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Autore: Klainbow    23/06/2014    7 recensioni
Ho deciso di raccontarvi la mia storia tramite i Klaine.
Una casa in un paesino sperduto nel nulla, un ragazzo stronzo, un viaggio fatto d'amore e amicizia, follia e risate, partenze e una lunga, insopportabile distanza, gioia e tanto, soffocante dolore.
Badboy!Blaine
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio, meraviglie! I'm back!
Sono sincera, non avrei mai pensato di poter trovare la forza di scrivere un altro capitolo di questa storia, eppure ce l'ho fatta, e in gran parte lo devo anche a voi. 
Non potete immaginare quanto mi abbiate resa felice con tutte quelle recensioni e i numerosissimi commenti che mi avete inviato. Mi avete fatto capire di essere pronta per potarla avanti, perché so che voi ci sarete sempre, e tanto basta. 
Dovete sapere che in questi giorni sono stata lì, in paese, quindi, dato che non avevo nulla da fare, mi sono data allo scrivere e tutto è venuto da sé. Seduta nel bel mezzo di un prato, circondata da insetti e fiori di ogni genere, con l'odore di letame che mi invadeva le narici.. cosa potrei mai desiderare di più? AHAHAH
Comunque, non c'è molto da dire, questa volta. La storia è ancora agli inizi, ma come potrete vedere alla fine del capitolo, le cose diventeranno esilaranti già dal prossimo. Non vi anticipo nulla, ne riparliamo sotto! 
 
Prima di andare, però, volevo spammare la mia paginetta d'autrice nuova di zecca. Ho pensato che in questo modo potrò avvisare anche chi non ho tra gli amici di facebook degli aggiornamenti, quindi, se vi va, lasciate un piccolo mi piace qui: https://www.facebook.com/pages/Klainbow-Efp/538105066295638?skip_nax_wizard=true&ref_type=bookmark (Klainbow Efp). 
 
Spero vi piaccia! :) 
 
 
 
 
 
 
                    Somewhere only we know 
                                     Capitolo 1
 
 
Nelle ultime due settimane di soggiorno in paese, la nostra amicizia con i ragazzi non fu l'unica cosa a crescere e rafforzarsi. La cotta che mi ero preso per Mark aveva raggiunto livelli disastrosi, oltre che imbarazzanti, e a quanto pare mia cugina - che al momento era partita per passare qualche giorno al mare con la sua famiglia - non era stata l'unica ad averlo notato. 
Dovetti fare i conti con la mia scarsa capacità di dissimulare i sentimenti molto presto. 
Era uno di quei pomeriggi d'estate che in città si può soltanto sognare di poter passare. Il clima idealmente temperato era semplicemente perfetto, con qualche nuvola dalle sfumature grigie intinte nel bianco latte sullo sfondo azzurro pastello del cielo, un sole tiepido, rilassante, non troppo caldo, ed una leggera brezza che mi solleticava i capelli sulla nuca con dolcezza, costringendomi a chiudere gli occhi per assaporare a pieno la sua freschezza, assieme a quel fruscio regolare di foglie che scandiva i minuti come un orologio naturale. Nonostante la bella giornata, l'odore di pioggia era dietro ogni angolo, pronto ad invaderti le narici e depurare corpo e anima. 
Il placido frinire delle cicale era l'unico canto che di tanto in tanto osava spezzare il silenzio che aleggiava su di noi, come un velo che ci separava dal resto del mondo. Sebbene quell'atmosfera fosse completamente nuova per noi, e soprattutto per me, non vi era alcuna tensione a fendere l'aria, nessun imbarazzo. Non era necessario parlare, per riempire le ore che passavamo insieme: ciò che contava era far parte del gruppo. 
 
