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Autore: The_Grace_of_Undomiel    22/06/2014    1 recensioni
Sam è un ragazzo di sedici anni mezzo, che si è appena trasferito in una nuova città.
A causa del suo carattere un po' timido ed insicuro, il giovane non si era mai sentito accettato dai precedenti compagni di classe ed era spesso deriso o emarginato. In conseguenza a ciò, Sam vede nel trasferimento un'opportunità per incominciare una vita migliore della precedente ed è molto ansioso, oltre che timoroso, di iniziare la nuova scuola. Purtroppo però, le cose si mettono subito molto male per il ragazzo, diventando sin dal primo giorno il bersaglio dei più temuti bulli di tutto l'istituto, I Dark, e da quel momento in poi, la vita per lui diventa il suo incubo personale.
Ma col passare del tempo, imparerà che a volte non bisogna soffermarsi solo sulle apparenze e le che le cose, a volte, possono prendere una piega del tutto inaspettata...
Dal testo: "I Dark si stavano avvicinando sempre di più, ormai solo pochi metri li separavano da Sam e Daniel. Avanzavano uno vicino all’altro, formando una sorta di muraglia, tenendo al di fuori tutto quello che c’era dietro di loro"
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Quella mattina il suono trillante della sveglia parve a Sam molto più irritante del solito. Spalancò gli occhi al soffitto, destandosi da un sonno senza sogni, poi si girò su fianco, con lo sguardo rivolto verso l’apparecchio che continuava a suonare insistente.  Dopo qualche secondo di immobilità realizzò che non sarebbe mai riuscito a spegnerla con la forza del pensiero, perciò infine fu costretto a malincuore ad alzarsi dal letto e a metterla a tacere. Guardò l’ora: le 06:50.
Si stiracchiò pigramente, dopodiché si diresse verso la finestra e tirò su la tapparella. Il riverbero grigiastro tipico delle mattine di Marzo inondò la stanza, illuminandola con una luce fredda.
Dopo questa operazione il ragazzo spalancò l’armadio, prese i primi vestiti che gli capitarono a tiro, poi, ancora in stato catatonico, uscì dalla stanza per andare in bagno.  Per fortuna lo trovò libero, evidentemente Amber doveva essersi svegliata prima e aveva già fatto tutto, era incredibilmente lenta nelle preparazioni mattutine, perdeva sempre un sacco di tempo a pettinarsi e a riempirsi gli occhi di trucco. Cose del tutto superflue, secondo Sam.
Si lavò e si vestì e, nel mentre, il pensiero della scuola continuò ad assillarlo. Si sarebbe trovato bene lì? Con quali persone avrebbe dovuto avere a che fare? 
Quando aveva saputo che avrebbe cambiato città e di conseguenza scuola, la cosa lo aveva reso tutto sommato felice. Il dispiacere più grande era stato quello di doversi separare dal suo migliore amico, l’unico che avesse mai avuto, ma per il resto era contento del trasferimento. Nella scuola in cui andava prima non si era mai ambientato del tutto, non si era mai sentito accettato e, la maggior parte dei suoi compagni, non faceva altro che prenderlo di mira per fargli stupidi scherzi oppure semplicemente lo ignorava. Perciò Sam si era sentito sollevato all’idea di cambiare finalmente aria, ma col tempo si era reso conto che la nuova scuola avrebbe anche potuto essere molto peggio, iniziata a metà anno per di più!
Si buttò sul viso dell’acqua gelida, per cercare di rinfrescarsi le idee. Continuare a farsi crucci non sarebbe servito a nulla, solo a turbarlo.
A colpi di spazzola cercò di sistemarsi, con scarsi risultati, la chioma ribelle che si ritrovava e infine si diresse a passo di bradipo verso la cucina.
Vide che Holly, Amber e sua madre stavano già facendo colazione sedute intorno alla tavola.
-Ciao  a tutte!- salutò il ragazzo, con un sorriso.
-Buongiorno Sam, ha dormito bene stanotte?- domandò sua madre.
-Direi di sì, ho solo fatto un po’ fatica ad addormentarmi- rispose lui lanciando un’occhiatina ad Amber che,  con la testa china, smanettava già di primo mattino col cellulare.
