Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: fourty_seven    25/06/2014    1 recensioni
Se vi state chiedendo chi io sia... beh lasciate perdere non ne vale la pena. Tuttavia per coloro che sono ugualmente interessati posso dire che sono un ragazzo con dei "problemi".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Verso le otto comincio a sentire dei rumori al piano di sopra, segno che i miei si sono svegliati. Infatti dopo pochi minuti spunta mio padre.
“Che fai già in piedi?”.
“Non riuscivo più a dormire” rispondo alzando le spalle.
“Vuoi fare colazione?”.
“No, ho già mangiato, grazie. Anzi ora che ci penso tra poco devo uscire”.
“Va bene” poi esce dalla sala. Io spengo la tele e vado nella mia camera per vestirmi.
 
Esco e comincio a camminare; dopo una decina di minuti suona il mio telefono; cosa insolita visto che nessuno ha il mio numero tranne i miei e...
“Sarah?” rispondo alla chiamata.
“Ciao! Ti ho svegliato?”.
“No, no, sono sveglio da qualche ora”.
“Ah, allora mi sa che dirai di no. Volevo chiederti se ti andava di fare colazione al bar”.
“Certo, in effetti non l’ho ancora fatta”.
“Perfetto...”.
“Allora ti precedo, sono già in strada, ti aspetto al nostro tavolo”.
“No, aspetta, lasciami spiegare. Il fatto è che avevamo pensato di andare a fare colazione direttamente in un bar del supermercato, così siamo già lì appena aprono i negozi”.
“Non ti seguo”.
“Ah già, hai ragione, tu non ne sei stato informato. Questa sera c’è la festa di Samantha e dobbiamo comprarle il regalo, ho pensato che volessi partecipare anche tu, visto che ti ha invitato”.
“Sì certamente, ma non aveva detto che non lo voleva?”.
“Lo dice ogni anno, ma è sempre stata contenta di riceverli”.
“Va bene, dimmi dove devo andare”.
“Casa mia, andiamo in macchina, sempre se non hai paura di salirci con me alla guida”.
“L’ultima volta che ti ho visto guidare qualcosa è stato quando avevi nove anni, ed era una macchina a pedali con la quale hai investito il tuo gatto”.
“Avevo nove anni!”.
“Sì, ma era solo una macchina a pedali. Comunque vengo anch’io, ma c’è un problema, non so dov’è casa tua”.
“Giusto, è vero, beh adesso ti spiego”.
 
Venti minuti dopo sono di fronte alla sua porta. Suono e mi apre Sabrina, la saluto con un gesto della mano.
“Era ora! Sarah è arrivato! Possiamo andare!”, poi esce spingendomi via, dopo di lei escono come delle furie Sarah e Carol; vanno verso una macchina parcheggiata di fronte alla casa. Mi fanno sedere davanti, di fianco al conducente, cioè Sarah che si volta e con una luce omicida negli occhi dice: “Non osare criticare la mia guida”, io alzo le mani e dico: “Non è mai stata mia intenzione”.
“Okay, allora muoviamoci” dice.
“Come mai tanta fretta?”.
“Alcuni negozi stanno facendo delle promozioni in questo periodo e se non ci sbrighiamo ad arrivare li troveremo già tutti pieni” dice, poi mette in moto e parte; e io vorrei scendere all’istante.
La prima cosa che fa, o meglio non fa, è rispettare la precedenza, dato che taglia la strada ad una macchina a meno di cinque metri da noi, la quale non evita di rispondere con un colpo di clacson, a cui Sarah reagisce suonando a sua volta e lanciando un insulto al povero conducente.
“Non bisognerebbe farla guidare quando siamo di fretta” sento dire a bassa voce da qualcuno seduto dietro di me, io sorrido, ma ricordandomi della minaccia evito di aggiungere qualcosa.
Dieci minuti e siamo arrivati al centro commerciale, dall’altra parte della città rispetto alla casa di Sarah; è passata almeno tre volte con il giallo, ha superato a destra un auto che stava svoltando a destra e... meglio lasciare perdere, è stato troppo terrificante per continuare a pensarci.
“Ma guida sempre in questo modo?” chiedo a Carol appena scendiamo.
“No, di solito va fin troppo lentamente; quando ha fretta invece si trasforma, come hai potuto constatare”.
