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Autore: Sebastiano Theus    23/06/2014    3 recensioni
Geralt parte da Vengerberg in compagnia di Ranuncolo, impegnato in una pericolosa missione per riparare il liuto del bardo. Un'altra persona segue il loro stesso percorso per altri motivi: Essi Daven, vecchia conoscenza di Geralt. I due si incontreranno? Riusciranno a dirsi tutto quello che non hanno potuto dire in passato? O potranno solo vedersi da lontano, guidati da diverse correnti del destino?
*questa storia è il seguito de Un Vero Amico*
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Essi Daven riaprì gli occhi per la seconda volta dalla sua fuga nel bosco nello stesso momento in cui la vecchia richiuse la porta alle spalle di Polanna.
Rimase distesa sul letto, passando lentamente dalla vaga confusione del sonno a quella pesante della realtà. I muri attorno a lei erano un’uniforme distesa di grigio interrotta da macchie di colori neutri là dove ancora non riusciva a distinguere i mobili e le finestre.
Sentì i muscoli intorpiditi. Cominciò a muoverli lentamente a partire dalle estremità degli arti. Piccoli movimenti quasi impercettibili che risalirono fino al busto. Si aspettava di venire fulminata dal dolore di qualche frattura o strappo muscolare, ma non accadde nulla del genere. Provò a piegare il braccio e scoprì di avere a mala pena la forza per sollevare la coperta.
«Oh, è sveglia?»
Essi non aveva neppure sentito i suoi passi.
«Il fiore apre i suoi petali?»
La donna accanto a lei era incredibilmente anziana, il suo volto era una maschera di rughe, quasi una mappa dei nervi che passavano sotto la pelle. Ma aveva qualcosa di maestoso e potente nel modo in cui si sedette sullo sgabello accanto a lei.
«Chi sei?», chiese Essi dopo un lungo silenzio.
«Ti abbiamo già detto chi siamo. Tu chi sei? Qual è il tuo nome?»
Stavolta non dovette pensare alla risposta: «Essi Daven. E tu… perché parli al plurale?»
«Perché noi siamo», rispose calcando a lungo le ultime due parole.
Essi si sentiva ancora stordita, ma sentiva qualcosa emergere dai propri pensieri come un ospite sgradito nella sua mente che invece che stare in disparte si poneva d’un tratto al centro della scena.
«Non siamo a Vergen, vero?»
«No»
«Mi sembra di ricordare… Noi abbiamo già avuto questa conversazione, vero?»
La vecchia annuì soddisfatta.
«Ma non mi ricordo il tuo…», si fermò, colta da un’intuizione improvvisa: «Il vostro nome.»
«Metsy»
«E Setsy»
Essi si scoprì troppo stanca per stupirsi dell’improvviso cambio di voce della donna, che le diede invece un’impressione quasi normale, familiare.
«Ricordi qualcosa d’altro, piccola?»
Essi ci pensò un po’. Un velo di tristezza le calò sugli occhi, ma tutto le sembrò stranamente distante: già accaduto, già passato.
«Il carro… Ricordo Frynif. Poi c’era questa cosa…»
«Sì? Te lo ricordi?»
Lei si concentrò, ma non riusciva a dare forma a quella creatura che l’aveva inseguita nel bosco. La sua mente la copriva con un velo d’ombra o con uno spazio vuoto la cui presenza era resa manifesta dai rami che spezzava al suo passaggio. E fu come essere di nuovo lì, di nuovo in fuga da un orrore che si fondeva con la notte stessa, il cui nome era noto solo agli alberi sradicati dalla sua forza. E fu quel vuoto a vincerla di nuovo, l’assenza che si identificava con la paura stessa: urlò e cercò di arrampicarsi verso la testa del letto con le braccia che cedevano sotto il suo peso, gli occhi che si lanciavano da una parte all’altra della stanza come se potessero scorgere il terrore in ogni angolo buio.
La presa della vecchia sulla sua spalla fu sicura ed incredibilmente forte: il dolore della clavicola presa tra le sue dita la riportò alla realtà e i suoi occhi chiari incontrarono quelli gialli di lei.
«Calmati ora», le disse con un tono di voce basso e raschiante: «è passato, stai tranquilla.»
