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Autore: hiromi_chan    25/06/2014    6 recensioni
Un drago decaduto propone una sfida a Merlin e Morgana: il primo dei due che riuscirà a portargli il cuore umano di un Principe dei Draghi si vedrà esaudito un desiderio come ricompensa. In occasione del duello si aprono nuovamente le porte che collegano il regno della magia con la Terra. Merlin si lancia nella sfida per poter mettere piede nel mondo delle misteriose creature umane e dare una svolta alla sua vita, mentre Morgana ha in serbo dei piani più oscuri.
L'ignaro Arthur, erede al trono inglese, viene coinvolto nella gara come bersaglio diretto. Ma come possono gli stregoni, che per natura non conoscono l'amore, riuscire a catturare un cuore umano che palpita e prova emozioni? E se poi Morgana decide di fare le cose in modo letterale e di riportare a casa quel cuore su un piatto d'argento, cosa farà Merlin?
Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.
[Merthur]
ATTUALMENTE IN REVISIONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fu così che Merlin e Gaius si ritrovarono a esplorare febbrilmente le zone anche solo simili alle immagini rimandate dal diamante. Furono giorni strani, quelli; Merlin li visse con la gola stretta in un nodo perenne, ogni pensiero diviso tra Arthur e suo padre. I buchi nell'acqua ogni qualvolta setacciavano un bosco o una riserva, senza poi trovare traccia alcuna di Balinor, erano stilettate alla schiena. Merlin andava a dormire la notte, in un ostello o nella sua cuccetta in treno, con un gelo che partiva dalla punta degli stivali e arrivava fino a quella delle orecchie. Eppure qualcosa di luminoso tornava da lui, quando la mattina riapriva gli occhi: l'idea che fosse la volta buona, quella in cui finalmente avrebbe trovato suo padre, compiendo un passo in più verso la salvezza del suo principe.

Gli sarebbe piaciuto dire che il suo cuore, nel frattempo, si fosse acquietato tanto da permettere un ritorno di fiamma della sua magia. Purtroppo non fu così.

I giorni scorrevano e Gaius era sempre più stanco e afflitto dagli acciacchi (Merlin aveva davvero intenzione di farlo virare verso il pensionamento, una volta conclusasi tutta la faccenda). Fu per questo che, la mattina del trentuno dicembre, quando erano appena saliti sull'ennesimo treno e nel cristallo comparve l'immagine limpida di una radura, lo stregone arcuò un sopracciglio imitando l'espressione che il suo mentore gli stava rivolgendo.

Il Diamante del Giorno mostrò loro, proprio a lato della radura, una casetta di legno con delle tende gialle alle finestre. Una strada di sassolini che partiva dalla casetta si protraeva lungo un bosco, in una passeggiata ben curata. Alla fine del sentiero c'era un grosso complesso che imitava la struttura della casetta di legno; erano chiaramente delle stalle. Aveva tutta l'aria di essere un maneggio e – oh...c'era un'insegna posta davanti all'ingresso della proprietà, con un grosso drago dorato in bella vista.

“I...Giardini Dragone?” disse Gaius, avvicinandosi al diamante tra le mani di Merlin tanto da toccarlo quasi con il naso.

Lo stregone espirò, le ginocchia che quasi gli cedevano per il sollievo misto all'irritazione pulsante.

I Giardini Dragone. Davvero?

“Non posso credere che mio padre sia stato fino a questo momento così vicino a noi, poco fuori Londra. Non posso credere che sia stato fin'ora in una delle proprietà della famiglia reale,” esalò a occhi chiusi.

Doveva essere una vendetta studiata a puntino dalla sua magia, quella: farlo allontanare il più possibile prima di farlo rotolare di nuovo al punto di partenza.

“Vi siete ritrovati a gravitare entrambi attorno alla stessa orbita. Il destino è davvero qualcosa di impressionante,” disse il mentore, pensieroso.

Merlin fece una smorfia. “Torniamo indietro?”

Tornarono indietro.

 

Guardare le foto della famiglia reale ai Giardini Dragone era come guardare un cimelio appartenente a un'epoca passata. C'era quella patina di perfezione, di nobiltà favolosa che non può esistere se non in un sogno. Merlin, durante le sue lezioni sugli esseri umani dei primi giorni, si era imbattuto spesso nelle foto che ritraevano una Lady Ygraine a cavallo con il suo consorte, prima della nascita di Arthur. Con la pelle diafana colorata di rosa sulle guance era il ritratto stesso della felicità. In un certo modo somigliava terribilmente ad Arthur.

Come lui, sebbene amata da molti, aveva dovuto affrontare la sua dose di scandali sin dall'inizio; quando erano apparsi i primi articoli su di lei, i giornali si riferivano malvagiamente a Ygraine come “Lady Fortunata” o “Lady dei poveri”, poiché non proveniva davvero da una famiglia nobile, e aveva assunto il titolo solo una volta sposatasi con il Re. In realtà si era mantenuto un riserbo impressionante sulle origini di Ygraine, e tutt'ora sembrava fosse apparsa dal nulla, come se la sua breve parabola da consorte reale fosse stata solo frutto della fantasia collettiva della gente.

Eppure anche alle storie più belle non viene risparmiata l'ombra delle male lingue.

