Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: live in love    25/06/2014    3 recensioni
Seguito della storia "Ritratto di Te"
________
Sono, ormai, passati vari mesi da quando Emma ha presentato la sua opera e dallo scandalo del New York Times che ha visto coinvolti la sua famiglia ed Andrew.
Una apparente tranquillità sembra pervadere ora la sua vita, divisa tra amore, lavoro e arte, ma cosa ha in serbo per lei il destino?
Nuovi problemi, situazioni diverse e impresti personaggi sono in agguato, come affronteranno Emma ed Andrew tutto ciò?
_________
Mia seconda storia originale.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

Epilogo





E' un piccolo sbuffo mal trattenuto, strascicato e quasi annoiato a riscuotermi dalla stasi mentale in cui sono involontariamente sprofondata, l'atmosfera famigliare della cucina di casa nostra che risulta interrotta unicamente dal petulante vibrare del microonde, la leggera luce che fuoriesce dal vetro smerigliato che illumina debolmente la stanza e me di conseguenza, spezzando la penombra.

Passando leggermente il palmo della mano destra ripetutamente sul mio avambraccio sinistro resto, intanto, immobile ed in attesa, aspettando che il latte sia pronto, il fianco appoggiato staticamente contro il bancone mentre mi guardo brevemente intorno, una strana quiete che permea la casa per una piacevolissima frazione di secondo che mi assorbe, risucchiandomi.

Trovandola quasi innaturale dopo gli ultimi, frenetici e caotici giorni, socchiudo debolmente le palpebre, godendone appieno ed aspirando a pieni polmoni il senso di pacifica tranquillità che ne deriva, crogiolandomi in questa brevissima bolla di calma mentre il mio cervello, appesantito dal mancato sonno, sembra per un attimo spegnersi, privandomi di ogni pensiero.

La stessa che dura unicamente un millesimo di attimo, purtroppo, dal momento che, esattamente un istante dopo, viene nuovamente squarciata da un pianto singhiozzante e debole, un lamento sottile e quasi di protesta che la frantuma, apparendo non troppo lontano ed attutito vagamente dalla distanza ed aumentando di intensità man in mano che i secondi trascorrono mestamente.

Ricominciamo, mi dico silenziosamente dispiaciuta, un senso di dolce amorevolezza e maternità che, però, sorge in contemporanea con la stanchezza dentro di me, scuotendomi debolmente e portandomi a non riuscire realmente ad essere frustrata per la situazione.

Roteo stancamente gli occhi verso il soffitto mentre, nel medesimo attimo in cui il bip del microonde riecheggia i singulti di sottofondo, sciolgo la mia postura, sospirando pesantemente e curvando appena le spalle verso il basso.

Arricciando debolmente le labbra e passando velocemente le dita sul maglione a girocollo verde bosco che indosso, lisciandone alcune pieghe inesistenti, allungo subito dopo una mano in avanti, compiendo in simultanea un mezzo passo verso il bancone e protendendomi in quella direzione.

Con i polpastrelli afferro così la maniglia in acciaio grigio del microonde, aprendolo con un sonoro scatto metallico mentre una lieve ondata di calore mi investe, solleticandomi la pelle.

Le mie pupille, dopo essersi brevemente soffermate sui numeri verdi del piccolo schermo che indica l'ora, si posano subito dopo sul biberon presente al centro del piatto girevole in vetro trasparente, pronto per essere consumato, la chiusura arancione intorno alla tettarella in gomma che richiama inevitabilmente i disegni presenti sulla plastica cilindrica, raffiguranti dei conigli sorridenti.

Agguantandolo con un movimento veloce lo tiro fuori, richiudendo lo sportello celermente mentre un mormorio ovattato dalla distanza e vagamente lontano mi raggiunge sibillinamente, sovrastando per un attimo il suo pianto, ora leggermente più fievole e simile ad un mesto mugolio.

- Uffa, se continua a piangere così non riesco a disegnare! - si lamenta una voce indispettita ed infantile, suonando a metà tra l'afflitto e il rassegnato, una punta di concreto fastidio che incrina lievemente il suo tono, inasprendolo.

Un spontaneo sorriso stende le mie labbra nell'origliare questo sdegnato e impettito commento, una protesta che unicamente l'età tipica dell'infanzia può suscitare.

