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Autore: EnglishBreakfast    23/06/2014    2 recensioni
- Adoro i tuoi piedi – disse Shikamaru rompendo il silenzio che era sceso.
- Potrebbe essere un’affermazione ambigua questa, lo sai?-gli rispose lei risvegliandosi da quel meraviglioso torpore.
- Non in quel senso, scema! Intendo… metaforicamente, ecco.
- Metaforicamente?- domandò lei tendendo però gli occhi ancora chiusi.
- Sì, insomma… sono pieni di significato.
- I miei piedi?!- Temari rise all’idea che i suoi piedi potessero avere qualche significato allegorico-letterario che il suo ragazzo si sforzava di comunicarle. – E quale sarebbe?
- Loro ti riportano da me, ogni volta.
Felice ShikaTema Day!!
Scritta, ovviamente, per il meraviglioso forum The Black Parade.
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Avete presente Naruto? Ecco, se fosse di mia proprietà il manga sarebbe finito da cento e più capitoli, i filler non esisterebbero, Sakura sarebbe morta in qualche atroce modo e Shikamaru dietro un cespuglio a fare cosacce con Temari. 
Ahimè, non è così. Facciamocene una ragione.
 
Tus Pies.
Pero no amo tus pies
sino porque anduvieron
sobre la tierra y sobre
el viento y sobre el agua,
hasta que me encontraron.
(Tus pies - Pablo Neruda)

[Ma non amo i tuoi piedi
se non perché camminarono
sopra la terra e sopra
il vento e sopra l'acqua,
fino a che m'incontrarono. ]

Temari aveva camminato anzi, Termari aveva corso, tanto ed ininterrottamente. Era partita all’alba dal suo Villaggio e, decisa ad accorciare al minimo i tempi di percorrenza della tratta Suna-Konoha, aveva deciso che avrebbe corso più veloce che poteva, al massimo delle sue possibilità.
Quando era arrivata alle porte della Foglia quasi non si reggeva in piedi, era fradicia del sudore di due giorni e mezzo di fatica (sì, era riuscita ad andare oltre i canonici tre giorni, poteva considerarsi soddisfatta della sua forma fisica), e il suo corpo cominciava a reclamare le ore di sonno che gli aveva negato nelle due notti precedenti. Ma era arrivata, e lui era lì.
La aspettava davanti alla porta del Villaggio e forse la stanchezza stava giocando un brutto scherzo alla mente di Temari, perché l’unica cosa che riusciva a pensare guardandolo era quanto lui fosse bellissimo con quell’espressione annoiata, appoggiato ad un muretto. Ed era lì per lei.
Si scambiarono uno sguardo per salutarsi, senza troppi convenevoli, senza smancerie, come era loro solito poi, in religioso silenzio, lui la prese per mano e iniziò a guidarla tra le vie del villaggio.
 
Temari sentiva di potersi considerare ormai un’esperta di Konoha dopo tutto il tempo che aveva passato lì come ambasciatrice, eppure quella zona non la conosceva. Era lontana dal palazzo dell’Hokage, lontana dalla piazza principale e da tutti i luoghi che di solito frequentava.
Shikamaru la stava portando in un settore un po’ defilato, quasi periferico. Notò subito la grande quantità di bambini che giocavano per strada, al sole del pomeriggio, riempiendo con le loro voci la via e le mamme che li guardavano attente dalle verande delle case che si affacciavano sulla strada, alcune mentre stendevano i panni e altre che chiacchieravano con le vicine.
Ma dove diavolo mi sta portando? Era la domanda che continuava a ripetersi Temari, soprattutto ripensando alle misteriose parole che lui le aveva scritto solo qualche giorno prima.
L’ho trovata. Vieni appena puoi. S.
E lei era letteralmente scappata da Suna per correre da lui, lui che ora le teneva tranquillamente per mano mentre zigzagavano in quello che Temari aveva capito essere decisamente un bel quartiere residenziale del Villaggio quando invece lei era stanca, sfinita, distrutta, devastata e sentiva di desiderare solo un bagno e una bella dormita. Ma che cosa, che cos’è che ha trovato?
Persa nelle sue riflessioni, si accorse che Shikamaru si era fermato all’improvviso solo quando andò a sbattere contro la sua schiena. Poi alzò gli occhi e la vide. E rimase senza fiato.
 
