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Autore: Oroborus    23/06/2014    1 recensioni
Una ragazza, un cane, l'immensità del cielo e la quiete della brezza. La fine del mondo come un tramonto, la sua rinascita come un'alba.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano rare le giornate belle come quelle: il cielo s'allungava per accarezzare tutto con la brezza, s'infiltrava nei cespugli, entrava tra le foglie e su per i tronchi vuoti, faceva fremere l'erba e si portava via l'arsura estiva, lasciandosi dietro solo l'aria fresca.
Se ne stava seduta all'ombra di un salice ed era bella di una bellezza remota, intoccabile; i suoi occhi erano mari e la sua pelle neve, le sue labbra petali di fiore. Se ne stava seduta all'ombra di un salice ed accarezzava affettuosamente un cane, robusto, con il pelo folto e lucido, fiero di fianco alla ragazza.
Canticchiava una melodia che raccontava di prati sconfinati e di mille ronzii di insetti e di sole e di vento e subito mille insetti intonarono mille ronzii che raccontavano di vento e di sole e di prati sconfinati e di una ragazza con un cane. Fremevano le bestioline ed il loro canto bruciava nell'aria e la ragazza cantava ed il suo suono era acqua nel deserto.
Quando il sole ruggì nel picco della volta, maestoso sul suo trono celeste, la ragazza interruppe il canto e così fecero anche gli insetti. Fischiò, invece, e fece un fischio lungo ed acuto ed ancora lungo e pungente. Tremò l'aria e dagli alberi salirono su stormi di uccelli, s'incupì l'aria e dall'orizzonte arrivarono grandi rapaci. Formavano nuvole, i volatili, formavano nuvole che s'intrecciavano e vorticavano e vibravano e si rompevano e si riformavano, erano onde sugli scogli, s'infrangevano per riunirsi e si dividevano e si rincontravano ed ancora le nuvole erano due e poi quattro più piccole e poi una sola grande, enorme, nera, tremula, e poi ancora due, ancora quattro, ancora sedici ed ancora trentadue ma erano sempre voluminose e più si dividevano e meno erano tremule, si riunivano ed era tutto un terremoto nel cielo. Il suono che ne usciva era quello di cascata, era uno scrosciare di mille fonti ed erano diecimila gocce di pioggia ed era incessante ed era forte ma era alto, non pesava. Danzavano tutti. Danzavano le aquile con i passeri, danzavano i gheppi con i piccioni, danzavano i falchi con le cince e danzavano gli avvoltoi ed i condor con le gazze e le tortore ed era un brulichio di vita ed uno sbatter continuo di ali ed un movimento di code e di becchi ed un susseguirsi di prede e predatori che non erano più tali, nell'insieme.
Salivano nell'azzurro e si fecero innumerevoli minute figure che formavano sciami di punti neri vibranti e palpitanti e cantavano e gridavano e precipitavano per volare ancora più in alto. Si fermarono bloccandosi nell'aere, tutti insieme, ed ancora insieme si divisero compiendo degli ampi cerchi verticali, toccandosi ad un estremo e scambiandosi di posto ed ora erano la corrente imprigionata di un fiume che scorre sempre più furiosa e veloce e si piega alle rocce strisciandovi in mezzo.
Si divisero, predatori e prede, ed i primi ascesero e graffiarono il cielo ed i secondi ribollivano freneticamente sotto. Ascesero i predatori e lacerarono il cielo, lo beccarono e lo squarciarono, facendo apparire profondi tagli nella trama della celeste volta, si coprì di ferite che lasciavano filtrare il vuoto retrostante che ora straboccava dai lembi dei tagli. Iniziarono a cadere i primi pezzi di cielo e le prede ci si avventarono sopra, coprendoli e facendoli sparire ed ora le stelle splendevano sul velluto nero e l'azzurro veniva a mancare e veniva strappato e fatto cadere e mangiato e strappato e fatto cadere e mangiato e lacerato e fatto precipitare e divorato. Rimase il sole in alto, insieme ai suoi fratelli astri, ed insieme ai suoi fratelli astri illuminava il suo regno ed alle sue spalle era completamente caduto il suo mantello e lacerato il suo letto e divorato il suo dominio e si sentiva solo, i suoi fratelli astri erano troppo lontani ed il nero troppo freddo.
I volatili non si distinguevano più dalla carne esposta dello spazio e formarono un vortice ed ora discendevano verso la terra ed ora formavano una cuspide e la cuspide si gettò nel lago ed il lago ingoiò tutta la cuspide e ne uscì un gran ruggito ed una grande esplosione d'acqua e tutto fu calmo. Ruggì ed esplose ancora, il lago, e dalla sua superficie uscì un grosso pesce che saltò e raggiunse quel povero solo sole e ne fece un boccone e se lo ingoiò intero, brillò della luce del sovrano strappato dal cielo e ricadde con un tonfo, un ruggito ed un'esplosione nel lago. La massa d'acqua quindi si spense e si riaccese e si colorò d'oro e ribollì sommessamente di luce e diventò un faro nel buio.
S'accesero quindi mille timidi lumi che si levarono dall'erba e dai cespugli e danzarono e gracchiarono lentamente, lasciando solchi nella notte. Cantavano, le bestioline, e sorse la luna, s'avvicinarono e si riversarono lontani come pigro torrente di luce e svegliarono il grande lupo che aprì le fauci e ne fece un boccone.
S'avvicinò con portanza regale e crudele, il grande lupo, e la luna gli si rifletteva sul manto, coprendolo d'argento, ma essa gli era avversa e lo scherniva in lingue incomprensibili e mute e la bestia latrò ed ululò e le mostrò, scintillanti, le zanne e con quelle stese zanne la frantumò e la polvere cadde come ultima luce vicina del cielo, come cascata di pietre preziose.
S'agitava il lago e mormorava ed ancora brillava ed il grande lupo lo prese come un insulto e vi s'avvicinò maestoso e vi s'abbeverò suggendo il fluire stesso dell'acqua, la pozza di luce si fece muta e non proferì più suono.