Scrollando divertita e un po' rallegrata il capo faccio ondeggiare i capelli lunghi sulle mie spalle nello stesso istante in cui agito appena il biberon con un paio di movimenti secchi e decisi del polso, restando ferma ed immobile al centro della stanza.

Tuttavia, la vocina acuta e irritata, continua a pronunciarsi subito dopo, provenendo chiaramente dal soggiorno.

- Non può smettere? - incalza ancora in modo petulante ed insistente, quasi affannosamente fremente di poter godere di un po' di pace, la stessa che negli ultimi giorni sembra essere scomparsa nel nulla, scalzata da continui pianti convulsi nel cuore della notte e dalle naturali coliche dei neonati.

Stringendomi debolmente tra le braccia, mentre la mia mente continua a vagare e a perdersi tra questi pensieri a cui mi sono ormai abituata celermente, compio un gesto automatico ed assodato, capovolgendolo nel tentativo di versare alcune gocce di latte sul dorso della mia mano sinistra.

Nel palese tentativo di tastarne il calore, lo scrollo appena mentre alle mie orecchie giunge un mesto risolino sommesso e soffocato che riconosco all'istante, la reazione svagata di Andrew che attira irrazionalmente la mia attenzione nello stesso attimo in cui alcune goccioline non troppo bollenti mi scaldano la pelle.

È ancora troppo caldo, deduco velocemente mordicchiandomi il labbro inferiore, spostando il peso da un piede all'altro mentre resto in attesa, scuotendolo leggermente del tentativo di raffreddarlo il prima possibile.

- Tesoro, non dipende da lui – afferma, infatti, in modo semplice e mesto proprio Andrew, flettendo appena il timbro nel tipico modo, cadenzato e un po' affabile, che lo caratterizza quando spiega qualcosa e che ho imparato ad amare alla follia – Ha semplicemente fame – borbotta ancora in conclusione, alludendo chiaramente a nostro figlio con estenuante dolcezza e pacatezza.

Intanto, il suo borbottio vibra appena e alternativamente nell'aria, diventando a tratti più limpido e a tratti più sfocato e distante, portandomi ad intuire come probabilmente stia cullando il bambino camminando per la casa.

Una delle poche cose che sembra essere in grado di calmare il lamentarsi di Tommy, mi dico silenziosamente consapevole, notando distrattamente come il bambino in questi primi due mesi di vita abbia dimostrato una chiara indole pacata e calma fatta eccezione per il momento dei pasti, attimi di vero e proprio caos in cui è apparso quasi implacabile.

Sogghigno, rammentando come in più occasioni si sia fatto sentire veementemente puntualmente per l'ora di mangiare, risultando preciso come un orologio svizzero.

Esattamente come ora, ridacchio quasi tra me e me decidendo di andare a portare il biberon al bambino prima che esaurisca suo padre, la spiegazione di Andrew che mi rimbomba in testa mentre mi appresto a raggiungerlo nel soggiorno, compiendo un passo in avanti.

Con una semplice falcata, mi scosto così dalla cucina, superando subito dopo il bancone.

- Io quando ho fame non piango mica, però – puntualizza ancora in modo puntiglioso, volendo quasi rimarcare una certa differenza che mi rallegra interiormente, portando a scrollare le spalle nel medesimo attimo in cui attraverso tutta la stanza, fermandomi sulla soglia della porta.

Non comprendendo, infatti, assolutamente la diversità tra se ed un neonato, si impunta quasi, il rumore di alcune penne che vengono rovesciate sgraziatamente sul ripiano del tavolo che riecheggia per un attimo della camera, non scatenando fortunatamente il pianto di Tommy mentre facilmente il mio cervello riproduce la probabile espressione confusa e determinata che assume in circostanze simili a queste.

Tuttavia, qualcosa di irrazionale e curioso mi porta a restare in ascolto ed immobile, affacciata sul corridoio, origliando questo buffo e divertente scambio di battute, interessata a capire come andrà a finire e non volendo assolutamente interromperlo con il mio arrivo.

L'espirare profondamente di Andrew anticipa unicamente di una manciata di secondi la sua risposta, comprensibilmente carica di amore e affettuosità, un sentimento intrinsecamente intenso che illanguidisce teneramente le sue parole.

Le stesse che appaiono appena velate da una punta di positiva melanconia, inevitabilmente derivante dal ricordo, sospiro leggermente mentre appoggio le dita libere sullo stipite della porta, esitando appena.

