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Autore: Ribes    25/06/2014    7 recensioni
Quando ormai la noia mi stava prendendo del tutto e la tracklist era arrivata a metà di Homecoming, mi sono imbattuto in un post intitolato "Trentaquattro minuti per farlo innamorare". Sorprendentemente, l’autrice non era un’oca come le sue compatriote, ma aveva abbastanza sale in zucca e talento da scrivere una storia coerente e anche carina che ho letto in una decina di minuti. Certo, c’erano alcune incongruenze – non credo che il ragazzo protagonista della vicenda fosse davvero così coglione da rischiare di perdere la ragazza che ama per fare lo sbruffone, ad esempio. E’ buffo, credono tutte che siamo capaci di mandare a fanculo i nostri sentimenti perché i maschi sono così e hanno un cuore di pietra. E’ abbastanza comica, come cosa.
Comunque, il racconto mi è piaciuto.
— E se invertissi i ruoli? — ho chiesto a Scott poco dopo.

Trentaquattro minuti & trentasei domande a disposizione. O forse no?
NON aprite se shippate Stiles/Malia. NON fatelo. Siete avvertiti.
Stydia | OneShot | 3793 parole | Post 3B | Fluff | Romantico | Introspettivo
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Trentasei domande
per farla innamorare.

 


(Ringrazio il/la scrittore/scrittrice di questo post, che trovo ovunque su tumblr. E' stato di grande ispirazione per la fanfiction. Grazie ancora!)







 
Quando ieri sera ho deciso di rilassarmi davanti al portatile, senza ricercare spasmodicamente bestie potenzialmente sovrannaturali e sintomi di malattie orrende, ho trovato un sito completamente in rosa che susciterebbe conati di vomito anche nella Bella Addormentata della Disney. Era fra i suggeriti di Facebook e, diciamocelo, mi stavo annoiando a morte. Ho pensato che prendere un po’ per il culo gli esseri umani di sesso femminile che brancolavano indisturbati in un forum dispensatore di consigli d’amore mi avrebbe fatto bene. Sono andato anche a prendermi una scatola di gelato all’anice e una Coca Cola e, armato delle suddette bombe caloriche, dello sguardo vigile di Luke Skywalker sulla parete, di American Idol dei Green Day in sottofondo, e di tanta buona volontà, ho cominciato la mia grande avventura nell’universo femminile.
Che è cominciata con un paio di belle risate, a essere sinceri. Mi sono letto un intero post in cui due ventisettenni discutevano se erano ancora disponibili su ebay gli assorbenti degli One Direction e se non erano stati decimati da tredicenni arrapate. Ho passato qualche minuto a seguire una litigata tra alcune ragazze non ancora maggiorenni sull’amore a prima vista e su come i ragazzi ignorino del tutto le lunghe ore passate dall’estetista per compiacerli, e già il gelato cominciava a decimarsi.
Quando ormai la noia mi stava prendendo del tutto e la tracklist era arrivata a metà di Homecoming, mi sono imbattuto in un post intitolato Trentaquattro minuti per far innamorare. Sorprendentemente, l’autrice non era un’oca come le sue compatriote, ma aveva abbastanza sale in zucca e talento da scrivere una storia coerente e anche carina che ho letto in una decina di minuti. Certo, c’erano alcune incongruenze – non credo che il ragazzo protagonista della vicenda fosse davvero così coglione da rischiare di perdere la ragazza che ama per fare lo sbruffone, ad esempio. E’ buffo, credono tutte che siamo capaci di mandare a fanculo i nostri sentimenti perché i maschi sono così e hanno un cuore di pietra. E’ abbastanza comica, come cosa. Comunque,
il racconto mi è piaciuto.
— E se invertissi i ruoli? — ho chiesto a Scott poco dopo. E’ inquietante come quel tizio compaia perennemente online su whatsapp, anche alle undici e trentacinque di sera. Nelle notti non di luna piena, ovviamente.
— Direi che ti sei completamente fuso il cervello — mi ha risposto prontamente il mio amico, convincendomi ancor di più a portare a termine l’idea che avevo in mente. — Non ci provare. —
Ignorandolo del tutto, gli ho spiegato i dettagli del mio super piano per messaggio vocale, dato che il resoconto era piuttosto lungo e ci andavano inseriti i commenti sugli assorbenti degli One Direction. Dovevo avere la voce abbastanza sovreccitata, a dire la verità, perché prima di ammettere di sostenermi con tutto se stesso, McCall mi ha consigliato di prendere un calmante.
E poi abbiamo stilato insieme le trentasei domande che avrei posto alla persona che si collocava tra i pezzi del mio puzzle, e me le ha fatte ripetere, e sono riuscito a inviare quel messaggio e a ricevere una risposta chiara e concisa e soprattutto positiva.
Adesso sono qui, ad un bar senza nome di Beacon Hills con solo un paio di clienti di mezza età che animano il silenzio stantio dell’attesa. Davanti a me una ciotola di patatine, un miscuglio di Fonzies, Pringles e San Carlo’s, le quali mi guardo bene dal piluccare, perché probabilmente davanti a lei il nervosismo sarà a mille e preferirei non sfogarlo sulle mie unghie. Ho anche preso due bicchieri di succo di frutta; niente vino come negli appuntamenti eleganti, perché sono le dieci di mattina e sono già inebriato di mio. E poi sarebbe una mossa abbastanza azzardata, e già ho messo il piede in zona fragile; non peggioriamo la situazione.
E’ quando finalmente la vedo in fondo al vicolo, mentre parcheggia la macchina a tre posti auto dalla mia e si dà un’ultima occhiata allo specchietto retrovisore, che l’apparente calma che ostentavo prende il volo e il terrore mi assale. Comincio a tamburellare le dita sul tavolo, prendendo numerosi colpi di tosse e guardandomi intorno freneticamente. Il cielo è blu, oggi, non c’è neanche una nuvola. Un aereo farebbe molto rumore, se passasse. Me lo segno mentalmente come possibile argomento di conversazione mentre lei si avvicina e io scivolo lentamente lungo la sedia.
Ha un vestito lungo fino al ginocchio, bianco, con ricami di simboli rossi cinesi, senza spalline. I lunghi capelli biondo fragola sono raccolti in una coda alta e stretta, che probabilmente le solletica il collo ogni volta che volta il capo. Ai piedi, un paio di sandali argentati, lo stesso colore degli orecchini a cerchio che pendono dalle sue orecchie. Labbra rosso scarlatto, denti bianchi, pelle perfetta, sopracciglia sottili e occhi in cui esplode il verde più intenso che conosca e che vive nella mia anima da praticamente dieci anni.
Do un’occhiata all’orologio, e nel mio caso non è un gesto dettato dall’imbarazzo. Sono le dieci e quindici. Ho esattamente trentaquattro minuti per porle trentasei domande. Fino alle dieci e quarantanove.
Lei sorride e si avvicina.
I trentaquattro minuti per fare innamorare Lydia Martin cominciano ora.
 