 

Se ne stava seduta sotto un salice ed accarezzava affettuosamente un cane, robusto, con il pelo folto e lucido, fiero di fianco alla ragazza.
Se ne stava seduta sotto un salice ed accarezzava affettuosamente un grande lupo, altezzoso, con il pelo d'argento vivo, fiera di fianco alla ragazza.
“Andiamo”, sussurrò agli animali, e la sua parola era una folata di vento. S'alzò e s'avvicinò alla sponda del lago, massa d'acqua e di luce immobile, e così fecero anche i due canidi che la precederono immergendosi e sparendo. L'acqua si rianimò e si riprese la vita che le era stata precedentemente sottratta dalla selvaggia bestia e ribollì e scoppiò e sbuffò fin su in cielo e con gran cascata gli sbuffi tornavano giù sulla terra bagnandola e macchiandola d'oro e luce. S'immerse infine anche la fanciulla ma al contatto s'alzò una nuvola di farfalle nere che si disperse nell'aria con suono di silenzio e vuoto. L'acqua quindi provò rabbia e si calmò, facendo morire ogni vibrazione.
Con un brivido della terra, un'ombra crescente ed un movimento giù nel profondo, ruggì ed ascese al cielo con violenza ed esplosione ed il lago da massa giacente divenne furiosa colonna d'acqua e giunse su fino alla volta celeste e si ritrovò assumendo il posto del sole, brillando ancora della sua luce ma ancora incerto sul suo aspetto, ancora mosso da onde. Perse la forma appena acquisita e la massa sospesa nel freddo spazio ridiscese rapida come fuoco liquido sulla terra, facendo scivolare cascate e raggi e lasciandosi dietro strisce di cielo azzurro e ridisegnando il mondo al contatto: non più montagna ma cielo, non più albero ma fiume, non più fiume ma mare, non più terra ma cielo.

Rinato dal grembo d'acqua e fiero del suo nuovo mantello riemerse in un boato il sovrano del cielo.

 

  
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