Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: Some kind of sociopath    25/06/2014    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
_____________________________________________________________________________________________
Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Sai cos'è peggio di un uomo cattivo? Un uomo cattivo che si crede un eroe.» (Dow il Nero)
– Joe Abercrombie, L'ultima ragione dei Re.

Dormii come un sasso, esausto, il viso affondato in un guanciale e probabilmente la bocca mezza aperta. Non ci furono sogni fastidiosi o affascinanti, semplicemente il buio più totale e un profondo silenzio per qualche ora. Pace. Tutto ciò di cui avevo bisogno.
Al mattino, però, la situazione non era così tranquilla. – Cristo santo!
Ecco come mi rizzai su dal letto. Con Thomas che scagliava qualcosa a terra lanciando insulti e bestemmie contro Connor. Doveva aver viaggiato con chissà quale vento favorevole, perché nessuno che conosca è mai riuscito ad arrivare da New York ai pressi di Boston in così poco tempo. Ad ogni modo, buttai le gambe giù dal letto e uscii dalla povera camera di casa Faulkner con la faccia ancora stropicciata dal sonno. – Non smetterà di cercarmi, lo capisci, pezzo di merda?
Appena varcai la soglia della cucina adibita anche a sala da pranzo un bicchiere pieno si schiantò contro lo stipite, all’altezza della mia faccia. – E buongiorno a me! – esclamai, sollevando le braccia intorpidite. Fossimo stati all’esterno avrei sputato a terra con disprezzo. – Che ci fai tu qui?
Non ebbi nemmeno bisogno di guardarlo bene. Conoscevo una sola persona contro cui Thomas poteva prendersela in quel modo, ed era mio figlio. Indossava ancora la casacca sbrindellata e un consunto paio di calzoni, tenuta cui aveva aggiunto una giacca pesante e un paio di stivali. Non aveva più le lame celate, ma una spada – lunga, dritta e con l’elsa a coccia, tipicamente inglese – che penzolava lungo il fianco, gli zigomi gonfi e tinti di viola. – Ti sei comportato da codardo – disse Connor, e sbuffai d’istinto. Che noioso. – Mi hai lasciato lì a liberarmi delle accuse senza nemmeno darmi una mano.
– Già, immagino che tutti avrebbero ascoltato il ricercato colpevole del primo attentato, ma come ho fatto a non pensarci? – Mi grattai ancora la testa, lanciandogli un’occhiataccia. – Hai fatto del tè, per caso?
– Non sono la tua cameriera – rispose con le braccia incrociate.
Sospirai, avvicinandomi alla credenza scardinata e scavando nelle ante alla ricerca del tè. – Allora – biascicai – pare sia stato difficile recuperare la fiducia di George. Racconta, su, sono tutt’orecchi. – Mi voltai un attimo verso Thomas, guardandolo imprecare a mezza voce e abbandonarsi nuovamente su una sedia, il colorito spento e l’aria preoccupata. – Faulkner?
Scrollò le spalle. Non sarebbe stato dei nostri, non quella mattina. Aveva detto di essere dalla mia parte, eppure era scappato appena sentita la puzza di uno scontro. Sperai avesse un motivo più che buono per essere uscito, altrimenti era davvero un ipocrita. – Gli ho detto la verità. – Ah, Connor. Agiva sempre per il bene del gruppo. Del suo maledetto gruppo. – Che ha tentato di ucciderlo e che hai cercato di dissuaderlo. L’ho convinto a lasciarvi in pace, ma non dovrete mai più avvicinarvi a lui.
– Stronzate! – sbottò Thomas, agitando il bastone nella sua direzione. – Quel cane farà di tutto per avere la mia testa. Non hai pensato agli strilloni o ai suoi collaboratori? Capo – si rivolse a me, capendo che dal ragazzo non avrebbe ottenuto niente. Non era in grado di capire. – Se Charles spifferasse qualcosa e mettesse di nuovo Washington sulle mie tracce… saremmo fottuti.
– Non lo farà – disse Connor con calma. Non riuscivo a trovare il tè in nessuna di quelle stramaledette antine: mi stavo agitando non poco. – Fidatevi di me, per una volta. Avete ammazzato alcuni dei miei uomini – sibilò. I suoi uomini, certo, giovanotti incapaci di combattere e ammaliati dalle parole di Achille, tanto stupidi da sottostare agli ordini di un idiota di quelle proporzioni. Mio figlio non sapeva nemmeno distinguere le cose importanti da quelle che si sarebbero potute rimandare. – Non ho alcun interesse nell’aiutarvi, ma George Washington è stato misericordioso. Vi ha concesso la libertà a patto che non mettiate il naso nella politica del Paese.
Scoppiai a ridere. Ecco perché andavano tanto d’accordo, lui e George. – Misericordioso? Devo ricordare quello che ha fatto a… – Ero sul punto dire a tua madre, e le mie pupille scattarono d’istinto su Thomas. Quella convivenza aveva un costo, dunque. L’idea di collaborare con l’assassino e lo stupratore dell’unica donna che avessi amato sul serio, il senso di disgusto ma la necessità di averlo accanto. Avrei dovuto convivere con quei sentimenti, nasconderli senza lasciare che prendessero il sopravvento. Non potevo perderlo, sarebbe stato come darla vinta a Reginald. E ne aveva già vinte troppe. – …al tuo villaggio? – ripresi, deglutendo rumorosamente. – Per non parlare del fatto che abbiamo già messo il naso nella sua politica. Chi crede di avere accanto, una principessina? È così cieco da non riconoscere un anello da Templare quando lo vede? – Risi, scrollando il capo. – Allora non ho tutti i torti a pensare che sia un inetto.
