di Mark, si erano divertiti a scrivere cose del tutto Omofobe.  Era stato il periodo della mia vita in cui aveva provato per la prima volta la paura, e odio.
   Paura per quella che potrebbe essere una vita futura nel quale io facevo la parte di un bambino senza padre, e di una madre inesistente.
   Un odio profondo per un padre che era riuscito a diventare più verme di quanto già non fosse. Eppure non riuscivo ad incolparlo. La colpa era mia, e lo avevo sempre saputo.
   Colpa mia per avere ridotto una madre racchiusa nella sua rigida e scostante apatia. Colpa per il mio essere diverso, per quei dannati cuori disegnati attorno al viso del ragazzo che continuava a picchiarmi costantemente.
   Sentì provare odio anche quando, dopo tre giorni dalla partenza di mio padre, solo dopo qualche ora dall’accaduto, ritrovai mia mamma distesa sul divano. Occhi chiusi, bocca semi-aperta, capelli aggrovigliati.
   Non mi infastidì, ne mi meravigliai quando non mi salutò. Non sprecai altro tempo prima di correre in stanza senza salutarla… e piansi. Mi ricordo che piansi allo sfinimento tra pagine di libri che non avevo neanche letto. Mi ricordo che scesi solo la sera per un bicchiere d’acqua, prima di andare a dormire. Solo allora che mi spaventai, solo quando notai qualcosa di incredibilmente sbagliato e terrificante.
   Lei era ancora lì, su quel divano, nella stessa identica posizione. 
   Fu grazie all'odio che continuava a fluirmi nelle vene e alle lacrime sprecate in precedenza nella mia camera che non piansi quando l'ambulanza arrivò e gli infermieri mi ci spinsero sopra insieme con lei. 
   Caro Amico, non credo di poterti descrivere il dolore che provai e l’odio per me stesso e a l’uomo che continuavo a chiamare Padre, quando l’infermiera veniva verso di me e abbassava il capo. Era un odio profondo, e fu per questo che cambiai. Capovolsi la mia vita da sopra a sotto, radicalmente. Le canne diventarono libri, e le risse diventavano interrogazioni volontarie ogni settimana. Diventai ciò che mia mamma voleva che diventassi, e così lo feci per lei.
   E per la sua morte.
   Mi ricordo che quei giorni diventai da Harry Edward Styles così detto il buttafuori, diventai semplicemente Harry Styles il Frocio Nerd. E questo solo per mia madre.
 

 
"I risultati dei test di chimica, previsti per il mese prossimo..."

   Mi ricordo che il suono acuto e prolungato della campanella interruppe il professor Fletcher. Ma non si lasciò intimidire dal rumore di sedie spostate, dagli alunni in piedi, con i libri messi nello zaino, pronti a scappare. "Vi verranno consegnati a fine mese" continuò a occhi stanchi. "Se qualcuno di voi volesse recuperare..."

   Ma mi ricordo che quel Lunedì delle prime due ore, ormai la classe era vuota, la parte dei ragazzi erano usciti chiacchierando e ridendo in corridoio. Il professore fissò me e gli ultimi tre rimasti come fossimo la sua unica ragione di vita. "Dite ai vostri compagni che l'ultimo recupero è previsto per gli inizi di giugno." 
   Gli altri annuirono, io invece ficcai gli appunti in borsa e finalmente mi alzai, riflettendo vagamente sul fatto che non avrei dovuto informare di niente proprio nessuno. Non avere troppi amici aveva i suoi lati positivi.
Non averne nessuno è abbastanza patetico però, Herreh.
   Mi ricordo che ai primi tempi del Liceo la voce di mia madre mi perseguitava dalla sua morte, come se fosse il mio diavoletto custode. Perché si, lei, non mi aiutava a risolvere i problemi. Perché lei, o li peggiorava o mi faceva sentire in colpa. Ma in quel momento, quella voce la ricordai come quella di Louis Tomlinson, pronto a rinfacciarmi di essere un fottuto scherzo della natura.