Lo stregone ricordava di aver letto qualcosa su una presunta relazione che aveva legato Uther a una certa Nimueh, una stagista dello staff della cancelleria reale. Lo scandalo era scoppiato proprio durante la gravidanza di Ygraine.

Si diceva che i Giardini Dragone, in quel periodo, fossero diventati il rifugio prediletto di Lady Fortunata.

Merlin aveva imparato a dubitare dei pettegolezzi che si diffondevano a proposito dei Pendragon, e del resto, per l'idea che si era fatto, Re Uther era stato completamente devoto a sua moglie, e ancora oggi lo rimaneva.

Lo rendeva triste e inquieto, però, il pensiero di cosa potessero significare i Giardini Dragone per Arthur alla luce di tutto quanto; il Principe, nonostante avesse trascinato il suo valletto con lui ovunque, non l'aveva mai portato in quel posto, e nemmeno ne aveva mai fatto menzione. Forse la sola esistenza dei Giardini Dragone faceva nascere in Arthur delle domande a cui nessuno avrebbe mai potuto rispondere, e Merlin conosceva fin troppo bene il suo principe per ignorare l'effetto che i pettegolezzi sulla sua famiglia avessero su di lui.

Questi pensieri si susseguivano uno dietro l'altro affollando la sua testa, mentre lo stregone attendeva Gaius davanti alle stalle. Il mentore, lavorando per i Pendragon da una vita, si era offerto volontario per andare in avanscoperta e confermare, grazie alle sue conoscenze, se Balinor lavorasse al maneggio. Aspettare il responso si stava rivelando una delle esperienze più stressanti di sempre. Il tempo sembrava essersi fermato e il labbro di Merlin era stato tormentato dai suoi denti più che mai.

Lo stregone pensava ad Arthur, a Lady Ygraine tradita poco prima della nascita che l'avrebbe portata alla morte, a Balinor che era sempre stato presso la tenuta famosa per aver raccolto le lacrime di Lady Fortunata, proprio quando dentro la sua pancia c'era Arthur...

E pensava al Principe, che per una casualità non aveva mai portato Merlin ai Giardini – ma se un bel giorno si fosse svegliato e avesse deciso di farlo, Merlin avrebbe incontrato suo padre molto prima, vero? Allora si sarebbe reso conto di chi avrebbe avuto difronte?

“Merlin.” Sebbene Gaius lo richiamò dolcemente, Merlin si ritrovò riportato alla realtà come da uno strattone. “L'abbiamo trovato. E' qui.”

 

 

I Giardini Dragone erano addirittura aperti al pubblico durante certi orari. Ai sudditi e ai fans era garantita la possibilità di ripercorrere a piedi la strada che i loro beniamini reali avevano tracciato tante volte a cavallo. Gaius, che aveva parlato con un paio di dipendenti di sua conoscenza, era riuscito a strappare il permesso per lui e Merlin nonostante per quel giorno l'orario di l'accesso al pubblico fosse concluso. Il cuore di Merlin saltava a ogni passo, a ogni scricchiolare degli stivali sui sassolini. Era una giornata limpida e pungente; non si sentivano nemmeno le creature del bosco, nascoste al riparo nelle loro tane o tra i rami degli alberi. Merlin pensò che, se fosse venuto qualche mese prima, avrebbe potuto percepire i loro respiri, le loro presenze vitali. Probabilmente sarebbe anche riuscito a sentire il richiamo del sangue di suo padre già dalle stalle. Adesso invece la sua magia crepitava pianissimo, anche lei come addormentata al pari degli uccellini. Lo stregone esalò un sonoro sospiro, che uscì dalla sua bocca in una nuvoletta secca.

“Tutto bene, ragazzo?” disse Gaius, arrancando dietro di lui con una determinazione invidiabile.

Merlin andò di corsa a liberarlo dal peso dello zaino, infilandolo a sua volta in modo da averlo schiacciato sullo stomaco, a fare da contrappeso all'altro che aveva sulla schiena. “Scusami, avrei dovuto pensarci.”

Il mentore si raddrizzò, tenendosi un fianco. “Mmh – No, non ti preoccupare. So che questo per te è un momento particolare. Non voglio metterti pressione, ma...come ti senti?”

Merlin stette per un attimo in silenzio, guardandosi intorno. Il percorso si apriva meravigliosamente fino al fitto del bosco. Era una giornata fredda, le foglie degli alberi erano colorate di una patina di brina pungente.

“Spero che faremo in tempo a tornare entro oggi,” disse alla fine. “Ho promesso ad Arthur che sarei stato lì prima della mezzanotte.”

E continuarono a camminare, il diamante che si faceva sempre più caldo nella sua tasca e combatteva il gelo del suo corpo, almeno un po'.

 

 

*

 

 

“Sorella mia, cosa ti è accaduto?”

Morgause sbatté la porta, volando verso Morgana per prenderle il viso tra le mani. Il suo aspetto si trasformò sotto agli occhi della strega; le fattezze anonime di una cameriera di palazzo tornarono quelle consuete ed eleganti del mentore che conosceva.

Morgana appoggiò le dita sopra le sue mentre l'altra le alzava delicatamente il mento, esaminandola. “Sto bene, non ti preoccupare,” disse, suonando stanca anche a se stessa.

“Ma sei così pallida, e i tuoi capelli...”

