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Autore: Birdcage D Swan    21/06/2014    7 recensioni
«Ha mai sentito parlare di Lightning L-Drago?» Il suo sguardo sembrò illuminarsi.
«Ehm…più o meno.»
«Mi dica tutto ciò che sa su quel bey.»
Vi giuro, non ho mentito. Sapevo perfettamente di cosa stesse parlando…quasi.
«Dunque, è un bey proveniente…dalla costellazione…del Drago.» “You don’t say, Paschendale?”.

[…]
Affilati, circondati da folte ciglia nere.
Quelle iridi ristrette, all’interno delle cornee bianche, gli conferivano un aspetto spaventoso, quasi assatanato.
Quelle iridi dello stesso colore dell’oro, il più brillante esistente.
Tutto ciò che mi rendesse umana, ogni idea, paura, sentimento. Tutto svanì.
In quello sguardo, appena accennato.
Erano gli occhi più terrificanti e incantevoli in cui mi fossi mai specchiata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ryuga, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XXI
$ιcκ øŦ ι†


"I throw myself into the sea"
 
«Su, forza! Forza, Paschendale! Ricordati che correre fa bene.»
Dopo circa mezz’ora di corsa ininterrotta, ogni passo diventava uno sforzo senza precedenti. La sabbia rendeva il tutto più difficile e nemmeno la calura del deserto mi aiutava.
«Forza Paschendale! Correre fa dimagrire, e se sei magra, piaci ai ragazzi.» Ma che diavolo stavo pensando ad alta voce? Non mi era mai interessato dimagrire. Certo, ormai si sa che non esiste ragazza al mondo che si consideri magra o solamente in forma, però non me n’ero mai fatta un gran cruccio…fino a quel pomeriggio.
Passo dopo passo, il fiatone cresceva, i muscoli erano intorpiditi e doloranti, e la gola mi faceva male per il troppo ossigeno con cui era venuta a contatto. Nemmeno mi accorsi quando i palmi delle mani si appoggiarono alle ginocchia.
Mi chinai in avanti, cercando di riprendere fiato. Diamine, mi ero promessa di fare cento giri della duna, di corsa, invece ne avevo fatti a malapena dodici.
«Anf! Anf! Anf!» mi sentivo collassare. Alzai gli occhi e guardai il sole che trionfante splendeva alto nel cielo di un colore tanto blu da far venire il mal di testa.
Nell’attesa che le forze mi raggiungessero nuovamente, portai gli occhi sulla cima della duna; mi era sembrato di aver visto un’ombra. Aguzzai la vista. Allora non me l’ero sognato, c’era davvero qualcuno lassù.
Goffa e affaticata, scalai quel dirupo sabbioso, scivolando più volte verso il basso per alcuni metri. Fu un’impresa titanica raggiungere la “vetta”; una volta arrivata, rimasi sorpresa da ciò che mi trovai innanzi.
«Ry… Ryuga?» Sollevai un sopracciglio con aria interrogativa. Il blader mi degnò di uno sguardo vago. «Ciao! Com’è che sei già qui? Gli altri giorni tornavi per le 20.00.»
«Doji…» Iniziò, passandomi vicino. «Ha detto che mi alleno troppo.»
Ah, si allenava troppo. Proprio come facevo io: l’essere vivente più pigro mai generato.
«Allora oggi non ti alleni più?» domandai. Attesi una risposta. La ricevetti? Certo che no!  
«D’accordo… Allora, che ti va di fare? Anch’io oggi mi sono allenata abbastanza» “Sì, certo, come no…”.
Oh ma, era davvero sordo! Dio, ogni tanto una risposta me la poteva anche dare, no?
Trafficai nel borsone alla ricerca della scatola di biscotti portata da casa.
«Com’è andato oggi l’allenamento?» cercai di socializzare per la trentamilionesima volta.
Rimasi sorpresa dal suo ghigno improvviso. «Vuoi sapere altro?». C’era qualcosa di accusatorio nella sua voce.
«Che intendi dire?» domandai.
«Ieri ti ho detto fin troppe cose su di me. Perciò sta’ zitta e non chiedermi altro.»
Riflettei. La mia mente slittò a due sere prima. Aveva accennato alla sua vita, ma nulla di troppo personale. Comunque, sentii di essere sulla strada giusta; presto o tardi sarei riuscita a comprenderlo.
Scattai in piedi e a passo svelto gli fui accanto.
«Beh, mi dispiace averti messo a disagio ieri. Non era mia intenzione. Il fatto è che…dobbiamo stare insieme ancora un po’, quindi tanto vale conoscerci meglio…» Tentai di essere comprensiva. La sua espressione era indecifrabile. Poi sghignazzò.
