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Autore: Sheep01    23/06/2014    6 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 23

 

[Hydra]

 

“… se hai sentito parlare di noi saprai che il nostro lavoro non è fare prigionieri. Il nostro lavoro è uccidere nazisti e, credimi, gli affari vanno a meraviglia!”

[Inglourious Basterds]

 

*

 

Faceva freddo per essere la fine di marzo. Una pioggerella sottile, fastidiosa scendeva impertinente, andando a conficcarsi nella pelle come uno scroscio di piccoli aghi.

Faceva freddo e il rumore delle sirene ancora risuonava, potente, molesto, nauseante nei timpani, nonostante ora non fosse che un’eco lontana, quasi intangibile. Così come lo era il rumore dell’esplosione, di tutti quei proiettili. Gli riecheggiavano nella testa. In una spirale di suoni che ricordava solamente, che non percepiva più davvero.

Faceva freddo… ma il vischioso calore di quel sangue gli ricordava che non poteva e non doveva fermarsi a quelle futili considerazioni. Le mani scivolavano sulla ferita, incapaci di una pressione energica. Come se quello stesso gesto gli stesse suggerendo di non proseguire con il tentativo. Di lasciar perdere.

Faceva freddo. E il respiro era affettato, morente. Era ancora in grado di riconoscere il sibilo di una vita decisa a fuggire, per sempre.

Faceva… freddo.

Era appena iniziata la primavera.

E il suo intero universo si era appena disintegrato.

 

*

 

Il rumore delle pale dell’elicottero era assordante, spostava nuvole di polvere in mulinelli, mentre le fronde degli alberi tutt’intorno frustavano l’aria notturna come comici esseri allarmati, o cantanti rock particolarmente ispirati da un assolo.

“Ne stanno arrivando altri!”

Il commento dell’uomo che imbracciava il fucile, accanto all’ingresso, fu gridato così forte da risultare stridulo nell’esecuzione. Un po’ come quello di un ragazzino che sta uscendo dalla pubertà.

 

Clint aspettava che il suo elicottero atterrasse.

Era stato raccolto quella stessa mattina. Nemmeno lontanamente consapevole di dove lo avrebbero portato. A fargli compagnia, un numero di individui che non conosceva, che non aveva mai visto.

 

“Nuovo?”

“L’incarico è nuovo.”

“Certo, quello dicevo. Piacere: Adam Donovan.”

“Carson White, di Philadelphia.”

 

Fury gli aveva procurato un alias. Un ingaggio. Documenti che lo avevano spedito per direttissima in un paese dell’Europa dell’est.

Non avrebbe potuto fare affidamento su nessun appoggio dell’organizzazione, nessun piano d’estrazione, nessun contatto, se non quello d’emergenza (il nome di un tizio che non aveva nemmeno mai sentito nominare in tanti, onorati anni di servizio). Nessuno sapeva dove era andato o perché. Gli avevano fornito un alibi con un'operazione che aveva richiesto la sua presenza in Africa.

Difficile tener taciuto, per giorni, a chiunque, la sua preparazione all’incognita missione.

Un'operazione ricca di dettagli tutt’altro che rassicuranti. Era la prima volta, dacché lavorava per lo SHIELD che si trovava a dover indagare sulla sua organizzazione, per di più ingaggiato direttamente da uno dei padri fondatori della stessa.

Target: ritrovare oggetti allontanati più o meno lecitamente dai laboratori dello SHIELD.

Uno su tutti, lo scettro che Loki aveva brandito durante la battaglia di New York. Quello stesso scettro con cui gli aveva fritto il cervello, con cui lo aveva costretto ad azioni immonde. Lo stesso scettro che aveva trafitto e ucciso Phil Coulson.

Indicativo come Fury avesse voluto proprio lui, per quel tipo di missione. Per vederlo particolarmente motivato, forse?

Da quando lo scettro era stato sottratto dal subdolo dio dell’inganno - prima che venisse rispedito con un foglio di via per Asgard, scortato dal mastodontico fratello - era stato sottoposto a diversi accertamenti e, poi, collocato nel laboratorio sicuro dove stazionavano tutte le armi particolarmente insolite, aliene, terrestri o universalmente incomprensibili che lo SHIELD aveva accumulato negli anni.

Fury aveva registrato azioni burocratiche poco chiare, accertamenti del tutto inspiegabili (che non aveva autorizzato personalmente, ma alle quali non aveva dato un freno nella speranza di organizzare proprio l’azione in cui era stato coinvolto)… ed ora, mentre l’elicottero su cui aveva viaggiato, atterrava in uno sfarfallio di pale, Clint si trovò a considerare di avere a che fare con qualcosa che sembrava essere completamente sfuggito al controllo ufficiale dello SHIELD.

 

Un numero imprecisato di uomini attendeva la nuova squadra all’ingresso di quella che sembrava una vecchia roccaforte.

Clint ne aveva studiato i dintorni che ancora era in volo: un formicaio di persone, responsabili della sicurezza di qualcosa che era stato chiamato a scoprire.