 
Ce ne stavamo semi sdraiati sulle panchine del piccolo campo da calcio, protetto dall'ombra della chiesa secolare che si ergeva imponente al centro della piazza, sovrastando tutte le pittoresche casette dal tetto a schiera che la circondavano. 
A quanto ne sapevo, l'ampio pezzo di terra non era mai appartenuto a nessuno. I genitori di Mark e Blaine si erano imbattuti per sbaglio in quell'immensa distesa di ciuffi d'erba dal verde vivace prima che vi fosse esistito un libero accesso. Mason aveva addirittura mosso i suoi primi passi, lì. Quando i loro papà avevano fatto promettere loro di prendersene cura, i ragazzi avevano preso l'incarico con la massima serietà, falciando il prato mensilmente alla giusta lunghezza e ripulendolo di ogni cartaccia. Vi avevano anche tracciato delle strisce con la ghiaia, così da attribuirgli un aspetto che soddisfasse le loro basse aspettative. Due pali di ferro, la cui vernice bianca era stata scrostata via dalle piogge, erano incavati nel terreno a due metri di distanza l'uno dall'altro e prendevano il posto delle porte vere e proprie. 
Mark, seduto tra Camilla e Andrew, aveva le gambe magre, quasi scheletriche, ricoperte da un paio di jeans logori, esageratamente divaricate, e ignorava in maniera strategica i fastidiosi calci che Andrew stava indirizzando al retro del suo polpaccio, con grande disappunto di quest'ultimo.
Poco dopo, infatti, Andrew si arrese e smise di infastidirlo, preferendo rivolgere la sua attenzione a qualcuno di più interessante. Si guardò intorno con curiosità, il labbro inferiore intrappolato tra i denti nel tentativo di reprimere il sorrisetto, poi si voltò verso Mason, il quale, le braccia conserte e i piedi incrociati mollemente sulla stradina sferrata sotto di noi, aveva messo su la sua migliore espressione perennemente annoiata. Neanche a dirlo, mi dava i brividi. Non che non fosse simpatico, s'intende, ma non avrei mai provato ad infastidirlo come invece facevo con Andrew.
Osservai il più piccolo mentre sollevava lentamente l'indice, pronto ad affondarlo nel braccio dell'altro ragazzo, ma Mason distrusse ogni suo tentativo di rompere le scatole afferrandogli il braccio incriminato in una morsa dolorosa e torcendoglielo in un giro completo, senza ancora degnarlo di uno sguardo. 
''Ahi, ahi, ahi, okay!'' guaì lui, le lacrime agli occhi, ma Mason non sembrava convinto e continuò con malsano piacere ad infliggergli la sua tortura. ''HO DETTO OKAY!'' urlò, per poi aggiungere flebilmente: ''per piacere'', quando lui gli scoccò un'occhiata velenosa. 
Risi piano, silenzioso, pensando di non essere notato, ma non fui così fortunato. Forse non era giornata.
La ragazza robusta - il cui nome avevo scoperto pochi giorni prima essere Alexandra, ma che tutti chiamavano Alex per la sua mascolinità - diede una gomitata d'avvertimento alla sua migliore amica, Cassie, e si schiarì la gola in modo plateale. ''Oh beh, allora, Mark? A quando le grandi nozze?'' 
Gli angoli della bocca che avevo incurvato verso l'alto crollarono all'istante, e per poco non mi parve di vederli schiantarsi a terra. Cosa?
Mark la guardò subito, interrogativo, e Cassie ridacchiò assieme a Camilla, la quale bloccò bruscamente Alex per parlarle sopra. ''Ma che domande fai?'' domandò, sgomenta, e mi puntò un'unghia laccata di smalto contro. ''Non dirmi che non ti ha ancora confessato i suoi sentimenti!'' 
La mia mente si svuotò completamente e un tremolio mi scosse il petto, attraversandolo con la stessa potenza di una scarica elettrica da 380 volt. 
Tutto ciò che riuscii a pensare, l'ambiente circostante che scompariva, fu ''no''. 
 
No.
No, non è possibile.
No, non sta succedendo.
No, non mi stanno davvero sputtanando davanti a quelli che finalmente posso definire amici.
No, Mark non ha appena saputo da Camilla che mi piace.
No, non mi stanno fissando tutti. 
 