“Ehi voi due, che vi state dicendo!” dice Sarah fulminandoci con lo sguardo.
“Nulla! Mi ha soltanto chiesto se abbiamo già in mente che regalo fare a Samantha”.
“Uhm, ora andiamo” ordina.
Entriamo.
“Scusate ma per che ora aprono i negozi?” chiedo.
“Nove e mezza, questo weekend” risponde Sarah.
“Allora perché tutta questa gente è qui se manca ancora un’ora?” chiedo, ma la mia voce si perde nel caos generale, dal momento che ci devono essere come minimo un paio di centinaia di persone e siamo solo nell’ingresso.
Le seguo fra la calca, facendomi largo fra centinaia di persone, di ogni età, razza e sesso.
 
Dopo un po’, un bel po’, arriviamo ad un bar affollato; hanno avuto tutti la stessa idea di Sarah.
“Saremmo dovute venire almeno due ore fa” dice Sabrina, Sarah annuisce. Ci mettiamo in coda e dopo almeno una ventina di minuti mi ritrovo in piedi a sorseggiare un discutibile cappuccino quasi freddo.
“So che non è il massimo” mi dice Sarah.
“Ho mangiato nl posti più scomodi” le rispondo soprapensiero, poi mi accorgo di ciò che ho detto e cerco di rimediare sorridendole, comunque non fa in tempo a dire nulla poiché Carol le afferra improvvisamente una spalla e la fa voltare nella sua direzione, dicendole qualcosa; intanto io finisco il mio cappuccino e quindi cerco un contenitore dei rifiuti dove buttarlo; ne vedo uno vicino alla vetrata accanto alla porta d’ingresso del bar. Vado a buttare il bicchiere vuoto e noto che all’esterno comincia ad esserci molta agitazione, inoltre mi sembra che la folla abbia cominciato a muoversi verso una direzione precisa.
“Là fuori cominciano a muoversi” dico a Sarah appena tono da lei.
“Cos... Allora è vero hanno già aperto!” esclama, poi comincia a spingere le sue amiche: “Forza andiamo hanno aperto!”.
E inizia la marcia attraverso la folla.
Le perdo di vista di fronte ad un negozio, nel quale sono costretto ad entrare spinto dalla folla. Comincio a camminare tra gli scaffali cercando di evitare di venire calpestato; c’è talmente tanta gente che nessuno ha il tempo di fermarsi per scegliere un vestito, vedo persone venire letteralmente trascinate via mentre tentano di afferrare un abito.
Improvvisamente sbatto contro una persona facendola barcollare: “Mi scusi” dico, si volta per rispondere e mi trovo faccia a faccia con Sarah.
“Ecco dov’eri, pensavamo che ti fossi perso!”.
“Più o meno”.
“Beh adesso che ci hai ritrovate ci porteresti questi?” e mi da in mano un po’ di vestiti. Io li guardo stupito.
“Sono tutti per Samantha?”.
“No per lei non abbiamo preso ancora nulla, questi sono spese personali nostre”.
E così le seguo tipo facchino per il negozio; prendono altri capi di abbigliamento, poi si piazzano di fronte ad un camerino vuoto e a turno entrano per provare i vestiti presi.
Due ore dopo usciamo, la folla di prima si è diradata un pochino, ormai sono tutti dentro i negozi a fare compere.
“Giusto un’informazione; per quanto ne avrete ancora?” chiedo interrompendo i loro discorsi su quali posti visitare ora.
“Non saprei. Se sei stufo non sei obbligato a seguirci” mi risponde Sarah. La guardo stupito: “Sul serio?”.
“Sì certamente, però ci puoi fare un favore? Terresti le borse?”.
“Sì certamente”.
“Perfetto, allora ci vediamo più tardi!” e se ne vanno. Io comincio a camminare nella direzione opposta a quella verso cui si muovono tutti. Alla fine sbuco in un’altra ala del centro commerciale con una densità di folla nettamente inferiore.
Ci sono delle panche e io vado a sedermi. Mi metto di fianco ad un altro ragazzo, penso abbia più o meno la mia età; guarda le borse e mi sorride: “Spese con la ragazza?”.
Sorrido a mia volta: “Più o meno”.