Morgana fece un sorrisetto, portandosi le onde nere spettinate su una spalla. “Non ero dell'umore per curarmi del mio aspetto. Sorella, come ti accennavo, la situazione è grave. La strategia della compatibilità è fallita,” disse. Cercò di essere più pratica possibile, ma non poté evitare la nota graffiata nella sua voce.

Morgause scosse la testa. “Basterà allora cambiare strategia.”

“Ma a questo punto?”

“Sì, a questo punto. Non temere, mia cara sorella, non si tratta che di un intoppo momentaneo.” Morgause le passò le dita sulla nuca in quel gesto che riusciva a far sentire Morgana istantaneamente meglio. “Troveremo un'altra soluzione. Una volta rivelato al Grande Drago il tuo vero nome, ci faremo dire da lui l'esatta funzione del Diamante del Giorno, e di sicuro scopriremo come procedere. Fidati, non permetterò che tu esca sconfitta dal duello.”

Morgana si ritrovò ad annuire. Il piano era venire a conoscenza dei meccanismi che governavano la magia del diamante per poterlo sfruttare al meglio. Grazie a quell'oggetto Morgana era riuscita a mettere in atto le sue mosse, quando, mentre si chiedeva di chi avrebbe potuto servirsi per arrivare al Principe, sulla superficie del diamante era apparsa l'immagine di Gwen.

Senza quell'indizio non avrebbe potuto far nulla dall'inizio; Kilgharrah aveva detto che il diamante reagiva diversamente a seconda di chi lo teneva con sé, ma come funzionava di preciso? Se avesse potuto usarlo con piena consapevolezza, di certo Morgana sarebbe stata un passo più vicina alla vittoria.

Guardò l'espressione convinta e ferma che le rimandava Morgause; dèi, era sempre così piena di fiducia, in se stessa e anche in lei.

...Ma avrebbero superato anche quel problema. La strega non poteva deludere il suo mentore, e con lei le ultime volontà della loro madre. Prese Morgause per mano, allora, e la guidò accanto al letto, nel solito posto che ultimamente occupavano per le loro magie.

Morgause si allungò verso il comodino rosa pallido ma Morgana la bloccò, dicendole con un sorriso, “Oggi lascia fare a me.”

Aprì il cassetto in basso, prese un gessetto e poi si accucciò. Girò su se stessa facendo strisciare il gesso sul pavimento lucido, tracciando un cerchio, poi un altro ancora all'interno, e un altro ancora. Al centro, mentre Morgause la guardava soddisfatta, disegnò una forma ovale – l'occhio della Dea che tutto vede. Da lì portò le mani al cielo e abbassò le palpebre, richiamando la concentrazione; al suo comando la magia prese a scorrere come un fiume in piena nel cerchio magico, il disegno che la tratteneva come fosse stato un argine.

Morgana si sedette all'interno del cerchio e Morgause prese subito posto accanto a lei. Congiunsero le mani, iniziando a recitare a un'unica voce le formule per invocare la Dea Triplice.

E stavolta sarebbe apparsa. Sarebbe apparsa, perché non avevano più tempo da perdere. Sarebbe apparsa, perché Morgana non avrebbe permesso qualcosa di diverso.

 

 

*

 

 

Il percorso sfociava nella radura circolare dove erano stati disposti abbeveratoi per rifocillare i cavalli e paletti di legno per legare le redini.

La casetta al lato dello spiazzo era piccina. Le tende gialle alle finestre erano inconfondibili; era la casetta di Balinor, il custode dei Giardini Dragone. Merlin ingoiò quel poco di saliva che aveva in bocca, scrollandosi di dosso, con una mossa sola, i due zaini che portava. Gaius era al suo fianco, silenzioso.

Lo stregone si avvicinò all'abitazione con passi misurati, intenzionato a bussare. Non appena le nocche toccarono il legno della porta, però, questa si aprì di una fessura, cigolando pigramente. Dall'apertura baluginava uno spicchio di tenue luce arancione, contro la quale si stagliava la schiena di un uomo, in piedi davanti a un tavolo. Aveva i capelli brizzolati, legati in un nodo basso e spettinato. Merlin fece in tempo ad allungare la punta del naso verso l'interno della casa, quando la voce dell'uomo tuonò improvvisamente: “Non siamo in orario di apertura al pubblico. Se avete delle domande rivolgetevi alla reception.”

Lo disse senza neanche voltarsi, e Merlin sobbalzò come un bambino colto con le mani nel vasetto della marmellata. Fu lì lì per richiudere la porta istericamente, assecondando un'oscura voce dentro di lui che gli suggeriva la fuga. Ma un'altra pulsione, forte come la precedente e forse anche un po' di più, gli fece stringere le dita contro la porta, tenendola ancora semi aperta.

“Balinor Ambrosius?” chiese allora, ondeggiando sul posto.

Le spalle dell'uomo si alzarono per poi afflosciarsi lentamente, come accompagnando un respiro sconfitto. “Vi hanno mandato qui dalla reception perché avete perso qualcosa durante la visita,” disse.

C'è qualcosa che ho perso,” disse Merlin. Venne fuori in modo strozzato.