E infatti, non tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di me, e questo mi rilassò, perché allora il gossip non era così saporito come la parte marcia del gruppo aveva sperato, e forse, con un po' di fortuna e un pizzico d'astuzia, rigirando la frase a mio vantaggio sarei riuscito ad uscirne quasi indenne e tutti ne avrebbero riso, come al solito. 
Posso farlo, mi ripetei.
Ancor prima di poter completare quel pensiero le mie deboli aspettative sfumarono miseramente. 
Blaine, che fino ad allora si era limitato a calciare il vecchio pallone da calcio sul prato, si arrestò di colpo e sollevò lo sguardo, improvvisamente interessato, facendolo passare da me a Camilla - il cui sorriso si allargava a dismisura sul suo viso - per poi finire su Mark. 
Non disse nulla. Nessun commento sarcastico, nessun fischio d'approvazione e  non una delle sue battutine sagaci. Chissà perché, era proprio la sua reazione che avevo temuto di più. Pensavo mi avrebbe preso in giro fino al giorno della mia morte, che tra l'altro avrebbe fatto in modo che accadesse per mano sua. Invece, in uno stato di stordimento, lo guardai tornare a giocherellare con il pallone, i pantaloni consumati della tuta sporchi di terreno. A discapito di ciò che volesse dimostrare, la sua espressione corrugata e le orecchie tese, in ascolto, mi suggerirono che qualcosa, in quell'energico scambio di crudeltà, lo aveva colpito, e anche tanto.
Mark sbuffò una risata, come se il pensiero che potesse piacermi non l'avesse mai sfiorato prima, e aprì bocca un paio di volte, indeciso e senza mai produrre alcun suono.
Quello fu il momento in cui decisi che no, non sarei rimasto lì a farmi deridere da quegli insulti ai topi di campagna che erano.
Era appurato che non me la sarei cavata con poco, e immaginai che, considerando anche l'assenza di Becca, nessuno avrebbe rischiato di appoggiare me, se quello avesse dovuto significare farsi nemica una delle ragazze che, volenti o nolenti, facevano parte della loro famiglia allargata da molto più tempo. Non avevo voglia di affrontarli da solo, e di sapere che cosa stesse frullando nella testa di Mark dopo una rivelazione del genere non se ne parlava.
Così, mi alzai velocemente e scappai fuori dal campo, in direzione della piazza. Corsi più veloce che potei. I miei piedi si ritrovarono incastrati tra le enormi pietre quadrate della strada facendomi inciampare un paio volte, e contribuendo a donarmi un'aria ancora più sconsolata, mentre le lacrime mi offuscavano la vista e il vento freddo mi pungeva gli occhi. Le pupille dilatate erano un mare in tempesta. Ignorai le vecchie signore che cercavano invano di richiamarmi per chiedermi che cosa fosse successo, e finsi di non sentire le urla dei miei amici alle mie spalle. 
Scappai nell'unico posto che la mia mente affollata riuscì ad elaborare in quella frazione di tempo troppo breve per avere la possibilità di pensare lucidamente. 
Il parco giochi. Nessuno avrebbe mai pensato di cercarmi lì. 
 
Ancora una volta, mi sbagliai. 
Perché qualcuno mi aveva osservato a lungo, e mi aveva capito. 
 
 
* * * 
 
 
I ganci delle catene che reggevano le altalene avevano bisogno di essere lubrificate, pensai distrattamente quando mi sedetti su una delle due, quella a sinistra, al sicuro dai raggi del sole. Non potevano cigolare in quel modo, e per giunta senza che io mi spingessi. Era uno di quei rumori insistenti che dopo un po' ti da sui nervi e ti manda fuori di testa.
Ero così concentrato nel tentativo di non scoppiare a piangere che non mi accorsi della presenza di un'altra persona accanto a me finché la sua voce non mi fece sussultare. 
Ma nulla, assolutamente nulla, mi preparò a ciò che successivamente mi sarei trovato davanti. 
 