Essi si lasciò cadere di nuovo sul letto: tremava ancora, le sue braccia non la sorreggevano più. Dopo un po’ riprese a respirare normalmente e si asciugò una lacrima che le era nata all’angolo dell’occhio.
«Scusatemi, io non so…»
«Non ti scusare, non c’è bisogno.»
«Non riesco a ricordare… Com’è possibile? Frynif è morto per difendermi e io non riesco neppure a ricordare…»
La vecchia sospirò spostando lo sguardo oltre la finestra.
«A volte la vostra mente funziona così… Si difende e si libera dei fardelli che non può sopportare.»
«”Vostra”?», chiese Essi.
«Sì, vostra», ripeté con un sorriso storto. «Noi siamo troppo vecchie.»
Essi continuò a guardarla con aria interrogativa, ma era chiaro che per lei quella risposta racchiudeva già tutte le spiegazioni necessarie.
«Da quanto tempo sono qui?», chiese invece.
«Quasi una settimana, piccola. Eri molto ferita.»
Essi stava ancora cercando nella propria testa i ricordi di quella notte, quando portò una mano al petto. I suoi occhi si spalancarono in un misto di sorpresa e panico quando non trovò nulla tra i propri seni.
«Ma dove…? Dei, non ditemi che l’ho persa…».
Cercò freneticamente risalendo con le dita fino alla gola, quando la vecchia aprì il pugno davanti ai suoi occhi, lasciando scorrere sul palmo avvolto nel guanto una catenella d’argento che si intrecciava a formare un fiore aperto attorno a una perla bianco latte.
«Cerchi questa?»
Essi scattò in avanti, ma era ancora troppo lenta: la vecchia sollevò la mano portando la collana fuori dalla sua portata, così come potrebbe allontanare un giocattolo da un bambino. Osservò con occhio clinico la ragazza che cercava di alzarsi tremando dal letto, sempre con la mano protesa verso la collana.
Poi la spinse con decisione e lei ricadde sul materasso senza poter opporre la minima resistenza. Le premeva la mano contro il petto, impedendole di rialzarsi e tenendo la collana alta sopra di loro, in modo che la vedesse bene.
Essi cercò di liberarsi, ma il braccio della vecchia sembrava d’acciaio. Le mancava l’aria, il campo visivo si strinse a un cunicolo buio dove in fondo brillava la perla appesa alla collana.
La vecchia la osservava impassibile, la testa reclinata di lato. Sembrava prendere mentalmente appunti degli sforzi che la ragazza stava facendo per liberarsi da lei. Fu solo quando sentì il suo respiro ridursi a un rantolo acuto che allentò la presa.
Essi inspirò rumorosamente. Il mondo aveva ripreso a girare attorno a lei: la perla e il volto della vecchia ruotavano davanti ai suoi occhi, a volte si sovrapponevano dando l’impressione di un buco che si apriva nella fronte della donna, un terzo occhio bianco e cieco che la scrutava. Essi non aveva più la forza neppure per sollevare il braccio.
«Per favore, è mia…»
Stava davvero implorando? Le parve di essere tornata bambina, quando pregava per un pezzo di pane.
«Tua?» La vecchia emise una serie di squittii acuti, quasi una risata. «E se ti dicessi che ora è nostra? Ti abbiamo curata! Saresti morta senza di noi. Come pagamento ci sembra il minimo.»
«No, per favore, no… Tutto ma non quella…»
«Aspetta, adesso è chiaro. Non è solo un pezzo d’argento, è davvero così importante?»
Si avvicinò a lei con un sorriso storto che le sollevava l’angolo del labbro rivelando un dente scuro e appuntito. «C’entra un uomo, vero?», chiese con uno strano tono di complicità.
Essi aveva gli occhi umidi, sentiva le lacrime che cominciavano a scendere sulle sue guance. Era il sentirsi così impotente a stringerle il cuore, l'essere vinta in quel modo, incapace di reagire. Essi annuì cercando di spostare lo sguardo da lei.
«E dov’è adesso quell’uomo?», le gridò in faccia così vicina che poteva sentire sulla sua pelle l’aria che inspirava. «Dov’era quando eri nella foresta? Dov’era quando doveva impedirti di metterti in viaggio da sola e metterti in pericolo? Rispondi!»