“Ah come ti capisco” poi si volta verso una ragazza che si sta avvicinando e le dice: “Arrivo, arrivo” si alza e mi saluta con un cenno della mano: “Good luck”, poi si allontana.
Resto seduto sulla panca per un bel pezzo, poi vedo arrivare Jason.
Un po’ sorpreso mi alzo e gli vado incontro.
“Ehi, come mai da queste parti?” chiede appena lo raggiungo.
“Sono venuto a fare un po’ di compere con delle amiche” rispondo, alzando le borse, “Tu?”.
“Avevo una commissione da sbrigare e a questo proposito, ti spiace aspettare qua un attimo? Devo parlare con una persona”. Si allontana e va verso un tipo, che se ne sta seduto su di una panchina a leggere un giornale. Appena Jason gli si avvicina l’uomo scatta in piedi e lo guarda preoccupato; poi ad un cenno di Jason si incamminano verso i bagni poco più avanti.
Ci rimangono una ventina di minuti, poi esce per primo Jason che si dirige immediatamente verso di me. Sta cercando i sistemarsi i vestiti, ma è evidente che la dentro non si sono semplicemente parlati.
“Andiamo, c’è un bar in cui il gestore è un mio amico” dice, si incammina e lo seguo. Anche se sono curioso evito di lanciare un’occhiata verso i bagni quando ci passo di fianco.
Alla fine torniamo nel bar in cui ho fatto colazione qualche ora fa. Effettivamente il barista è amico di Jason, si abbracciano e parlano fra di loro per qualche istante, poi ci accomodiamo ad un tavolo libero e ordiniamo del caffè. Cominciamo a chiacchierare del più e del meno.
All’improvviso suona nuovamente il mio telefono.
“Scusa un attimo” interrompo Jason; non può che essere Sarah.
“Dove sei?” mi chiede.
“Avete finito le vostre spese?”.
“Sì, stiamo aspettando te”.
“Dove siete?”.
“Davanti all’ingresso principale”.
“Perfetto, vi raggiungo”, poi mi rivolgo a Jason: “Mi spiace, ma devo andare”.
“Non c’è problema, tra poco me ne sarei andato anch’io”.
Mi alzo, lo saluto e me ne vado.
 
“Avete trovato ciò che cercavate?” chiedo appena le raggiungo.
“Sì e grazie per aver tenuto le altre borse”.
“Di nulla”. Usciamo e raggiungiamo la macchina.
“Anche adesso hai fretta di tornare a casa?” chiedo a Sarah prima di salire sull’auto.
“No, perché?”.
“Per curiosità” rispondo.
Il viaggio di ritorno è completamente differente dall’andata; penso che andando a piedi avrei impiegato la metà del tempo per tornare a casa.
 
Quando apro la porta mi viene in mente una cosa: questa mattina sono uscito di casa con l’intenzione di stare via solo poco tempo; invece adesso è pomeriggio, si saranno preoccupati di sicuro per me.
“Sono tornato, sto bene” urlo appena entro.
“Okay” risponde mia madre.
Okay? Tutto qui? Non ci posso credere.
Vado in cucina, da dove proviene la voce e scopro che abbiamo visite, la madre di Sarah.
“Ciao! Sei sopravvissuto alle spese folli di mia figlia?” mi chiede.
Okay, quindi questo spiega la mancata reazione di mia madre, era già informata su ciò che mi è successo.
“Sì, ne sono uscito incolume, soprattutto perché non sono stato con lei. L’ho lasciata assieme alle sue amiche, io ho trascorso la mattinata a parlare tranquillamente con un mio amico”.
“Astuto”.
“Ora mi spiace ma devo andare, tra un paio d’ore devo passare a prenderle per andare alla festa di Samantha”.
“Vai, vai, non ti preoccupare” risponde mia madre.
Per prima cosa mi faccio una doccia, poi cerco di indossare l’abito che mi ha preso Sarah.
Sì, mi ha comprato un abito molto elegante, che secondo me è da indossare solo in caso di cerimonie importanti come matrimoni o simili, ma lei ha detto che bisogna essere eleganti per partecipare alle feste di Samantha, quindi mi è stato imposto di indossarlo.
Appena sono pronto esco di casa, prendo la macchina di mia madre e vado a casa di Sarah.
Suono il campanello, qualcuno arriva correndo alla porta e sento una voce chiedere: “Chi è?”.