Domanda uno.
« Ehi, Lydia. Non ti avevo visto. » La faccio sedere accanto a me con un sorriso. « Come va? »
« Abbastanza bene, a dire la verità » mi risponde. « Soprattutto ora che c’è un po’ di calma in paese, intendo. » Anche lei sorride, e capiamo entrambi che parla delle ultime vicende: Nogitsune, druidi assassini, kanima in libertà. E’ ovvio che a Beacon Hills non ci sarà mai un filo di calma, ma evito di farglielo notare.
 
Domanda due.
« Come mai non tocchi le patatine? » Non era una delle domande stilate con Scott ma ehi, ho pagato anche per quelle. E non voglio vedere Lydia svenirmi di fame.
« Oh. » Fa una smorfia che le storce il volto. « Niente patatine se non quelle integrali, scusa. Metterei su talmente chili da buttare giù la sedia. »
« Certo. Naturalmente. » Un attimo di silenzio in cui rifletto se vale la pena di perdere qualche secondo a ordinare il suo cibo non ingrassante. Vale. « Cameriere, porti per favore una ciotola di patatine integrali. »
Lydia mi sorride dall’altra parte del tavolo.
 
Domanda tre.
« Pensavo che oggi avessi da studiare per il compito di fisica » osservo. Niente storie, è una domanda indiretta. Non sempre è necessario il punto interrogativo, sapete?
« In realtà ho il vago sentore che sarà più semplice di molte altre avventure su cui passata » risponde lei, e mi ricordo di avere davanti il genio di Beacon Hills, nascosto dietro unghie finte e matita per gli occhi. « E poi non c’è nulla di più elementare di… »
« Ho capito, per te lo studio non è un problema come per qualsiasi adolescente » la fermo, prima che possa rifilarmi qualche formula incomprensibile.
 