- Beh, però, lo facevi anche tu quando avevi la sua età – soffia come naturale e spontanea soluzione Andrew, il rumore di passi che sembra essere improvvisamente scomparso, portandomi ad intuire come si sia probabilmente fermato – E anche molto – ride l'attimo seguente, portandomi a ghignare quasi all'istante e di riflesso, non riuscendo a non sentirmi coinvolta e deliziata dal suo goffo e un po' inconsueto racconto.

Inspirando una boccata d'aria e gonfiando il petto, inclinano il capo di lato mentre un attimo di breve e fremente silenzio vibra nell'aria, subito dopo scalzata da un mormorio acuto e incuriosito, l'agitarsi di Tom che sembra passare improvvisamente in secondo piano con estrema facilità.

- Davvero? - chiede subito ed in modo sospettoso, quasi come se faticasse a credere alla asserzione di Andrew, il suo timbro che appare dubbioso e a tratti quasi sibillinamente perplesso.

Nuovamente, una manciata di attimi di mutismo intercorrono, i miei polpastrelli scaldati appena dalla plastica tiepida che accompagnano l'ipotesi che mi attraversa la testa e che mi porta a soffermarmi sulla possibilità che Andrew stia annuendo.

Restando in attesa ed in ascolto, faccio brevemente vagare lo sguardo scuro intorno a me, scorgendo sbiecamente le pareti calde e famigliari del corridoio circondarmi silenziosamente.

In ogni caso, prima ancora che io possa desistere dall'idea di ascoltarli in lontananza senza palesarmi, lui continua subito dopo a parlare, alimentando il suo racconto in modo quasi fiabesco e allegro, vivacizzandolo appena.

- Si – sussurra in modo dolce e cadenzato questo semplice sussurro, un sorriso che sono certa sta inclinando verso l'alto la sua bocca e illuminando il suo sguardo nonostante io non possa vederlo in viso – Non hai lasciato dormire nessuno per settimane intere – afferma ancora, rivivendo inevitabilmente quelle rimembranze un po' lontane nel tempo, apparendovi intimamente legato e commosso al solo ricordo.

Una inaspettata ondata di palpitazioni mi stravolge dinnanzi a questa constatazione, un sottile nodo, composto da diverse e forti sensazioni, che mi occlude la gola nel medesimo attimo in cui socchiudo le palpebre, sentendomi quasi riassorbita dalle sue asserzioni.

Decidendo di buttarla sullo scherzo e di giocare un po', Andrew si esprime ancora subito dopo, ingrandendo volutamente ciò che sta dicendo senza mezzi termini, facendo leva sulla ingenua fantasia e impressionabilità tipica dei bambini.

- Pensa che una volta è venuta a suonare alla porta anche la vicina del primo piano – afferma in modo quasi confidenziale ed ingigantendo di fatto quella circostanza, flettendo impercettibilmente il tono fino a renderlo intimo e complice, strappandomi un risolino che fatico a soffocare e sopprimere sul nascere, l'eco di un sospiro meravigliato e quasi trattenuto che rende sempre più complicata questa semplice circostanza.

Lo stesso che quasi mi sfugge l'attimo seguente, non appena una risposta dubbiosa e distintamente perplessa mi solletica precipitosamente l'udito, risultando pervasa da una sottile ed insistente curiosità e da una prepotente insistenza che fanno quasi sfociare il suo sussurro in una corposa e allegra risata.

Sembrando così impaziente di pronunciarsi da non saper resistere, infatti, parla in modo celere e sintetico, mangiandosi quasi le parole per la velocità con cui le soffia tra i denti.

- Non ci credo – ridacchia titubante e diffidente, infatti, senza quasi darmi il tempo di finire di formulare questa considerazione, il rumore di un foglio che viene spostato frettolosamente e di un tappo di pennarello che viene abbandonato sul ripiano del tavolo che riecheggia la sua affermazione gaia e vispa, facendomi intuire come stia probabilmente nel frattempo disegnando, non abbandonando il suo gioco.

Muovendomi leggermente sul posto e stringendo maggiormente le dita intorno all'involucro di plastica del biberon, controllando indirettamente che il latte non si stia raffreddando troppo, persisto nel rimanere in silenzio ed in attesa, certa che Andrew ribatterà da un momento all'altro.