Connor si scaldò le spalle, un gesto a metà tra l’essere casuale e provocatorio. – Ringrazia che non ti abbia già sparato, Haytham.
Allargai le braccia. – Avrebbe potuto farlo in più di un’occasione. Non ti sei mai chiesto cosa lo abbia fermato? – A dire il vero, be’, non ci avevo mai pensato più di tanto nemmeno io, ma capii. Non mi aveva ucciso perché aveva bisogno dell’appoggio degli Assassini. La Confraternita confidava a tal punto in lui da proteggerlo. Chiunque avesse anche solo provato a toccare George Washington con un’arma, in passato, era morto. O, nel nostro caso, era una sottospecie di alleato – colto dalla disperazione, vorrei aggiungere – e non poteva essere tolto di mezzo.
Un comandante in capo che s’appoggiava ad un mucchio di ragazzi con la testa piena di fumo. Esattamente ciò di cui avevamo bisogno. – Fatto sta – disse Connor senza rispondere alla mia domanda – che Washington non sarà più un problema.
Ma io lo voglio morto, pensai. Tempo al tempo. – Pensiamo alle cose più serie, invece. – Poggiò le mani aperte su tavolo, lanciandomi un’occhiata di sottecchi. Uh, che atteggiamento da politico. Che autorità! Mi tremavano le ginocchia, giusto. Imbecille. Era un ragazzino che giocava a fare il militare, il filosofo e l’uomo di Stato nello stesso momento. Non sarebbe arrivato da nessuna parte, finché fosse rimasto fedele agli Assassini, ai loro ideali e modi di insegnare. – Achille poteva a malapena tollerare un Templare in casa. Due sono decisamente troppi.
Thomas Hickey sbuffò, reclinando il capo. – Per me non è un problema alzare i tacchi, mezzosangue. – Abbassai lo sguardo. Quell’appellativo, alternato a bastardo, era diventato il modo consueto in cui il Templare si rivolgeva a Connor. Con disprezzo, certo, ma non per il suo essere nativo. Per l’altra parte, o così mi piace pensare. Thomas lo chiamava mezzosangue perché s’ostinava, nonostante il sangue inglese e templare che portava nelle vene, a rifiutare il proprio lato più Kenway. Voleva essere la mia antitesi, perciò si comportava come sapeva che non avrei mai fatto.
Non voleva essere mio figlio. Scrollai mentalmente le spalle. Volevo essere suo padre? Non mi stavo certo comportando nel modo giusto per dimostrarlo, quindi direi di no. Ero in una posizione di stallo, troppo Templare per accoglierlo tra le braccia da bravo paparino ignorando la sua fazione, troppo orgoglioso per ammettere che non era l’atteggiamento giusto. E va be’.
– Tu non vai da nessuna parte, Hickey – dissi tra i denti, girando attorno al tavolo e calando la mano sulla sua spalla. – Dopo tutta la fatica che ho fatto per portarti qui sano e salvo, cazzo, prova a scappare e ti spezzo le ossa, come minimo.
Connor si schiarì la voce per richiamare l’attenzione. – Come la speghiamo questa, Haytham?
– Dicendo la verità. Puoi dirla a Washington e non ad Achille? Io sarei offeso – ribattei, lanciando un’occhiata alle unghie – le quattro unghie – della mia mano sinistra con falsa noncuranza. – Preferisci che il generale uccida Thomas? O peggio, che Reginald lo metta contro di noi?
– Non sono un traditore, capo – grugnì Hickey. No, hai ragione. Però infili l’uccello in qualsiasi cazzo di buco Reginald ti dica di infilarlo. Scacciai quel pensiero a forza. – Non io, almeno.
Sospirai, rivolgendomi nuovamente a Connor. – Credimi, ragazzo, è meglio avere qualche alleato dalla nostra.
Incrociò le braccia. – Dalla tua, intendi.
– No – replicai. Ecco, cosa dicevo a proposito di non riconoscere le cose futili da quelle importanti? Colto in flagrante, ragazzo. – Stiamo collaborando. Finché vogliamo la stessa cosa, il mio alleato è il tuo alleato. – Thomas non pareva tanto entusiasta dell’idea, ma non lo ero nemmeno io. Bisogna essere poco schizzinosi, in questi casi. – Sta funzionando, Connor. Per quanto ti sforzi di credere che siamo troppo diversi per lavorare insieme, è esattamente quello che stiamo facendo. E ci avviciniamo alla meta.
Sembrava un bambino di otto anni. – Non è vero – disse, lamentoso. – Non è vero. Il mio scopo è uccidere i Templari, tu hai solo delle stupide manie di grandezza su quel tempio. Non lavoriamo per la stessa cosa.
– E chi te l’ha detto, Achille? Roteai gli occhi. – Dai ancora ascolto a quel vecchio? Non sei abbastanza grande da prendere una cazzo di decisione, Connor? – Mi veniva la nausea solo a guardarlo. I Templari volevano sottomettere il mondo, ma quegli ipocriti degli Assassini non esitavano a sottomettere i loro adepti. – Se non avessi – avessi, io – deciso di lavorare insieme a te stareste brancolando nel buio alla ricerca dei miei uomini. E sai cosa succederebbe? Reginald e Charles Lee sarebbero sempre più culo e camicia, inattaccabili e sul punto di prendere la Mela mentre tu e i tuoi amici buffoni ci fate fuori, distruggendo le uniche persone che potrebbero ribellarsi ai folli piani di conquista messi in atto da Birch. – Presi fiato, passandomi una mano lungo le sopracciglia. – E allora sarebbe una guerra tra te e lui, Connor, e lo giuro su Dio, credimi quando ti dico che non la vinceresti mai.