   "Styles?"
   Mi pareva che mi avesse chiamato il professor Fletcher quando passai di fronte alla cattedra. 
   "Sì?"
   "Mi sono permesso di controllare i tuoi voti in chimica e fisica l'altro giorno" iniziò, sfogliando distrattamente i suoi registri.        "Ho dato un'occhiata alla tua media, ed è ottima, ma visibilmente più bassa rispetto agli anni passati. Non credo che ti permetterà di accedere alla borsa di studio."

   Mi pare di aver annuito prontamente all'uomo, ma in realtà recepii le sue parole con qualche secondo di ritardo. La mia mente riorganizzò l'idea a rallentatore, come volesse evitarmi il dolore di un colpo repentino, inaspettato. 
   Da quanto tempo ormai non pensavo seriamente alla scuola, ai test, al college? Gli obbiettivi e gli scopi che l’Harry Styles di un anno prima si era prefissato, negli ultimi mesi si erano trasformati in un misero contorno, un ammasso di regole e doveri freddi ed insipidi, senza più alcuna finalità, sfondo incolore di una vita frenetica, eccitante, terribilmente vera. 
   
   I primi insulti. Le botte. I lividi. Louis.


   Chi sarebbe riuscito a preoccuparsi della scuola, di fronte al repentino realizzarsi di un'esistenza finalmente autentica?
   Eppure quando “Lo so.” risposi al professore, una nota di delusione colorò la mia voce.
"E' davvero un peccato" tornò ad intervenire quello, alzandosi. "Hai per caso frequentato qualche corso extra scolastico? Potrebbe aiutarti con qualche credito in più dopotutto adesso che sta per finire l’anno scolastico."
   "No"
sussurrai, chinando il capo, "non ho avuto... tempo."
   Come se in questi istanti è il tempo che non mi permetteva di studiare. Più che altro, erano degli specchi blu che mi guardavano roventi ovunque io andassi.
   Il professore sospirò. "Pazienza! Un ragazzo come te non avrà comunque problemi al college."
  Sorrisi per il suo patetico tentativo di consolarmi, gli augurai una buona giornata e mi defilai in corridoio. Ne avevo fin troppo i capelli di ascoltare ancora quel vecchio e le sue mascherate fottutissime romanzine.

 
  Camminai veloce tra gli armadietti, i muri tappezzati di volantini, il chiacchiericcio incessante degli studenti. Tutto questo non mi sarebbe certamente mancato. Ma il motivo per cui mi sentivo irrimediabilmente legato a quella città era lo stesso per cui adesso mi ritrovavo a fissare ansiosamente in cortile, sperando di intravedere un ragazzo basso, dai capelli scuri e lo sguardo penetrante.
   Lui non era lì. Eppure mi sentivo come penetrato, privato da tutto. Nudo davanti a quelle persone, che mi ignoravano, come se tutti attorno a me sapessero della mia vita. Di tutto il disprezzo. Come se mi leggessero dentro, fino a non far rimanere più niente.
   Risucchiando l’anima, fino a farmi restare un corpo vuoto tra tutti. Uno diverso, e in contemporanea così speciale. Mi sentivo osservato, anche se nessuno in quel momento mi guardava.
   Mi fiondai in bagno correndo, spaventato da quel che provavo. Si, perche Harry Styles non era una persona forte, non lo era mai stata. Neanche quando la parte peggiore di me veniva fuori, picchiando persone ubriache fuori dai locali.
   Potevo mostrarlo, mostrare a tutti che Harry Styles non era una pappamolla, che non si lasciava dare cazzotti senza che prima non le avessi date anche io. Ma avevo capito che, fin quando due occhi azzurri mi fissavano non potevo mostrarmi forte.
   Come privato da ogni forza, non riuscivo a ragionare. Quella era una sensazione, che solo con Louis Tomlinson riuscivo a provare.  Ed è per questo che rimisi il muso fuori dalla porta per controllare che lui fosse lì.
   E come da programma, vidi solo due occhi azzurri rivolti verso i miei. Il resto era straordinariamente sparito.
   Mi rinfacciavo in quei capelli marroni tirati una frangia improvvisata, e in quei pantaloni con la risvolta verso le caviglie. Vedevo la mia anima dentro quegli occhi così azzurri da far invidia al cielo.
   Mi ero chiesto tante volte del perché i miei sentimenti corrispondevano a ogni suo gesto o movimento. Avevo deciso  anche di andare da uno psicologo per farmi curare, ma mi tirai indietro solo una settimana dopo.
   Perlustravo ogni tipo di emozione, quando stavo con lui. E quello che mi trovavo in mano era solo il suo sguardo truce e tagliente. Non avevo mai pensato che lui corrispondesse ai miei sentimenti, ma, Caro Amico, pensavo che poteva darmi una speranza, un buon gesto per un po’ di speranza.
   Mi ero solo illuso. Perché, certe volte, speravo che Dio si fosse ricordato di me e mi avrebbe aiutato in qualche modo. Mi avrebbe fatto passare tutto questo dolore in quello che potevo definire Amore. Che tutto questo, anche se con fatica, svanisse e si creasse una specie di varco per una vita fantastica.
   Caro Amico, ho scoperto che Dio sa illudere la gente più di tutto.
   Solo quando le sue labbra si tirarono in quello che sembrava ad un ghigno, il mio muro mi cadde - per l’ennesima volta - addosso. Ero tornato alla realtà solo dopo che la sua affermazione aveva lasciato le sue dolci labbra.
  
