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Autore: BehindInfinity    19/08/2008    1 recensioni
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Racconto scritto tre anni fa su commissione (mi è stata data la storia, i personaggi sono inventati). Scritto in 2 settimane durante un viaggio in Islanda.
Da pochi mesi, Clèa lavora nell’ostello più grande e più abitato d’Islanda, nel centro della capitale. Tanta gente è passata davanti a lei, mentre faceva il check- in o mentre serviva la colazione ai tavoli assieme a Steve, irlandese di nascita, islandese d’adozione. Un giorno si presenta alla reception un gruppo di giovani stranieri, che vorrebbero trascorrere all’ostello ben… 3 anni! Insospettita da questa scelta, Clèa decide di scoprire se e cosa c’è sotto a tutto ciò, facendosi aiutare da Steve e da Marion, pigra cameriera dell’ostello appassionata di leggende. Una ricerca che si svolge solamente all’interno della struttura alla fine della quale Clèa scoprirà quanto è sottile il confine tra realtà e fantasia
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Claire e, a dispetto del mio nome, sono islandese. Ho solo 18 anni, ma ho già trovato un buon lavoro come addetta tutto fare nell’ostello più famoso e più popolare d’Islanda, per di più nella capitale, Reykjavik, ad un passo da casa.

In cosa consiste il mio lavoro? In primo luogo, sono segretaria alla reception, cameriera di bar e addetta alle pulizie delle camere. E anche se sembra un lavoro estenuante, a me piace molto.

Non ho nulla di diverso dalle altre persone che lavorano qui, tranne per una strana storia che mi ritorna nei sogni (e negli incubi) da quando è finita, cioè poco più di un mese.

Tutto è cominciato un giorno di fine luglio, nel tardo pomeriggio di un giorno di fine luglio, per essere precisi. E, per essere ancora più precisi, tutto cominciò quando presi in mano una carta d’identità e ne lessi il nome…

“Andrew Stoker?” chiesi, alzando lo sguardo sul giovane biondo che mi porgeva il documento. Il ragazzo sorrise e annuì: “Sì, signorina” parlava inglese, ma dalla sua pronuncia traspariva un chiaro accento italiano. Come può uno chiamarsi Andrew Stoker e avere un accento italiano così marcato? “è tutto regolare, signorina?” mi chiese il ragazzo fissandomi con i suoi grandi occhi azzurri, distogliendomi dalle mie perplessità: “Sì, mi scusi… è solo che ogni tanto abbiamo dei problemi con il computer” il giovane annuì e allungò la mano per riavere la sua carta d’identità; intascò il documento e si avviò verso un gruppo di ragazzi pigramente sdraiati sui divani davanti al bancone della reception, circondati dalle valigie. Appoggiò la mano sulla spalla di una ragazza che si alzò e si avvicinò; anch’ella mi porse il suo documento d’identità: Hanna Voralberg. Nome tedesco, parlata tedesca, ma sempre un marcato accento italiano che disturbava il discorso; pensai subito che tutto questo risultava curioso e divertente, ma sembrava anche che si stessero prendendo gioco di me. Feci lo stesso procedimento che feci con Andrew e mi sopresi nel vedere che anch’ella fece lo stesso che fece il ragazzo, quando le riconsegnai la carta d’identità; si avvicinò al gruppo, toccò sulla spalla un’altra ragazza che si avvicinò a me. Vediamo cosa succede ora; ero curiosa, quella specie di gioco mi stava coinvolgendo

Garnet Alexandròs; ma che razza di nome era?! Così come Carmen Tarira, Gabrielle de la Croix e Dimitri Tulov. Nomi assurdi, nomi stranieri, ma un marcato accento italiano che risuonava in tutte le loro parole; a quel punto mi venne davvero il sospetto che mi stessero prendendo in giro, che ad un certo punto avrebbero cominciato a ridere e mi avrebbero dato i loro veri nomi, italiani ovviamente. Ma, il problema era che qualcuno aveva prenotato davvero delle camere a loro nome (la numero 47 e la 103 dell’ala ovest); tutto ciò, anche se nella legalità, mi sembrava assai strano.

Li guardai allontanarsi lungo il corridoio che attraversava la piccola sala da pranzo e che portava alle scale per le camere; rimasi per un po’ in quella posizione, anche se ormai alla porta non c’era più nessuno. Ritornai ai miei doveri appena una coppia di turisti si avvicinò a me; quando mi diedero i loro passaporti, tornai a fissare la schermata del computer, dove c’era ancora aperta la pagina relativa alle richieste di Gabrielle de la Croix, una dei ragazzi misteriosi. Inavvertitamente, il mio sguardo cadde di nuovo sul nome, sull’età (17 anni), ma mi soffermai attonita davanti al tempo di alloggiamento presso il nostro ostello che mi lasciò letteralmente a bocca aperta: 3 anni.

“è incredibile, non trovi?” appena finii il mio turno mi precipitai da Steve che lavorava insieme a me in caffetteria e che era diventato mio grande amico. Gli raccontai tutto: il gruppo di diciassettenni europei che parlavano lingue diverse, ma che avevano tutti un fortissimo accento italiano. Il mio collega rimase in silenzio per un po’: “Strano davvero…” sentenziò: “Ma sei sicura che l’accento fosse italiano?” mi chiese: “Sicurissima” risposi, mentre mi preparavo una tazza di caffè nero: “Steve, ho studiato italiano per tre anni e ne riconosco l’accento alla perfezione” mi girai verso di lui, seduto ad un tavolino davanti a me: “E ti dico che quelli erano italiani” stavo per aggiungere “al cento per cento” ma mi bloccai, quando vidi uno di quei ragazzi, Andrew per la precisione, aprire la porta a vetri e dirigersi verso di me: “C’è un internet point qui?” chiese in un inglese intriso di italiano. Gli indicai la saletta appena dopo la reception e se ne andò. Io tornai a fissare Steve: “Lui era Andrew Stoker, l’inglese del gruppo. Ora, Steve, tu sei irlandese; da quello che hai sentito ti pare inglese?” il ragazzo scosse violentemente il capo, poi assunse un’espressione torva e mi guardò: “Ti confesso che questa situazione mi preoccupa, Clèa. Che sta succedendo?”

  
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