A quel punto l'altro si voltò, rivelando un'espressione severa; una barba e un paio di sopracciglia decise gli scurivano ancora di più lo sguardo. Merlin sentì spianarsi di rimando le sue mentre realizzava che in quel momento, per la prima volta, stava fissando la faccia di suo padre.

Gli somigliava? Non gli somigliava? Non avrebbe saputo dirlo – non avrebbe saputo dire nulla, se non che si ritrovava di colpo con la voglia di scoprirlo, di imparare a memoria le forme di quel viso sconosciuto che gli stava facendo sudare la mani. Magari, osservando, avrebbe trovato in lui qualche segno di se stesso, e allora...

“Be', accomodatevi un attimo,” disse Balinor, indicando con un gesto goffo degli sgabelli di fattura po' rozza. Pareva che quella fosse l'unica conferma che avesse intenzione di dare a proposito della sua identità.

A Merlin, in ogni caso, non serviva altro. Entrò, e in due passi si trovò a fronteggiare suo padre, restando dritto come uno stoccafisso.

Dèi, suo padre.

“Mandano sempre qui quelli come voi, scambiando la casa del guardiano per l'ufficio oggetti smarriti,” disse Balinor, l'emozione illeggibile sul suo volto. “Si sieda, signore.”

“No, io...credo che andrò a prendere un po' d'aria fuori, se non vi dispiace,” fece Gaius. Nemmeno aveva finito di parlare che già era svicolato via.

Merlin non seppe se sentirsi grato per quel gesto di attenta delicatezza o se andare a riportalo dentro prendendolo per la collottola.

Per tutti i draghi, quello che aveva davanti era suo padre. Era un uomo solido, e sembrava in salute, ed era vero, era vivo, era proprio qui, e lo stregone non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Probabilmente lo stava fissando con una faccia un po' stralunata, anche, ma Balinor non fece nulla che potesse fargli pensare che se ne fosse accorto. Forse lo stava semplicemente ignorando.

L'uomo era intento a frugare all'interno di una cassapanca, di legno come tutto il resto della mobilia. Ne estrasse una sacca che depositò sul tavolo, facendo segno a Merlin di avvicinarsi. Lui obbedì, caracollando.

“Vediamo un po'...che cosa hai perduto, ragazzo?” disse, aprendo quella che doveva essere la sacca degli oggetti smarriti.

“Uhm. Una cosa. Le capita spesso di ritrovare oggetti smarriti nel bosco?” sparò Merlin. Un paio di frasi doveva pur dirle, prima di lanciare la bomba.

Balinor afferrò uno sgabello, ci si sedette con calma, appoggiò i gomiti sul tavolo e guardò duramente Merlin.

Lui per un attimo temette che l'avrebbe sbattuto fuori, ma poi Balinor aggiunse, “Capita più spesso di quanto non si immagini. La gente tende a dimenticare le cose con facilità. La maggior parte non torna nemmeno indietro a cercare. Si convince che ciò che è perso è perso per sempre.”

Merlin prese a sua volta l'altro sgabello e imitò le precedenti mosse di suo padre. Constatato che quello non l'aveva cacciato dalla sua proprietà per le libertà che si era permesso, si concesse una piccola ola interiore e si sentì un pochino più rilassato appena.

“Anche lei pensa che ciò che è perso sia perso per sempre?” disse. Voleva sentire la sua risposta. Voleva sapere che tipo fosse quel padre che aveva, finalmente, davanti ai suoi occhi.

Balinor non pronunciò una parola, ma accadde una cosa straordinaria: sorrise. Era un sorriso appena accennato, bello; semplicemente tirando un po' più in su le labbra, il suo viso divenne aperto, quasi familiare. Questo, a sorpresa, fece molto male a Merlin.

Perché era la prima volta che vedeva quel sorriso, e non era affatto giusto. Non avrebbe dovuto essere la prima. Merlin avrebbe dovuto avere quel sorriso nella sua vita, avrebbe dovuto averlo con sé da molto tempo.

“E tu,” disse Balinor, “pensi che ciò che è perso sia perso per sempre?”

Merlin si prese del tempo per pensare. Il suo sguardo vagò ovunque, posandosi sull'orologio che batteva pigramente i secondi, sulle lampade la cui cappa ammutoliva la luce di una tonalità arancione. La casa era spartana ma accogliente, impregnata dei profumi del bosco in inverno.

“Non so dire se davvero per tutti una volta che si è perso qualcosa non ci possa fare niente,” fece dopo qualche secondo, con lentezza. “Però so che io sono tornato a cercare. Anche se...con un po' di ritardo.”

Balinor inarcò curiosamente le grosse sopracciglia. “Quanto ritardo?”

Merlin tamburellò le dita sul bordo del tavolino. “Vent'anni.”

L'uomo lo squadrò con confusione crescente prendendo atto della sua età, forse chiedendosi dove volesse arrivare, o forse pensando che Merlin fosse un po' matto. “Ma...quanti anni hai?”

“Venti,” le dita dello stregone tamburellarono con maggiore velocità. “Sono nato poco dopo la chiusura dei passaggi per la Terra,” buttò fuori, e la voce era quella piccola appartenuta al Merlin ragazzino. “Sono il figlio di Hunith. Sono Merlin.”

Poté sentire il cuore schizzargli in gola a quella confessione, e a mano a mano che Balinor diventava sempre più pallido, lui s'immaginava di colorarsi, di contro, sempre più di rosa.