 
''Posso?'' chiese Blaine, la curva delle sue labbra inclinata timidamente verso l'alto.
''Woah, aspetta. Sei davvero tu?'', avrei voluto chiedere. 
Invece feci un cenno affermativo col capo e tornai a guardare la strada deserta davanti a noi, serrando le dita intorno alle catene fino a farmi diventare le nocche bianche. Non mi fidavo della mia voce, per cui non vi avrei fatto affidamento finché non si fosse rivelato strettamente necessario. 
Sentii il movimento di un corpo che mi si avvicinava, seguito da un cigolio di catene e un sospiro esasperato. 
E poi Blaine era realmente seduto sull'altalena, al mio fianco. 
Eravamo da soli. 
Insieme. 
Il timido Kurt e il famigerato Blaine.
Grandioso.
Non seppi dire quanto tempo passò, prima che Blaine parlasse di nuovo. 
''Non devi dargli retta, lo sai.'' 
Lo guardai, le labbra serrate in una linea dritta. ''Mi vergogno tantissimo.'' sussurrai tremante. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, e mi maledii mentalmente per essermi concesso di cedere in presenza di Blaine Anderson, anche conosciuto come la persona più stronza del pianeta. 
Mi domandai quante ore di dignità mi rimanessero, prima che tutta la gente del paese fosse venuta a sapere dell'accaduto.
Blaine scrollò le spalle, dandosi una piccola spinta. L'altalena dondolò rumorosamente. ''C'è di peggio. Guarda questo posto, sta cadendo a pezzi.'' 
Il tono della sua voce fu come una pugnalata ad un cuore già scheggiato. Il paese che negli anni era diventato una parte fondamentale di me rappresentava la sua casa.
Potevo solo immaginare come dovesse sentirsi. Eppure vi era una strana luce nei suoi occhi, un luccichio a cui non riuscii a dare un nome, che mi affascinava. Con un pizzico di eccitazione mista ad un leggero timore che mi attraevano a lui, decisi di indagare. Volevo conoscere i suoi pensieri, quelli seri, segreti, speciali e singolari che lo caratterizzavano, e che si impediva di buttare fuori. 
''Io lo trovo bellissimo.'' commentai, un morbido sorriso sulle labbra.
''Sì, beh, suppongo di essermici abituato.'' borbottò.
''Io non credo che potrei mai farlo.'' 
Seguì una pausa, durante la quale né io, né lui ci azzardammo a fiatare. 
''Non torno di là, quindi puoi anche andartene.'' dissi alla fine, risoluto.
Lui scoppiò a ridere, esibendo una smorfia. ''Mi stai cacciando?'' chiese fintamente offeso, e con uno slancio mi si scagliò addosso. 
Lanciai un urlo stridulo, per poi coprirmi la bocca dalla sorpresa. Ricambiai con più forza, ridendo a crepapelle quando Blaine s'incastrò con il busto nella struttura di ferro, le mani che si tenevano lo stomaco infilzato dalla sbarra orizzontale. ''ricordami di non farti arrabbiare, d'ora in avanti.'' frignò, piegato in due dal dolore. 
''Scusa.'' ridacchiai ancora, il fiato corto, poi i miei lineamenti si indurirono e tornai serio. ''perché sei qui?''
''Pensavo non volessi cacciarmi.'' disse lui, il sopracciglio inarcato in modo eloquente.
Mi alzai in piedi per girare su me stesso ed intrecciare la catena fino a sollevarmi da terra, poi lasciai andare la presa e trotterellai alla posizione iniziale. ''Non è quello che ti ho chiesto.'' 
Blaine scavalcò il sedile con una gamba e vi si mise a cavalcioni, la guancia destra schiacciata sul dorso della mano che teneva la catena. ''No, è vero.'' osservò, poi sorrise malizioso. ''volevo tenerti compagnia, dato che anch'io ne avevo le palle piene.'' 
Arrossii di colpo per l'accurata scelta di parole. ''O-okay.'' balbettai.
''Comunque, tanto perché tu lo sappia, Mark non s'interessa alle persone in generale. Appartiene ad una categoria a parte di individui, chiamata ''la Mark-sfera''. In pratica, ci sono solo lui e i suoi adorati filmini porno.'' 
Non potei trattenermi oltre, o sarei sicuramente esploso. Una risata liberatoria mi scivolò di bocca e riempì l'aria, alleggerendola. Blaine mi seguì subito dopo, e tutto sembrò diverso, migliore, degno di un seguito. 
Forse l'aveva avvertito anche lui.
Ci scambiammo un'occhiata carica di significato e parole inespresse.
Tra queste, ogni parte di me sperò potesse recepire un ''grazie''. 
Grazie dal profondo del mio cuore per aver evitato che io crollassi. 
Grazie per avermi afferrato prima che cadessi.
''Allora? Torniamo?'' 
Scossi il capo. ''Altri cinque minuti.''
''Sembri me di mattina.''
''Ah, mamma. Ti prego, lasciami dormire!'' lo scimmiottai, allegro come mai prima di allora. 
 
 
Al nostro ritorno gli altri finsero che nulla fosse cambiato, e da un certo punto di vista fu così, perché Blaine era tornato quello di sempre, comportandosi da stronzo e ridendo come un idiota alle battutine scadenti sul sesso che gli altri tiravano fuori. 
Beh, era stato bello finché era durato. Una parentesi che avrei ricordato con affetto e nostalgia, un piccolo, grande segreto tra noi.
Tuttavia, ogni volta che lui si trovava ad una manciata di centimetri da me o che i nostri sguardi si incrociavano da una parte all'altra del bar, avrei potuto giurare che le occhiate d'intesa che ci scambiavamo avrebbero potuto appiccare una fiamma di sospetto in chiunque. 
 