Mi lasciai cadere su una sedia, e il silenzio avvolse la sala da pranzo. Nessuno dei due aveva il coraggio di parlare. Connor mi diede la schiena, mordicchiandosi furiosamente il labbro superiore. Stava per piangere? Mi avrebbe gridato contro? Me ne fregava qualcosa? Appoggiò la fronte all’anta chiusa della credenza mentre Thomas mi rivolgeva un sorrisetto d’approvazione e incoraggiamento. Stavo tremando, per quanto forse né l’uno né l’altro se ne fossero accorti. Avevo detto che Connor non avrebbe mai vinto contro Reginald, e quel pensiero stava instillando in me l’idea che fossi altrettanto debole. Ed era vero, in effetti. In passato non ero riuscito a distruggerlo, per questo stavo lottando. Smettila, dissi a me stesso. – Che si fa? – brontolai svogliatamente, per spezzare la tensione.
Connor si passò il dorso della mano sotto il naso, voltandosi di nuovo a guardarmi. – Torniamo alla tenuta appena la carrozza sarà pronta.
– Una carrozza? – Thomas Hickey fece schioccare la lingua. – Bello.
Sorrisi. – E poi?
Mio figlio strinse i pugni, due fessure al posto degli occhi. Aveva il labbro superiore arrossato, notai. – Troveremo la Mela e metteremo fine a questa storia.
 
– Capo?
Thomas Hickey. Maledetti siano lui e la sua dannatissima insonnia. – Che succede? – brontolai con la bocca impastata, girandomi su un fianco nonostante fossi seduto. Connor si era preso tutto il sedile di fronte, sdraiato come un principino, ma io e Thomas dovevamo dividercelo. Perciò si dormiva da seduti.
– Devo pisciare.
– Oh, Cristo… – Sollevai una mano e la battei sulla parete alle mie spalle, un pannello di legno che mi separava dal cocchiere. I cavalli si fermarono e Thomas spalancò la portiera, facendo entrare uno spiffero gelido all’interno della carrozza. – Stupido stronzo – ringhiai chiudendola e stringendomi nelle spalle.
Definirla carrozza è un’esagerazione. Era più che altro una scatola di legno sgangherata, le giunture male assortite, i cardini cigolanti e i sedili in cuio duro, assolutamente indegni di questo nome. Non ci si riusciva nemmeno a dormire. Le sospensioni dovevano essere state montate male, perché sobbalzavamo pericolosamente ogni due per tre, e un paio delle assi che chiudevano il fondo della diligenza erano separate da un varco largo come il palmo della mia mano, garantendo l’entrata di un altro spiffero. Favoloso.
Holden sì che sapeva guidare una carrozza. E, diavolo!, quella era una signora carrozza, non come la specie di mezzo di trasporto che Achille forniva ai lavoratori nella sua tenuta. Avevo il presentimento che, di lì a poco, il tetto ci sarebbe crollato sulla testa e il baule pieno di armi nuove di zecca – comprese due lame celate che Bob Faulkner aveva trovato chissà dove – di Connor mi avrebbe ucciso, schiacciandomi il cranio in una poltiglia di ossa e sangue sul cuoio consunto.
– Dio – Thomas rientrò soffiandosi sui pugni, la cintura mal infibbiata. – Fa un freddo cane lì fuori.
Scrollai il capo e gli diedi le spalle; aveva scelto il momento sbagliato per fare conversazione. Volevo solo chiudere gli occhi, sperando che Achille non ci buttasse fuori dalla carrozza con un coltellaccio in mano. Connor aveva ragione. Portare un altro Templare davanti ad Achille poteva avere risvolti inaspettati, ma era la mia unica possibilità. Volevano me? Avrebbero avuto anche Thomas. O tutto o niente, miei cari Assassini.
Con la testa poggiata al vetro appannato, pensai di essere a un passo dal chiudere gli occhi, cullato – si fa per dire – dal movimento discontinuo della diligenza, ma Hickey non sembrava l’unico in vena di chiacchiere, quella sera. Connor, infatti, emise un sospiro, rigirandosi sul suo sedile.
Sentirlo mugugnare mi fece ribollire il sangue nelle vene, d’accordo? – Che cazzo hai da lamentarti? – grugnii con le gambe intorpidite. – Sei al sicuro. Il vecchio non proverà a farti secco appena metterai piede in casa, non sei un ricercato e hai un sedile tutto per te. Io starei zitto, al tuo posto.
Non aveva colto il sarcasmo, così finì per alzarsi in piedi, reggendosi alla maniglia. – Vuoi il mio posto? – Sì, e magari mi chiami anche papà, vero? Scossi il capo. Se era un modo per farmi cambiare atteggiamento, be’, carta giocata male.
– Allora lo prendo io. – Thomas non se lo fece ripetere due volte, lanciandosi spensierato sulla seduta, le gambe tese e una mano sulla coscia. – Ah. ‘Fanculo, la prossima volta me la faccio a piedi.
– Mi sa che hai ragione – sibilai mentre Connor si sedeva accanto a me, il respiro controllato. Non aveva intenzione di chiudere gli occhi. – Hai fatto un brutto sogno, ragazzo?