“Oh. Hunith...ha avuto – mh. Be', portale i miei auguri,” tentennò l'altro. E con le dita, inconsciamente, prese a fare proprio come Merlin, solo che invece che il bordo del tavolo aggredì la parte nascosta sotto la tovaglietta di plastica.

“No, no,” si mangiò le parole lo stregone – e dunque, dopo anni di vana attesa sull'uscio di casa, dopo mille fantasticherie sui libri del Mondo Riflesso, dopo aver perso ogni speranza e averla trovata davvero per la prima volta, era arrivato proprio . “Sono figlio di Hunith e tuo. Sono – sono tuo figlio.”

Gli occhi di Balinor si allargarono comicamente, tanto che Merlin dovette mordersi il labbro per impedirsi di ridere. Magari era una risata nervosa, oppure si sentiva felice e basta.

Suo padre, invece, sembrava piuttosto sconvolto. “Hunith era incinta?”

Merlin annuì.

L'orologio ticchettò, tre, quattro, cinque volte.

“Oh – Non so che cosa dire,” fece Balinor, alzandosi di botto per dirigersi verso la credenza.

Merlin lo osservò mentre l'apriva e prendeva due bicchieri di vetro. Le sue mani tremavano appena.

“Beviamo il tè?” disse lo stregone.

“Vuoi, uhm, del tè?” disse Balinor, restando di schiena. Poi si passò un palmo sulla fronte, in evidente difficoltà. “Per me pensavo a qualcosa di più forte, ma se tu vuoi...”

“No, va bene, no – va bene anche per me quello che prendi tu.”

Così Balinor poggiò una bottiglia di vino rosso sul tavolo, e finalmente alzò lo sguardo e lo puntò su Merlin. Lo stregone non sapeva che farsene di quello scrutinio; non capiva nemmeno cosa provasse suo padre. Non voleva che le cose tra loro fossero così imbarazzanti, non aveva pensato che avrebbero potuto esserlo – eppure lo erano.

In un certo senso poteva comprendere la prospettiva di suo padre. Tuttavia, aveva sperato...

“Come...come mai...come hai fatto ad arrivare...?” tentò di dire Balinor, riempiendosi il bicchiere mentre guardava lo stregone.

Merlin lo salvò, intuendo la domanda. E gli resse anche il bicchiere, per evitare danni. “I passaggi si sono riaperti qualche tempo fa per un Duello del Drago. Io sono uno dei due contendenti...ed ora ho bisogno del tuo aiuto.” Perché era lì per questo, infondo. Prima Arthur. Il resto avrebbero potuto sistemarlo più avanti.

Balinor passò a riempire l'altro bicchiere, poi tirò su una lunga sorsata dal suo. “Certo, io...se posso.”

Merlin non poté fare a meno di sorridergli, raggiante. Pensò che magari gli avrebbe fatto piacere se avesse bevuto anche lui, e del resto se non avesse occupato le mani la probabilità che avrebbe continuato a tamburellare sul tavolo era parecchio alta, quindi bevve.

Oh, per tutti i draghi.

Era roba forte.

...Ma non spiacevole.

Aspettò che la gola smettesse di bruciare e poi disse, schiarendosi la voce, “Dovremo fare un rituale del sangue, se me lo permetterai. Kilgharrah vuole che gli riveli il mio vero nome.”

“Quel vecchio sputa-fuoco è ancora vivo?”

Oh? Balinor conosceva il Grande Drago? “Sì, ma non penso che lo sarà ancora per molto. Ora è imprigionato nella Caverna dei Mille Giorni da una maledizione, e vuole concludere la sua vita da creatura libera. Il duello consiste nel riportargli qualcosa che possa spezzare la maledizione...ma si da il caso che io non abbia proprio intenzione di portargliela. Quindi ho bisogno di trovare qualcos'altro, e per fare ciò mi serve il mio vero nome,” spiegò a un Balinor ancora confuso. Aspettando un qualunque segnale da parte sua, bevve un altro sorso. “Mmh...Già, è una faccenda un po' ingarbugliata.”

Balinor si scolò ciò che restava del suo vino. “Mh. E che cos'è che tu dovresti portare al Grande Drago in primo luogo?”

Déi. Pure Merlin si scolò il resto del suo bicchiere. “Il cuore di una persona.”

Balinor era molto serio, ma i suoi zigomi iniziavano già a colorarsi di una sfumatura rosea abbastanza familiare. Lo stesso stava accadendo a Merlin.

“Capisco,” disse suo padre, e al tono comprensivo lo stregone percepì la tensione abbandonare del tutto la sua schiena. “Be', nemmeno io me la sentirei di diventare un assassino per aiutare Kilgharrah. Per quanto il mio sangue spingerebbe per il contrario, e, suppongo anche il tuo. Non vuoi che il drago soffra, non è così?”

Merlin annuì con vigore, appoggiandosi sui pungi chiusi, i gomiti sul tavolo. Trascinò la sedia il più possibile in avanti, e Balinor fece lo stesso, non prima di aver riempito di nuovo entrambi i bicchieri, ovviamente.

“Non vuoi che soffra nemmeno questa persona di cui dovresti portargli il cuore, posso indovinare.”

Arthur.

“Mai, mai,” disse Merlin, passandosi una mano tra i capelli.