   “Hey, Frocio! Vieni qui dai!”

  
   Ed avevo incominciato a correre veloce, veloce più che mai. La paura a impossessarsi della mia pelle, i brividi a farsi largo lungo la mia schiena era tutto ciò che riuscivo a percepire in quelle miliardi e miliardi di emozioni.
   Caro Amico, io ero più che certo che quando uno di loro mi chiamava, dovevano farmi male. Ed è per questo che corsi, corsi più che mai verso l’uscita della scuola.
   E oltre la paura e i brividi, non percepì solo quello. In tutti quei piedi a calpestare velocemente il pavimento diretti verso l’uscita, ne percepii un paio diversi dagli altri.
   Loro, correvano dietro di me.
   Non mi ricordo cosa fosse successo dopo, mi ricordo solo che quel maledetto Lunedì, tra le radici di qualche albero in qualche parco di cui riconobbi solo le altalene vuote, due di loro mi tenevano le braccia dietro la schiena e un Louis Tomlinson in tutta la sua bellezza si ritrovava dominante davanti a me.
   Le mani strette in un pugno pronte a colpire, i capelli tirati indietro, e un formidabile ghigno sul viso. Ricordo di come alzai volutamente lo sguardo, per ammirare di nuovo quelle due perle azzurre. E inclinai il viso quando quel suo ghigno, scomparve.
  Caro Amico, ho visto tante emozioni apparire nel volto della gente mentre mi guardava e tra tanti di questi, appariva la pena,  il divertimento, la vergogna e l’indifferenza. In quello di Louis Tomlinson ho sempre visto il disprezzo, e il disgusto. Mi meravigliai del perche, quello sguardo, era diverso dagli altri.
   E mi sentivo strano, perché mi illusi un'altra volta, quando dopo un’ “Beh, Tomlinson che fai? Ti addolcisci?” esclamazione da parte di Mark, fece partire la mano si Louis, verso il mio stomaco.
   Non sentivo più il dolore fisico, invece più di tutto, sentivo un dolore emotivo che mi attraversava la spina dorsale, e si diffondeva verso la parte alta del petto.
   Eccolo qui, il punto di tutto: il dolore non esisteva senza il piacere, non si può godere dell’uno senza il paragone o confronto con l’altro. Il dolore è il piacere stesso, ma riverso in un dolce contrario che chi di dovere sa risvegliare con anche un solo tocco di dita.
   Basta un nulla per passare dall’uno all’altro stato,un soffio di vento e un battito di ciglia più intenso del normale per rafforzarsi nella convinzione che una tortura può diventare anche dolce anche se ben accorta ed equilibrata.
  Si dice che ognuno di noi ha dei percorsi già scritti, che si intrecciano con altre persone e che noi possiamo solo scegliere quale strada prendere.
   Avevo sentito parlare del filo rosso dell’amore legato al mignolo della mano sinistra che lega due persone.
   Ma nessuno dei due era mai capitato nella mia vita. Mi ero sempre organizzato tra lavoro d’ufficio e college, tra famiglia e marito ma mai mi era capitato che un ragazzo venisse da me con le mie stesse passioni, i miei stessi sentimenti. I miei percorsi era già scritti, sì, ma ero convinto che quello che scriveva era solo un maledetto analfabeta, messo lì a caso tra le persone del mondo, a scrivere una storia che non gli apparteneva.
   E avevo paura che all’altra estremità del mio filo rosso, il nodo si stringesse a vuoto e strisciasse a terra seguendo le mie orme come un’ombra, avevo paura di non trovare mai il vero amore. Anche se quello davanti a me, ci si assomigliava parecchio.
   Caro Amico, in fondo come fai a sapere se è amore quello che provi? Ancora non sapevo, non  potevo sapere a cosa stessi andando incontro, non potevo spere che avendo guardato nei suoi semplici occhi ero entrato in un gioco più grande di me.
   Ed è per questo che il secondo pugno non lo sentì solo sulla pelle, ma anche verso il cuore, e anche il terzo e il quarto, e anche il quinto.