“Io” rispondo sorridendo, si sente la serratura sbloccarsi, poi la porta si spalanca e compare Sarah sulla soglia.
“Avevamo detto per le cinque! Manca ancora mezz’ora, non sono ancora pronta!” esclama sorpresa.
“Sì, questo lo vedo” dico abbassando lo sguardo abbastanza imbarazzato.
“Oh merda” dice a bassa voce dopo qualche, poi sento la porta chiudersi, così rialzo lo sguardo e di Sarah vedo solo il volto spuntare dalla porta socchiusa.
“Scusa, scusa, scusa, mi dispiace!”.
“Non ti devi scusare; non è stata una brutta esperienza” dico sorridendo.
“Idiota” mi sento rispondere, “Aspetta ad entrare!” dice, poi la sento correre via,
“Ora puoi!” grida ancora, così entro chiudendomi la porta alle spalle.
Mi siedo su un divano vicino alla porta di ingresso.
“Per quanto ne hai ancora?” le chiedo gridando.
“Un po’! Non mi sono nemmeno fatta la doccia! Sei tu ad essere arrivato in anticipo!” mi risponde allo stesso modo.
“Questa mattina mi avete quasi ucciso per venti minuti di ritardo, così ho pensato di arrivare in anticipo!”.
“Mezz’ora è forse un po’ troppo!”.
“Non è vero, sei tu che sei lenta a prepararti, due ore di tempo sono più che sufficienti per una persona normale!”.
“Non ho intenzione di rispondere alla tua critica; sei un maschio, non puoi capire i problemi che abbiamo noi donne!”.
“Afferrato, ma ora muoviti, altrimenti facciamo ritardo!”.
“Se smettessi di farmi parlare forse riuscirei a fare più in fretta”.
“Perché? Sei talmente impedita che non riesci a fare due cose contemporaneamente?”, non mi risponde e dopo qualche istante sento scorrere l’acqua della doccia.
Dopo venti minuti esatti sento la porta del bagno aprirsi.
“Chiudi gli occhi” mi ordina.
“Perché?”.
“Perché mi devo vestire, i vestiti sono nella mia camera e per andarci devo passare per il salotto”.
“Non vedo il problema”.
“Ho in dosso solo l’accappatoio”.
“E allora? Prima mi apri la porta indossando solo la biancheria intima e adesso hai vergogna a farti vedere in accappatoio?”.
“innanzitutto va a quel paese e in secondo luogo fa come ti ho detto!”.
“Sissignora!” dico chiudendo gli occhi e coprendoli con le mani; sento prima dei passi affrettati percorrere la stanza, poi il rumore di una porta che si chiude.
 
Dieci minuti dopo la porta si riapre e esce Sarah, o almeno una persona che dovrebbe essere Sarah.
“Allora, come sto?” chiede questa persona.
La voce è quelle di Sarah, quindi è davvero lei.
Mi alzo e mi schiarisco la voce, poi rispondo cercando di usare un tono di voce normale: “Uhm, passabile”.
Fa una faccia scioccata e dice: “Ma sei proprio stronzo! Andiamo che è tardi” e comincia a camminare verso la porta di ingresso.
No, questa non è Sarah, non può essere lei; come ho fatto a non accorgermi di quanto sia bella? No, ci deve essere stato uno scambio di persone; la Sarah che conosco io, cioè quella che indossa prevalentemente magliette e pantaloni, preferibilmente della tuta, quella che porta sempre i capelli sciolti e non si mette mai un filo di trucco, non può essere quelle che ho di fronte; oppure lo è e io sono un grandissimo stupido, per non usare epiteti più coloriti.
“Sei rimasto incantato?”.
“No, stavo, stavo pensando ad una... Andiamo che siamo in ritardo” riesco a dire.
“È tutto apposto?”.
Non ne sono molto sicuro; “Sì certo” rispondo invece. Poi esco per primo e vado verso la macchina, apro la portiera e sto per salire quando Sarah dice: “Non mi apri nemmeno la portiera?”.
“Ah, già hai ragione” salgo, poi dal sedile del guidatore mi allungo per aprire la portiera a Sarah.
“Non era questo che intendevo, però fa niente” commenta salendo.
“Non avevo voglia di fare tutto il giro” le rispondo sorridendo, scuote la testa per mostrare il suo disappunto, io la ignoro e parto.
