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Autore: Molly182    23/06/2014    2 recensioni
«Perché non mi hai mai detto che il tuo vero nome è Thomas?»
«Perché non me l'hai mai chiesto…»
«Spiegami perché avrei mai dovuto chiederti se quello fosse il tuo vero nome?»
«Perché pensavo che mi avessi riconosciuto»
«È piuttosto difficile vedere chi ho davanti, sai?», mi disse mentre stava riempendo due tazze di caffè caldo. «Soprattutto se il locale ha luci basse e quello che mi sta davanti ha un maledetto cappello che gli copre metà volto»
«Hai ragione», le dissi ridendo e appoggiando il cappello sul ripiano.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom DeLonge
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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N/A: Allora, inizio col dire che rileggendo alcune mie FF fatte qualche anno fa ho realizzato che facevano piuttosto schifo ma sono migliorata col tempo (?) ora fanno solo schifo! :)
Comunque tra queste c'era una storia diversa dalle solite, avevo utilizzato come protagonista Pierre Bouvier (Simple Plan) e visto che mi sembrava una buona idea ma scritta davvero da cani, mi sono detta: "Perchè non scriverne un('altra)a su Tom DeLonge?". Quindi questo è il risultato.
Siate magnanimi con me. Non scrivo da davvero troppo tempo.
Spero che vi possa piacere.
-Molly

Chapter one
What Im dreaming of

 
Fin da piccola mi piaceva guardare gli aerei volare sopra la mia testa e immaginare di essere sopra a quell’aeroplano e volare in posti sconosciuti dove avrei affrontato mille avventure diverse, come Indiana Jones.
E la cosa non è cambiata molto rispetto a quando ero ancora una bambina. Tuttora spero, desidero, di essere all'interno di uno di quei cosi con le ali e cambiare città, stato, nazione. Desideravo di poter ricominciare una nuova vita e questa volta fare le cose bene, senza troppe preoccupazioni e senza porsi troppi “e se…”.
«Peter, io me ne vado!», annunciai al ragazzo che stava dietro al bancone, in piedi davanti a me. Alzò soltanto lo sguardo senza smettere di pulire la superficie di legno.
«Torni a casa?», domandò tornando al suo straccio. «È ancora presto»
«No, Peter, io me ne vado», ripetei. «Ho deciso!»
«Lo dici almeno una volta mese, questa volta, cos’ha di diverso dalle altre?».
«Che ho deciso! Sono seria!», gli dissi catturando tutta la sua attenzione. I suoi occhi verdi, ora, erano fissi su di me e all’improvviso il tempo si fermò. In quell’istante capii che era giusto così, che era giusto andarmene. Non avevo più niente da fare qui. Mi sentivo come uno di quegli uomini che stavano passando la crisi di mezza età.
«Cassie, hai ventidue anni, dove pensi di andare?
«Da qualche parte…», sospirai iniziando a pensare a tutte le più belle città che avevo sempre desiderato di visitare. «New York, Los Angeles, Parigi, Londra o magari San Diego, me ne hanno parlato bene».
«Chi te ne ha parlato?», chiese sospettoso, rivolgendomi una strana occhiata mentre puliva un boccale vuoto.
«Gente…»
«Ma lì c’è il mare e tu odi il mare»
«Odio andare in spiaggia quando è pieno di gente, odio mettermi in costume, ma non odio il mare»..
Peter restò lì, fermo, a guardarmi senza dire una parola, come se stesse aspettando che da un momento all’altro mi sarei messa a ridere e gli avrei detto che forse sarebbe stata una pessima idea quella di andarmene e che il mio posto era qui a parlare con lui come ogni sera ma questa volta non sarebbe successo e se ne stava rendendo conto anche lui.
«San Diego…», disse assorto nei suoi pensieri.
«San Diego!», ripetei io convinta.
«In California…»
«Sempre che non l’abbiano spostata nell’ultima mezz’ora»..
«Ne sei proprio, ma proprio, sicura?»
«Non è poi così lontano dal Maryland», scherzai ma a quanto pare a Peter non era arrivato il tono ironico della mia frase. «Stavo scherzando», aggiunsi come risposta al suo sguardo da omicida.
«Non ci vedo nulla di divertente Cass, te ne vai dall’altra parte dell’America e tu scherzi mentre il mio povero cuoricino si spezza in mille pezzi per la tua insensibilità!», disse assumendo un finto broncio che non gli si addiceva molto, ma aveva la capacità di farti ridere all’istante. Lui era così! Cercava di sdrammatizzare i momenti più seri. Non avevo mai conosciuto nessuno più buffo e immaturo di lui.
Mi sarebbe mancato, certo, ma restare a Baltimora avrebbe significato sprecare parecchi anni della mia vita a non produrre niente di quello che mi ero promessa appena finita l’high-school. Volevo un lavoro che mi soddisfacesse anziché di quello che mi faceva tornare a casa che puzzavo di birra e di fumo. Volevo una bella casa con un’enorme finestra che potevo aprire ogni mattina e ammirare il paesaggio che si estendeva fuori anziché di un appartamento condiviso con un coinquilino che era sia il tuo migliore amico, sia uno dei baristi del locale dove lavoravi. Volevo poter avere un gatto e non un serpente come animale domestico.
Volevo molte cose per essere una ragazza di ventidue anni, ma non mi sarei arresa finché non le avrei ottenute. Erano una parte degli obiettivi che mi ero imposta di compiere prima che avessi raggiunto i trent’anni. Certo, c’era ancora tempo, eppure a me sembrava che scorresse così velocemente e che non mi rendessi conto di quante opportunità mi stessi perdendo.
I miei genitori mi erano sempre stati vicini, sostenendo le mie decisioni, nonostante fossero separati da diversi anni, eppure erano sempre presente nei momenti più importanti della mia vita: i miei compleanni, il diploma, il ballo (a cui mi obbligarono ad andare) dei diplomati, …. Eppure, sapevo che li avrei lasciati in questa città nel giro di qualche settimana, così come avrei lasciato Peter, ma per quanto potessi apparire insensibile, sapevo per certo che una nuova città avrebbe di sicuro fatto la differenza.

 
   
 
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