«Parlare…?».
«Già» iniziai per commentare la sua affermazione «Parlare. È quello che tento di fare dall’inizio, facendoti domande, cercando di dare il via ad una qualsiasi conversazione. Ma tu ti ostini a non rispondermi» parlai piano, lentamente, cercando di farmi capire.
«Hm! Parlare…» ripeté pensieroso. «Tu sai che non ci vedremo più, vero?». Si voltò per guardarmi. Mi bloccai, come al solito.
«Ehm… Sì, ma…».
«Quando tutta questa storia finirà, ognuno andrà per la sua strada. Io rimarrò qui con Nebula Oscura, mentre tu tornerai alla WBBA a farti servire e a sfruttare i bey nel modo che vorrai.»
Le mie labbra si strinsero. Tanto. Ma proprio tanto. Anche i miei pugni si strinsero, così come gli occhi.
Cercai di mantenere l’irrefrenabile desiderio di distruggerlo con tutti i mezzi a mia disposizione, ma molto probabilmente lui avrebbe fatto lo stesso contro di me e con risultati assai peggiori.
Mi girai a tre quarti, verso di lui, mettendomi in ginocchio.
«D’accordo…» Decisi di giocare al suo stesso gioco: fare la vittima tenebrosa. «Se pensi che la mia vita sia tutta rose e fiori, buon per te, e se credi di aver “spiattellato” troppe informazioni sulla tua vita super interessante e dal passato difficile… Non mi sono mai innamorata, anzi, a quanto pare si vede che porto sfiga alle persone, dato che tre ragazze che avevo appena conosciuto sono finite in coma. Non mi piaccio fisicamente, infatti credo di avere le connotazioni fisiche meno interessanti che possano caratterizzare una persona. Sono abbastanza riflessiva per deprimermi, ma non per scrivere poesie o cantare canzoni malinconiche in riva al mare col vento tra i capelli…anche perché non so cantare.
Sono scontrosa, sono lunatica, non ho pazienza, non sono sportiva, non so suonare nessun tipo di strumento, sono disattenta e mio fratello mi ha cacciata di casa. L’unica cosa che sono vagamente capace di fare è combattere con i bey, purtuttavia essendo l’individuo meno determinato esistente, non sono capace di prefissarmi obbiettivi, onde per cui sono una persona vuota, mediocre e senza di me il mondo continuerà a girare. Ah, e poi dimenticavo! Ultimamente credo di essere atelofobica data la mia autostima pari a zero e il fatto di essere perennemente a contatto con persone determinate da far schifo come te, e ciò non mi aiuta assolutamente!».
Terminai il discorso con un urlo isterico.
Respirai a fondo, sentii la rabbia sbollire lentamente.
Avevo staccato per un attimo lo sguardo da quelle iridi dorate; fissai il vuoto, svuotai il cervello.
Ryuga continuava a fissarmi, ma sta volta con un minimo interesse.
«D’accordo…» bisbigliò e si alzò in piedi.
«Eh? Do… Dove stai andando?» iniziai a seguirlo, goffa.
«Non c’è competizione. È tutto troppo semplice.»
«Che intendi dire?».
«Sarebbe stato meglio sistemare i documenti alla WBBA, non trovi? L’idea d’impegnarti, di faticare e lottare per i tuoi obiettivi sembra non passarti per la mente minimamente.»
Sbuffai, gli occhi al cielo, le mani e le braccia in un gesto d’arresa. «Oh, mi scusi se non ho ancora trovato un obiettivo per lottare. E comunque dove stai andando?».
«Ad allenarmi.»
«Oh no!». Lo superai dopo un rapido scatto. Mi fermai davanti. «Non ho ancora terminato il mio sfogo! E dai, sei l’unica persona con cui possa confidarmi al momento!».
Alzò gli occhi al cielo. Finalmente un’espressione vagamente umana!
«Hai detto che non hai obiettivi né che vuoi allenarti, non è così?».
«Beh, sì… Ehi, io non ho mai detto che…» Ero sul punto di negare la sua ultima affermazione, ma il discorso si troncò quando le sue braccia mi avvolsero il girovita, caricandomi in spalla. A differenza della volta scorsa non sbraitai, mi limitai solamente a sbuffare sonoramente.
«Dove mi porti?».
«Avevi detto di dover correre, no?».
Ero stanca. Ero affamata. Di certo non avevo di nuovo voglia di correre!
 