Si passò una mano fra i capelli – ora tinti di un cupo colore castano scuro – prima di calarsi sulla testa il berretto in dotazione con la divisa. La barba posticcia prudeva sul viso (non era stato in grado di farsene crescere una decente, in quelle poche settimane di preavviso, aveva dovuto improvvisare). Una grossa cicatrice gli attraversava la guancia. Le dotazioni elettroniche di modifica dei tratti del viso avevano fatto il resto. Nessun cambiamento radicale. Il ritocco di alcune sue caratteristiche (“Quel naso va cambiato” “Che hai contro il mio naso?”) a discrezione delle tecnico del laboratorio, investito direttamente da Fury, erano stati sufficienti a ricoprirlo di una nuova, cupa identità.

 

“Ci siamo.” Di nuovo quell’Adam. Tentava di fare il simpatico con scarso successo. Forse era troppo giovane per rendersi conto dei patetici tentativi andati a vuoto: il fatto che lo fosse, in questo caso specifico, lo metteva in condizione di esaltarsi per ogni tipo di situazione, persino la più ordinaria. Come… scendere da un elicottero.

Ragazzini…

“Squadra Alfa!” esordì gridando l’energumeno con divisa d’ordinanza dall’aria scimmiesca che li aveva accolti. Aveva un mento prominente e due grandi orecchie a sventola, in mezzo alla testa un ciuffo rado di capelli che sventagliava comicamente a destra e a sinistra. Clint non lo aveva mai visto, e non lo riconobbe nemmeno facendo scansione virtuale nel database della sua mente. Sperò ardentemente che spegnessero il motore di quel maledetto elicottero. Il rumore gli impediva persino di pensare.

“Agente Donovan, Agente Young, Agente White, Agente Gomez, Agente Mitchell, con me.”

Clint dovette constatare, con suo sommo rammarico, di esser stato messo in squadra con il ragazzino eccitabile. Che non aveva mancato di accogliere la notizia, regalandogli una sonora pacca sulla spalla.
“Ci sarà da divertirsi!” gridò al di sopra del rumore assordante dei motori, prima di superarlo, al seguito del supervisore scimmiesco.

Clint pensò che tutto avrebbe potuto aspettarsi da quell’esordio, fuorché divertimento.

 

I compiti che gli avevano affidato erano d’ordinaria amministrazione: ronde, controlli dei magazzini, delle liste di tutti quei carichi di “merci” in costante entrata e uscita dalla roccaforte.

I giorni si consumavano lentamente, tanto quanto le suole degli stivali che indossava, a furia di camminarci dentro.

Non venivano fatte domande, gli agenti ricevevano gli ordini e li eseguivano.

Clint si era semplicemente adattato, cercando però di stare sempre attento alle novità e agli scambi di battute che avvenivano fra supervisori e agenti di livello superiore al suo.

Si trovò a considerare che gli sarebbe stato più semplice avere accesso alle informazioni se avesse potuto esibire, con un certo orgoglio, il suo magnifico badge di riconoscimento:

 

“È tutto sotto controllo, sono l’Agente Clint Barton.”

“Oh, agente Barton perché non ce lo ha detto subito? L’avremmo fatta accedere al livello super segreto del seminterrato.”

 

“È tutto sotto controllo, sono l’Agente Barton.”

“Mani in alto, a terra! Muori, lurido bastardo dell’Iowa!”

 

“È tutto sotto controllo, sono l’Agente Barton.”

“Chi?”

 

Ecco, gli scenari non erano nemmeno la metà di quelli che si era immaginato, ma rendeva chiaro il quadro di ciò che sarebbe potuto succedere.

Niente doveva essere lasciato al caso.

Clint Barton era un personaggio troppo in vista allo SHIELD per essere preso sottogamba. Se i responsabili di quelle iniziative nascondevano qualcosa, avrebbero fatto di tutto pur di impedirgli di portare a termine il suo compito.

Per quello ora si faceva chiamare Carson… White. Un nome, un’identità e un carattere su cui aveva dovuto lavorare in solitaria nei giorni che avevano preceduto la sua partenza.

Non poteva permettersi nessun passo falso.

Nemmeno il minimo dettaglio doveva essere trascurato. Nemmeno quella barba posticcia che continuava a prudere. Se fosse rimasto ancora qualche settimana, avrebbe anche potuto farne a meno, forse.

Dormiva poco, si svegliava sempre prima di tutti, andava a letto più tardi di tutti.

Mangiava solo, tanto che, nel giro di un paio di settimane, si era guadagnato il titolo di asociale e taciturno. Non dava fastidio a nessuno e nessuno sembrava voler dare fastidio a lui…

Non fosse stata per l’insistenza fastidiosa dell’agente Donovan. Sì, Adam, il ragazzino che non era sicuro del perché lo avesse preso tanto in simpatia.

 

“Mi siedo qui con te, mh?”

“Se proprio devi.”

“Sei qui solo. C’è spazio.”

“Sì, però taci.”

