Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
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Autore: sheeranshobbit    23/06/2014    0 recensioni
"Quello era il giorno. Me l'ero ripetuto mentre salutavo mia madre che mi faceva le ultime raccomandazioni. Me l'ero ripetuto mentre mio padre mi ricordava di chiamare come minimo tre volte al giorno perché altrimenti si sarebbero preoccupati. Me l'ero ripetuto mentre aprivo la porta di casa per l'ultima volta, lasciando le mie chiavi sul comò dell'ingresso, perché tanto non mi sarebbero servite per un po'. Me l'ero ripetuto mentre afferravo il manico delle mie due valigie, zaino in spalla e Canon al collo, e mi dirigevo verso il taxi bianco che mi avrebbe accompagnata, perché i miei genitori dovevano lavorare."
'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Airplanes    


 
Sembrava quasi impossibile, ma finalmente quel giorno era arrivato. Certo, non me l'ero aspettato molto diverso da come stava andando. La sveglia aveva suonato alle 6.30 come al solito, togliendomi dal dolce torpore delle coperte. Mi ero alzata di scatto, il volume era troppo alto e mi dimenticavo sempre di abbassarlo, procurandomi simpatici infarti mattutini. Avevo colpito il tetto spiovente della mansarda con una sonora testata. Non mi ero ancora abituata al poco spazio della stanza, anche se ormai ci dormivo da un paio di settimane perché -non puoi dormire in camera tua mentre la ristrutturano, i muratori arrivano molto prima che tu ti svegli- e con quella frase mia madre mi aveva convinto. Quella mattina però invece della solita smorfia avevo un sorriso esagerato.
Avevo fatto la doccia in tempo record e pettinato i capelli in uno chignon che assomigliava più a un nido di merli. Non mi ero fatta molti problemi su come vestirmi, avevo afferrato le due cose più comode e leggere dal mio armadio, che ormai era vuoto, poi ero scesa in cucina per mangiare la mia ultima colazione all'italiana, fischiettando un personale arrangiamento di una canzone degli Arctic Monkeys che avevo sentito la sera prima alla radio.
Avevo trovato i miei parenti radunati in cucina per salutarmi perché -non capita tutti i giorni che tua nipote intraprenda un'avventura del genere- aveva detto mia nonna, mentre mi abbracciava. Non sono mai stata troppo brava con i saluti, tutti ne sono a conoscenza, infatti la cosa era finita abbastanza in fretta. Il classico "Ti vogliamo bene" di gruppo e se n'erano andati.
Avevo controllato di avere le ultime cose, i vari carica batterie, il cellulare.. Dove avevo messo il cellulare? Ero corsa in camera, rivoltato le lenzuola e la scrivania, per poi sentirlo vibrare in tasca. Era Rachel, la persona che mi conosce ancora meglio di quanto io conosca me stessa. Non mi piace riferirmi a lei come ‘migliore amica’ perché se c’è una cosa che odio sono le etichette. Le persone non ci appartengono, non abbiamo il diritto di assegnare nomi a gente che magari da un giorno all’altro potrebbe dimenticarsi completamente di noi. Tanto per dirne una, avevo una tartaruga una volta, il suo nome era Tartaruga.
Avevo risposto con voce squillante alla chiamata.
-Rachel!
Ma in tutta risposta avevo ricevuto un urlo isterico. Allontanando l'apparecchio dall’orecchio mi ero messa a ridere, perché c’era da aspettarselo da una come lei. Una volta tornata in sé, la conversazione era stata abbastanza normale. Qualche avviso su come comportarsi una volta arrivata là, l’obbligo di chiamarla subito, di comprarle un sacco di regali e di portarle a casa qualche bell’Inglese. Una volta staccata la chiamata, mi ero resa conto di essere schifosamente in ritardo.
Avevo salutato i simpatici muratori che mi svegliavano alla mattina con i loro simpatici attrezzi da lavoro mentre scendevo le scale due gradini alla volta. Sapevo che quel giorno non era il giorno adatto per lamentarsi. Quello era il giorno. Me l'ero ripetuto mentre salutavo mia madre che mi faceva le ultime raccomandazioni. Me l'ero ripetuto mentre mio padre mi ricordava di chiamare come minimo tre volte al giorno perché altrimenti si sarebbero preoccupati. Me l'ero ripetuto mentre aprivo la porta di casa per l'ultima volta, lasciando le mie chiavi sul comò dell'ingresso, perché tanto non mi sarebbero servite per un po'. Me l'ero ripetuto mentre afferravo il manico delle mie due valigie, zaino in spalla e Canon al collo, e mi dirigevo verso il taxi bianco che mi avrebbe accompagnata, perché i miei genitori dovevano lavorare. Ma più di tutto, avevo pensato che quello era il giorno mentre salivo sull'aereo bianco e blu della Ryanair per raggiungere mio cugino Lynch, perché quello era il giorno in cui io, Cat Nicholson, partivo per Londra.
  
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