Tornammo all’oasi. La luce del sole era diminuita e al suo posto pennellate rosa e arancione pitturavano il cielo.
«Cosa vuoi che faccia?» domandai appena dopo aver sbadigliato.
Lui incrociò le braccia. «Dieci giri.»
«Dieci giri?».
Annuì.
«Scusa sai, ma perché diavolo t’interessi così tanto al mio schifo d’allenamento?».
«Te l’ho già detto. È troppo facile. Voglio che tu sia almeno alla mia altezza. Al momento, non sei degna di L-Drago.»
Alzai gli occhi al cielo, ormai esasperata. «Insomma! Esiste qualcosa nella tua testa che sia anche minimamente diversa da Lightining L-Drago!?».
La sua espressione non variò.
«Va’!» Sibilò tra i denti.
Cercai di pietrificarlo con lo sguardo (invano), mi girai e iniziai a correre.
 
Durante quella noiosissima corsa, ebbi il tempo di rimuginare sulla mia vita. Ancora due settimane e avrei festeggiato il mio compleanno. Avrei rivisto mio fratello, Ryoko, Izumi e Akiko, sperando che per quella data fossero già fuori dal coma.
Ricollegandomi a quell’accaduto, iniziai a pormi la solita domanda: come diavolo era gestito quel test? Insomma, ragazze determinate come loro che ci avevano praticamente rimesso la pelle, mentre io avevo solo preso una piccola scossa.
Non solo! Perché Ryuga faceva dei test molto più pericolosi dei miei? Creare l’elettricità. Sfondare una porta blindata. Perché era tutto destinato solo a lui? Anch’io ero una candidata per L-Drago.
Mentre rimuginavo sulle suddette questioni, un’improvvisa fitta mi percorse la spalla sinistra fin alla clavicola. Gridai tra i denti e mi accasciai a terra, la pelle insabbiata e imperlata di sudore.
Dopo due secondi, la sua ombra mi coprì.
«Che ti prende?» domandò, non curante.
L’ultima cosa che volevo mostrargli in quel momento era la mia debolezza. Mi rialzai, a stento, ancora in preda al dolore. Ispirai profondamente, drizzai la schiena, cercando di assumere una postura fiera.
Non vedevo né stima, né tantomeno compassione negli occhi di Ryuga.
«No… Non è niente.» ammisi; la mia voce tremante mentiva.
«Togli la mano.» Sbottò con tono arrogante.
Abbassai lo sguardo e allontanai la mano che copriva la mia spalla sinistra.
Cambiò espressione; divenne allarmato.
«Come te lo sei fatto?» Allungò la mano, accarezzando quella strana ferita.
«Eh… Non saprei.»
«È successo alla sede di Nebula Oscura?».
«Credo di sì.»
Perché gli interessava tanto? Perché si era tanto preoccupato? Prima sembrava non fregargliene niente.
Avvicinò lo sguardo al graffio. Aveva un tocco delicato e…piuttosto piacevole. Sentii all’improvviso le farfalle nello stomaco.
«Meglio andare. Tra poco l’elicottero di Doji sarà qui.»
 