Puntualmente, infatti, la sua risata corposa ed argentea spezza vigorosamente il silenzio dell'appartamento per una manciata di labili secondi, provocandomi, esattamente come ogni volta che accade, una ondata di palpitazioni e di farfalle nello stomaco che mi deliziano.

- Invece è così, tesoro – borbotta in modo sciolto e mellifluo, contraddicendo la sua asserzione in modo semplice e affettuoso, provocando probabilmente il suo broncio stizzito e svagato al tempo stesso – Dovresti chiedere a Lizzie, ti racconterebbe di tutte le volte che l'hai svegliata – soffia ancora, alludendo chiaramente alla nipote e prendendola quasi come esempio veritiero per certificare il suo commento, il pianto di Tommy che sembra essere improvvisamente svanito, dissolvendosi in un suo pacato mutismo.

Un leggero sogghigno mi coglie nel medesimo attimo in cui appoggio anche il fianco contro lo stipite, spostando tutto il peso del corpo su una gamba sola, un senso di famigliare dolcezza che mi investe e che si acutizza l'attimo dopo, quando Andrew continua il suo racconto in modo affabile e affabile al tempo stesso, non lasciando spazio per nessuna affermazione.

- Pensa che una notte non volevi proprio saperne di dormire - inizia a raccontare improvvisamente cambiando leggermente il fulcro della conversazione, il discorso che prende una piega quasi fantasiosa e insieme melanconica, la tipica che caratterizza i ricordi, apparendo un mix perfetto di tenerezza e dolce amarezza – E non volevi neanche mangiare, nessuno sapeva come farti smettere – continua in modo lento, flettendo appena il tono nel tentativo di rendere ancora più interessante ciò che sta dicendo ed esprimendosi con enfasi, le sue parole che si velano di una punta di frenetica allegria che mi contagia in qualche modo di riflesso.

Sospiro debolmente, non riuscendo, difatti, a non essere assorbita dal suo resoconto morbido e avvolgente, una bolla carezzevole e vellutata che mi risucchia facilmente, facendo leva sulla mia emotività e sul mio senso di maternità incredibilmente accentuato, ultimamente.

Uno strano grumo di sensazioni e sentimenti amorevoli, difatti, mi occlude la bocca dello stomaco istantaneamente, destabilizzandomi e disarmandomi come unicamente questi momenti intimi e semplici sono in grado di fare, una morsa di dolcezza che mi stringe il cuore piacevolmente.

Deglutisco a fatica, umettandomi appena il labbro superiore con la punta della lingua mentre il mio sguardo si sofferma su un punto indistinto del corridoio, portandomi a non vedere realmente ciò che ho davanti.

- Eri poco più grande di Tom – afferma ancora Andrew, richiamando inevitabilmente quegli istanti così lontani e al tempo stesso così vicini, il sapore dolce amaro della circostanza che si impossessa di me mentre lui si esprime meglio, spiegandosi con più accuratezza – Uno scricciolo, in poche parole – aggiunge mestamente, causando una risata lusingata e quasi acuta che, invece di alleggerire l'atmosfera, la raddensa piacevolmente.

Senza quasi che io possa fare nulla, il mio cervello viene istantaneamente invaso da una ondata di ricordi che mi sconvolgono, gli stessi che si proiettano dinnanzi a me in modo così reale da risultare quasi concreti e tangibili con mano, suscitandomi una fantastica ed incomprensibile percezione.

Il fiato mi si spezza in gola in modo commosso e vagamente accorato come non mi capitava da tempo, la salivazione che viene positivamente meno mentre vi sprofondo con estrema facilità, annegando in un mare di melanconica tenerezza nel medesimo secondo in cui Andrew continua a parlare, facendo da sfondo alle mie elucubrazioni naturali e spontanee.

Ed è così che il viso rosato di un neonato si delinea nella mia mente con disarmante facilità, il colore indecifrabile delle sue iridi che mi fissano quasi fossero realmente dinnanzi a me.

E, semplicemente, mi ritrovo a rivivere quel momento.




- Non è che sta male? -

In modo distintamente apprensivo e con la voce che vacilla appena, incrinandosi, a causa della corposa preoccupazione che mi attanaglia spietatamente, mastico confusamente ed in modo celere questa manciata di incerte parole, guardando interrogativamente Andrew, le mie pupille che fissano insistentemente la sua schiena muscolosa, parlando piano nel tentativo di non svegliare i bambini.