Mi guida fino a casa di Carol, dove troviamo anche Sabrina, almeno hanno avuto la buona idea di farsi trovare tutte in un unico posto, così risparmiamo tempo.
“Siete in ritardo” commenta Sabrina non appena sale in macchina.
“Questa volta non è colpa mia” metto subito le cose in chiaro.
“Possiamo evitare le chiacchiere? Parti, altrimenti non arriviamo più. Anche perché Sam mi ha scritto che ha bisogno del nostro aiuto per sistemare le ultime cose”.
“Agli ordini capo” dico, mentre mi immetto nel traffico.
“Per fortuna sta guidando lui” dice Carol a Sabrina non abbastanza a bassa voce.
“E con questo cosa stai cercando di dire?” chiede subito Sarah.
“Nulla, solo che...”.
“Guidi male quando hai fretta” le dico sorridendo.
“Ma! Va bene, lo hai voluto tu!” risponde seria, poi incrocia le braccia al petto e si volta dalla parte opposta.
Io, Sabrina e Carol scoppiamo a ridere per la sua reazione, e anche lei si unisce a noi dopo qualche secondo.
 
“Svolta qui, siamo arrivati” dice Sarah indicandomi una strada sulla sinistra. Giro e mi ritrovo in una corta strada che termina di fronte ad uno cancello di ferro battuto oltre il quel si vede un immenso prato.
“Questa è la casa si Samantha?” chiedo stupito, mentre il cancello si apre automaticamente e io comincio a percorrere un sentiero ghiaioso, che porta verso un’enorme villa a qualche centinaio di metri di distanza.
“Sì, appartiene alla sua famiglia da molte, molte generazioni; i suoi antenati possedevano una piantagione da queste parti, se non mo sbaglio, e questa era la casa padronale” mi spiegano.
“Niente male!”.
Mi fermo in uno spiazzo a qualche metro da casa, che sembra essere un parcheggio provvisorio preparato per la festa.
 
È una villa immensa, ancora più spettacolare all’interno che all’esterno, anche se non ho molto tempo per ammirarla dato che Samantha, appena ci vede, corre da noi e esclama: “Ho ancora miliardi di cose da fare! Se non mi aiutate non so se finirò in tempo”.
“Siamo qui per questo” risponde Sarah.
“Perfetto” e comincia a darci ordini.
A me toccano i lavori pesanti, cioè devo aiutare il vecchio maggiordomo a portare il cucina le casse con le bevande che verranno servite alla festa, sistemare nel giardino i tavoli e le sedie per gli invitati; insomma è una bella sfaticata, soprattutto perché devo stare attento a non rovinare il vestito che indosso.
 
“Grazie mille figliolo, con la mia artrite non posso più fare certi lavori” mi ringrazia il maggiordomo quando ho finito.
“Non si preoccupi, vado a sentire se hanno altri ordini per me”.
Raggiungo il cortile sul retro della casa, dove si terrà la festa e dove, al momento, stanno lavorando Sarah e la sua combriccola.
“Oh, giusto il tempo, avevamo bisogno di qualcuno alto che ci appendesse questo” sento dire appena le raggiungo.
“Agli ordini” e appendo anche lo striscione di buon compleanno ad un tendone che hanno montato nel giardino.
 
I lavori continuano per un altro paio d’ore, tuttavia la festa non inizierà fino alle nove, quindi abbiamo un po’ di tempo per riposare.
“E in anteprima, come sempre, ecco il nostro regalo!” dice Sarah mentre entro nel salone con in mano il regalo per Samantha, che avevamo dimenticato in macchina.
“Oh, grazie! Siete fantastiche!” esclama lei, le porgo il pacco e poi mi siedo, osservandole mentre commentano gli abiti che le hanno regalato.
“Però questa sera non fare come l’anno scorso, è estremamente imbarazzante stare in tua compagnia quando sei completamente ubriaca” dice Samantha ad un certo punto della conversazione; al che mi incuriosisco e entro anch’io nella conversazione.
“L’anno scorso si è ubriacata?” chiedo sorpreso; quest’oggi Sarah è una continua sorpresa per me.
“È stato solo un episodio isolato!” esclama Sarah.
“Questo te lo concedo, ma vedi di non avere una ricaduta” continua Carol.