 
Non lo rividi per un bel po’.
Per tutto il viaggio in elicottero rimase in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.
L’unica cosa che dimostrava la sua presenza erano i fulmini che colpivano la palestra ogni sera e giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento, diventavano sempre più potenti. A volte passavo ore a osservare quei sottili intrecci luminosi, faticando a credere che fosse proprio un essere umano a crearli. La sua determinazione e concentrazione erano per me oggetto d’invidia, di confronto.
A ritorno dalla sessione all’aperto, mi recai sulla spiaggia ogni giorno. Lì, facevo minimo un’ora di nuoto e tre giri di corsa sul bagnasciuga. Avrei voluto che Ryuga mi vedesse, avrei voluto notare nei suoi occhi un minimo di stima. Ma lui non c’era mai. Né in mensa, né in camera sua, né da nessun altra parte.
Era strano; quel ragazzo mi mancava. In particolar modo, mi mancavano le sue, seppur rare, attenzioni nei miei confronti, il suo modo di guardarmi, ostile ma con un non so che di rassicurante.
Come potevo considerare Ryuga? Un amico? No, non eravamo ancora così affiatati. Un compare? Nemmeno, io non ero alla sua altezza.
 
Passarono due settimane. Giunse finalmente il giorno da me tanto anelato.
Mi ero letteralmente ammazzata di allenamenti in quei giorni. Me le ero meritate ventiquattro ore totalmente dedicate a me.
Con due giorni d’anticipo, avevo inviato una lettera all’ospedale indirizzata alle mie tre ex compagne di stanza.
Passai praticamente tutta la mattinata a prepararmi, non volevo che mio fratello e le altre mi scambiassero per una specie di selvaggia. Non che avessi fatto un granché per prepararmi, ma solamente indossato un abito piuttosto leggero e pettinato i capelli, cosa che odiavo e non facevo mai, ma comunque.
Saltellavo per il corridoio, felice. Le poche persone che incrociavo mi guardavano con occhio stranito.
«Buongiorno, Paschendale!» sentii la voce di Doji alle spalle.
«Buongiorno, Doji!» risposi con un sorriso.
«Ti vedo raggiante questa mattina.»
«Davvero? Beh, oggi verrà a trovarmi il mio fratellone e le mie amichette.» Sì, va bene, lo so, mi esprimevo come una bimba piccola. Insomma, era da tanto, troppo tempo che non mi sentivo così su di giri nell’attesa di un incontro.
«Mi fa piacere.» Commento Doji con un'aria apatica che stonava con la sua affermazione.
«Mi cercavi?» Domandai, cambiando discorso.
«Oh, già! Ho analizzato i tuoi risultati in questi allenamenti.» Al ritorno dalla sessione, avevo l’obbligo di recarmi nei laboratori di Nebula Oscura ogni tre giorni per ulteriori test, così da accertarsi di miglioramenti e condizioni di salute. «Devo ammettere che il tuo fisico sta migliorando dopo ogni test. Sembra quasi ci sia qualcosa che ti spinga a migliorare.»
«G-Già…!» portai una mano sulla nuca, un tantino imbarazzata. «Infatti, credo di aver sviluppato un certo interesse per questo L-Drago.» Mentii. In realtà, l’unica cosa che m’interessava era essere considerata da Ryuga un minimo più interessante, e l’unica cosa che interessava a quella specie di alieno era la determinazione.
«Molto bene, allora. E quasi dimenticavo, buon compleanno!» Prima di voltarmi le spalle e tornarsene ai suoi uffici, notai nel suo sorriso una traccia enigmatica, indecifrabile, fredda, totalmente priva di positività.
 