“Mh mh… mh. Mh.”

 

Lo tollerava solo perché inizialmente non si fidava di lui. Un modo come un altro per tenerlo sotto controllo. Non poteva fidarsi di nessuno. Forse gli avevano messo alle calcagna quel tipo per tenerlo costantemente monitorato.

Il fatto che fosse un’assoluta pigna in culo, probabilmente, era apposta per depistarlo?

Dopo due settimane di frequentazione, Clint si era reso conto che no, Adam non nascondeva proprio un cavolo di niente. Era solo un ragazzino che parlava troppo. E che lo aveva davvero preso troppo in simpatia. Quando gli aveva confessato che gli ricordava il padre, aveva anche capito perché. Oltre ad essersi sentito improvvisamente, molto, molto, molto vecchio, era riemersa l’improvvisa e rinnovata consapevolezza di non avere la benché minima intenzione di avere figli, a maggior ragione con il timore che sarebbero potuti crescere in quel modo.

 

Infine c’erano i rapporti giornalieri da redigere, che venivano trasmessi tramite una aggeggio impiantato direttamente sotto la cute del suo braccio destro.

Fury non aveva più dato segni di vita. Clint proseguì ugualmente con il piano.

Continuando ad aggirarsi per i corridoi della sua nuova base operativa, mantenendo un profilo così basso che presto avrebbe finito per sparire.

 

Le cose cambiarono radicalmente quando sembrò arrivare in sede un ospite sconosciuto.

Un pezzo grosso.

A Clint, al solito, non era stato detto niente. Niente di più di quello che doveva sapere, comunque.

Aveva scortato un nuovo cargo di camion ai magazzini e aveva solo intuito da uno stralcio di conversazione che si trattava di qualcuno potenzialmente connesso con il carico di armi in arrivo da tutto il mondo.

L’impressione che Clint ebbe, fu che stessero mettendo in piedi un esercito. Nemmeno più la volontà di tenerlo segreto, almeno non nel cuore della sede.

Correvano voci sulla sperimentazione di una nuova arma. Di nuove… armi.

Doveva capirci qualcosa di più e l'unico modo per avere accesso ai livelli più alti di quelle misteriose operazioni era farsi notare.

Cambiarono, improvvisamente, le priorità.

Come farlo, senza dare dei colpi di testa che avrebbero insospettivo chiunque, dato il carattere solitario ed estremamente morigerato del caro, vecchio Carson White?

 

Trovò l’ispirazione un sabato mattina. Quando Adam Donovan era rientrato dal suo turno di ronda e sembrava del tutto intenzionato a metterlo al corrente di un paio di pettegolezzi di corridoio.

Niente di così eccezionale, ma a Clint fu sufficiente per creare una situazione scomoda.

“Tu parli troppo, ragazzino.” Lo aveva ammonito, preoccupandosi di farsi sentire da chiunque fosse abbastanza vicino da cogliere stralci di conversazione.

“Mamma mia come sei fiscale, signor White.” Ed era scoppiato a ridere.

L’ora successiva il povero Donovan si era trovato in balia di un gruppo di agenti che lo trascinava via scalciando, per aver divulgato informazioni riservate.

La segnalazione dello sgarro ad opera dell’agente operativo Carson White.

 

“Credo che l’agente Donovan nutra dei dubbi sul lavoro che sta svolgendo qui.”

“Cosa glielo ha suggerito, agente White?”

“E’ stato lui stesso a suggerirlo. Teme che le operazioni svolte in sede siano poco chiare. Teme che sia il caso di avvisare la direzione centrale dello SHIELD.”

“Teme… o crede?”

“Penso sia piuttosto convinto della cosa, Signore.”

 

Clint sperò di soffocare rapidamente il senso di colpa.

Lo avrebbero messo in riga con un ammonimento. O lo avrebbero rimpatriato seduta stante. Tentò di mettersi a posto la coscienza, senza però riuscire a scacciare del tutto la sensazione che forse, non sarebbe successo proprio niente di tutto ciò che aveva preventivato. Se aveva mandato Adam Donovan in pasto agli squali, non avrebbe mai voluto saperlo.

 

Il giorno in cui fu richiamato dalla direzione, non se ne stupì poi molto. Sperò solo che non fosse per rimproverargli quell’atto di deliberato spionaggio.

L’agente speciale Stanton (lo scimmiesco) lo aveva accolto con aria severa. All’altro capo della stanza, un gruppo di altri cinque uomini, in piedi, uno accanto all’altro come comici burattini privi di volontà.

Li riconosceva tutti. Nomi e cognomi. Li aveva studiati e riportato le informazioni, assieme a tutti i rapporti giornalieri, al suo silenzioso interlocutore dello SHIELD.

Non fece mezzo cenno. Si trascinò accanto a loro, così come gli era stato comandato di fare.

“E’ sicuro, agente Stanton, dell’affidabilità di questi uomini?”