Davanti a lei c’era la casa più bella dell’isolato; era davvero enorme, in legno scuro, con una veranda che correva lungo tutto il perimetro, circondata da un giardino che sembrava gigantesco e con quello che a Temari sembrava una specie di stagno.
- Entriamo? – disse semplicemente lui.
- Ma cosa… come…? – riuscì a balbettare.
Il ragazzo non rispose e, sempre tenendola per mano, la condusse su per la scaletta che portava all’ingresso, fino ad entrare nella casa. Temari spalancò gli occhi, trattenendo un’esclamazione di meraviglia: l’interno era… splendido! Finemente decorato, arredato in modo a dir poco perfetto e con un leggero profumo di fiori che riempiva la stanza.
- Shikamaru, ma di chi è questa casa? Chi ci ospita qui? – chiese lei, sempre con gli occhi spalancati e il naso all’insù, ad ammirare i finissimi intarsi del soffitto.
- Ospiti? – rise lui – Temari, ma non hai capito? Questa è casa nostra!
La ragazza fece quasi cadere il vaso che stava osservando all’udire quelle parole.
- Cos… Casa di chi?! – esclamò con una voce che le uscì più strozzata del previsto.
- Nostra. Insomma… se tu vuoi, sia chiaro.- aggiunse lui incespicando sulle parole, come se non avesse minimamente previsto la possibilità che lei dicesse di no. – E’ che mi sembra… voglio dire, stiamo insieme da tanto, no? Vivere insieme sarebbe…-
- Dove sei andato a pescare questa casa? – lo interruppe bruscamente lei, abbandonando immediatamente l’espressione di Temari-che-belli-questi-mobili e tornando ad essere Temari-stai-attento-Nara-ti-ammazzo.
- In realtà è qui da sempre – spiegò lui. La verità era che si era accuratamente preparato quel discorso (sapeva per certo che la Seccatura avrebbe fatto domande a proposito) e ora poteva dare dimostrazione della sua abilità di agente immobiliare improvvisato. – Da che sono bambino. Era di una ricchissima famiglia e il proprietario, quando è morto, pochi mesi fa, l’ha lasciata al suo unico figlio, che però vive in un’altra città con la sua famiglia. Così ha deciso di venderla e beh, ho pensato che fosse il caso di uscire dalla casa di mamma e quindi l’ho comprata!
Lei lo guardò storto.
- Capisci che quando un figlio esce dalla casa dei genitori normalmente va a vivere in un monolocale in affitto dotato del minimo spazio vitale, Nara? – rispose con un tono tendente all’acido – E con questa casa tu ci ricavi come minimo… dieci monolocali?
- Sì beh, hai ragione. Il fatto è che non prevedevo di lasciarla così vuota per troppo tempo… - mormorò lui a metà tra l’imbarazzato e il terrorizzato di dire una cosa del genere.
Temari lo fissò con la fronte aggrottata, come a comprendere che cosa volesse dire e poi… semplicemente capì. Vivere insieme, non lasciare la casa troppo vuota a lungo…
- NO! – urlò – NO! Che cosa… NO! – Urlò di nuovo. Shikamaru la guardava sconvolto.
- Ma io pensavo che…-
-Tu pensavi che potevi dirmelo! Mi mandi bigliettini criptici, mi fai preoccupare, mi tocca correre fino a questo stramaledetto villaggio e tutto perché a te viene in mente di mettere su famiglia senza dire niente a nessuno?!
- Veramente mia madre…
- Ah! TUA MADRE! – Temari era una furia scatenata – Tua madre ne sa più della sottoscritta, è così? Ma sì, progettiamo la vita senza chiedere nulla alla diretta interessata!
- Temari…
- Temari un cavolo! – gridò, questa volta però accasciandosi sul primo divano che le capitò a tiro – Shikamaru, io…- sospirò – Sono così stanca.-
Al ragazzo venne quasi da ridere a vederla incazzata nera ma raggomitolata sul divano che quasi si addormentava.
- Senti, Temari – cominciò – Di sopra c’è un bagno, vai a farti una doccia e riprenditi un po’, poi torna qui e parliamo di tutto questo, ti va?
Lei lo guardò scettica, poi pensò che sì, decisamente una doccia le avrebbe fatto bene, quindi prese delle cose a caso dal bagaglio che aveva appoggiato all’ingresso e salì al piano superiore.
 