 
* * *  
 
 
Le giornate si susseguirono pigramente, l'una sempre più simile a quella passata. Non succedeva niente di nuovo, ed era... bello, terapeutico. 
La tranquillità che mi infondeva quel luogo non finiva mai di strabiliarmi, e in tutta sincerità, iniziavo a preferirlo di gran lunga alla città, dove il caos regnava sovrano e i suoi sudditi vivevano nutrendosi di scoop e disagio altrui. A me bastava la sensazione di appartenenza che mi teneva ancorato al suolo quasi costituisse la mia personale forza di gravità. 
Io, Mason e Andrew ci eravamo arrampicati sulla parte più alta del muro che costeggiava il parco giochi, le gambe che ciondolavano nel vuoto. Solitamente la nausea causata dalla paura di precipitare avrebbe preso il sopravvento, ma dio, la vista ne valeva la pena, e il terrore passava in secondo piano. Dava sulla parte disabitata del paese. 
Solo montagne, alberi e stradine secondarie intralciate dai cespugli di more che negli anni erano cresciuti rigogliosi e fitti, e una capanna che doveva essere una fattoria in lontananza, tra le colline. 
Era mozzafiato, perché nonostante fossi poco più di un ago in un pagliaio, mi sentivo invincibile. 
 
 
Becca era tornata da qualche ora. Aveva fatto la sua teatrale apparizione, arrivando in pantaloncini cortissimi - che a detta sua le stringevano il sedere da favola - top aderente e stivali di pelle nera al ginocchio. Si era affacciata al muretto che dava sull'entrata principale e aveva spalancato la bocca per urlare ''sorpresa!'' (cosa che, anche se lei non ne era a conoscenza, faceva effetto soltanto sulle sue frivole amichette), agitando energicamente con la mano. 
I ragazzi l'avevano accolta con un caloroso ''Becca!'' e lei si era precipitata a salutarli uno ad uno, sedendo sulle loro cosce mentre questi le baciavano le guance. Era scappato un ''guardare ma non toccare!'' quando lei si era strusciata un po' troppo su Mason, il quale, incredibile a crederci, aveva tenuto le mani a posto per tutto il tempo. Patetica. 
Mi aveva salutato con un sorriso e una pacca sul ginocchio, e poi, malcelando una smorfia di disgusto, era andata a sedersi a terra, ad una spanna da Mark, che le aveva rivolto un gran sorriso. 
Mi concentrai sul display del cellulare tra le mani di Andrew e io e Mason lo aiutammo con l'enigma che avrebbe dovuto risolvere per proseguire col suo gioco preferito. 
Becca sapeva essere veramente stronza, ma urlarle una serie di insulti parecchio fantasiosi non avrebbe cambiato la situazione. Dovevo fingere che non m'importasse.
Proprio come per i bambini, avrebbe smesso di fare le fusa soltanto quando sarebbe stata sicura di non essere più al centro dell'attenzione. 
Non serve a nulla recitare, se nessuno è dall'altra parte del palco ad acclamarti, no?
 
 
Cinque minuti, tre ''Mark, smettila!'' e sedici risatine dopo, l'ormai familiare rombo di una moticicletta in arrivo ci distolse dal farci affari nostri e ci ritrovammo a sollevare il capo all'unisono, attendendo che Blaine comparisse per un breve saluto, prima di uscire a bere una birra con i ragazzi del paese vicino e tornare nel cuore della notte, quando io dormivo già da almeno due ore. 
Quando Blaine arrivò, però, non rallentò per poi fermarsi sul ciglio della strada, i piedi a terra per tenersi in equilibrio, né tanto meno alzò la visiera del suo casco come faceva ogni volta che doveva dirci qualcosa al volo. 
Contro qualsiasi previsione, Blaine parcheggiò accanto ai motorini di Mark e Mason, si sfilò il casco, riponendolo sul sedile, e scese. Notai che anche il suo abbigliamento era diverso, più casuale, per essere sabato. Una t-shirt tutta stropicciata che sembrava essere stata raccattata da una pila di vestiti da lavare e un paio di pantaloncini color panna che offrivano una visuale niente male delle sue gambe, formose quanto bastava per renderle attraenti. 
Esercitò una piccola pressione con le braccia, reggendosi alle due estremità del muro, e dondolò sul recinto in un balzo. 
''A che dobbiamo l'onore?'' scherzò Mark, schiacciandogli il cinque. 
''Daniel e gli altri vanno a vedere una partita al Borgo, sai, quel postaccio dove le coppiette si appartano per farsi una scopata?'' Mark annuii. ''Sì beh, non ci tengo a sprecare benzina per andarci. Resto con voi.'' spiegò, andando a recuperare il pallone, abbandonato in un angolo solitario. 
''Hey!'' disse quando i suoi occhi incontrarono i miei. Sorrise, e fece rimbalzare due volte la palla. 
''Ciao.'' risposi neutro, avvertendo lo sguardo di Becca su di me. Cos'era? Non ero compreso nel saluto generale, ne meritavo forse uno tutto mio? 
In un saluto potevano essere comprese anche cento persone, o di più, se si calcola quanta gente riempe gli stadi ai concerti, quindi perché non poteva fare come quei cantanti che salutano tutti i loro f- okay, forse stavo esagerando. 
Tra l'altro, Blaine non mi stava neanche più guardando. 
''Chi si fa una partitina con me?'' chiese. 
Mark, Mason e Andrew si alzarono e lo raggiunsero, cominciando a lanciarsi il pallone. 
Blaine si voltò verso me e Becca. ''Kurt, tu non giochi?''
''Uh,'' deglutii a vuoto, alla ricerca di una boccata d'aria che non arrivò. ''N-no, grazie.'' 
Lui mi osservò per un attimo, impassibile, poi scrollò le spalle e mormorò: ''come vuoi''. 
Becca, al mio fianco, s'irrigidì visibilmente e serrò i pugni. A lei Blaine non aveva chiesto nulla, come se non fosse stata nemmeno lì. 
Dovetti impegnarmi con tutte le mie forze per non sorridere, ma sapevo che prima o poi avrei ceduto. 
E non me ne lamentavo. 
 