Si sedette vicino alla sorella e chiese, affamato –Allora, cosa c’è per colazione?-
-Guarda cosa c’è nel mio piatto e lo scoprirai...- rispose scorbutica Amber senza distogliere un istante gli occhi dal display.
Sam ubbidì e notò che la colazione della ragazza, come quella di sua madre e di Holly, era composta da un gustosissimo tozzo di pane e un bicchiere di acqua naturale.
Continuò per un po’ a spostare lo sguardo dal piatto a sua madre, poi  commentò –Mh, vi siete messe in combutta, vero? Dov’è la telecamera nascosta?-
-Beh ecco...- rispose sua madre, un po’ mortificata–Nessuna telecamera in realtà.  Ciò che vedi è la nostra colazione per questa mattina, oggi pomeriggio avevo in programma di andare a fare la spesa, perciò...-
-Si si mamma, tranquilla. Stavo solo scherzando, mi va bene anche mangiare del pane!- si affrettò a chiarire Sam e detto questo addentò con voracità un pezzo della pagnotta.  Non voleva assolutamente, per nessuna ragione al mondo, che sua madre si intristisse per qualcosa, fosse anche la più stupida. Aveva già sofferto fin troppo e nonostante tutto andava avanti, cercando di non far mancare niente a lui e alle sorelle, a partire dall’acquisto di una casa da sogno, con tutti i sacrifici che essa comportava.
-No, invece a me non va bene!- commentò aspra Amber.
Il giovane la guardò torvo: inutile, quella parlava solo perché aveva la bocca.
 –A parer mio un pezzo di pane non può essere definito una colazione, per non parlare del fatto che i carboidrati ingrassano e ”ciao ciao” alla mia linea!-
-Ma sorellona tu non hai la linea, sei grassa! Vero che è grassa, mamma?- disse Holly, con un’ingenuità che solo i bambini possono avere.
Sam scoppiò in una fragorosa risata .
-La bocca della verità!- esclamò continuando a ridere e rischiando di soffocarsi con una briciola di pane.
-Hai sentito cosa ha detto? Mamma, dille qualcosa!- si imbufalì la ragazza –E tu piantala di ridere, idiota!- esclamò poi, lanciando un’occhiataccia al fratello.
-Amber , è una bambina. Ha solo nove anni- rispose la donna, ma di certo non mancò nel dire due paroline alla figlia più piccola.
Finita “l’appetitosa” colazione la madre ed Holly si alzarono da tavola per andare a scuola. La bambina sarebbe andata nello stesso istituto in cui avrebbe insegnato la mamma, perciò, in quanto la donna doveva farsi trovare a scuola un po’ di tempo prima, anche Holly era costretta a seguire i suoi orari.
Preso il suo zainetto rosa, la piccola corse tra le braccia del fratello.
-Ciao, Sam! Ci vediamo più tardi!- lo salutò con la sua vocina limpida e abbracciandolo.
-Sì, a dopo...-  le rispose lui, sfiorandole i codini.
Soddisfatta, Holly, senza degnare di uno sguardo la sorella maggiore, si affrettò a dare la mano alla madre ed entrambe uscirono di casa.
I due fratelli più grandi finirono la loro colazione in silenzio e con calma, avendo ancora un bonus di  venti minuti prima del suono della campanella.
-Ah, Sminchio, comunque volevo dirti che ho dato un’occhiatina alla strada che bisogna fare per andare a scuola...- esordi Amber.
-Me ne compiaccio, Crudelia...E con ciò?- domandò Sam, indifferente.
-Non capisci proprio niente- sbottò lei –Come ben sai, in quanto andremo nello stesso istituto, saremmo costretti a fare la stessa strada, ma io non ho alcuna intenzione di farla insieme a te. Però, su Google Maps, ho scoperto che ci si può arrivare con due strade, una più lunga e l’altra più breve- spiegò la sorella.
-Continua...- la incitò il ragazzo con aria professionale.
-Perciò, io farò la strada più breve e tu quella più lunga e siamo posto!- sorrise Amber compiaciuta.