Clint non riconobbe l’uomo che aveva parlato. Alto, sulla quarantina avanzata. Capelli e occhi chiari. Aveva un accento inglese, di formazione europea… di dove fosse però non seppe dirlo con certezza. Doveva aver studiato molto per cancellare qualsiasi traccia dei suoi trascorsi linguistici.

L’agente Stanton, della sicurezza, aveva annuito.

“Signore, ho avuto modo di valutarne io stesso l’affidabilità… e la loro… dedizione alla causa.”

Clint si chiese quanta affidabilità valutativa potesse avere Stanton che nemmeno si era accorto dei suoi spostamenti sospetti. Oppure Clint era semplicemente troppo in gamba. Un picco per la sua autostima. E poi, di quale razza di causa stava parlando? Era un codice per determinare le operazioni in corso? Qualcosa di cui non si parlava ad alta voce, ma che era corsa sottile e strisciante nel sottosuolo come una miserabile larva? Qualcosa in cui le persone coinvolte non si riconoscevano che per cenni e dettagli apparentemente insignificanti. Qualcosa di subdolo e pericoloso.

“Bene.” Aveva detto l’uomo dall’accento indefinibile. “Li istruisca su ciò che dovranno fare da oggi in poi. E poi voglio un aggiornamento per il trasferimento dei gemelli.”

Se Clint mostrò perplessità a quell’uscita, fu solo un attimo. L’istante successivo alla dichiarazione aveva riassunto il cipiglio severo e imperscrutabile dell’agente White.

Aveva però registrato indelebilmente l’informazione nella sua mente.

I gemelli.

“Signori…” esordì il capo sezione Stanton, mentre l’uomo senza accento usciva dalla porta d’ingresso, “è il caso di cominciare a pianificare il vostro trasloco.”

 

*

 

Un giorno, improvvisamente, la situazione mutò, fino a degenerare in un delirio allucinato.

 

Le settimane si erano susseguite in un frenetico viavai.

Erano stati trasferiti direttamente ai laboratori. Il compito era sempre quello di mantenere alto il livello di sicurezza e segretezza delle misteriose operazioni.

La cosa positiva, in quel cambio di scenario, fu l’aver trovato ed identificato lo scettro di Loki.

Se lo era trovato lì, un giorno, senza preavviso. In posa come una diva, pronta a farsi ammirare, fotografare. Gli ricordava il suo ultimo proprietario. Il trasferimento era avvenuto alla luce del sole, come se ormai non fosse che questione di giorni, prima dell'esplosione di una bomba. La stessa bomba che Clint aveva sentito ticchettare sempre più distintamente in quelle ultime ore.

C’era qualcosa che bolliva in pentola. Qualcosa che - ne aveva subodorato la tragedia - avrebbe sconvolto lo SHIELD. Dalle fondamenta.

A nulla erano valsi i tentativi di Clint di avere una comunicazione diretta con il direttore Fury. Tutte le reti di comunicazione sembravano ormai isolate, quasi irraggiungibili. Non era più nemmeno sicuro che i suoi rapporti giornalieri venissero ricevuti senza intoppi.

Forse era arrivato il momento di abbandonare l’operazione, prima che gli fosse risultato completamente impossibile.

 

Degenerò tutto per via di un comunicato.

Che era serpeggiato di bocca in bocca, dapprima mormorato, poi detto ad alta voce, infine urlato con forza all’inno inspiegabile, tonante, annichilente di: Hydra. Hydra.

Il caos fu totale.

Gli agenti che, come lui, apparivano ignari delle operazioni in corso era rimasto allibiti, confusi, storditi dall'esplosione ingiustificata di giubilo.

Clint si vide costretto a lasciare la sua postazione in tutta fretta, quando si rese conto che l’organizzazione stava giustiziando, uno dopo l’altro, come mosche, tutti i colleghi che si dimostravano estranei alla faccenda. Che non facevano evidentemente parte di quel piano misterioso.

Si ritrovò a schivare una pallottola senza avere la minima avvisaglia di essere stato preso di mira.

Una donna dall’aria impertinente gli stava puntando contro la pistola.

“Hail… Hydra.” La sentì pronunciare, prima che tentasse un altro colpo, prendendolo di striscio ad una guancia. Stavolta, la cicatrice, gli sarebbe rimasta davvero.

“Pessima mira, agente.” Clint aveva fatto fuoco, gambizzandola. Non era sicuro fosse la soluzione migliore, quella di lasciarla in vita, ma la situazione non prevedeva comunque una cancellazione coatta del codice etico che si era sempre imposto, con medio-alto successo.

La disarmò con un calcio, prima di raccoglierla da terra per il colletto della giacca e usarla, praticamente, come scudo.

“Che cosa sta succedendo me lo spieghi?” le domandò freneticamente, trascinandola dietro una colonna, sperando di avere almeno il tempo di crearsi una via di fuga.

“Hail Hydra! Hail Hydra! Hail Hydra!”

“Che cazzo, ti si è incantato il disco?!” gridò, sentendola dimenarsi come un’anguilla, prima di sentire il dolore provocato dai suoi denti aguzzi ai danni della sua povera mano.