 
* * * 
 
 
Dopo aver salutato i ragazzi, io e Becca decidemmo di restare ancora un po' al parco, seduti uno di fronte all'altra sulla girandola. Becca poggiò i gomiti sul cerchio al centro della giostra, il mento abbandonato sulle nocche della mano, e mi guardò. 
''Facciamo un gioco.'' propose.
''Ancora?'' chiesi, il tono annoiato.
''Sì, ma questa volta sarà divertente.'' disse, poi aggiunse, pensierosa: ''e non ci sporcheremo i vestiti.'' 
''L'ultima volta che ho sentito qualcuno fare questa richiesta, non è finita tanto bene.'' 
''Dai, Kurt!''
Sospirai, sapendo che non sarei stato lasciato in pace finché non avessi accettato. ''Okay, parla.'' 
Lei sorrise, vittoriosa. ''E' una classifica. Confrontiamo i nostri giudizi nei confronti dei ragazzi.''
''D'accordo..'' 
''Iniziamo da Mark. Che voto gli daresti, da uno a dieci?''
Restai di sasso, perché non ci avevo mai pensato seriamente, e non ne avevo idea. Comunque, mi ripresi quasi subito. ''sette,'' decretai. 
''Beh, è un po' poco per essere la tua cotta, no?'' commentò scherzosa. 
''Già, ma l'aspetto non è tutto.'' dissi, scatenando in lei una risata irritante. 
In realtà, mi ero reso conto che Mark non faceva al caso mio, se non come amico. 
''Senti questa, poi!'' si schiaffeggiò piano la fronte, e io desiderai di poterlo fare con più forza e ripetutamente, ma ancora una volta dovetti reprimere l'istinto omicida.''Io direi 6.'' 
''Beh, è un po' poco per essere il ragazzo a cui stai sempre appiccicata, no?'' la imitai, il sopracciglio inarcato.
''No. Questo posto mi annoia. Dovrò pur sempre far qualcosa, ti pare?'' rise. ''Che mi dici di Blaine?'' 
 
Risposi senza riflettere. ''dieci, forse undici.'' 
Becca lanciò un urletto eccitato. ''Sapevo che ti avrei trovato d'accordo!'' 
''Facciamo dodici.'' risposi, ripensando al suo sorriso, ai suoi capelli, alla sua voce.
I suoi occhi...
Woah, aspetta, cosa? 
 
''E' fantastico!'' squittì mia cugina, applaudendo. ''Adesso, sai che faremo io e te?'' 
''Cosa?'' domandai, stordito dall'idea di avere una cotta per Blaine. 
Da chissà quanto tempo. 
Un enorme sorriso si affacciò sulla sua faccia. ''andiamo a spiarlo!'' 
 
 
 
 
 
 
---
STALKER! 
Qualcuno ha notato un piccolo, insulso, velato collegamento con un'altra ff? Mmmh :) 
Fatemi sapere se vi è piaciuto! Ci si sente in pagina! 
Un bacio <3
  
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