Odiose
Occhiate Ossessionate
Aveva molti nomi ma non amava il suo.
Ne usava uno inventato dalla sua migliore
amica. Quando aveva ancora una migliore amica.
Io la chiamavo col suo soprannome, come
tutti del resto.
I miei genitori la conoscevano grazie alle
storie che raccontavo su di lei. Tutti la conoscevano col suo soprannome e mai
nessuno si sarebbe sognato di chiamarla in un altro modo.
Si parlava spesso di lei. Di tutte le sue risate
e le sue occhiate.
Non era bella. Ma molti l’avevano amata, a
loro tempo, e molti l’amavano di nascosto.
Era autoironica e rideva spesso anche quando
non c’era qualcosa per ridere.
Si vestiva in modo semplice ma amava i tacchi altissimi.
Ricordo l’anno in cui si era presa una
cotta per me. Aveva quindici anni e per me, allora un diciannovenne col solo
obiettivo di divertirmi per tutta la vita, era ancora troppo piccola, troppo ingenua, troppo sotto il dominio dei
genitori che la volevano a casa entro mezzanotte inconsapevoli che a lei
bastavano quelle poche ore per sconvolgere tutte le nostre vite.
Era ossessionante.
Ricordo che mi pedinava.
Rubava le cose che avevo toccato.
Faceva strambe bamboline woo-doo utilizzando miei vecchi mozziconi di matite o
petali marci di fiori che rubava attraverso le sbarre del mio giardino.
Sfiorava la maniglia della mia macchina
come un gioiello, ma solo se ero stato io l’ultimo a toccarla.
Mi fissava
insistentemente spogliandomi con gli occhi. Credo conoscesse a memoria il mio
guardaroba e la mia immagine.
Ero per lei un’ossessione più o meno come la sua insistenza era un’ossessione per me che, esasperato mi ostinavo a ignorarla
sperando che si stufasse presto.
Spezzò il cuore ai miei migliori amici,
rifiutandosi innumerevoli volte, o concedendosi alle persone sbagliate.
I suoi occhi
erano sempre su di me.
Le sue labbra si distendevano in un sorriso
ogni volta che mi vedeva.
La sua lingua umettava la bocca ogni volta che io la guardavo.
Le sue gambe si accavallavano elegantemente quando nei paraggi c’ero io.
La sua gola strillava risate eccessive in risposta alle mie battute.
Quell’anno ottenne un mio bacio.
Ma io non la volevo.
Non mi interessava.
Come ho già detto volevo solo divertirmi,
Mi segui?
Ero sempre in giro, e lei era ovunque io
andassi, e quando io non uscivo lei stava al parco con la sua amica, anche lei
innamorata di me, a guardare
la mia villa e a immaginare in quale delle numerose finestre fossi rifugiato,
quale fosse la mia stanza, dove mi allenavo, dove fosse lo studio di mio padre.
Un giorno lei si fidanzò con uno del
gruppo.
E molto più tardi lo feci anche io.
Nonostante
fossimo entrambi fidanzati lei non cambiò di molto il suo atteggiamento,
se non per il fatto che era molto meno presente che in passato ed aveva
abbandonato tutte le sue manie.
I suoi pedinamenti…
Però erano rimasti i suoi lunghi capelli
castani, il suo viso bianco, da cadavere. le sue gambe tornite sempre in mostra
ed i suoi occhi verdi come le
bottiglie della birra che tanto amavo. Ricordo che lei una volta mi aveva detto
che se l’avessi amata anche solo un decimo di quello che amavo l’alcool sarebbe
morta di felicità.
Dopo i nostri fidanzamenti, inoltre, era
diventata molto meno timida, molto più sfacciata. Non ero più un qualcosa da
idolatrare, ma una persona normale. Non esitava più a ridere di me. Non parlava
più solo in mio favore. Coglieva ogni occasione per criticarmi bonariamente,
per prendermi in giro, per ridere di me e farmi ridere di lei.
Per la prima volta da quando ci siamo
conosciuti parlava tranquillamente senza paura di quello che io avrei potuto
pensare, ed in questo suo atteggiamento era chiaro il fatto che a lei io non
interessavo più di quanto le interessassero le mie opinioni continuamente messe
in discussione tra mille risate.
E tuttavia, c’era sempre quello sguardo insistente. Quegli occhi protettivi ed irritanti
continuamente guizzanti in mia direzione.
Mi innervosiva.
Con i miei amici la prendevo in giro.
In fondo era stupida, era la più piccola
della compagnia e quella con il padre più stronzo.
Aveva un caratterino.
Me la ricordo bene, come se fosse ieri
quando proteggeva il suo nome con i denti, quando le peggiori malignità
giravano sul suo conto. Ma era una persona fondamentalmente silenziosa, e
questo incuriosiva molta gente.
Dal suo metro e sessanta squadrava tutti soppesandone
l’influenza all’interno della gerarchia del gruppo.
Ma lei guardava
me. Sempre me.
Ed io odiavo quel suo sguardo insistente e quando era ad una delle nostre feste
cercavo sempre di allontanarmi. Ed odiavo quel suo modo di fare come se fosse
la regina del mondo, quando in realtà era la meno bella della compagnia.
Il suo sguardo
mi inseguiva sempre.
Mi sentivo costantemente osservato.
I miei gesti erano controllati dal suo bianco volto vigile. Sempre.
Le volte che mi ubriacavo, si premurava che
arrivassi in casa sano e salvo, e mi apriva l’acqua quando morivo di sete ma
non ero più in grado di ricordare il mio nome.
Mi raccontava cosa avevo combinato la sera
prima.
Vigilava che io avessi sempre un
preservativo a portata di mano, perché diceva che, anche se in questo modo mi
buttava tra le braccia di un’altra, era almeno sicura che non avrei fatto del
casino.
C’erano poi le sue continue radiografie al mio corpo, le sue risate stridule alla mia battuta più stupida.
C’era il mio sollievo ogni volta che lei
non usciva, il mio disagio ogni volta che si trovava nei paraggi, e la continua
sensazione di essere studiato,
osservato, valutato, memorizzato. La sensazione di essere sotto l’esame attento
dei suoi occhi. Il lieve pizzicore
alla nuca quando le davo le spalle. Il nervoso che mi irrigidiva le spalle.
Ora che è in America non mi guarda più.
Niente pedinamenti,
niente telefonate alle sei di
mattina.
E mi
manca...
Note dell’autrice:
Avevo scritto delle ottime note, ma erano
forse più belle di questa storia, quindi le posterò in un’altra occasione XD.
Dedicato ad un mio amico, a cui basterebbe
una sola frase detta di fronte a tutti per risolvere un delirio che va avanti
da anni.
A cui vorrò sempre bene, nonostante tutto.