Allora suo padre sorrise di nuovo, ancora più di prima. Erano davvero sorrisi molto belli, i suoi. “Sei come Hunith. Ragioni proprio come lei.”

“Ed è un bene?”

“Oh, sì – oh, sì. Hai il suo sorriso. Sorridi un po'...”, Merlin sorrise di nuovo fino a sentire la pelle che tirava, incapace di dirgli di no, anche perché non poteva davvero farne a meno.

“Già, in quel modo lì. Quelle fossette.”

E Balinor allargò il suo sorriso, e Merlin scoppiò proprio a ridere, e la risata bassa e melodica di suo padre seguì la sua, e per tutti i draghi, certo che lo reggevano entrambi molto poco, il vino.

Si calmarono, passando qualche minuto in un silenzio piacevole. Bevvero un altro po'. Lo stregone guardò le mani di suo padre tanto quanto intercettò i suoi occhi su di lui. Iniziò a pensare che non lo stesse fissando come qualcosa di terribile, infondo. No, sembrava solo...così stupefatto, ma in senso buono. Come se stesse riconoscendo in Merlin, a poco a poco, suo figlio.

“Pensi...non so. Che saresti stato bene con noi? Se fossi potuto tornare indietro – a casa?” Si ritrovò a dire. Avrebbe voluto aspettare per farlo, però – al diavolo.

“Non lo so. Non so come si fa il padre,” ammise onestamente Balinor.

Merlin non si sbagliava se sentiva qualcos'altro, sotto quell'affermazione; qualcosa di simile a “non so come si fa, ma vorrei imparare.”

“Potremmo...lavorarci su,” propose quindi, speranzoso. “Se vuoi.”

Balinor annuì, annuì, annuì (il cuore di Merlin fece una capriola). E si mise subito all'opera, dopo aver bevuto un altro sorsetto. “Dimmi – dimmi della tua vita qui.”

“Be', lavoro alla residenza reale. Già, anche io lì, è un po' assurdo, lo so,” disse, roteando gli occhi al cielo. Poi si bagnò di nuovo le labbra. “Lavoro per il Principe di Galles. Ed è lui, sai. Il bersaglio.”

“L'erede al trono. Ma tu pensa.”

“L'asino reale erede al trono,” sottolineò lo stregone. Da lì partì in quarta. “E' la persona più insofferente che io abbia mai conosciuto. Si lamenta di tutto, sembra incapace anche delle cose più elementari, fa lo sbruffone e si ritiene il migliore. Mi fa venire certi nervi...farei di tutto perché fosse al sicuro.”

Scoppiarono a ridere ancora una volta, timidamente.

“Sei un po' pazzo, vedo,” disse Balinor, asciugandosi gli occhi. “Come tua madre.”

“Me lo dicono spesso. Ti prego, ora facciamo il rituale del sangue, prima che io perda anche il briciolo di lucidità che mi resta,” si affrettò a dire. “Sai, temo che avrò bisogno di concentrarmi parecchio; devo leggere il mio nome nei ricordi del tuo cuore, e una volta ho fatto una cosa del genere ed è stato devastante, ed ho un po' paura di non farcela perché ora, a differenza dell'altra volta, sto esaurendo del tutto la magia.”

Balinor mandò molto in alto le sopracciglia. “Non ti preoccupare,” disse subito annuendo. “Ormai non posso aiutarti nemmeno io, tuttavia le magie del sangue sono semplici rispetto a una lettura del cuore completa. Innanzitutto sono mirate a un singolo ricordo. E' importante anche che lo farai col mio consenso, quindi non incontrerai le resistenze della volontà. Inoltre, l'incantesimo sarà filtrato dal richiamo del sangue. Se il grado di parentela è stretto e se i soggetti coinvolti sono insieme e non operano a distanza, è ancora più facile.”

Merlin gli fu grato per aver capito l'urgenza della questione e per non aver fatto domande sulla perdita della magia (anche se aveva il sospetto che non avesse avuto bisogno di chiedergli proprio niente). Si scoprì anche, con piacere, subito rincuorato dalla praticità dimostrata dall'uomo.

Gli ispirava una fiducia istantanea. Era suo padre, in fondo.

Liberarono quindi il tavolo, e Balinor estrasse da un cassetto un coltello dalla lama liscia e splendente. Merlin sospirò, chiudendo gli occhi. Richiamò a sé quanta più magia possibile; quando sentì il familiare calore delle iridi che si coloravano di una tenue tonalità dorata, lo salutò come un vecchio amico.

Con un cenno d'assenso spronò suo padre a procedere, e Balinor rispose con un gesto gemello. Si tirò su le maniche, scoprendo degli avambracci pallidi come quelli di Merlin, ma più robusti. Prese nella mano il palmo aperto che lo stregone gli offriva, gentilmente, e vi appoggiò appena la lama sopra, facendo una leggera pressione fino a far apparire una tenue linea rossa sulla pelle. Poi passò il coltello contro il proprio palmo, stavolta con molta meno cura. Dopo, i due unirono le mani in una stretta in modo che le gocce del loro sangue si mescolassero.