Thomas scoppiò a ridere. Attraverso gli occhi socchiusi lo vidi darci le spalle, il viso alla parete lignea della diligenza. – Più che altro è un presentimento – bofonchiò il ragazzo, nessuna emozione particolare nel tono. – C’è qualcosa che non va.
– Non è che sei incinta? – Scoppiai a ridere con Thomas, artefice della battuta. – Santo cielo, bastardo, dovresti bere un po’ di più. – Sentii un tintinnio metallico; Hickey gli aveva lanciato la fiaschetta piena di grog che si era accuratamente fatto riempire da Bob prima della partenza.
Connor la raccolse, silenzioso come un gatto. Riusciva comunque a mettermi ansia addosso. – Piantala di pensare, va bene? Di che si tratta? – Non mi interessavano i suoi problemi, ma prima se ne fosse liberato e prima sarei riuscito a dormire tranquillamente. Che palle.
Non mi voltai nemmeno a guardarlo, ma rispose. – La sento di nuovo, Haytham.
Roteai gli occhi sotto le palpebre. Dio, no. Per piacere. Pensavo che dopo aver preso possesso del corpo di Tic, avermi fatto rivivere il passato per com’era veramente ed essersi intromessa più del necessario nel mio presente, Giunone si fosse trasferita in pianta stabile nella mia, di testa. – In che senso? – Mi pentii immediatamente di aver preso il discorso. Thomas Hickey era lì, e non era uno stupido. Sollevai appena la mano, poggiandola sul braccio di mio figlio. Ammutolì.
Qualche attimo dopo ero nel mondo dei sogni. Il ragazzo, con ogni probabilità, fingeva di esserlo.
 
Fortunatamente eravamo ancora in mezzo alla frontiera, quando mi svegliai. L’ira di Achille – ironico, ripensando al mio rapporto con l’Iliade – era rimandata, avevo qualche ora di meritato riposo prima di ricominciare la routine. Dare spiegazioni, controllare i movimenti degli Assassini, cercare di portarli verso di me, sollevare gli occhi al cielo davanti ai Figli della Libertà, schioccare la lingua e commentare con sarcasmo la cucina di Connor – le tipiche, faticose attività di un ospite della Confraternita.
Ma non prima di aver parlato con mio figlio riguardo Giunone. Feci fermare il cocchiere – un uomo con la barba scura più grossa della faccia e le labbra sempre serrate – in una zona boscosa decisamente fitta, quindi trascinai Connor giù, svegliandolo di soprassalto con la scusa di andare a pisciare. Grazie, Tom. – Che stai architettando? – chiese, venendomi dietro con gli stivali che rumoreggiavano sulle foglie secche. E pensare che, in qualità di indiano, sarebbe dovuto essere lui quello in simbiosi con la natura e stronzate simili. – Haytham?
– Chiudi quella boccaccia e seguimi senza fare casino.
Sbuffò. – E se perdiamo la diligenza?
Sollevai un sopracciglio. Sarcasmo? – Costruirai una bussola con una foglia e guiderai entrambi verso la salvezza, ragazzo, come fai sempre. Forse il tuo sangue nativo sarà utile, per una volta. – Proseguii nella boscaglia, scostando rami con le mani e scacciando nugoli di animaletti con i calzari. – Santo cielo. – Preferivo la neve, era molto più comoda, per muoversi in quella zona.
– Bene – feci, una volta trovato il punto giusto. – Direi che questo posto è abbastanza tranquillo. – Portai le dita alla cintura e, con un movimento fluido, sganciai la fibbia. – Forza. Ti riferivi a Giunone, sulla carrozza?
Rimase zitto mentre ero sul punto di tirare fuori l’uccello. – Gesù, sembri una verginella timorata di Dio – ringhiai, voltandogli le spalle per pisciare sulle foglie secche. – Allora? Così va meglio?
– Sì.
Roteai gli occhi. Sarei dovuto essere io quello inquietato dalla prospettiva di vedere un altro membro maschile a distanza ravvicinata, non lui. Crescere con sua madre non l’aveva solo reso un Assassino, a quanto pare. Quindi è colpa tua se è così pappamolla, Tiio. Complimenti, pensai con un sorrisetto. – Grazie per aspettarmi, ragazzo, sono così stupido da non riuscire ad ascoltarti e pisciare nello stesso momento – esclamai, esasperato. – Vuoi darti una mossa?
Connor prese fiato. Lo sentivo camminare avanti e indietro, alle mie spalle. – Non è ancora finita.
– No, infatti. Senti che scroscio? – Sono un bravo padre, eh?
Il bello è che più andavo avanti a sfotterlo e meno sembrava accorgersene. – No, è quello che ha detto Giunone. Non è ancora finita. – Sospirò. – Non so di cosa parlasse, Haytham, ma sono preoccupato. Che può significare?
Lasciai che le ultime gocce di piscio intaccassero le foglie, poi rimisi tutto a posto nei calzoni, sistemando la fibbia. – Con me non hanno parlato – dissi semplicemente. – Non è giusto.
– Forse non hanno niente da dirti.
– Ehi, è egocentrismo quello che sento nella tua voce? Pensavo predicaste l’esatto contrario. – Sbuffai, irritato. – Dico solo che io devo pregarle per avere informazioni pressappoco inutili mentre tu non hai nemmeno bisogno di schioccare le dita. Insomma, è…
Connor mi squadrò con le sopracciglia aggrottate. Uno sguardo che bastò per far crollare le mie parole come un castello di carte sgangherato e farmi rendere conto del terribile errore commesso.