C’era solo una strada per accedere alla sede ed ero certa che Kyoya avrebbe percorso solamente quella. Era almeno un’ora che lo attendevo, seduta su una scomoda sedia che avevo rimediato dalla sala mensa.
Mi diedi della stupida più volte per non aver preso un libro, l’iPod, una rivista o qualsiasi altra cosa per ingannare l’attesa.
Ormai erano le 17.00. Non c’era nessuno all’orizzonte.
18.00
19.00
Il freddo Maestrale soffiava sulla costa. Il mio abitino era troppo leggero per quelle temperature.
Delusa e infastidita, entrai nell’edificio, diretta in camera mia.
I corridoi, come sempre deserti, erano fiocamente illuminati dalla luce del tramonto. Vi era lo stesso silenzio che solitamente li caratterizzava, finché non mi avvicinai agli uffici del Presidente di Nebula Oscura.
 
«Calmati!».
 
Sembrava esserci un discorso acceso in quella zona.
A passo lento e leggero, mi avvicinai alla stanza in cui Doji soleva lavorare.
Le parole che inizialmente sembravano solo echeggiare nel corridoio, divennero vere e proprie urla di terrore.
Una volta giunta alla meta, riconobbi la voce del Presidente di Nebula Oscura; non era mai stato tanto spaventato.
 
«Cosa… Cosa vorresti sapere?»
 
Uno schianto improvviso, simile a un tavolo rovesciato.
 
«Che diavolo vuoi fare con quel bey?».
 
La riconobbi chiaramente: era la voce di Ryuga.
A differenza del suo interlocutore, era ringhioso, ma comunque pacato.
 
«Ma niente… Niente di che…».
 
Un altro colpo.
 
«Dimmi che ne vuoi fare!».
 

BIP! BIP!
 

Il cellulare vibrò nella tasca.
Mi allontanai di corsa, pregando tutti gli dei del cielo che quei due non si fossero accorti di nulla.
Afferrai l’apparecchio. Il numero riportato sullo schermo, ovviamente non registrato in rubrica, mi ricordò qualcosa. Un numero contattato non troppo tempo fa.
«Pronto?» Bisbigliai, nonostante fossi ormai lontana dall’ufficio di Doji.
«Pronto, Paschendale?».
«Chi parla?».
«Sono Benkei
«Benkei!» Mi misi le mani tra i capelli. L’impazienza cominciò ad aumentare. «Mi puoi dire dove diavolo è finito mio fratello? È tutto il pomeriggio che lo aspetto!».
Mugugnò versi incomprensibili, esitante, spaventato.
«Ehm… Vedi… Kyoya…» Sentii le mani prudere, non a causa della sua irritante insicurezza, ma per la risposta che supponevo stesse per dare. «Kyoya non è potuto venire perché…».
Interruppi la telefonata prima ancora che potesse rispondere. Non volevo ascoltare la palese scusa che si sarebbe di sana pianta inventato sul momento.
Kyoya ha perso il treno.
Kyoya ha avuto un imprevisto improvviso.
Kyoya si è allenato troppo. Gli dispiace tanto, ma è troppo stanco.
Scuse! Tutte scuse!
“Abbi almeno il coraggio di dirmelo in faccia che non vuoi vedermi, idiota!”
 
 
Il buio mi avvolgeva, così come il perfetto silenzio presente nella stanza.
Almeno per quella notte, dopo una giornata tanto orribile, non sarebbero potuti esserci danni.
Mi gettai nel mio mare di lacrime, nel mio mare di ricordi. Cercai d’eclissare quelli peggiori, cercai di rievocare quelli felici. Ma la mia mente funzionava al contrario quella sera.
Le lacrime rigavano le cosce, i polpacci, fino a bagnare quel telegramma a me indirizzato, letto poco dopo aver ricevuto l’offerta declinata da Kyoya.
 
Gentile Sig.na Tategami,
siamo desolati di informarla che le pazienti da lei indicate nella lettera non potranno raggiungerla per la data richiesta a causa di gravi problemi di salute.
Le auguriamo una buona giornata.