Visto l'ora tarda, che ci porta ad essere alzati nel cuore della notte, il mio sussurro si perde nell'aria raddensata e ammutolita, un silenzio quasi tombale e tipico della pacatezza delle ore notturne che ci circonda.

Continuando a muovermi lentamente e ritmicamente sul posto, dondolando appena, appoggio, intanto, delicatamente sulla nuca accaldata e sudata della bambina il palmo della mia mano, il suo pianto che continua imperterrito a squarciare la calma, acutizzandosi appena nel medesimo attimo in cui i miei polpastrelli sfiorano i suoi sottili capelli castani, rimbombandomi nelle orecchie e ferendomi disastrosamente.

Dedicandole una piccola carezza sul capo, infatti, mi inarco appena nel tentativo di tenerla in modo migliore e più saldo in braccio, gli avambracci appena indolenziti a causa dello sforzo perpetrato.

Sospirando pesantemente, intanto, Andrew resta per un millesimo di secondo ancora voltato di spalle celandomi la sua espressione perplessa, una mano stancamente appoggiata sul ripiano della cucina, vicino al piano cottura, e la testa appena ciondolante, quasi come se ancora faticasse a riprendersi dal sonno interrotto dai singulti convulsi e quasi dolorosi della bimba.

Con una piccola torsione del busto, fasciato da una semplice maglietta rossa abbinata ad un paio di boxer blu scuro, si volta l'attimo seguente verso di me, unicamente la luce soffusa proveniente dai faretti della cappa in acciaio che lo illuminano sbiecamente, accentuando quasi sinistramente le occhiaie che contornano cupamente i suoi occhi.

- Non credo stia male – mi risponde morbidamente ed in modo quasi strascicato nel medesimo attimo in cui le mie iridi intimorite incontrano le sue, ancora ingrigite e imbrunite dalla sonnolenza e dal poco riposo degli ultimi giorni – Stai tranquilla, amore – tenta di rincuorarmi e calmarmi al tempo stesso subito dopo, calcando su questo tenero nomignolo e spostando le pupille per una frazione di secondo sua figlia, normalmente di indole pacata e buona.

Seppur in modo un po' teso, tenta poi di arricciare debolmente le labbra in un mesto sorriso, storcendole unicamente in una smorfia non troppo convincente che non mi rasserena, l'istinto materno che è in me che mi agita e che mi fa desiderare ardentemente di farla stare meglio.

Lo stesso mix a cui, semplicemente, non sono abituata, realizzo, constatando come sia passato praticamente solo poco più di un paio di mesi dalla sua nascita mentre cerco ostinatamente di credergli e di placare, finalmente, il battito convulso e precipitoso del mio cuore.

Tutti i miei tentativi, però, risultano decisamente vani, lasciandomi addosso un sentimento di irrequietezza che si acutizza l'attimo seguente, non appena la bambina stringe spasmodicamente ed in un gesto irrazionale le piccolissime dita intorno alla maglietta nera del pigiama che indosso, piangendo più forte ed in modo incontrollato, provocando una stretta di melanconico dispiacere all'altezza del mio cuore.

Espirando in modo tremolante, parlo l'attimo dopo, dando sfogo ad uno dei miei apprensivi dubbi.

- Potrebbe avere la febbre – annaspo indecisa ed insicura, il fatto di non essermi mai trovata in una situazione simile che mi toglie tutti i consueti punti di riferimento, facendomi quasi sentire impaurita e frastornata.

Con gli ormoni ancora vagamente in subbuglio, deglutisco faticosamente mentre la stanchezza accumulata in questi lunghi cinque giorni di insonnia forzata mi incupisce, portandomi a vedere quasi tutto nero.

Comprendendo il mio scombussolamento emotivo, Andrew compie un passo in avanti l'attimo seguente, dopo aver preso un profondo respiro, dando per un attimo le spalle al bollitore dentro cui ha inserito il biberon nel tentativo di sterilizzarlo prima di riempirlo di latte, stringendosi debolmente tra le braccia.

Con un paio di semplici falcate si avvicina a me, ferma al centro della cucina vicino al bancone ed intenta a passare ripetutamente la mano sulla piccola schiena di mia figlia, scoprendola contratta ed irrigidita da una causa a me sconosciuta e che mi fa di riflesso stare specularmente male. Tanto, troppo.