Quando ritornò su quel divano, quaranta minuti e una lunghissima doccia dopo, aveva i capelli umidi sciolti sulle spalle e una combinazione di maglietta e pantaloncini che considerava un pigiama. Si sedette dal lato opposto a quello del suo ragazzo e lo fissò, aspettando che dicesse qualcosa o che per lo meno introducesse il discorso.
- Ti va se ti faccio un massaggio ai piedi? – fu però quello che lui disse. Temari non capiva, ma decise di fidarsi e allungò le gambe fino a portare i suo piedi in grembo al ragazzo, che iniziò ad accarezzarli lentamente, provocandole brividi di solletico. Lei si accomodò meglio sul divano, deliziata dallo splendido trattamento che stava ricevendo e chiudendo gli occhi per goderselo di più.
- Adoro i tuoi piedi – disse Shikamaru rompendo il silenzio che era sceso.
- Potrebbe essere un’affermazione ambigua questa, lo sai?-gli rispose lei risvegliandosi da quel meraviglioso torpore.
- Non in quel senso, scema! Intendo… metaforicamente, ecco.
- Metaforicamente?- domandò lei tendendo però gli occhi ancora chiusi.
- Sì, insomma… sono pieni di significato.
- I miei piedi?!- Temari rise all’idea che i suoi piedi potessero avere qualche significato allegorico-letterario che il suo ragazzo si sforzava di cominucarle. – E quale sarebbe?
- Loro ti riportano da me, ogni volta.
Temari spalancò gli occhi a quelle parole, tirandosi a sedere e guardando il ragazzo di fronte a sé.
- Tu hai attraversato il deserto e poi la foresta per venire qui, lo fai ogni volta. E tutto grazie a loro. E se li lasciassimo riposare un po’? Se tu rimanessi qui con me per un po’?- Shikamaru prese fiato, quello che stava dicendo era troppo, troppo importante. - Se ti troverai male, se io inizierò a farti schifo, se gli abitanti di Konoha ti staranno sulle scatole sarai liberissima di andartene, quando vorrai.
Temari non riusciva a capire cosa fare. Non aveva dubbi che gli abitanti di Konoha le sarebbero stati sulle scatole, erano una massa di cretini melodrammatici dopotutto, però poteva sopportarli. Trovarsi male in una casa del genere era pressoché impossibile, nella Foglia si viveva bene e l’Hokage di sicuro le avrebbe trovato una mansione più che degna da svolgere.
Però avrebbe dovuto abbandonare Suna, i suoi fratelli, la sua gente, la sua vita fino a quel momento.
Poi guardò Shikamaru, di fronte a lei, che la fissava aspettando una risposta, e capì che sull’ultimo punto aveva decisamente sbagliato. La sua vita si era trasferita a Konoha da quando loro due si erano scambiati il primo bacio, a guerra finita, con l’atroce sensazione di aver appena rischiato di morire entrambi e con la promessa di non perdere più tempo per motivi stupidi tipo la lontananza. Poi le cose erano tornate alla normalità e la routine dell’ambasciatrice aveva avuto la meglio.

Sì, era decisamente la cosa giusta da fare. Alzò la schiena dal divano, puntellandosi sulle ginocchia e arrivando fino a sfiorare la fronte di Shikamaru, dove lasciò un lievissimo bacio.
- E’ un sì? – soffiò lui.
- I piedi ringraziano – rise lei sulle sue labbra.
 
 *****
 
 
E’ mio triste dovere dire che questa non è la storia che dovevo pubblicare oggi.
La storia che dovevo pubblicare oggi conta undici pagine di Arial 12, ci ho lavorato quasi due settimane, ha una conclusione che più la leggo e più mi piace ma… ha un enorme, gigante, atroce, osceno BUCO NARRATIVO più o meno tra la nona e la decima pagina. Cioè so come inizia, so come deve finire, so cosa succede in mezzo… ma non ho la minima idea di cosa succeda lì. E più ci penso, più tutta la storia mi sfugge. Giuro, ho anche pensato di cancellare tutto. Sob.
Anyway, eccoci qui. Mi è capitato di leggere questa poesia di Neruda, tipo un’ora e mezza fa, mentre cazzeggiavo al pc disperata perché ero senza storia da pubblicare e… SBAMMM l’ispirazione è arrivata!
Alla prossima, Margherita

(aggiornamento: ho sistemato l'impaginazione, come una gentilissima ragazza mi ha fatto notare)


 
   
 
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