«Lui… lui non è così!», Essi sentì un’improvvisa energia animarla e ridarle le forze. «Non è come gli altri! Non sapete nulla! Lui è…»
«… uno strigo, vero?»
La vecchia stette ferma a godersi l’espressione di stupore e smarrimento della ragazza.
«Uno strigo», continuò lei. «Li conosciamo, gli strighi. Ha fatto zampillare qualche goccia dalla fonte che hai tra le gambe e poi se n’è andato, vero? Il tuo cuore per una piccola collana con in fondo una perla. Ah, mi sembra proprio uno scambio equo, certo!»
Essi sentiva un fuoco che cresceva dentro di lei, un’energia che neppure quella vecchia avrebbe potuto domare.
«Mi disgustate! Non è così! Lui…»
«Capelli bianchi? Se ne va in giro portandosi dietro un poeta?»
Rapido com'era nato, il fuoco si spense. Essi rimase paralizzata per la sorpresa.
«Come fate a saperlo? Lui è qui? Lo avete visto?»
Il sorriso della vecchia si fece ancora più largo, i denti spuntarono tra le rughe delle sue labbra.
«No, bambina», rispose. «Non ho idea di dove sia…»
«No… menti, come puoi sapere di lui?»
«Noi sappiamo! Hai parlato nel sonno per una settimana. Mmm, Geralt, Geralt…», mormorò facendole il verso.
Lei si sentì avvampare il viso. Cercò un modo di ribattere ma in quell'istante la vecchia si alzò e ripose la collana sopra una mensola sul muro opposto al letto.
«Questa resterà qui. E adesso è l'ora della medicina.»
Essi la osservò allarmata mentre tornava verso di lei con un bicchiere di terracotta. Cercò di muoversi, ma non poté far altro che muovere debolmente le braccia, incapaci di una difesa vera e propria.
La vecchia si sedette accanto a lei e le avvicinò il bicchiere alla bocca. Dal liquido arrivava un intenso odore amaro e muschiato.
«Basta pensare a degli inutili strighi. Bevi, ti farà bene.»
Cos'avrebbe potuto fare? E se avesse voluto farle del male, non aveva già avuto tutte le occasioni nella settimana in cui era rimasta priva di sensi?
Bevve e un senso di tepore le si diffuse dal collo al resto del corpo, passando improvvisamente dalla veglia ad un sonno profondo.
La vecchia sospirò appoggiando il bicchiere per terra accanto al letto, poi si alzò e rovesciò Essi sulla schiena e la massaggiò per evitarle le piaghe da decubito.
Pensò a come si era animata mentre parlavano di Geralt: evidentemente stava ritrovando le forze. Se non le avesse dato quella pozione da lì a poco avrebbe potuto anche provare ad alzarsi dal letto e uscire in paese.
«E questo non ci va, per niente! Non finché c'è quello strigo da queste parti!»
«Sorella, è inutile, lo sai?»
«Zitta, Setsy! Sono una guaritrice e la guarirò!»
«Lo eri tanto tempo fa.»
«Zitta!»
«Va bene... Guarda chi è tornato!»
Dalla finestra spuntò il topo appesantito da un carico di fiori di bosco che portava legati al corpo e tra le zampe.
«Bravo! Vieni sul tavolo, facci vedere.»
Lei si sedette e cominciò a svolgere i gambi e a disporre ordinatamente i fiori sull'asse.
«Sì, bravo, son proprio quelli che ci servivano!»
Il topo fremette di piacere mentre la padrona lo accarezzava dietro l'orecchio.
«Però non sono ancora abbastanza... portane ancora! Su, muoviti! Vedrai che bel premio che avrai, piccino.»
Il topo corse fuori di nuovo tutto elettrizzato: la sua padrona non gli aveva mai promesso un premio!

La vecchia stette ferma qualche minuto ad osservare i fiori davanti a sé. Tra i diversi fiori raccolti nel bosco, spiccava un gran numero di campanule e gelsomini. Cominciò a prendere i gambi con mano ferma e li intrecciò l'un l'altro, iniziando a dare forma a una lunga catena.
Sorrideva mentre li annodava l'uno all'altro, ogni tanto un risolino la scuoteva e le faceva sbagliare nodo, ma non si perdeva d'animo.
«Vedrai strigo, aspetta solo qualche giorno e vedrai...»
  
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