“Che cos’è successo di preciso?”.
“Diciamo che ha provato ad affogare i suoi dispiaceri nell’alcool, ma il tentativo non è andato a buon fine” risponde Sabrina.
“Già, abbiamo dovuto evitare per due volte che si esibisse in uno spogliarello improvvisato e che si buttasse da una finestra del primo piano per vincere una scommessa fatta con uno” continua Samantha.
“Ora basta! Non ero in me, non accadrà più!” esclama Sarah rossa in viso, mentre noi ridiamo di lei.
“Ma ancora mi sfugge il motivo per cui si è ubriacata”.
“Era appena stata mollat-” inizia a dire Samantha, ma Sarah le tappa la bacca con la mano.
“Che ti prende?” le chiede appena riesce a togliersi la mano dalla bocca.
“Niente è che non...”.
“Non vuoi fare sapere che il tuo ragazzo ti ha lasciata? Non sei la prima che per dimenticare un uomo si da all’alcool!” dice Carol ridendo assieme a Sabrina e Samantha; invece io e Sarah non ridiamo.
Lei sembra troppo imbarazzata per farlo; io, invece, non conosco il motivo per cui non abbia voglia di ridere, so solo che in questo momento mi sento un po’ infastidito da questa scoperta.
“Questo non me lo avevi detto” le dico cercando di non far trasparire la mia irritazione.
“Non mi sembrava importante” ribatte seria, le altre smettono di ridere e ci guardano.
“Mi hai fatto la lista dei pesci rossi che hai avuto da quando ti sei trasferita, forse dirmi che hai un ragazzo non è leggermente più importante?”.
“Avevo, passato. È per questo che non ho detto nulla, è passato”.
“Non sono perfetti?” dice tutta sorridente Samantha.
“Già, litigano come una coppia senza nemmeno stare assieme” commenta Carol.
“Che state insinuando?” chiede Sarah, ancora più imbarazzata di prima.
“Nulla, nulla” rispondono quasi in coro.
“Oh, ma guarda che ora si è fatta!” esclama Samantha con un tono di finta sorpresa, “Tra poco inizieranno ad arrivare, è meglio andare a vedere se è tutto pronto!” conclude alzandosi, seguita a ruota dalle altre due.
“Sono delle idiote” commenta Sarah incamminandosi dietro di loro.
Io invece rimango ancore per qualche secondo seduto, a pensare a ciò che hanno detto, o meglio insinuato.
No, sarebbe troppo strano; siamo amici da sempre e non potremmo mai andare oltre... Oppure sì.
Scuoto la testa, basta pensarci.
 
Tempo mezz’ora e comincia ad arrivare gente, tutte persone che non conosco, quindi resto defilato ad osservare; su una cosa Sarah aveva ragione, sono tutti vestiti molto elegantemente, quindi ho fatto bene a darle ascolto.
“Ah, ecco dov’eri!” sento dire da qualcuno alle mie spalle, ovviamente riconosco la voce.
“Non dovrebbe essere tanto difficile trovarmi; sono rimasto sempre qui”.
Sarah si posiziona di fronte a me: “Appunto, non è normale restare soli in un angolo con una festa in corso”.
“Mi trovo bene qui” le rispondo sorridendo, ma lei mi guarda seria.
“Ti da fastidio tutta questa gente?” chiede.
“Solo un pochino. Non sono più molto abituato a stare in mezzo alla folla, soprattutto se sono ragazzi mezzi ubriachi”.
“Vuoi che ce andiamo?”.
“No! Ma ti pare! Non preoccuparti per me, va a divertirti!”.
“Per adesso non c’è niente; ho già parlato con tutte le persone che conosco e la torta non è ancora arrivata, quindi non ho nient’altro di meglio da fare che restare qui a chiacchierare con te”.
“Okay, allora di che cosa vuoi parlare?”.
“Non saprei...”.
“Io sì!” dico, “Su che cosa state lavorando tu e... l’altro, il tuo compagno di scienze?”.
“Richard?”.
“Quello”.
“Richard” ribadisce lei, “Comunque stiamo lavorando ad un progetto di scienze”.
“Sì, lo so, lo hai già detto, ma di che si tratta?”.