Sam sgranò gli occhi –Ohi, ohi! E questo chi l’ha deciso!? Perché devo cuccarmi io la strada scomoda, scusa?-
-Perché sei piccolo e sfigatello-
-Non sono né l’uno né l’altro e comunque, se vogliamo fare le cose eque, dobbiamo fare a turno. Una settimana farò io la strada lunga e un’altra tu e così via- affermò con forza lui.
Amber fu costretta ad accettare i termini del fratello e, per decidere come sarebbe iniziato il giro quella settimana, decisero di tirare a sorte.
 Sam avrebbe fatto la strada più lunga.
Il ragazzo imprecò, decisamente la giornata non era iniziata per il meglio. Si alzò da tavola, cercando di ignorare le esclamazioni di vittoria di Amber, e andò in camera a prendere il suo zaino. Poi, presi sciarpa e giacca uscì di casa con la sorella. Si fece dare due indicazioni, poi, senza salutarla, le diede le spalle e si incamminò.
Una folata di vento gelido lo investì da capo a piedi, facendolo rabbrividire. Si tirò la sciarpa rossa fin sotto gli occhi, e con la mise da bandito,  proseguì.
Approfittò di quell’arco di tempo per guardarsi attorno e curiosare un po’ il quartiere, visto che quando erano arrivati era buio e non era riuscito a vedere niente.
Sulla sinistra si susseguivano un gran numero di villette, alcune con il cortile come la sua, altre con il giardino. Alla sua destra, al di là della strada, la stessa cosa.
Avanzava con passo spedito e con le mani in tasca, osservando le persone intorno a lui. Alcuni, uomini e donne, andavano al lavoro, anziani si facevano la passeggiata mattutina e qualche cinquant’enne pazzoide con top e pantaloncini color fluo (molto adatti alla stagione) faceva jogging. Le strade invece erano affollate di auto e pullman.
Continuò a camminare con le ali ai piedi fino a quando non si fermò bruscamente, esterrefatto. Proprio di fianco a lui si ergeva una mega villona a quattro piani, delimitata da un gigantesco cancello placcato d’oro. Aveva anche un giardino enorme e a Sam parve di intravedere sul retro una piscina.
“Cavolo, questi qui devono proprio essere dei barboni!” pensò con ironia.
Proprio in quel momento, dalla porta principale, uscì una ragazza. Era altissima, con un fisico mozzafiato, i capelli biondi perfettamente legati in una lunga coda alta. Portava un giubbino di pelle bianco, un paio di jeans molto attillati e, sulla spalla, aveva una grande borsa azzurra. Tutta roba firmata.
Giunse in strada, camminando sui suoi rumorosi stivaletti col tacco (coordinati al resto dell’abbigliamento)  e, quando fu in linea d’aria di Sam, gli piantò per un attimo addosso un paio di occhi azzurro ghiaccio, impeccabilmente truccati con una sottile linea di matita nera.
Il  ragazzo giurò di non aver mai ricevuto in vita sua un’occhiata di disprezzo come quella. Rimase lì immobile, imbacuccato nella sciarpa, fino a quando la misteriosa ragazza non si stufò di analizzarlo e, fatta una smorfia, quest’ultima si voltò e si incamminò verso la stessa direzione di Sam, precedendolo.
Lui rimase ancora un attimo  li fermo, poi riprese a camminare. I due seguirono per un po’ di tempo la medesima direzione, fino a quando Sam, non potendo fare a meno di sentirsi a disagio, decise di attraversare e di proseguire sull’altro lato della strada.
La ragazza gli lanciò un’occhiata, approvando la cosa. Era intollerabile che un essere insignificante come lui percorresse il suo stesso tragitto.
Nel frattempo Sam, attento a non farsi notare, di tanto in tanto la guardava. Si chiese quanti anni potesse avere, era difficile darle un’età: d’impatto sembrava una vent’enne, ma poteva anche avere la sua stessa età. Inoltre, chissà qual’era la sua occupazione...Probabilmente era una modella, oppure frequentava qualche prestigioso istituto per aspiranti stiliste o, per l’appunto, per aspiranti modelle.