“La destra no!” le aveva rifilato un colpo con il calcio della pistola, dritto alla nuca, stendendola.

Lasciò che cadesse a terra, in un gorgoglio di saliva.

Forse sarebbe stato meglio fuggire.

 

L’Hydra.

 

L’Hydra la conosceva bene. Aveva imparato a conoscerla da quando era entrato allo SHIELD.

Una realtà lontana, mai dimenticata, ma buona per i manuali di storia.

Possibile si fosse insinuata così subdolamente, lentamente, con pazienza negli ingranaggi dello SHIELD per tutti quegli anni, direttamente dalla seconda guerra mondiale, fino ad esplodere… così all’improvviso?

Qualcosa doveva aver scatenato le operazioni. Ma avrebbe avuto modo e tempo di scoprirlo, sempre che fosse riuscito a uscire da quella trappola mortale.

Si incuneò in uno dei corridoi che conducevano ai piani inferiori.

Le sirene avevano preso a risuonare per l’intero edificio. Come a dichiarare a gran voce l’inizio di una guerra.

Di un’ennesima guerra.

Superò un paio di cadaveri, che suo malgrado riconobbe (Young e Mitchell) e fu di nuovo immesso nella galleria principale.

Scalpiccii di stivali in corsa ovunque. Rumori e rimbombi di spari… ovunque. In un vortice di polvere da sparo e morte.

Fury aveva avuto ragione riguardo tutto quanto: si era giusto un tantino scatenato qualcosa di anomalo (eufemismo!). Fury non aveva avuto però la lungimiranza di mandargli uno stracazzo di rinforzo.

Avrebbe potuto prevenire quel macello se fossero stati almeno una squadra? Clint ne dubitava, adesso. Ne dubitava fortemente. Mai, come in quell’occasione si era sentito completamente, assolutamente, miserabilmente impotente. Qualcosa di incomprensibile e più grande di lui, di qualsiasi stracazzo di eroe solitario dello SHIELD, si era appena mostrato al mondo.

Che in quella situazione specifica aveva lui come rappresentante straordinario. Lui e tutti gli agenti che stavano diventando carne da macello nelle mani dell'Hydra.

 

Aprì uno dei portelloni d’uscita che davano sulle scale esterne.

Un coro di HAIL HYDRA riecheggiò ruggente dal gruppo di uomini assiepati sulle scale.

Clint sgranò gli occhi e richiuse la porta, convinto di essere appena rimasto vittima di un sogno. O una visione allucinata dovuta… alla mancanza di sonno.

La riaprì di nuovo, a spiraglio, e le voci erano ancora lì. Sempre a inneggiare all'Hydra, come un  branco di fanatici di una qualche setta di dubbia provenienza.

Decise di cambiare direzione.

Un’altra porta, un altro buco nell’acqua. O salto nelle braccia dell’ennesimo sogno allucinato dalla fragranza Hydra.

Un altro gruppo di persone, tutte in circolo, a darsi pacche sulle spalle e gridacchiare quello stesso mantra.

C’era qualcosa di diabolicamente perverso in ciò a cui stava assistendo.

Avrebbe insultato Fury a più riprese e senza censure… sempre se mai fosse riuscito a uscire da lì.

L’ultima cosa che Clint desiderava, era venir immolato a vittima sacrificale di un’organizzazione che si prendeva tanto a cuore di ripetere una sola parola. Nemmeno fosse stata una formula magica in grado di produrre il caos.

Tentò con la porta di fondo.

Un uomo solo, stavolta, gli si parò di fronte.

Quello stesso uomo, divisa d'ordinanza e sguardo crudele, lo osservò per un istante di troppo, prima di decretare che avrebbe potuto essere un collega… di avventure naziste.

“Hail Hydra!” disse con tanto di gesto brusco e uno schiocco di stivali.

“Fanculo, dallo SHIELD!” Clint gli aveva assestato un pugno dritto sul naso, stendendolo.

Scosse la mano nell’aria, come a liberarsi del dolore alle nocche e lo scavalcò senza farsi troppi problemi.

Era appena riuscito a superare il primo blocco.

 

Quello che accadde dopo fu solo un susseguirsi di corridoi, corse a perdifiato e proiettili volanti.

Il tutto condito dal costante, snervante rumore delle sirene d’emergenza.

Deviò proiettili e scariche di mitra, cadaveri e chiazze di sangue.
Si trovò ad assistere con orrore - mitigato dall'istinto di sopravvivenza – al tentativo di liquidazione totale di tutto il personale che era stato arruolato dallo SHIELD, completamente all'oscuro di chi fossero le persone a cui stavano prestando i loro servizi.

Si era visto costretto ad accantonare il codice etico per ben più di un paio di eccezioni. Catapultato in una sequenza di orrore e esaltazione dalle influenze reazionarie.

Se non altro, Clint aveva la consapevolezza di aver agito secondo gli ordini di Fury, e a meno che quello non fosse un piano del tutto intricato per ucciderlo bè, c’era una congrua percentuale di dubbio che gli suggeriva il contrario. Che Fury fosse solo una delle tante vittime degli eventi.