Cazzo. Perché continuavo a dare aria alla bocca? ‘Fanculo. Ormai… – Sono entrambe nella mia testa – sbottai prima che potesse porre la domanda. – Di solito, almeno. Parlano tra loro, mi mostrano cose, e di tanto in tanto si degnano di rivolgermi la parola. – Non aspettai nemmeno la risposta, continuando il mio discorso. Pensavo che se gli avessi lasciato la possibilità di parlare sarei rimasto sopraffatto dalle sue domande, non sarei riuscito a tirarmene fuori, sarei crollato a terra in ginocchio e gli avrei confessato tutto sugli abusi di Reginald, piagnucolando come un bambino. – Credo si riferisca a qualcosa che pensi di aver concluso. Non si tratta della caccia alla Mela, perché non è nemmeno cominciata, né della tua folle corsa omicida verso i Templari. – Ma non tutti, ovviamente. Uno in particolare spettava a me.
– Ne manca ancora uno, vero? – sussurrò.
– Benjamin Church, ma nessuno sa dove sia, quindi… – allargai le braccia e scrollai le spalle, proseguendo. – Che cosa resta? Di cosa ti stavi occupando?
Incrociò le braccia. – Degli affari delle Colonie. Gli interessi dei patrioti. – Parlava come se fosse il suo unico fine, superiore addirittura al catturare gli uomini che un tempo chiamavo fratelli e scaraventarli all’altro mondo.
Lo superai, passandogli accanto e dirigendomi nuovamente verso la carrozza. – Ecco fatto, tutto qui – dissi semplicemente. – Non è ancora finita – ripetei, rivolgendogli un sorrisetto sghembo.
Sul suo viso apparve un’ombra. – Che cosa…?
– Con Washington – sussurrai, il volto reclinato e gli occhi fissi sullo sprazzo di cielo visibile tra le cime degli alberi, i rami tesi come se volessero afferrare l’azzurro. Non m’aspettavo che Connor capisse cosa volevo intendere, così schioccai le dita come un pastore davanti ai cani e m’incamminai di nuovo verso la carrozza. – Tu devi pisciare? Hai bisogno di sgranchirti le gambe o di piagnucolare tra i cespugli? – Affondai le mani nelle tasche, guardandolo con un ghigno. – Posso sempre chiedere a Thomas di tirartici fuori e minacciarti di morte. Sai, in memoria dei vecchi tempi.
Mi guardò con disapprovazione, poi si allontanò nella direzione opposta. Chissà, magari stava davvero andando a piagnucolare tra i cespugli. Io ne approfittai: salii sulla carrozza e occupai un intero sedile, stendendo le gambe e godendomi il momento.
 
– Un’altra volta.
– Anche per me è un piacere – replicai sventolando il cappello. – Thomas Hickey, ti presento Achille Davenport, proprietario di quest’adorabile località, Mentore degli Assassini e pessimo cuoco. Immagino che Thomas non abbia bisogno di presentazioni. – Roteai gli occhi e abbassai la voce, brontolando tra me: – C’è un suo gran bel ritratto appeso al piano di sotto.
Thomas, scapigliato e con la bocca ancora impastata per la dormita, tese la mano con il suo solito ghigno. Achille la fissò per qualche minuto, come se fosse il più schifoso mucchio di letame mai visto da anima viva, sollevò un sopracciglio e mi scoccò un’occhiataccia senza stringergliela. – Il piacere è tutto mio – grugnì Thomas con un risolino. – Bella casa, comunque.
Achille fece mezzo giro su se stesso, piazzandosi a una spanna dal mio viso. – Grazie – rispose, gli occhi piantati nei miei. Pensavo fosse sul punto di mollarmi uno spintone e mandarmi a gambe all’aria nel terreno fangoso della tenuta. Me lo aspettavo da un momento all’altro. Invece mi afferrò il polso sinistro, sollevandolo con disgusto. – Sei indegno della fiducia degli Assassini – sibilò tra i denti. Avrebbe voluto uccidermi. Glielo leggevo negli occhi. Picchiarmi pesantemente, almeno.
Purtroppo per lui, non poteva permetterselo. E anche se ci avesse provato, l’avrei spedito all’altro mondo con qualche colpo ben piazzato. Mi dava una certa soddisfazione, lo devo ammettere. Come replica a quel suo commento da acido, spiegai le labbra in un sorrisetto. Lasciò andare il mio polso con stizza e si voltò, rientrando in casa tra le imprecazioni.
Thomas fece scrocchiare il collo. Si appoggiava ancora a quello stupido bastone, ma immagino lo facesse solo perché gli conferiva un’aria adulta, quasi saggia. Poi vedevi la bava che gli si formava all’angolo della bocca davanti a una qualsiasi donna e l’idea di trovarsi davanti a una persona seria si tramutava in fottuta polvere. – Un tipo simpatico – disse Tom battendo le mani. – Allora, mezzosangue, avrò una stanza o gli esseri immondi come me dormono nelle scuderie?
Il ragazzo tirò giù dal tetto della diligenza la sua borsa piena di armi, passandoci accanto senza un sorriso. – Non sono scomode come credi, Hickey – fece, varcando la soglia.
Il Templare mi lanciò un’occhiata interrogativa. – Oh, Gesù. – Si strofinò le mani sugli occhi, un gesto esasperato e rassegnato. – Sai, avresti dovuto avvertirmi. Mi sarei fatto un’ultima puttana lungo la strada, prima di arrivare in questo monastero di clausura del cazzo, dove tutti sono dei gran simpaticoni che fanno il bagno nell’alcool e si godono la vita!