Poi, si rese conto che la ragazza stava continuando a fare la sua stessa strada. Si raggelò. Non è che per caso frequentava la scuola in cui sarebbe andato lui?  O peggio ancora, non è che sarebbero stati nella medesima classe? Il pensiero di ricevere altre occhiate sprezzanti non lo allietava molto.
Proprio mentre era impegnato a fare lo Sherlock da strapazzo, udì in lontananza una voce, o almeno così gli parve.  Ignorò la cosa e continuò a fare i suoi scrupolosi ragionamenti, non avendo nient’altro di meglio da fare, quando udì di nuovo quella voce, questa volta molto più vicina, che lo riportò alla realtà.
-SPOSTATI!- sentì urlare da dietro.
Lui si voltò di scatto e all’improvviso avvertì qualcosa urtargli con forza una spalla. Perse un po’ l’equilibrio a causa dell’impatto, ma, fatto qualche balzello abbastanza ridicolo, riuscì a rimanere in piedi.
Notò che anche l’individuo che aveva causato lo scontro era riuscito a mantenere l’equilibrio, nonostante si trovasse su uno skateboard.  Indossava  un improbabile giubbotto di pelle nera, un paio di pantaloni strappati del medesimo colore e delle scarpe da ginnastica. Sulla testa portava un cappellino da baseball, con la visiera calata sugli occhi e in spalla aveva uno zaino, ovviamente di colore nero.
-Hey, mi hai quasi travolto lo sai?- esclamò Sam, massaggiandosi la spalla dolorante.
L’altro non rispose e, con un’abile mossa, prese sotto mano lo skateboard.
-La colpa non è mia- disse poi, seccamente.
Sam sussultò, quella era la voce di una ragazza.
 -Ti ho urlato due volte di levarti di mezzo, ma a quanto pare sei sordo e non hai sentito. La prossima volta presta più attenzione, Billy The Kid- e detto questo ripartì a rotta di collo, fino a sparire.
Il ragazzo rimase con un’espressione alquanto esterrefatta, poi si tirò giù la sciarpa con uno strattone. Messa in quel modo lo faceva sembrare davvero un bandito. Guardò l’orologio da polso: cacchio, aveva meno di tre minuti per raggiungere la scuola!
Si mise a correre come un ossesso, non era il caso di arrivare tardi il primo giorno.
 Nel frattempo la ragazza dagli occhi azzurri si era volatilizzata.

Arrivò di fronte alla scuola con ancora un bonus di un minuto. Ormai nel cortile di fronte non c’era praticamente più nessuno, a parte qualche ritardatario come lui, che correva come un pazzo col rischio di farsi scoppiare un polmone.
Fece gli scalini quasi volando, ed entrò nell’istituto. Quest’ultimo era enorme, molto più grande rispetto a quello in cui andava prima. Di fronte a lui si estendeva un lungo corridoio, con ai lati gli armadietti degli studenti. Proprio lì vicino c’era una bacheca, con sopra appuntati volantini e foglietti dagli svariati colori, mentre sulla sinistra si trovavano le scale.
Non vi era anima viva e regnava il silenzio assoluto. Per un attimo Sam credette di veder passare un rotola campo. 
Cercò di ricordarsi dove doveva andare: terzo piano, classe E, in fondo sulla destra.
Percorse a velocità supersonica le scale, facendo quasi a carponi gli ultimi gradini. Sfrecciando davanti al cartello “Vietato correre nei corridoi” raggiunse la sua classe, dalla quale proveniva un caos infernale.
 20 secondi di bonus. 
Cercò di ricomporsi e di respirare più regolarmente ed infine entrò. L’aula era abbastanza grande, con un totale di tre finestre.  Poco distante dalla porta c’era una grossa lavagna nera, i muri verdini erano ricoperti di cartine geografiche e di cartelloni, più qualche disegno non ben definito.
Una moltitudine di studenti era impegnata ad urlare, schiamazzare, parlottare, spettegolare e, qualcuno, addirittura a cantare.