L'effetto fu immediato; si sentirono come cento battiti d'ali vibrare insieme, quasi che gli uccelli del bosco si fossero svegliati di colpo e fossero volati dentro la casetta di legno. Una raffica di vento mandò a sbattere la porta contro la credenza, i vetri tremarono, Balinor abbassò le palpebre – e Merlin lo sentì. Sentì il cuore di Balinor, scavò nei suoi ricordi, lo vide giovane e infelice e solo nel Mondo Riflesso, vide l'ultima immagine che aveva conservato di Hunith, bellissima, e una voce sovrannaturale si levò, e pronunciò un nome.

Poi, silenzio.

Merlin rialzò la testa che non si era accorto di aver abbassato, la mano ancora chiusa nella stretta sicura di suo padre.

“Hai letto nel mio cuore il nome sussurrato dalla Dea, allora?” lo incoraggiò l'uomo.

“Ho letto quel ricordo e conosco il mio vero nome,” disse Merlin. “E' Emrys.”

 

 

*

 

 

Le ante delle finestre si aprivano e si chiudevano come fossero impazzite, i libri volavano, le pagine si strappavano e schizzavano per la stanza. Un tuono seguiva l'altro ed era come se la tempesta stesse imperversando lì dentro, sopra le loro teste. Morgana trattenne uno squittio sorpreso, le mani di Morgause che stringevano forte le sue. Era accaduto tutto così in fretta e ora stava succedendo davvero, la Dea si stava rivelando a loro, e la strega aveva un po' di timore ma la sua pelle sfrigolava, e stava quasi per scoppiare in una rista trionfale. Guardò il suo mentore, che sembrava così soddisfatto, così fiero.

Sì, sorella, sì.

Morgana si sentiva invincibile. Adesso finalmente...

Un lampo cadde in mezzo al cerchio magico, in mezzo al loro; Morgana sobbalzò strillando e ridendo, ma la presa ferrea dell'altra la tirò in avanti, impedendole di rompere l'unione dei loro poteri. I capelli di Morgause erano una nuvola bionda, i suoi un groviglio scuro davanti alla sua faccia, ogni pelo elettrizzato si alzava, e dal lampo si generò una nebbiolina viola, e, nella nebbia, una figura...di tre teste...e una testa sola...

Sei occhi...e un occhio solo...

Siamo state dunque chiamate da due sacerdotesse che non sono sacerdotesse,” disse la Dea Triplice.

Era come se stessero parlando tre voci insieme. Pure concentrandosi la strega non sarebbe mai stata in grado di descrivere quel suono. Era qualcosa di ultraterreno; faceva venire i brividi.

Morgana e Morgause abbassarono la fronte contemporaneamente. “Mia signora della vita, ti onoriamo e ti rendiamo grazie per l'udienza concessaci,” dissero in coro.

Morgause l'esiliata,” chiamò la Dea, e il mentore sollevò lo sguardo, “e Morgana delle Terre Desolate,” e Morgana fece lo stesso. “La vostra presunzione di mettervi al livello delle Spose ci ha offese,” e una cascata d'acqua gelata si riversò sulla spina dorsale di Morgana. “Eppure riconosciamo il vostro valore, il vostro coraggio. Già sappiamo perché ci avete chiamate, e riconosciamo la nobiltà dello scopo. Per questo il tuo vero nome ti sarà rivelato, Morgana delle Terre desolate.”

Morgana si rizzò tutta, assaporando in bocca il sapore della vittoria. Sì, niente era perduto! Sì, quello era il primo passo...

Stai attenta, Morgana delle Terre Desolate, poiché la tua vita è legata a un'altra...in un debito per la vita...in un desiderio per un desiderio...in un destino per un destino...in un cuore per un cuore...

Le pupille della strega si dilatarono, i battiti nelle vene erano veloci, come quelli di un animaletto spaventato.

Vediamo il tuo vero nome, Morgana delle Terre Desolate; e vediamo che quel nome è Morgana Pendragon.”

 

 

*

 

 

Merlin e Balinor stavano ancora seduti l'uno davanti all'altro; l'incantesimo del sangue era stata portata efficacemente a compimento, però lo stregone si ritrovava reticente ad andarsene. Dopo la seconda bottiglia aveva schiacciato la guancia sul tavolo e non l'aveva più spostata. Gli sarebbero rimaste delle righe sulla faccia a vita? Inoltre aveva le braccia pesanti. Uh.

Adesso che conosceva il suo vero nome, non si sentiva diverso rispetto a prima, nemmeno di un po' – l'unica differenza erano le braccia pesanti, ma quelle dipendevano da un'altra cosa. Merlin aveva solo voglia di stare un altro minuto in compagnia di suo padre. Continuare a farlo bevendo non suonava una cattiva idea. Lo guardò che passava l'indice intorno al bordo del bicchiere vuoto a metà, e gli venne voglia di ridere.

“A che pensi?” gli chiese, accompagnando le parole con una risatina molto poco lucida. Ok, forse tutto quel vino aveva fatto effetto.

“Penso che ho un figlio,” disse Balinor, sospirando. “Penso che la prima cosa che ho fatto è stata farlo sbronzare.”

Merlin gli regalò un sorrisone un po' stupido.

Balinor lo guardò con una dolcezza negli occhi, con un imbarazzo quasi doloroso, tanto per lui quanto per Merlin. “Penso anche che mio figlio ha un cuore innamorato. Siete uguali, tu e Hunith. Vi innamorate dei casi disperati.”