Domanda quattro e cinque.
« Quindi hai preferito venire ad un banale appuntamento con il tuo grande amico Stiles piuttosto che, uhm, andare a fare shopping con Kira e Malia? » domando, scrollando le spalle.
Lei mi rivolge un’occhiata. « Stiles, lo sai meglio di me che sei una delle persone con cui mi trovo di più ultimamente. Soprattutto dopo la… dopo che… »
La sua voce si spezza e i suoi occhi verdi si scuriscono, abbassandosi e puntando contro il tavolo. Sgrano gli occhi e mi sgranchisco la gola, ansioso di cambiare argomento. Perché so a cosa sta pensando e, sinceramente, parlare della morte di Aiden e Allison non era tra i miei piani.
« Hai notato come è silenzioso il cielo oggi? Se un aereo passasse- » comincio, ma lei mi blocca con un’occhiataccia.
Argomento aereo bocciato. Peccato.
 
Domanda sei.
Sto perdendo la traccia delle domande di Scott, e mi affretto a ritornare sulla retta via. « Uhm, ehm, a proposito di fisica, ho qualche problema con la tavola degli elementi. Mi potresti- »
« Le vostre patatine » mi interrompe un cameriere posando la ciotola sul nostro tavola. Lydia ringrazia e poi, stupendomi, tira fuori dal portafoglio cinque dollari e ordina due Coca Cole Light. La guardo stupito mentre il tipo si allontana, e mi rivolge un sorrisino ironico.
La adoro quando fa così. Le spuntano le fossette e…
« Non mi guardare come un idiota. Il succo è buono, ma avevo sete » alza gli occhi al cielo.
« Perché hai ordinato anche per me? » domando.
Lei sorride. « Non sono una stronza egoista. »
 
Domanda sette.
« Stavo dicendo, non mi trovo molto bene con la tavola degli elementi, e avevo un dubbio che mi tormentava. Cioè, tu sinceramente cosa ne pensi a proposito- »
« Stiles, perché non parliamo di quello che sta succedendo ultimamente invece che di fisica? » mi chiede, gli occhi che scintillano. Boccheggio qualche secondo, poi cedo e annuisco.
« Oh, e va bene. Ma le domande le faccio io. »
Anche se questa volta è toccato a lei.
 
Domanda otto e nove.
« Di cosa vorresti parlare, di preciso? »
« Perché hai invitato me e non Malia, oggi? »
Spalanco la bocca, e poi in fretta la richiudo. Mi ritrovo senza parole, ed era l’ultima cosa che volevo accadesse, oggi. Annaspo nell’aria, cercando di trovare una risposta arguta ed ironica al tempo stesso. Ma la via dell’illuminazione è vuota. Dò una risposta pessima. « Il tuo numero compariva prima sulla rubrica. »
« Non sto ridendo » sospira, esasperata. « Sono seria. A Malia tu piaci, è molto presa da te. Non credevo avessi tempo da perdere con banshee mentalmente instabili. »
« Tu non sei mentalmente instabile » dico, come se fosse un’ovvietà. E comunque lo è. Lydia può essere al massimo un po’ matta, ma lo siamo tutti quanto lei.
Mi lancia un’occhiata mentre finisce il suo succo.
 
Domanda dieci.
« E comunque, perché qui? Perché in qualche bar in centro, o in quel bel posticino fuori città da cui si vede buona parte di Beacon Hills? »
So che conosce già la risposta. E’ sveglia, Lydia, e in questo momento quello che vuole fare è svergognarmi un po’, ridersela per le mie scelte assurde.
Batto il dito contro il tavolo. « Non volevo che mi vedesse Scott, o Kira, o mio padre… »
« O Malia » dice Lydia.
Annuisco vagamente.
 