Chissà come se la stavano passando negli Stati Uniti.

Sperò meglio di come stava messo lui.

Grida lontane gli suggerirono di sbrigarsi, di cercare l’ennesima via d’uscita.

Arrivò di fronte a quello che sembrava il portone d’ingresso alle mense, alla cucina. Da quella parte, su una porticina di lato, c’era la via di fuga sul cortile esterno e poi… e poi avrebbe dovuto improvvisare. Per arrivare almeno alla rete di recinzione, ai cancelli che lo avrebbero condotto alla libertà.

Le cucine erano completamente vuote. Ad eccezione di un gruppetto di morti, stesi sui banconi e a terra, fra i quali riconobbe il volto grottescamente deformato dell’inserviente delle colazioni.

La cosa, sebbene sospetta, non ebbe il potere di fermarlo.

Avrebbe dovuto muoversi, raggiungere almeno l’esterno e poi…

 

… niente lo aveva preparato a ciò che vide.

Una decina di agenti dello SHIELD, erano raggruppati in fila, accanto ad uno dei muri di cinta, appena dietro a un altro ammasso di corpi stesi a terra, senza vita.

A tenerli sotto tiro un gruppo di tre o quattro tiratori scelti che gli stavano puntando addosso armi a ripetizione con degli intenti che gli furono infelicemente, improvvisamente chiari.

Fra le imminenti vittime, riconobbe la magra, gobba postura dell’agente Donovan. Era convinto lo avessero congedato ma, come aveva intuito, non era affatto andata così.

Probabilmente era stato tenuto prigioniero per tutte quelle settimane.

Se il senso di colpa risorse come la fenice dalle profondità del suo stomaco, si accentuò quando vide il ragazzo puntare uno sguardo nella sua direzione.

Non fu certo che lo ebbe riconosciuto ma in quel confusionario stato di cose, riuscì comunque a leggerci una sorta di muta accusa, di consapevolezza, in quell’ultimo, terrorizzato sguardo.

Un urlo d’orrore gli rimase imprigionato in gola quando fecero fuoco.

Gli agenti cominciarono a crollare, uno dopo l’altro, accasciandosi come bambole morte, fra e sopra i corpi dei compagni che, prima di loro, avevano subito lo stesso trattamento.

Clint avrebbe voluto urlare, dichiarare guerra a quella raccapricciante realtà, ma tutto ciò che riuscì a fare fu rinchiudersi di nuovo nelle cucine, cercando di contenere il rigurgito di nausea che gli era appena risalito dalla gola.

Si passò una mano sul viso, cercando di recuperare lucidità.

Aveva bisogno di un piano e ne aveva bisogno immediatamente.

Si guardò attorno, in cerca di un’ispirazione. Cercò di deviare lo spettacolo delle scie di sangue tutt’intorno finché non individuò la bombola del gas delle cucine.

Un diversivo.

Un diversivo che avrebbe potuto divenire piuttosto pericoloso e determinante.

Fra il morire per mano dell’Hydra o a causa di un incidente kamikaze, avrebbe preferito di gran lunga la seconda soluzione.

Sperò di non dover sperimentare né l’una né l’altra, comunque.

Trascinò una bombola a gas accanto all’altra già agganciata alle cucine.

Caricò l’arma e blindò la porta che riconduceva all’interno.

Aprì il gas e uscì di nuovo dalla stessa porticina attraverso cui aveva avuto accesso all’orrore.

Attese il momento buono prima di spalancarla. Il gruppo di agenti o militari (o sa il diavolo di come amassero farsi chiamare) erano ancora in piedi a finire gli agenti in fin di vita che non erano riusciti a seccare al primo colpo. I proiettili riecheggiavano definitivi nell'eco della notte.

Clint, serrò le labbra e prima che potessero fare di nuovo fuoco gridò:

“HYDRA! Perché non venite qui a succh-”

Gli agenti ebbero appena il tempo di accorgersi di chi avesse pronunciato la fase blasfema che già avevano preso a scaricare le armi nella sua direzione.

Clint si trovò a scansare agilmente una pioggia di proiettili e rientrare nelle cucine per poi sgattaiolare fuori da una delle finestre che aveva lasciato aperta come ultima via di fuga.

Quando sentì il gruppo di agenti fare irruzione con tanto di rumorosa artiglieria, Clint fece fuoco.
Ripetutamente. Con precisione millimetrica. Scaricando la propria arma direttamente sulle bombole di gas.

Una, due, tre...

Pregò che funzionasse. Che la reazione chimica prevista facesse effetto.

… quattro proiettili.

Fece appena in tempo a lanciarsi fuori dal locale, prima di avvertire il boato dell’esplosione.

Se gli agenti dell’Hydra avessero gridato, implorato pietà o inneggiato un’ultima volta alla loro causa psicotica, prima di venir inglobati nella detonazione, non lo avrebbe saputo mai.

