Mi chiamo
Claire e, a dispetto del mio nome, sono islandese. Ho solo 18 anni, ma
ho già
trovato un buon lavoro come addetta tutto fare nell’ostello
più famoso e più
popolare d’Islanda, per di più nella capitale,
Reykjavik, ad un passo da casa.
In cosa
consiste il mio lavoro? In primo luogo, sono segretaria alla reception,
cameriera di bar e addetta alle pulizie delle camere. E anche se sembra
un
lavoro estenuante, a me piace molto.
Non ho nulla
di diverso dalle altre persone che lavorano qui, tranne per una strana
storia
che mi ritorna nei sogni (e negli incubi) da quando è
finita, cioè poco più di
un mese.
Tutto è
cominciato un giorno di fine luglio, nel tardo pomeriggio di un giorno
di fine
luglio, per essere precisi. E, per essere ancora più
precisi, tutto cominciò
quando presi in mano una carta d’identità e ne
lessi il nome…
“Andrew
Stoker?” chiesi, alzando lo sguardo sul giovane biondo che mi
porgeva il
documento. Il ragazzo sorrise e annuì:
“Sì, signorina” parlava inglese, ma
dalla sua pronuncia traspariva un chiaro accento italiano. Come
può uno
chiamarsi Andrew Stoker e avere un accento italiano così
marcato? “è tutto
regolare, signorina?” mi chiese il ragazzo fissandomi con i
suoi grandi occhi
azzurri, distogliendomi dalle mie perplessità:
“Sì, mi scusi… è solo che
ogni
tanto abbiamo dei problemi con il computer” il giovane
annuì e allungò la mano
per riavere la sua carta d’identità;
intascò il documento e si avviò verso un
gruppo di ragazzi pigramente sdraiati sui divani davanti al bancone
della
reception, circondati dalle valigie. Appoggiò la mano sulla
spalla di una
ragazza che si alzò e si avvicinò;
anch’ella mi porse il suo documento
d’identità: Hanna Voralberg. Nome tedesco, parlata
tedesca, ma sempre un
marcato accento italiano che disturbava il discorso; pensai subito che
tutto
questo risultava curioso e divertente, ma sembrava anche che si
stessero
prendendo gioco di me. Feci lo stesso procedimento che feci con Andrew
e mi
sopresi nel vedere che anch’ella fece lo stesso che fece il
ragazzo, quando le
riconsegnai la carta d’identità; si
avvicinò al gruppo, toccò sulla spalla
un’altra ragazza che si avvicinò a me. Vediamo
cosa succede ora; ero curiosa,
quella specie di gioco mi stava coinvolgendo
Garnet
Alexandròs; ma che razza di nome era?! Così come
Carmen Tarira, Gabrielle de
Li guardai
allontanarsi lungo il corridoio che attraversava la piccola sala da
pranzo e
che portava alle scale per le camere; rimasi per un po’ in
quella posizione,
anche se ormai alla porta non c’era più nessuno.
Ritornai ai miei doveri appena
una coppia di turisti si avvicinò a me; quando mi diedero i
loro passaporti,
tornai a fissare la schermata del computer, dove c’era ancora
aperta la pagina
relativa alle richieste di Gabrielle de
“è
incredibile, non trovi?” appena finii il mio turno mi
precipitai da Steve che
lavorava insieme a me in caffetteria e che era diventato mio grande
amico. Gli
raccontai tutto: il gruppo di diciassettenni europei che parlavano
lingue
diverse, ma che avevano tutti un fortissimo accento italiano. Il mio
collega
rimase in silenzio per un po’: “Strano
davvero…” sentenziò: “Ma sei
sicura che
l’accento fosse italiano?” mi chiese:
“Sicurissima” risposi, mentre mi
preparavo una tazza di caffè nero: “Steve, ho
studiato italiano per tre anni e
ne riconosco l’accento alla perfezione” mi girai
verso di lui, seduto ad un
tavolino davanti a me: “E ti dico che quelli erano
italiani” stavo per
aggiungere “al cento per cento” ma mi bloccai,
quando vidi uno di quei ragazzi,
Andrew per la precisione, aprire la porta a vetri e dirigersi verso di
me: “C’è
un internet point qui?” chiese in un inglese intriso di
italiano. Gli indicai
la saletta appena dopo la reception e se ne andò. Io tornai
a fissare Steve:
“Lui era Andrew Stoker, l’inglese del gruppo. Ora,
Steve, tu sei irlandese; da
quello che hai sentito ti pare inglese?” il ragazzo scosse
violentemente il
capo, poi assunse un’espressione torva e mi
guardò: “Ti confesso che questa
situazione mi preoccupa, Clèa. Che sta succedendo?”