Domanda undici, dodici e tredici.
« Mi passi il tuo cellulare? »
« Eh? » Che razza di richiesta è?
« Passami il tuo cellulare. » Adesso è un ordine.
Frugo un attimo nella tasca, tirando fuori prima le chiavi, poi un fazzoletto usato che colgo l’occasione per buttare nel cestino, e infine il mio fidato telefono, che le consiglio esitante. Lei, con tutta tranquillità, accede alla rubrica, cerca il nome di Malia tra quelli registrati, e comincia a digitare un messaggio.
« C-cosa cavolo stai facendo?! »
« Scrivo a Malia di raggiungerci. Così parliamo del fatto che inviti gente ad un appuntamento senza che lei lo sappia. »
« Ma lei lo sa » mi scappa detto. Lydia alza gli occhi verso di me, bloccando le dita, improvvisamente sorpresa. Mi affretto a spiegare: « Lei stessa mi ha detto che le va benissimo se esco con te. Da amici, capisci. Le ho spiegato che nel mondo umano è normale stare con i propri amici ogni tanto, anche se sono del sesso opposto. »
« Siamo amici? » è l’unica cosa che dice quando finisco di parlare. Annuisco debolmente, e lei sorride.
 
Domanda quattordici, quindici e sedici.
« Allora, come va con Malia? » Lydia incrocia le braccia sopra al tavolo e mi rivolge uno sguardo apparentemente curioso. Mi riprendo il cellulare, che ha precedentemente posato, mentre il cameriere torna con le Coca Cole Light.
« Non stiamo insieme in modo ufficiale » ammetto. « A lei piacerebbe, ma io le ho chiesto di andare un po’ lentamente. Insomma, sono appena uscito dalla possessione di uno spirito giapponese di mille anni, e lei ha difficoltà con il vivere dentro la società umana e non animale. Insomma, non siamo quel tipo di coppia che trovi tranquillamente per strada, ecco. »
« Lei ti piace? »
Mi sto rendendo che tutte le domande le sta facendo lei, e questa cosa mi sta leggermente dando fastidio, perché ha il monopolio della situazione. E qualsiasi cosa mi voglia far ammettere, al momento sono in difficoltà. « Sì… mi piace, sì. Perché me lo chiedi? »
« Curiosità. » Alza le spalle e decido di lasciar perdere.
 
Domanda diciassette e diciotto (retorica)
« Come stai, Lydia? » le chiedo, di nuovo. « Stavolta intendo sul serio. Quindi faresti bene a sfogarti un po’. »
Mi lancia un’occhiata. « A quanto pare vuoi la verità. » Sospira. « La verità è che sto uno schifo. La verità è che faccio incubi ogni notte, che mi sveglio sempre con le occhiaie scavate nella pelle. La verità è che senza Allison non ha più senso uscire di casa, fare le cose che fanno tutte le ragazze, andare al bowling, ridere. La verità è che Aiden mi amava e io ero troppo distante da lui per capirlo. La verità è che Jackson probabilmente nemmeno ricorda chi sono. La verità è che non so nemmeno cosa vuol dire essere una banshee, che uso i miei poteri alla cazzo senza conoscerne nemmeno l’origine. Non so niente di me, Stiles. E sta andando tutto male. »
Vedo i suoi luccicare, e il panico mi assale. Con movimenti impacciati le prendo le mani. « No, Lydia, non va tutto male. Non ti devi preoccupare in questo modo. Allison rimane nei nostri cuori, no? »
Che grandissima cazzata. Anche lei lo sa. Scuote la testa, distaccando le sue mani dalle mie, asciugandosi gli occhi prima che le lacrime escano dalle ghiandole. So quanto detesta farsi vedere piangere – ricordo ancora di quel giorno di tanto tempo fa, quando le ho detto che mentre piangeva era bellissima. Sembrano passati millenni.
Volto lo sguardo in silenzio e la lascio calmarsi. Sentendomi abbastanza inutile.
 