   E solo quando mi lasciarono lì, da solo,capì. Capì che nessuno poteva salvarmi, nessuno sarebbe stato lì a dirmi che non era stata colpa mia. Che mio padre lavorava solo per me e per la mia inesistente felicità. E che mia madre si preoccupava perche lo faceva solo per me, e per il mio bene.
   E quella parte di lei, quella impicciona e invadente si trasformò in quella preoccupazione da madre che io non avevo accettato.
   Ed è per questo che capì. Capì che era veramente colpa mia. E che non avevo bisogno di nessuno per potermelo rinfacciare.
   Tornai a casa dopo circa trenta minuti tra motivi sprecati di alzarsi dall’umido freddo di quel parco. Il tempo era qualcosa di estremamente spaventoso per me. L’indecisione e l’astratto di questo insieme di numeri, mi spaventava. Non sai mai quando è iniziato, ne quando finirà. Una cosa astratta che ti porterà alla morte, quando… lo potrà decidere solo lui.
   E mi ricordo che quel stramaledetto Lunedì, tornai a casa verso il tardi… dove ero andato, non me lo ricordo, mi ricordo solo il momento in cui il sole affogò nelle montagne di una calda Holmes Chapel. E mi ricordo di come, zoppicando, salì le scale e mi sedetti sulla sedia in legno davanti alla scrivania.
   Mi ricordo i tubetti di disinfettate e le garze posate sulla scrivania già da ieri sera. Non le mettevo a posto mai, perché sapevo che il giorno seguente, quelle garze, mi sarebbero riservite.
   Quasi da ogni giorno, ormai dalla morte di mia madre, scrivevo e ancora scrivo lettere senza nomi e senza indirizzi da mettere sulle buste, scrivevo per non tenermi tutto dentro.
   L’Harry, quello passato, le parole non le scriveva, semplicemente le nascondeva. Credeva di aver perso se stesso quando in realtà nessuno ha mai provato a cercarlo. L’Harry passato le parole non le scriveva perché nessuno sarebbe stato disposto a leggerle.
   Invece,adesso, ne avevo bisogno perché tra le macerie e le disgrazie del mondo, una nebbia mi circondava, e solo lei sapeva. Mi proteggeva. Mi accudiva, e mi difendeva. Solo qualche volta…
   E quella volta scrissi poco, forse perché non avevo più niente da dire. Avevo già espresso tutto nelle goccioline trasparenti che mi colavano dagli occhi.
   Chiudevo gli occhi e serravo le labbra quando succedeva; vedere il mio riflesso o udire i miei stessi lamenti, avrebbe trasformato la vergogna in rabbia, la commiserazione in odio. 
   Singhiozzai, continuai a piangere tentando di convincermi di non sapere perché. Ma lo sentivo lì, sulla pelle, nelle viscere, che quegli occhi ne erano la causa. Erano nel sangue che mi scorreva nelle vene, in ogni respiro esalato, in ogni minuscolo e vitale battito del mio cuore. Mi ricordavano con devastante semplicità che io esistevo, ero vivo. E la consapevolezza dell'unicità di qualcosa che ogni giorno davo per scontato mi commuoveva. 
   Commosso non per il fatto che amassi Louis più di chiunque altro al mondo,  ma per l'esistenza di qualcosa di così giusto e spaventosamente illimitato come l'amore stesso. 
   E mi resi conto che le cose non stanno affatto come ci abituano a credere fin da piccoli: l'amore non ci completa ma, al contrario, è una delle poche cose a questo mondo a renderci infiniti. 
   Ed è per questo che a fine lettera, scrissi ciò che avrei provato per sempre. Avrei provato quel sentimento fino a che quell’analfabeta avrebbe imparato a scrivere e/o a leggere. E le scrissi in blu, come i suoi occhi.
   E prima di andare a dormire, la misi sulla finestra, in modo che quelle parole volassero da lui e che glielo confessassero. Che gli dicessero quelle parole senza che fossi io a dirle. In modo tale che quella lettera fosse stata una delle ragioni per non farla finita.
   Quel stramaledetto Lunedì di un freddo inverno del tredici Dicembre, circondato dalle mura della mia vecchia stanza, mi curai le ferite tra ansimi e gemiti di dolore… da solo.
 