Nessuno si accorse di lui e, intimidito, cercò di farsi largo tra la folla e di trovare un banco vuoto nel quale stabilirsi. Ne trovò uno in fondo a destra, vicino alla finestra. Si sistemò lì e vide che il banco di fianco a lui era ricoperto di quaderni, fogli, penne, matite, diario, spazzolino, dentifricio (?)  e un bicchiere di plastica, tutto buttato alla rinfusa.
Si sedette sulla sedia e dopo aver tirato fuori i libri, studiò l’ambiente circostante. Notò subito che gli studenti parlavano divisi a gruppetti: c’era il gruppo dei secchioni, muniti di occhiali e vestiti con maglioncino e cravattino che confabulavano sui compiti della settimana. Poi c’era il gruppo dei maschi “alfa”, alti, palestrati, vestiti alla moda e dal sorriso splendente che sghignazzavano; il gruppo delle fotomodelle bellissime e popolari che parlavano di gossip e dei fatti altrui.
 Proprio in quel momento Sam ebbe un colpo, in mezzo a quelle si trovava anche la misteriosa ragazza dagli occhi azzurri che aveva incontrato e che in quel momento stava dirigendo la conversazione. 
Il ragazzo si fece piccolo piccolo, mentre il disagio cominciava a divorarlo. Ecco, lo sapeva.
Continuò il suo giro di perlustrazione, notando gli ultimi due gruppi. Il primo comprendeva solo cinque persone, tutti vestiti di nero e dall’aria poco raccomandabile che complottavano , quatti e coi ghigni stampati sul volto, qualche brutto tiro da tirare ai secchioni.  I bulli.
Infine l’ultimo non era proprio un gruppo, si trattava di qualche studente anonimo radunato intorno alla cattedra  che stava incitando un pazzoide a cavalcioni di essa,  il quale gridava qualcosa e usava la propria cintura come lazzo.
In quel preciso istante Sam ebbe il secondo colpo della giornata e la prova lampante che la sfortuna quel giorno era stata particolarmente generosa con lui: nella classe era appena entrata la tizia dello skateboard che, con ancora il capello da baseball calato sugli occhi e le mani in tasca, raggiunse il gruppo dei Bulli. Fortunatamente non si accorse di lui.
-Ohi! Perché arrivi solo adesso?- le domandò uno di loro, quello più alto e quello con la faccia più da delinquente.
Lei scrollò le spalle –Ho avuto qualche contrattempo... e poi sono andata a fare quella cosa, come eravamo d’accordo, no?-
Un ragazzo con la cresta ridacchiò –Brava! Ci sarà da divertirsi...-
-Non ti ha visto nessuno, vero?- indagò quello che aveva parlato per primo.
-Per chi mi hai preso? Certo che non sono stata vista, faccio le cose per bene io. Tutto sembrerà un semplice problema tecnico, ve lo assicuro-
-Stupendo! Ah ragazzi, non so voi, ma io amo queste genere di cose, creare un po’ di scompiglio!- esclamò uno dai capelli legati in un codino, tutto esaltato.
Sam cercò di cogliere altri particolari della conversazione, ma non vi riuscì.
All’improvviso la campanella, con un ritardo di dieci minuti,  suonò e tutti gli studenti si affrettarono a prendere posto. Il tizio a cavalcioni della cattedra scese giù con un energico balzo e si andò a sedere proprio nel banco vicino a Sam. Riordinò  come poté e, dopo aver fatto i suoi affari, esclamò stupito –E tu da dove sbuchi!?-
Sam, stralunato, fece per rispondere quando una donna sulla sessantina d’anni entrò in aula, spalancando la porta, e mettendo a tacere gli ultimi brusii. Zoppicante e con lo sguardo incattivito si sedette alla cattedra.
-Buongiorno- disse con un vocetta stridula, aprendo il registro.
-Buongiorno signora Symons- ne seguì il coretto di risposte.