Tutto ciò che riusciva a percepire adesso era il sibilo sconnesso e ovattato della deflagrazione, mentre i detriti dell’edificio gli franavano addosso in una pioggia pericolosa, pesante.

Scansò una pentola volante, cercando appiglio per rimettersi in piedi, per levare le tende, il più rapidamente possibile.

Lo stordimento e la sordità non gli facilitavano il compito.

Nonostante la vista, ora appannata da polvere e stanchezza, riuscì a tenere fermo lo sguardo sull’obiettivo. Sulla rete di recinzione. Non ci sarebbe voluto molto prima che gli si riversasse addosso l’intero arsenale dell’Hydra, pronto a reclamare a gran voce una vendetta.

Si trascinò barcollando oltre i corpi morti dei soldati uccisi, quando un movimento catturò la sua attenzione. Cercò di ignorarlo, di convincersi che non avrebbe fatto in tempo a salvare proprio nessuno, se non se stesso, quando riconobbe, di nuovo, il volto del giovane Adam.

Ancora vivo, ferito, implorante, gli stava chiedendo aiuto, muovendo le labbra, in quello che Clint identificò solo come un grido muto. Un grido che non riusciva a sentire, ma al quale avrebbe saputo associare con sconcertante concretezza il grado di disperazione.

Deviò quindi di nuovo per quella massa di cadaveri. Ignorò i movimenti degli altri pochi, ancora rimasti in vita (avrebbe fatto i conti dopo con ulteriori sensi di colpa) e allungò le mani per aiutare Adam a rimettersi in piedi.

Lo vide articolare qualcosa, ma lo strattonò. Per quello che gli riusciva di fare, ancora acciaccato dal contraccolpo dell’esplosione lo trascinò, letteralmente fuori dalla massa di cadaveri e prese ad allontanarsi verso la rete di delimitazione. Le guardie presenti, presumibilmente tutte morte nell’esplosione.

Il fatto che non riuscisse a sentire niente di più che il suono ovattato delle sirene, gli tolse gran parte dell’ansia che gli avrebbe messo pepe al culo.

Adam era ferito, il sangue usciva a fiotti dallo stomaco colpito. Clint sapeva che lo avrebbe rallentato e, nonostante lo sforzo, non trovò altra soluzione se non quella di caricarselo sulle spalle.

Clint era forte, ma ben presto avrebbe sentito il peso di quel corpo inerme.

Sparò direttamente sulla rete di recinzione, scaricando colpi fino a creare una sottospecie di varco che ingrandì con le mani, scorticandosele in più punti.

 

Non si fece domande su come o perché riuscì a superare il confine, ad allontanarsi senza ulteriori conseguenze da quella che era stata una delle fughe più rocambolesche della sua vita, ma qualcuno doveva aver deciso per lui che era stato abbastanza, che aveva visto e subito abbastanza per una misera manciata di ore. Qualcuno o qualcosa, che fosse un Dio, le stelle, il karma, o un asino volante, gli aveva concesso una momentanea tregua.

Fuggì lontano, piegato dal peso del corpo di Adam del quale, per sua fortuna, ancora non riusciva a sentire i lamenti.

Si era voltato indietro solo un paio di volte, prima di sparire giù per pendii scoscesi, rischiando di cadere ad ogni passo, lasciandosi inghiottire dalla vegetazione.

 

Non seppe dire quanto fu passato da quando aveva varcato i cancelli della sede dell’Hydra, se una manciata di minuti o di ore.

Decise di assecondare il dolore diffuso e persistente delle sue gambe, del petto che gli faceva un male del diavolo, delle tempie pulsanti che minacciavano di esplodere da un momento all’altro e si fermò, scaricando Adam a terra, accanto a un grosso albero.

Nelle orecchie ancora il fastidioso ronzio dell’esplosione o di qualsiasi cosa avesse deciso di stuzzicare il suo timpano compromesso.

Guardò il ragazzo e gli si inginocchiò accanto, cedendo sotto il suo stesso peso. Adam aveva perso molto sangue, riusciva a dirlo anche senza essere in grado di individuare la chiazza vischiosa che gli impregnava la giacca. Il viso era scarno e pallido. Le labbra avevano assunto un colorito tendente al blu.

“Va tutto bene...” lo rassicurò, ringraziando il cielo di non percepire quanto alto fosse il tono della sua menzogna.

Lo vide articolare qualcosa. Intuì solo, leggendo le sue labbra, ciò che voleva dirgli. Il tremolio diffuso non aiutava questa sua capacità.

“Ho freddo…”

Clint annuì solamente.

Forse era troppo tardi ma cercò di rendersi conto della portata delle sue ferite. Ignorò qualsiasi protesta e gli slacciò il giubbino, gli sollevò la maglietta impregnata di sangue. Due i fori di proiettile che erano riusciti a raggiungerlo. Non sembravano aver colpito nessun organo: ad ucciderlo sarebbe stata solo la consistente perdita di sangue, se non fosse riuscito a fermare l’emorragia.