“Oh...” Merlin si sentì arrossire furiosamente, ma non negò nulla. Anzi, si grattò il naso, soddisfatto. “Tu l'amavi?” chiese, però.

Domanda retorica. Lui era un Figlio dell'Amore, era nato dal sentimento, ovvio che i suoi genitori si fossero amati. Tuttavia improvvisamente sentiva il bisogno di sentirselo dire. E il vino, stavolta, c'entrava poco.

Il fatto era che da qualche parte nel tempo sua madre e quest'uomo che l'aveva tenuto per mano si erano amati, tanto da rinunciare alla magia per difendere e portare avanti il loro amore. Il frutto di quella scelta era stato Merlin.

Buffo come non avesse mai considerato la cosa da quel punto di vista. Lo stregone si sentiva d'un tratto orgoglioso come non mai delle sue radici. Si sentiva importante, invincibile, e oh, sì, forse questo in parte dipendeva dal vino.

“Certo che l'amavo,” disse Balinor, indulgente. “Sennò non sarei qui. Altro tradimento, Merlin. Stavo perdendo la mia magia per amore, e quindi mi hanno mandato in esilio nel Mondo Riflesso. E' così che fanno con chi mette in pericolo la purezza delle alte cariche.”

La prima cosa che Merlin registrò fu il tono usato da suo padre: tranquillo, non amareggiato. Forse perfino fiero. In un secondo momento arrivarono le parole.

“Sei – eri un druido?” chiese, e la sua faccia che si sollevò velocemente dal legno fece il rumore di quando si stacca un adesivo dalla carta.

“Non un druido. Un Signore dei Draghi,” disse Balinor, orgoglioso.

Lo stregone appoggiò i palmi al tavolo, piatti. Li usò per tirarsi su, pianopianopiano. Non lo sapeva, se stava ancora respirando. Non lo sapeva, eppure era stranamente calmo nel suo panico. Quasi distaccato.

“E quando la mia anima lascerà il mio corpo, sarai anche tu un Signore dei Draghi,” continuò Balinor. “Fino a quel momento, però, dovrai accontentarti di essere-”

“Un Principe dei Draghi.”

 

 

*

 

 

Morgana tremava; Morgause, ancora seduta all'interno del cerchio, la teneva sul suo grembo accarezzandole la testa.

Gli occhi della strega erano spalancati, quasi fuori dalle orbite, i capillari rossi che pulsavano; ma erano asciutti.

Morgana prese un respiro, inspirò, inspirò ed inspirò, fino a che non sentì dolore, fino a che gli occhi non le si inumidirono. Poi strillò.

Vendetta.

Vendetta.

Vendetta.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Note finali:

Aggiornamento veloce, vero? Ultimamente sto facendo miracoli da questo punto di vista xD Be', del resto ho solo pubblicato la seconda metà del capitolo che avevo già scritto per intero, e dato che è proprio la parte più succosa, non aveva senso farvi aspettare troppo.

Insomma, questi Principi dei Draghi spuntano come funghi ù-ù In realtà, non è proprio così; infatti, tanto, tanto tempo fa (si parla del secondo capitolo), avevo fatto dire a Merlin, quasi per caso mentre parlava con Morgana, che i figli dei Signori dei Draghi vengono chiamati Principi dei Draghi (quindi Merlin è stato un Principe dei Draghi fin dall'inizio). Alzi la mano chi se lo ricordava, vengo a farvi i complimenti a casa vostra xD

In questo capitolo ci sono un sacco di drammi esistenziali, ma vorrei specificare che quello che se la passa peggio è il povero Gaius ù-ù A lui va tutta la mia comprensione.

Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà l'inizio della fine...ops, diciamo l'inizio dell'arco finale *risata malvagia*.

 

 

 

Recentemente pensavo a come il Merthur mi faccia venire voglia di addentrarmi in un sacco di ambiti diversi, usando nuovi stili e provando generi in cui non mi ero mai cimentata.

Non potete nemmeno capire quante bozze per delle nuove fiction ho già buttato giù xD

Comunque, in uno slancio svergognato di auto promozione, ho pensato di segnalarvi alcune delle cose che ho già pubblicato, se non le avete lette. Tutte Merthur, ovviamente.

Crossover: con Game of Thrones, With fire and Blood. Temi un po' ambigui e qualche scena un filino forte...i toni sono diversi dal mio solito, ma niente di esagerato.

Canon: I Cavalieri sono buoni osservatori. Breve shot con un Leon che assiste a un momento fluffoso.

Post 5x13: Kairos. Una raccolta di “momenti giusti”. (Questa ci soffro sul serio che non abbia avuto successo, ci ho messo un pezzettino della mia anima x°D)

Modern AU: Arthur e una persona tutta per lui. Perché le merthur natalizie sì, punto.

 

Di nuovo, mi farebbe molto piacere leggere i vostri pareri, se non altro perché hanno voglia di commentare solo una minima parte dei lettori che mettono tra le seguite/preferite/ricordate, e questo fa cose abbastanza spiacevoli alla mia autostima =_= Intanto vi do appuntamento al prossimo aggiornamento, sperando che la tesi mi permetta di non farvi aspettare troppo. Vi saluto con un abbraccio >w<


 
   
 
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