Domanda diciannove e venti.
« Okay, okay, non è nulla » la sento ripetere. Continuo a fissare convinto il listino prezzi al centro del tavolo. « Non è nulla. Andiamo avanti. »
« Lydia, per quanto tempo fingerai che le cose vanno bene? » le chiedo.
« Finché anche tu fingerai che vanno bene. »
Lei alza gli occhi e mi guarda, io alzo gli occhi e la guardo. Rimaniamo così per forse una ventina di secondi, un frangente in cui riesco a sentirla respirare con calma, come se quello che ha appena detto non mi avesse turbato.
« Non so cosa tu intendi. »
« Oh, ho capito. Allora per te è okay. » Fa una pausa. « Fingere di amare una ragazza per fare ingelosire un’altra. »
Aggrotto le sopracciglia. « Lydia, io non fingo di amarti. » La cosa mi sta scombussolando. Sono pronto a dirle la verità – che la amo davvero, che non fingo nulla, quando lei aggiunge qualcosa.
« Non è me che fingi di amare. » Stringe gli occhi, e non so se è per il sole o per qualcos’altro. « Malia. »
« Malia cosa? » (Questa la conto come una domanda.)
« Tu fingi di amare Malia per ingelosire me. »
 
Domanda ventuno.
Quasi sputo il sorso di Coca Cola, sporgendomi in avanti, con il cuore che fa un balzo. Tutto il mondo comincia a ruotare e respingo ogni suo tentativo per controllare se sto bene; perché ci ha azzeccato, ci ha azzeccato, cazzo, porco mondo, e il problema è che aveva quello sguardo scettico e io la verità non gliela posso dire, no, non gliela posso proprio dire.
« Non è vero » sbotto, come se mi avesse ricoperto di chissà quale colpa – anzi, a pensarci è così. « Non puoi veramente pensarla così. Io non ti amo. » Un secondo di silenzio. « Non più. »
Non sono capace di descrivere le emozioni che vedo scivolare sul suo volto. So solo che io sono nel panico, perché evidentemente questo appuntamento non sta andando a parare dove io volevo andasse a parare.  E lei, non so se adesso prova sollievo, paura, rabbia, gioia, dolore, speranza, non lo so perché si alza all’improvviso.
« Posso andare via? » mi chiede.
E io rimango lì a boccheggiare, senza capire, mentre lei prende la borsa e con tutta la calma del mondo se ne va, chiudendo il mio gioco e tutto il resto.
Porca merda.
 
Domanda ventidue, ventitré e ventiquattro.
— Me lo spieghi, perché te ne sei andata all’improvviso? —
— Non ti importa saperlo davvero. —
— Magari sì. —
— Stiles, ti prego, non fingere che ti importi di me. —
— Ma cosa è successo? Avevi mal di pancia, o cosa? —
— Ti prego, lascia perdere. —
Lancio il cellulare contro il muro della stanza.
Donne. Il problema della mia vita.
 
Domanda venticinque e ventisei.
Nessuno mi chieda perché sono venticinque minuti che sono appostato davanti a casa sua, come una specie di stalker, con tanto di cellulare in stile walkie-talkie per riferire i progressi al mio commilitone. Che, giusto per la cronaca, avrebbe dovuto guardarsi V per Vendetta con Kira Yukimura invece che attendere i miei segnali di vita. Prendo un grosso respiro e, tentando invano di trovare la forza per suonare quel maledetto campanello, mi scappa uno starnuto.
« Stiles, cosa diavolo ci fai qui? » Qualcuno mi batte sulla spalla. Mi volto di scatto, incontrando lo sguardo esasperato di Lydia Martin che regge due borse della spesa.
« Lydia! Non sapevo fossi nei paraggi! Ero passato per raggiungere il negozio di alimentari… »
« Sei lì da almeno cinque minuti. » Faccio un paio di versetti imbarazzati, mentre lei scuote la testa. « Lascia perdere, va’. Mi aiuti con queste? »
Senza che nemmeno specifichi di cosa sta parlando, le prendo dalle mani una delle borse e le porto con lei dentro casa, senza parlare.
 
Domanda ventisette e ventotto.
« Ti va un succo all’arancia rossa o a, uhm, gusto tropicale? »
« Semplice acqua, grazie. »
Lydia si siede accanto a me sul divano, reggendo due bicchieri di acqua naturale, e me ne porge uno. Lo sorseggiamo in silenzio, ritti e rigidi a dieci centimetri l’uno dall’altra. Io sono il primo a finire e, come poso il bicchiere sul tavolino davanti a noi, lo dico. « Volevo parlare di ieri. »
« Intendi del modo orribile in cui me ne sono andata senza nemmeno ringraziarti per avermi dato la possibilità di ingrassare? » Sorride, forse un po’ imbarazzata.
Io rido. « Le patatine erano integrali. »
« Stiles… » Mi guarda alzando gli occhi al cielo, con quell’espressione esasperata che adoro. « Quelle che ho mangiato erano tutte Pringles. Le integrali le hai divorate tutte tu. »
« Oh. »
« Sei un po’ idiota, a volte. »
Scuoto la testa, sbuffando. E poi scoppio a ridere. E lei ride con me.
 