La donna si grattò nervosamente il naso aquilino e  domandò brusca –Allora, qualcuno sa dirmi a che punto siamo arrivati col programma?-
-Ma...- intervenne un ragazzo con un montatura d’occhiali più grande di lui e con l’erre moscia –Mi scusi pev l’ossevazione pvofessovessa, ma pvima di iniziave a spiegave non dovvebbe fave l’appello?-
-Acuta osservazione,  De Vere - rispose la Symons, mentre il ragazzotto gongolava compiaciuto –Che sia una cosa breve, però ,e non fatemi perdere tempo!-
Così la professoressa cominciò a fare l’appello. Mentre la donna leggeva, finalmente Sam poté dare un nome ai volti: scoprì così che la ragazza dagli occhi azzurri si chiamava Chanel Dale, il ragazzo con gli occhiali Mark De Vere, il tipo con la faccia da delinquente Travis Green, quello con la cresta Kay Hall, il Signor Codino Oliver Irving.
-Daniel Lipton?- domandò la prof.
-Qui presente, professoressa!- esclamò il vicino di banco di Sam, tirando su di scatto la testa e aggiunse con un sorriso –Mi scusi, posso permetterle di dirle che stamattina è più radiosa del solito? Tagliato i capelli forse?-
L’altra lo guardò torvo –Non cominciare a farmi perdere tempo fin dalla prima ora, Lipton! E ci tengo a rammentarti che le tue inutili lusinghe non ti faranno avere la sufficienza-
-Oh, ma come può pensare che io dica queste cose pensando di avere un compenso in cambio! Sono solo una persona che ama dire la verità, tutto qui- rispose Daniel, teatralmente addolorato.
-Ti ho detto di tacere, Lipton! Ed ora… continuiamo l’appello-
La prof proseguì  ininterrottamente con la lettura dei nomi, fino a quando non lesse il nome della ragazza con lo skateboard.
-Kyda Stowe?-
Lei fece appena un cenno con la mano e fu a quel punto che la Symons si imbestialì.
-Stowe! Si può sapere che ci fai con un cappello da baseball in testa? Toglilo immediatamente!- sbraitò.
Infatti la ragazza non si lo era più levato e continuava a tenerlo calato sugli occhi.
-Perché dovrei, mi scusi? Il fatto che lo tenga disturba forse qualcuno?- rispose, neutra.
-Cos’è tutta questa mancanza di rispetto!? Come tu ben sai è vietato tenere qualsiasi tipo di copricapo durante le lezioni, perciò toglilo!- urlò la prof, salendo di un’ottava.
Kyda rimase ferma immobile e con le braccia incrociate, in segno di sfida. Infine, sbuffando sonoramente, si tolse il cappello con uno strattone.
La treccia laterale nera che era nascosta sotto il berretto uscì fuori, appoggiandosi su una spalla. Sulla fronte le ricadevano ciuffi di capelli, tra cui uno tinto di un blu notte.  Gli occhi, sopra e sotto, erano circondati da uno spessissimo strato di matita nera, rendendoli molto sottili e impedendo a Sam di distinguerne il colore.
-Così va meglio?- domandò, sarcastica.
La Symons la ignorò e riprese l’appello. Lesse come un automa gli ultimi nomi, quando la sua espressione divenne tutta concentrata, soffermandosi sul registro.
-Sam Wilde?- disse, tra lo sorpreso e il confuso.
Il ragazzo alzò timidamente la mano e tutti gli sguardi furono immediatamente su di lui.
-Giusto,  me ne ero dimenticata- disse la prof –Tu devi essere quello nuovo, dico bene? Beh, allora vieni qui alla cattedra e presentati agli studenti, ma che sia una cosa breve, oggi ho tantissime cose da spiegare- poi aggiunse –Ah, io sono l’insegnante di Storia e Geografia, il mio nome è Eloise Symons-
Sam mormorò una sorta di saluto e, impacciato, si alzò e si diresse verso la cattedra. Mentre camminava si sentiva addosso gli occhi di tutti, che avevano già iniziato a commentare.
Non appena lo riconobbe, Chanel non perse tempo e si mise subito a bisbigliare alla sua vicina di banco, di nome Jennifer.
Il gruppo dei bulli lo squadrò da capo a piedi, confabulando tra di loro qualcosa, probabilmente di cattivo. Kyda mormorò qualche parola  a Travis.
Il resto della classe lo guardava tra l’indifferente e l’ostile, a parte Daniel, che gli sorrideva entusiasta.
