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Autore: Calliroe    19/08/2008    2 recensioni
La donna aveva cambiato velocemente umore: non aveva più voglia di scherzare. Si accese una sigaretta e cominciò a fumare, senza chiedere il permesso al potenziale cliente. Nella sala si mescolò l’odore acre e lievemente sgradevole di tabacco con quello dolce dell’incenso. - Me la racconti, quella storia. – disse [...] lo scrittore. La donna spense la sigaretta, portò le ginocchia al petto, chiuse gli occhi; poi cominciò a raccontare la sua storia, che da tanto tempo cercava di dimenticare.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    Dalle nostre parti ci chiamano “Motyl”,  “farfalle”. Da voi siamo definite semplicemente “puttane” o, al massimo, donne che si sposano per denaro.
Io discendevo da una famiglia di rinomate farfalle, ero abituata a vedere uomini che entravano e uscivano da casa mia, pensando fosse normale.
    Che io ricordi, solo una volta nella mia vita varcai le porte di una Chiesa da sola: mia mamma era in casa con un ospite ed io, spinta dalla curiosità, entrai in quell’imponente edificio – avevo solo cinque anni.
                        Intinsi le dita nell’acqua benedetta, mi girai e andai verso la sacrestia… la voce del prete era piatta, senza sentimento.

Poi… silenzio.

-    Ecco Satana! Ecco la figlia di una peccatrice nella casa di Dio!
Il prete puntò l’indice contro di me, e in contemporanea si girarono le poche persone che presenziarono la messa.
-    FUORI! – urlò lui – Fuori dalla casa di Dio, figlia di una peccatrice!

    Si alzarono in quel mentre alcune persone, dalle panche, e avanzarono minacciosamente verso di me: alcuni di quegli uomini li avevo visti entrare nella mia casa per poi chiudersi nelle camere, con mia madre: non capivo allora perché volessero farmi del male…

    Scappai, uscii ansimante da quel luogo, verso casa mia. Mentre correvo cercavo una risposta alle facce arrabbiate dei miei compaesani; non la trovai e diedi la colpa a quel luogo austero e all’uomo calvo e smorto, e al suo malefico indice.

    Raccontai il fatto a mia madre. Lei non parve, sulle prime, più di tanto preoccupata; ma una notte – ricordo che non c’era la luna, quella notte – mi svegliò di soprassalto:
-    Cecylia! Svegliati piccina, svegliati!
Mezza intontita mi alzai dal letto, la presi per mano e la seguii. Aveva in mano una valigia, nient’altro; scappammo dal retro della casa, e corremmo verso i campi: era estate, e ricordo che non c’era luce… il granoturco era persino più alto di me, vedevo solo la mano della mia mamma, e correvo, correvo, correvo.
Ad un certo punto mi fermai e cominciai a piangere.
-    Zitta! Zitta, o è la fine!

La fine? … per una bambina di cinque anni, la parola “fine” non significa nulla. Ma quella parola fu sufficiente per farmi zittire. Mi girai e osservai il paesaggio e tutto ciò che mi ero lasciata alle spalle.

-    Cosa vide? – volle sapere lo scrittore, chiaramente interessato al racconto.
La donna fece una smorfia, odiava essere interrotta.
-    Vidi, in lontananza, una luce rossa… e solo dopo, a distanza di anni, capii che era la ma vecchia casa in fiamme. I miei compaesani, spinti dall’odio del sacerdote, avevano deciso di “purificare” la zona…
-    … e volevano distruggere tutto ciò che avevate? – dedusse l’uomo.
La donna sorrise, ma questa volta non era un sorriso malizioso: Simeon, lo scrittore, ebbe l’impressione che sorridesse per non piangere.
-    No, no… volevano “purificare” quel luogo: avevano cercato di bruciarci vive. Devo la vita ad un cliente di mia madre, che ci avvertì appena in tempo.

    Vissi in molti altri luoghi, fino a quando mia madre non si sposò con un uomo di qualche anno più vecchio di lei: ricordo che si ubriacava sempre, e anche mia madre aveva cominciato ad imitare il marito. In quel periodo avevo quasi quindici anni: ero nel fior fiore della giovinezza, mentre mia madre cominciava, lentamente, ad appassire;  i suoi capelli stavano diventando argentati, e il suo viso non era più quello di un angelo.

-    Perché mi racconti questo? – la interruppe Simeon, ancora una volta.
Lei sbuffò, infastidita dall’ennesima domanda.
-    Perché mia madre era gelosa. – sospirò la donna -  Molto. Odiava andare in paese e vedere che, quando i giovani si giravano, era per guardare me, non lei. Nessuno più la voleva come compagna: è difficile per una donna, abituata ad essere al centro dell’attenzione, essere soppiantata da un’altra… Più invecchiava, più diminuivano i guadagni… E il mio patrigno, più si accorgeva che i soldi scarseggiavano, più alzava il gomito e diventava irascibile…

    Un giorno a casa mia madre tornò senza soldi, e il mio patrigno si arrabbiò, moltissimo: la picchiò, e io mi gettai su mia madre per difenderla.

Fu solo allora che lui si accorse di me: cambiò subito comportamento, mi accarezzò il viso…
-    Manda lei, domani, al tuo posto. – disse quello, guardandomi dritta negli occhi.


Ci misi poco a capire cosa intendesse.
Lo guardai stordita, e poi mi girai per vedere se mia madre mi avrebbe difeso; ma quella alzò le spalle, e tacitamente acconsentì, andò verso la cucina; la seguii, frastornata.
-    Mamma, mamma… no! – singhiozzai.
Lei si girò e mi disse:
-    Cecylia, è ora che tu paghi il prezzo della tua bellezza.

-    Capisci? – disse la donna, rivolta all’uomo – mia madre era gelosa… lei, mia madre! Era gelosa del tempo che passava, che trascorreva anche per lei…
-    E poi? – la incalzò lo scrittore.
-    Poi scappai.


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Ciao a tutti! Come mi è stato suggerito, ho cercato di migliorare la grafica... Perdonatemi, ma in quanto a tecnologia sono proprio una frana.
      Ne approfitto, per questo, per ringraziare Fioraliso, che ha [letteralmente parlando] buttato via una mattinata intera per spiegarmi come scaricare il programma e come usarlo...
                    .... e in primis un ringraziamento speciale va alla mia beta-reader, Kikkina90.
Grazie di cuore, ragazze.

... e grazie anticipatamente a tutti coloro che mi diranno con sincerità
cosa ne pensano di questa storia!
A domani!



  
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