Tuo Harry.
 

 
 
27/11/18
 
Caro Diario,
   Devo ringraziarti, sono cresciuto, sono vivo. Non ti ho più scritto perché ho imparato a vivere, passo dopo passo. Lo ricordi quel Lunedì? Quello di, più o meno, quattro anni fa? E te la ricordi la lettera?
   Mi ha sconvolto la vita, sai?
   Adesso sono libero, sono indipendente. E questo grazie a lui. Devo raccontarti che la mattina dopo quel Lunedì, alzandomi dal letto ancora dolorante, raggiungendo la cucina per un tè caldo il campanello di casa mia, suonò.
  Il che mi sembrò strano, visto che da quando mia madre morì, nessuno suonò più quel campanello. Mi fece ricordare i tempi passati con i miei genitori, di come mio padre entrava a casa dopo il lavoro, e anche stanco morto lui giocava con me. Mi fece ricordare di quando mia mamma andava a fare la spesa, e mentre era via, io e papà ci nascondevamo per farle uno scherzo.
    Risi piano, a quei ricordi. Me lo ricordo bene. Ma non fu quello a stupirmi, sai? Non fu quella risatina che mi usci dalle labbra, poiché non ridevo da un po’. Non fu quello a scompigliarmi le idee. Fu quando, aperta la porta, fari azzurri mi scrutavano.

   Tristi. Delusi.      

   Mi ricordo il terrore che provai quando lo vidi,lì sulla soglia. Mi ricordo del suo sorriso sincero quando indietreggiai. E non potrò mai scordare quella frase. Me la disse con una busta in mano.
   Una lettera.

   “E vissero per sempre felici e contenti.” Mi disse.

   Me lo ricordo, perche dopo ci fu un bacio. Il più bello della mia vita. Emozioni, sapori, farfalle, angeli, canti, un intero zoo intorno a me.  Perché Caro Amico, te lo giuro, Dio si ricordò di me.  
   Lo capì perche Louis Tomlinson, il bullo che tutti i giorni mi pestava,adesso era lì a contemplare le mie lacrime, ad asciugarle, a baciarmi le labbra salate. 

   Caro Amico, ti scrivo perché oggi è Lunedì, e tra poco mi sposo.  

 
 Tuo, ormai cresciuto, Harry.







 
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E poi penserete, "ma questa è pazza."
Beh, ragazze e ragazzi, sì, sono pazza. Ho avuto l'ispirazione, cioè il poche parole questa era una storia incompleta che avevo iniziato di scrivere molto tempo fa, ma ieri per farmi pedonare ho cominciato a scrivere... e beh, eccomi qui. Un'altra OS sfornata per voi. 

Spero che passerete in tanti.
Ci ho messo il cuore.

Vi amo, e se volete passare anche alla mia FF, potete trovarla, cliccando il titolo qui sotto.

Impossible  - I'm Possible



A presto

Un bacione 
Charly Baby

  
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