Ridacchiai, incrociando le braccia e guardandolo con aria di sfida. – Potresti uscire dal giro e fondare l’Ordine dei Seguaci di Thomas Hickey. Unico codice d’onore? La bella vita. – Roteai gli occhi.
– Sempre meglio di questi – brontolò sfilandosi la pipa di tasca. Pareva essersi affezionato a quell’oggettino. – Sembra camminino con un palo su per il culo.
– Non posso darti torto – risposi con le mani in tasca – ma allo stesso tempo non possono farci del male. Hanno bisogno di me.
Hickey si portò la pipa alle labbra, aspirò una lunga boccata prima di parlare ancora. – Però ti tengono prigioniero. Non è esattamente un punto a nostro favore, no? – Sbuffò il fumo in una nuvoletta compatta. – A proposito, e adesso?
– Adesso un bel niente – brontolai. – Ce ne restiamo qui buoni, sperando che Washington non venga davvero più a cercarci, senza dare nell’occhio e sperando che Reginald venga fatto fuori in un’altra di quelle diavolo di battaglie.
Thomas si rimise la pipa in mano, guardandola come se la vedesse per la prima volta, poi la svuotò e tirò fuori la tabacchiera. In ogni suo gesto c’era una certa metodica lucidità. – Non lo pensi davvero, capo – rispose con un sorrisetto. – Sappiamo che è così.
Lo guardai, facendo il finto tonto. Aveva ragione. Sapevamo tutti cosa volevo davvero. – Tieni. – Mi porse la pipa e un cerino, si appoggiò a quel suo bastone e scrutò l’orizzonte fitto di alberi. Di solito non fumo, ma quando qualcuno mi offre un po’ di tabacco non alzo certo le mani dichiarando che si tratti di uno strumento demoniaco. – Vuoi essere tu a ucciderlo, Haytham. Vuoi che muoia per mano tua.
Soffiai via il fumo speziato. – Lo trovi un desiderio immorale?
– No. – Mi chiese la pipa con un cenno, l’avevo tenuta anche troppo. – Anzi, lo reputo giusto. Tu pensi di non doverlo fare? Che la tua coscienza ne risentirebbe?
– E chi ce l’ha più, una coscienza?
Abbassò lo sguardo. – Già. Ti senti mai un mostro? – chiese, ed ebbi la netta sensazione che mi avesse posto quella domanda solo per sentirmi rispondere di sì. Che potevo comprenderlo, magari, perché certamente lui si sentiva così. Un mostro. Un uomo senza morale, assetato di sangue e disinteressato alla vita di chi sta dall’altra parte della lama o della canna.
Sarò egoista, ma mi sentii libero di rispondere sinceramente, ignorando i suoi desideri. – No. Ho smesso di interessarmi a ciò che provo da un po’. Non so più cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Esistono persone che possono essere risparmiate e altre che devono essere mandate all’altro mondo, ecco quello che so, l’unica certezza al mio fianco. – Sospirai, lo sguardo fisso al cielo azzurro. – Non mi sono mai fermato davanti all’idea di uccidere una persona, fosse uomo, donna o bambino. Ma ogni dannata volta mi chiedevo se ne valesse la pena. Per quale ragione devo porre fine alla tua vita, o a quella di un ragazzino o di un vecchio? – Lo guardai, rivolgendogli un sorriso triste. – Anche se devo ammettere che certe volte mi lascio guidare dall’istinto. Uccidere Reginald sarebbe oggettivamente utile? No, ma voglio farlo. E questo non vuol dire che ci riuscirò. Se significa essere un mostro, Thomas, allora hai ragione. – Mi passai le mani sulla faccia. Avevo appena tenuto una specie di predica a Thomas Hickey, testardo come un mulo e all’apparenza altrettanto superficiale. Aveva una strana luce negli occhi, notai con le dita nel collo della camicia per allontanare la stoffa dalla pelle. Guardava lontano senza fissare niente in particolare. Oh, no. No, no, no. Non andava bene. Non andava affatto bene.
Quel ragazzo mi stava tanto simpatico proprio perché era freddo come il ghiaccio e non aveva paura di niente e di nessuno. Se venivo a scoprire che persino lui, nei momenti di maggiore crudeltà, era stufo di quella vita... maledizione, chi mi restava? Nell'Ordine si ammazzava, era un dato di fatto. Morivano molte persone. Se questa vita lo aveva scocciato perché non...
Oh, già. – È per questo che ti sei allontanato dall’Ordine, giusto? – chiesi a mezza voce, fissandolo negli occhi.
– Non ne potevo più – ammise, e non potei fare a meno di ammirarlo. Insomma, il petto mi faceva male, quindi poteva essere ammirazione o voglia di tirargli un ceffone. Un inutile miscuglio di entrambi, magari. Strinsi i pugni. – Uccidere uomini che cercano di fermarci è un conto. Legittima difesa, potremmo definirla. Ma ammazzare delle persone con una famiglia e… e magari dei figli, solo perché sono parte inattiva di una Confraternita devastata che potrebbe distruggerci è completamente diverso, Haytham. – Si voltò a guardarmi torcendosi le mani. – Io non ho dimenticato la caccia, capo. Li abbiamo fatti secchi, stanati nei loro nascondigli ai quattro angoli delle Colonie, uno per uno.