Domanda ventinove e trenta.
« Avevi ragione, sai? »
« A dire che sei un idiota? »
« No. A dire che fingo di amare Malia. »
Il sorriso divertito sul suo volto scivola via. Lydia alza gli occhi verso di me, senza parola, e non so se sul suo volto leggo più commiserazione o disprezzo.
« Probabilmente non mi parlerai mai più » mormoro, giocherellando con il cellulare che ho fra le mani. «  Ma pensavo di dirtelo, anche se probabilmente lo hai capito, e te ne sei andata perché la mia falsità ti ha disgustato. Ma ecco qui la verità. Sono innamorato di te, è una specie di droga da cui non riesco a disintossicarmi. Mi dispiace. Vorrei che tu riuscissi a liberarti di me, davvero, sarebbe molto meglio per entrambi. Ma non ci riesco. Non riesco a smettere di pensare a te e ai tuoi capelli rosso fragola e ai tuoi occhi verdi e alle tue labbra premute sulle mie e alla tua voce che dice il mio nome e a tutto quello che sei tu. »
Lei fa quello che per ultimo mi sarei mai aspettato. Ride. « Te lo ripeto. Sei un idiota, Stiles. »
 
Domanda trentuno e trentadue.
Stringo le labbra, ferito. « Se vuoi prenderti gioco di me, e ne hai tutto il diritto… »
« Quando imparerai ad applicare il tuo cervello geniale anche nelle relazioni tra le persone? » Sbatto le palpebre, e lei riprende a parlare. « Perché vorrei sapere dove hai visto il disgusto e tutte quelle cose che ti sei probabilmente messo in mente su di me. E vorrei sapere anche perché, nonostante tutto quel che provi, ieri mi hai detto che non mi ami. Spiegati, ti prego. »
« Perché… » La mia voce sfuma, e mi fermo, impacciato. Non so effettivamente cosa dire. « Perché non volevo farti schifo. E perché il mio piano era quello di farti innamorare in trentasei domande, non in venti- »
« Chiedimi se ti amo, Stiles » mi interrompe. La guardo e vedo il suo volto serio e deciso.
« Io non… »
« E dai! Chiedimi se ti amo. »
Non mi sembra uno scherzo. Mi agito a disagio sul mio posto, muovendo le spalle per sciogliere la tensione. « Ehm, okay. » Mi gratto la nuca. « Mi ami? »
 
Domanda trentatré e trentaquattro.
Per quella che mi sembra un’eternità lei mi fissa in silenzio, mentre la mia domanda risuona nella stanza, come un’eco. Poi, lentamente, senza rumore, sento la sua spalla sfiorare la mia con leggerezza, il suo volto avvicinarsi al mio e i nostri due orecchi toccarsi, mentre le sue labbra premono sulle mie nel bacio più dolce e leggero che io abbia mai dato.
« Ti amo » sussurra sulle mie labbra. E non c’è più nient’altro da dire, davvero, perché sono queste due semplici parole a rendere il quadro perfetto e a non avere più bisogno di altre spiegazioni. Ma lei forse ha bisogno di parlarne. La sento appoggiare il capo sulla mia spalla. « E’ vero che ci si rende conto di amare qualcuno solo quando quel qualcuno rischia di scivolare via dalla tua presa. » I suoi occhi cercano i miei, forse per bisogno di sostegno. « Io ho avuto tanta paura. »
« Scusa. » Abbasso lo sguardo verso le mani. Le sue corrono a stringere le mie.
« Mi prometti che cercheremo di far quadrare tutto? »
« Promesso » giuro, improvvisamente con aria pomposa.
« E che tu tenterai di essere meno idiota? »
Le lancio un’occhiataccia. Poi scoppiamo a ridere.
 
Domanda trentacinque e trentasei.
« Stiles, posso dirti una cosa? »
« Spara. »
« Se mi stringessi un po’ più forte esploderei. »
« Che ne dici di provare? »





 
 
   
 
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