Pigiò le mani sui fori di proiettile, cercando inutilmente di limitare i danni. Ma le dita scivolavano, senza riuscire ad esercitare una pressione sufficiente. E forse era troppo stanco, indebolito lui stesso.

Fu in quel momento di terribile consapevolezza che cominciò a piovere.

Una pioggerellina fitta fitta che più che bagnare pungeva, impietosa. L’ultimo smacco, la conclusione geniale di quella pessima nottata.

Adam lo osservava, forse ormai consapevole della fine che lo avrebbe atteso.

Cercò la sua mano, e di nuovo provò ad articolare qualcosa.

“Tu sei… ? Io ti conosco.”

“Sono White. L’agente White.”

Lo vide fare di no con la testa, una smorfia, di dolore o forse a rifiutare sdegnosamente l’ultimo inganno.

“No… ti conosco. T-ti conoscono tutti. Tu sei… Occhio di Falco. L’eroe di New York.”

Clint si tastò istintivamente il viso. I sensori delle modifiche facciali dovevano essere andati a farsi benedire quando la donna dell’Hydra lo aveva colpito. Non se ne curò più di tanto, a che gli sarebbero serviti, ormai?

“Non sono un eroe.” Mormorò o così gli sembrò.

“Lo sei, lo siete tutti.”

“Ti sbagli ragazzino.”

E Adam di nuovo a fare di no con la testa.

“Risolverete anche questa, non è così? Il direttore Fury e tutti i Vendicatori… gliela faranno pagare… vero?”

Clint non seppe più cosa rispondere. Non conosceva ancora i dettagli, ma gli sembrò che le prospettive non fossero affatto rosee. Ancora non era nemmeno sicuro si sarebbe salvato lui stesso da quell’indegna conclusione.

Non seppe dire cosa lesse nello sguardo di Adam. Forse speranza, forse il bisogno di una rassicurazione. Chi era lui per negarla a un ragazzo morente? Non era il momento di essere spietato.

Si limitò ad annuire.

Sulle labbra di Adam, affiorò l’ombra di un sorriso.

“Ti prego… di' a mio padre che io non c’entro niente…” un’ultima supplica.

“Glielo dirai tu stesso.”

“Non dire balle… agente Barton…”

Non riuscì più a mentirgli e annuì, di nuovo, questa volta deciso a mantenere la promessa.

Il padre di Adam avrebbe saputo che era rimasto un agente dello SHIELD fino alla fine. Così come le autorità avrebbero avuto una lista di tutti quelli che non lo erano. Clint era ora determinato a riportare esattamente tutto ciò che era accaduto in quella base, a chiunque fosse stato disposto ad ascoltarlo.

Se lo appuntò mentalmente, come prossimo obiettivo. Ora che il suo universo aveva assunto una nuova, inquietante curvatura, ora che aveva preso a sfaldarsi pezzo per pezzo plagiato da una nuova brutale realtà, doveva tornare a ricomporlo e dargli un nuovo senso.

E il suo senso, adesso, era quello di portare alla luce tutto ciò a cui aveva assistito. A costo di tornare a nuoto, negli Stati Uniti.

Menzogne.

Menzogne.

Ancora menzogne.

Aveva lavorato tutti quegli anni per seppellire delle... menzogne?

 

Adam morì scivolando nell’incoscienza, lentamente, senza dolore.

Faceva freddo e la pioggia stava coprendo tutto.

Clint rimase con lui finché la fragranza di terra umida non si portò via anche l’odore acre del sangue.

 

___

 

N.d.A: Ci ho messo un po’ a decidere come affrontare il capitolo. Io non lo so se le cose si sono svolte così e non ho la più pallida idea se sia plausibile o meno. So solo che pretendo, in qualsiasi modo verrà scritta, che Clint abbia un ruolo, se non fondamentale, quantomeno importante riguardo all’Hydra. E tutto il resto. Ho preso ispirazione da un commento trovato in giro, riguardo i post credit di Captain America 2. Dove, fra le guardie che giravano attorno al Barone Von “ciuffen” (perché non ricordo mai il nome), qualcuno sperava di averci visto Clint, sotto copertura. Ho pensato: ohibò, e perché no? Vale tutto finché non veniamo smentiti. Ci ho sviluppato attorno una mia idea, e… è uscito quel che è uscito.

Cheddire di più. Ufficialmente questo è l’ultimo capitolo della mia storia su Occhio di Falco. Di fatto, però, manca l’epilogo. Che pubblicherò a breve.

Quindi rimando i saluti e chiacchiere conclusive al prossimo (e ultimo) aggiornamento.

Ringrazio tutti quanti per le vostre manifestazioni d’apprezzamento. Inutile dire che fa sempre piacere ricevere riscontri tanto positivi, soprattutto per una storia nata proprio senza pretese.

E grazie a Sere che beta e supporta (ma soprattutto sopporta) le mie incredibili stupidaggini. Tranquilla, ho finito di rompere per un po’.

Ci risentiamo per l’epilogo :)

  
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