– Thomas… – cercai di interromperlo. Avevamo davvero fatto un sacco di cose poco corrette in quel periodo, ma era necessario. Dovevamo sterminare gli Assassini prima che potessero fermarci. Io stesso avevo tagliato da parte a parte la gola di una donna innocente, impalato un uomo su un attizzatoio e forse, se la memoria non mi inganna, avevo addirittura tagliato la testa di una bambina con la spada per infilarla sul segnavento in cima al tetto, come fosse una picca. Ero stato incivile, sì, forse mostruoso, ma non mi è piaciuto ucciderli. Era lavoro, necessario per la nostra sopravvivenza.
Per poi, ironicamente, essere io il primo a rifornire la Confraternita con i frutti del mio duro lavoro. – Abbiamo fatto cose terribili, lo so, ma…
– Ho impiccato un bambino! – Si voltò ad abbaiarmi contro, un fiammifero acceso ancora stretto tra le dita e gli occhi lucidi. Istintivamente assunsi un’espressione sbigottita. – Hai capito bene, maledetto figlio di puttana, ho impiccato un bambino. – Scagliò il fiammifero lontano, chissà dove in mezzo al bosco, e si piegò sugli avampiedi, in equilibrio precario. La coda della sua giacca sguazzava nel fango. – Non aveva fatto niente. Era piccolo, non più di dieci anni. L’ho… – Si passò le mani in faccia, e da quel punto di vista lo capivo. Voleva solo dimenticare tutto. Come potevo sopportare me stesso avendo agito in quel modo? Come potevo non disprezzarmi nonostante tutto? Ero davvero una pessima persona.
O, semplicemente, tenevo più alla mia salute mentale – probabilmente già andata a farsi benedire – che a un mucchio di fantasmi. Morti erano e morti sarebbero rimasti. Nessuno poteva farci niente. Pentirmi non avrebbe staccato la testa coperta di capelli neri di una bambina da quella stramaledetta banderuola segnavento. – Non te lo ricordi, vero? – ringhiò con lo sguardo lacrimoso. – Gli ho messo il cappio al collo e l’ho tirato su… gli s’è spezzato il collo prima che potesse dire a. Non credo avesse capito quello che… – Strinse i pugni e scrollò vigorosamente il capo. – Io mi sento una merda, Haytham. Mi sentivo un verme, non riuscivo nemmeno più a guardarmi allo specchio.
Per fortuna c'era l'alcool ad annebbiarti la vista, allora. Altrimenti chissà come avresti fatto a tirare avanti. Coglione. Vorrei dirvi di non aver mai pensato cose simili, di averlo compreso immediatamente, perché sapevo che aveva ragione, in fondo. Non posso, non è la verità. Mi faceva incazzare. – E allora? Non fare la vittima! – sbottai, scattando improvvisamente a fronteggiarlo. – Credi di non aver fatto morire di fame altre persone con il tuo stupido traffico di soldi falsi? Che altri uomini non siano finiti in galera per aver usato i tuoi soldi, padri di famiglia, magari?
– Ma non li ho uccisi io! Io non ho fatto niente – bofonchiò sommessamente.
– Sarebbe una giustificazione, Tom? – tuonai, sventolando le mani davanti al suo viso. – Forza, rispondimi. È una giustificazione?
Thomas mi squadrò attraverso le palpebre strizzate. – No. Mi ha fatto sentire meglio, ma tanto a te non interessa niente di nessuno. – Avvicinò il viso al mio, scandendo bene le parole. Voleva minacciarmi? Stupido idiota. – Sei solo un egoista del cazzo. E pensi che ti aiuterò perché mi hai salvato la vita, vero? Hai fatto tutto per te stesso.
– Lo sto facendo perché mi fido di te – replicai, calmo. Non potevo perderlo. Poteva avere ragione su tutta la linea, ma qui sbagliava. Io speravo fosse abbastanza legato a me da seguirmi. Ero egoista, certo, ma, diavolo, all’Ordine ci teneva anche lui, no? Almeno, così mi aveva detto. Sembrava passata una vita. – Hai capito, Thomas? Io ho fiducia in te.
– Smettila di dire stronzate e lasciami in pace – sibilò, scattando in piedi e voltandomi le spalle.
Ah, no. Non gliel’avrei permesso. Lo afferrai per il retro della giacca e me lo piazzai davanti, il muso ringhiante a pochi centimetri dalla sua faccia spaventata. – Tu non vai da nessuna parte, ingrato pezzo di merda – gli sussurrai. – Se sei vivo lo devi solo a me, sono stato chiaro? Metti un piede fuori dalla proprietà e le giubbe rosse ti spolperanno, lasciando la tua testa in mezzo alla strada come una pietra miliare. Anzi, è probabile che vengano a cercarti fin qui per farti la pelle. Vuoi davvero correre un rischio simile, Thomas? Vuoi morire a nemmeno quarant’anni solo per farmi uno smacco? Accomodati! – Lo spinsi, facendolo cadere nel fango. Era steso tremante fra le mie gambe, gli occhi sgranati. – Io lo sto facendo per te. È l’alternativa più sicura che hai, Thomas. Non rischi di essere ucciso, non sei costretto ad uccidere nessuno…
– Non ancora – disse sottovoce.
– Sta’ zitto, per l’amor di Dio. Reginald è disposto a tutto pur di farsi strada. Se non vuoi fare il lavoro sporco puoi anche lasciarlo a quelli con le palle, Thomas Hickey, ma non ti permetterò di fare l’uomo morale.
– Quelli con le palle? – strabuzzò gli occhi. – Credi che uccidere ti renda più uomo, Kenway?