-Beh, ecco, ciao a tutti- riuscì a formulare il ragazzo –Il mio nome è Sam e mi sono appena trasferito da Amentia a Roxvuld. Sono sicuro che mi troverò bene qui insieme a voi e...non vedo l’ora di conoscervi meglio!-
Silenzio tombale.
-Okay è abbastanza, torna pure al tuo posto- gracchiò dopo un po’ l’insegnante.
Sam ubbidì e, con la testa bassa, ritornò nel suo cantuccio.
La lezione incominciò e il giovane, anche se teneva gli occhi fissi sul libro, riusciva a percepire le continue occhiate che gli venivano lanciate.
-Psss, hey!- sussurrò il suo vicino di banco.
Sam si voltò verso di lui.
-Il mio nome è Daniel, ma questo credo che tu già lo sappia! È un piacere fare la tua conoscenza, sono convinto che ci terremo tanta compagnia durante le interminabili ore di lezione, eheh! Hai detto che vieni da Amentia, vero?-
-Si, da lì- rispose Sam, abbozzando un sorriso.
-Mh, lontanuccio. Quando sei arrivato a Roxvuld?-
-Giusto ieri sera. Adesso abito in Via Arrow, hai presente?-
Daniel annuì. –Sì, dove ci sono tutte le villette. Quindi abiti più o meno vicino a Chanel, giusto?-
Sam fece un sospiro, ricordando l’occhiata sprezzante –Proprio così, infatti mentre venivo a scuola l’ho incontrata-
-Incantevole, non è vero?- chiese l’altro, con gli occhi che luccicavano.
-Beh, si,  molto bella...- mormorò il ragazzo.
-Concordo con te, ma non farti strane idee, lei è solo mia- ammiccò Daniel, fingendo di sottolineare sul libro.
-Siete fidanzati!?- esclamò sgranando gli occhi.
Il compagno di banco ridacchiò –No no, il suo ragazzo è uno di 5 A, si chiama Nick, ma  tutti sanno che lei in realtà stravede per me!-
-Ceeerto, capisco- commentò Sam, per nulla convinto. Come minimo quel Nick era uno di quelli super popolari, belli, ricchi e palestrati, ovvio che una come Chanel stesse con lui. Per carità, Daniel non era affatto un brutto tipo, biondo, occhi azzurri e sorriso gentile, ma di sicuro non poteva competere con quello là.
La conversazione finì lì e Sam seguì per un po’ la lezione, quando si accorse che il gruppo dei Bulli non faceva altro che fissarlo.
-Daniel...- sussurrò a voce bassissima –Mi dici chi sono quelli?-
Il biondo guardò un attimo verso il gruppetto, poi si rivolse a Sam –Come avrai notato, quelli sono i nostri bulli. Si fanno chiamare I Dark, originale come nome, non trovi? Sono gente strana, non tanto a posto. Tormentano pesantemente chiunque non gli vada a genio, sono soliti a creare problemi nella scuola e sono stati sospesi più di una volta. Per colpa loro un ragazzo della nostra classe ha cambiato istituto, in quanto era stato preso di mira e non sopportava più i loro tiri mancini. Il capo della banda è Travis, non è tanto intelligente, ma sa usare le mani. Poi ci sono i suoi scagnozzi, come Kay, Oliver, Hazel e Tony. Infine l’unica ragazza del gruppo è Kyda, il braccio destro di Travis. Apatica, fredda, astuta e...bastarda- Daniel concluse il racconto con un tono grave, che per il tipo che pareva essere non gli si addiceva per niente.
Sam deglutì, inquieto. Le informazioni di Lipton lo avevano scosso. A suo tempo era già stato vittima di bullismo, ma quelli della sua scuola sembravano degli angioletti rispetto alla descrizione di questi.
 E pensare che quella mattina si era giusto scontrato con Kyda. Era già condannato?
-Cosa...cosa hanno fatto a quel ragazzo là?- chiese con la voce un po’ roca.
-Non è  una bella storia, ma un giorno forse te la racconterò...- rispose Daniel che aggiunse –Un consiglio da buon vicino di banco: stacci il più lontano possibile- e detto questo si rimise a sottolineare.

  
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