Reparto ospedaliero di Nebula Oscura.

 
 
Quel silenzio soffocante pesava.
L’improvvisa necessità di affetto, dopo due settimane d’ignorabile solitudine, demoliva ogni mia cellula.
Sentire la voce, il corpo, o anche solo la presenza di qualcuno avrebbe alleviato i miei turbamenti.
Alzai il capo dalle ginocchia, in mezzo alle quali avevo rifugiato il volto da chissà quanto tempo. Con un movimento secco mi asciugai gli occhi lucidi.
Non vedevo niente. Il buio della stanza era totale.
Mi avvicinai alla porta; l’unica luce che seguivo era la memoria.
 
Ignorai il vento freddo che accarezzava la mia pelle, nonostante il mio abbigliamento per la notte fosse composto da una canotta e shorts di leggero tessuto.
Alzai il pugno destro e colpii la porta che mi stava innanzi tre volte, con una decisione che non avevo mai dimostrato prima.
Attesi. Non volevo insistere. Tuttavia, se non mi avesse aperto, dubito sarei tornata in camera.
La maniglia s’abbassò, lentamente, così come la porta quando si aprì.
Alzai lo sguardo, incontrando le sue iridi dorate.
Di rimando, imitai quello sguardo freddo, arcigno, impaziente. Con l’unica differenza che i suoi occhi erano perfettamente asciutti.
Restammo immobile senza dire una parola.
Ryuga si spostò a destra, lasciando tra lui e lo stipite uno spazio abbastanza ampio da farmi passare.
 
Non mi chiese nulla, non sembrava interessato alla mia malcelata tristezza. Ciò mi bastava, non ero dell’umore adatto per raccontare i miei problemi.
Il buio di quella stanza era lieve, nulla in confronto a quello in cui ero rimasta immersa fino a poco prima. Le increspature sulla superficie dell’oceano brillavano così come le mie lacrime. Era inutile nasconderlo, non potevo nasconderlo.
Mi ritrovai in posizione fetale, sdraiata sul fianco destro.
Pensavo che condividendo il letto con qualcuno, forse, mi sarei sentita meno sola. A quanto pareva, mi sbagliavo.
Volati il viso verso sinistra; mi dava le spalle, sembrava addormentato ormai. Probabilmente non se ne sarebbe neanche accorto.
Mi girai sul fianco sinistro. Strisciai lentamente verso di lui, finché le mie braccia non gli avvolsero il torace. Affondai il viso nella schiena, le lacrime che cadevano copiose.
Nemmeno mi ero accorta di quel gesto, nonostante fosse stato portato avanti con estrema lentezza.
Lo sentii irrigidirsi, fremere leggermente.
Avevo le sue mani sulle spalle, spingermi contro il materasso.
Le sue anche contro le mie.
Due occhi d’ambra che mi fissavano, vuoti.

 
 
 
Yeeeeeeaaahhhh!!!!!
Ciao pipppolll!!!!
Come state!?
Voi non, e dico NON potete capire quanto mi siate mancati tutti.
Finalmente, dopo secoli, rieccomi su questo fandom. Sono sicura che molti di voi avranno dato questa fic per dispersa ma, come potete leggere nell'intestazione della mia pagina, QUESTA FANFICTION PRIMA O POI LA FINIRO'!!
Ci tengo a fare una piccola precisazione sul titolo de capitolo: letterlamente significa "Malato di questo" e come avrete potuto evincere dal testo, non c'è nessun collegamento tra il capitolo e il suo titolo. Semplicemente, "Sick Of It" è una canzone degli Skillet – tanto so che li conoscete! Non sareste dei veri fan di questa saga se non li conosceste ù.ù , con la quale mi sono fissata durante la stesura di quello che avete appena letto dopo mesi d'attesa.
Spero tanto di ritrovarvi tutti, e spero soprattutto di aggiornare in tempi recenti la prossima volta.
Ditemi cosa ne pensate, mi raccomando!
Alla prossima :D Vi voglio bene!



 
  
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