Roteai gli occhi. – Sei steso nella merda a fare discorsi per principi che sai di non poter perseguire. Forse sono un mostro, un sadico bastardo disilluso e senza coscienza, ma almeno ho un po’ più di sale in zucca di te. Sai, Tom, a volte per restare vivo non devi permettere agli altri di fare lo stesso.
– Non posso! – Ecco, mi mostrò i denti in un ringhio disperato e scoppiò in lacrime. Grosse gocce salate gli colavano lungo le guance sporche. – L’ho fatto per troppo tempo – singhiozzò. Era spezzato. – Non posso continuare, capo. Non posso.
Ero diventato una statua di sale. Perdio. Grugnii, mi passai le mani in faccia e tirai un frustrato calcio al fango, facendolo schizzare come le goccioline d’acqua di una fontana. Thomas Hickey era in lacrime ai miei piedi, e per quanto una parte di me volesse lasciarlo lì a marcire, be', sapevo di non poterlo fare. Avevo bisogno di lui, ironicamente, per poter ammazzare Reginald e Ben, e gli serviva la mia protezione per non essere più costretto a uccidere. Era una necessità reciproca. Gli tesi la mano, aiutandolo a rialzarsi. – Va tutto bene, Thomas – sussurrai passandogli un braccio intorno alle spalle. Gesù, potevo passarci sopra mentre frignava come una ragazzina, ma non gli avrei permesso di portare avanti quella storia, lo giurai sulla mia vita. È nei nostri compiti uccidere. Non c’è scritto da nessuna parte, ma è sempre stato così, in fondo. D’altronde gli uomini non cagano fiori, e per quanto riguarda quelli come noi… siamo gentiluomini che ammazzano coprendo tutto con la bella maschera di un grande scopo. Thomas Hickey poteva avere ragione, sentirsi una merda, tutto quello che voleva, ma mi avrebbe aiutato. O sarebbe stato un traditore. Bella compagnia di reietti del cazzo che stavo mettendo su. Sbuffai. – Hai solo bisogno di dormire un po’. D’accordo? Dai, vieni dentro.
Continuò a singhiozzare e a lamentarsi mentre lo trascinavo all’interno della villa. – Non posso – ripeté tra le lacrime. – Non posso più.
 
Forse qualche tempo prima Connor, Achille o entrambi mi avrebbero fatto qualche domanda su Thomas. Su perché fosse crollato in quel modo. Avrebbero detto che la situazione doveva cambiare, o mi avrebbero gridato contro tutto il loro repertorio d'insulti prima di legarmi, imbavagliarmi e gettarmi giù per le scale della stanza segreta, nella speranza che mi spezzassi le gambe e non dessi più fastidio a nessuno.
Invece la villa era come morta. Di mio figlio e del suo Mentore non c’era traccia, probabilmente rintanati in quella specie di cantina, così portai Thomas in una delle tante stanze libere della villa, una proprio accanto a quella in cui avevo dormito per l’ultima volta. Erano piccole camere ordinate, niente di troppo pretenzioso. Misere e trasandate, con la polvere che ispessiva le mensole di un paio di centimetri. – Ecco qua – dissi appoggiando Thomas sul letto, manco fosse un vecchio in punto di morte.
Gli sfilai la giacca, abbandonandola su una sedia, e lo aiutai a levarsi gli stivali incrostati di fango. Si distese con una mano alla fronte. – Mi dispiace – sussurrò, tirando su col naso e continuando a piangere. – Davvero.
Sospirai, guardando le lacrime colare sul cuscino. – Non hai niente di cui scusarti, Thomas. – Sentivo una nota falsa nella mia voce, e pregavo non la sentisse. Ero travolto dalla rabbia. Non potevo nemmeno dirgli di fare come dicevo io e seguire gli ordini, perché, alla fine, io non ero proprio nessuno.
Incredibile. Fosse stato una ragazza, probabilmente gli avrei dato una carezza sulla guancia. Invece era Hickey, l’uomo rude che non aveva mai avuto bisogno di nessuno. Fin quando non aveva deciso che uccidere era sbagliato. E per quanto una parte di me gli stesse dando del senza palle, un’altra non poteva fare a meno di comprenderlo. Era intelligente, ma l’intelligenza e il moralismo non sempre vanno d’accordo. Lui aveva deciso di averne abbastanza, non avrebbe più ucciso nessuno, o almeno così diceva. – Però pensaci bene, Thomas. Se avessi bisogno di difenderti o… se qualcuno ti attaccasse, ci hai pensato? Se Reginald attaccasse entrambi con l’intenzione di non fare prigionieri. Che cosa faresti?
– Sai che tirerei fuori la spada e risponderei d’istinto. L’ho fatto per troppo tempo, Haytham – ripeté con voce lamentosa. – Eviterò di ammazzare chi non lo merita. E farò del mio meglio per non trarne piacere.
Abbassai lo sguardo. Non avevo mai tratto vero e proprio piacere dall’omicidio, ma soddisfazione?, molte volte. Ritengo sia normale, maledizione. Chi di noi non ha mai desiderato uccidere qualcuno, eh? Vogliamo parlare di Edward Braddock? O dell’incessante piacere perverso che provavo all’idea di far fuori Birch? Forza. Siate onesti. – Ora non ha importanza – sussurrai alzandomi in piedi. – Dormi, d’accordo? Riposati un po’.
Si strappò brutalmente le coperte da sotto la schiena. – Che faremo con gli Assassini, capo? – bofonchiò prima di tirare ancora su con il naso.
Uscii dalla stanza con la testa che girava. – Non lo so.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: Some kind of sociopath