“Un esperimento con i batteri; stiamo cercando di scoprire qual è il terreno di coltura ottimale per diverse specie di batteri”.
“Batteri. Interessante” dico con ironia non troppo velata.
“Ti posso assicurare che sono più interessanti gli organismi unicellulari di alcuni organismi pluricellulari di mia conoscenza”.
“Non posso darti torto”.
“Comunque non è stata una mia idea; è stato Richard a proporre questo esperimento alla professoressa e poi ha insistito affinché partecipassi anch’io, anche se non ho capito perché voleva il mio aiuto”. Io so perché voleva io tuo aiuto, però tengo questo pensiero per me.
“Ne vuoi ancora?” chiede indicando il mio bicchiere vuoto, “Tanto devo andare a prenderla anch’io”.
“Okay” rispondo passandole il mio bicchiere, “Però per te è l’ultimo, non vorrai fare la fine dell’anno scorso” aggiungo sorridendo.
“Ah, ah, ah. Ma quanto siamo divertenti”.
Ritorna dopo un paio di minuti, ma non è da sola; con lei ci sono Samantha, e fin qui va tutto bene, e i tre tizzi di ieri, quelli con i piercing in faccia.
Il capobranco sta parlando con Sarah, che comunque non sembra prestargli molta attenzione.
“Tieni” dice allungandomi il bicchiere quando mi si avvicina.
“E così c’è anche il tuo amico” commenta il capo banda di cui sinceramente non m’interessa ricordarmi il nome.
“Sì e adesso se non ti dispiace vorrei continuare a parlare con lui, tu torna a fare quello che stavi facendo prima di incontrare me”.
“Stavo cercando te” risponde sorridente.
“Ottimo, mi hai trovato, mi hai parlato, quindi ora ciao!” conclude voltandosi nella mia direzione.
“Neanche per idea!” continua imperterrito afferrandole il volto con una mano e costringendola a voltarsi nuovamente verso di lui. Sarah non fa in tempo a reagire che qualcosa colpisce il tipo dritto sulla mascella; qualcosa che scopro essere il mio pugno destro.
Rimango per qualche istante sorpreso ad osservare il mio braccio proteso, il mio pugno chiuso e il tipo caduto a terra. Contando che mi fa abbastanza male la mano, devo avergli dato un bel colpo, anche se è stato del tutto involontario.
Poi Sarah si piazza davanti a me gridando qualcosa del tipo: “Ma che ti è saltato in mente!”, mentre Samantha si china per aiutare l’altro a rialzarsi mentre anche lei urla frasi del tipo: “Lucas stai bene?”.
Lucas si rialza massaggiandosi la mascella; mi aspetto una reazione da parte sua, e lo stesso Sarah, dato che cerca subito di correre hai ripari: “Forse è meglio se andiamo a farci un giro” propone rivolgendosi a me.
“Sì, forse è meglio” rispondo.
Ce ne andiamo, tuttavia il tipo non ha altra reazione se non quella di lanciarmi una strana occhiata; strana nel senso che non riesco ad interpretarla.
 
Camminiamo per qualche minuto, allontanandoci dalla gente, percorrendo un piccolo sentiero illuminato che si inoltra nel giardino della villa, che tra parentesi è veramente enorme.
All’improvviso si ferma e mi guarda: “Perché gli hai dato un pugno?”.
“Non ne ho idea. Ho capito ciò che stavo facendo solo dopo averlo fatto. Mi dispiace”.
“No, cioè sì, ti devi dispiacere, non avresti dovuto farlo; però a me non è dispiaciuto, nel senso che se non lo avessi fatto te, gli avrei dato io volentieri un pugno!” esclama, mentre stringe le dita a pungo e lo alza di fronte al volto, “Comunque non fare mai più una cosa simile!” aggiunge dopo qualche istante. Io non posso non evitare di mettermi a ridere e dopo di me scoppia a ridere anche lei.
Quando ci calmiamo lei mi guarda seria: “Mi è appena venuta in mente una cosa”.
“Spara”.
“Non mi hai ancora chiesto di ballare” e mi sorride.
“E mai lo farò! Tu non mi vedrai mai ballare!”.
“Vuoi scommettere?”.
“Ehm, no, perché so già che perderei”.
“Esatto, e ora torniamo” dice prendendomi per mano e trascinandomi indietro.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: fourty_seven