Con la punta dei polpastrelli arriccio appena il cotone morbido della sua tutina verde acqua, il suo visino umido e bagnato di lacrime e sudore, dovuto allo sforzo, immerso nel mio collo, che mi inumidisce di fatto la pelle delicata.

Fermandosi unicamente a qualche centimetro di distanza, lui allunga una mano verso di lei l'istante seguente, lambendo con le dita i suoi capelli corti e scompigliati senza riuscire a frenare il suo pianto sfrenato che, nonostante la porta della cucina serrata, sono sicura stia rimbombando per tutto l'appartamento.

Troppo sconcertata per preoccuparmene, scruto agitatamente Andrew tastare la temperatura del suo corpo.

- Non ne ha, è abbastanza fresca – soffia guardandola amorevolmente, un affetto smisurato che adombra le sue iridi mentre la accarezza ancora, i suoi singhiozzi che si placano appena e lei che si agita su di me, scalciando leggermente con le gambe quasi come se qualcosa la turbasse – Forse ha le coliche – mormora ancora, quasi pensierosamente, non riuscendo ad essere totalmente lucido mentre la adocchia accuratamente, il suo odore buono e di neonato, reso leggermente più acremente salato dalle lacrime, che, intanto, mi solletica le narici, inebriandomi sinuosamente.

Senza dire momentaneamente nulla, annuisco con semplicità, muovendo su e giù il capo mentre continuo a muovermi sul posto, tentando quasi di cullarla senza riuscire a trovare una spiegazione a tutto questo, la mia totale inesperienza come madre che mi rende esagitata.

Non totalmente convinta, infatti, storco la punta del naso nel medesimo attimo in cui appoggio accoratamente la guancia contro la testa della bambina, abbracciandola maggiormente senza, però, soffocarla o stritolarla troppo, avendo quasi paura di farle male.

- Sono giorni che di notte piange – gonfio leggermente le gote in un muto sbuffo che non concretizzo, più dispiaciuta per il suo soffrire che per le mancate ore di sonno, palesando indirettamente uno dei tanti timori naturali che mi attanagliano con cadenza periodica da quando ho partorito.

Scorgendo in me la paura che qualcosa non vada, Andrew si esibisce in un sorrisino carico di amore profondo, apparendo incredibilmente bello nonostante il poco sonno, la frustrante spossatezza e i capelli sparati in ogni direzione.

- Amore, è una neonata – borbotta con candida semplicità, quasi come se questa semplice manciata di parole potesse spiegare tutta questa circostanza, il pianto della bimba che sembra essersi per un attimo esaurito, manifestandosi unicamente tramite qualche mugolio disturbato ogni tanto – Tutti i neonati lo fanno – sussurra ancora in modo estremamente dolce e carezzevole, per nulla brusco mentre cerca di rendermi lucida e di strapparmi via dalle spirali del panico, raddrizzando la mia emotività.

Comprendendolo annuisco ancora, acconsentendo con un semplice cenno del mento mentre mi fermo, socchiudendo gli occhi e guardandolo da sotto le ciglia in modo quasi imbarazzato, il bisogno di rassicurarmi e allontanare la mia aria frastornata che prevale su tutto il resto, apparendo nitido sul suo volto.

Dimezzando drasticamente la distanza tra i nostri corpi, infatti, Andrew mi affianca completamente, passando irrazionalmente e di impeto un braccio intorno ai miei fianchi e stringendomi in un abbraccio calmo e carico di affettuosa dolcezza.

Arriccio leggermente le labbra in una smorfia abbacchiata e nervosa prima di lasciarmi andare contro di lui, una boccata di ossigeno mista al suo profumo che mi porta ad abbandonarmi al suo tocco con estrema semplicità.

Nel medesimo attimo in cui appoggio debolmente la faccia contro il pettorale sinistro di Andrew la bimba si esibisce, poi, in un mugolio strascicato e insistente, un piccolo lamento.

Nonostante i mille, perplessi dubbi che mi riempiono la testa, chiudendomi la bocca dello stomaco con una morsa angosciante e ansiosa, non dico assolutamente nulla, il suo calore che mi avvolge sinuosamente quasi come una seconda pelle, riuscendo nell'ardua impresa di sopire per un brevissimo secondo i miei tormenti interiori.

Tuttavia, dura unicamente una frazione di secondo dal momento che lui subito dopo spezza la quiete che ci avvolge con un mormorio premuroso ed amorevole, vezzeggiandomi a parole.

- Rilassati, Emma – sussurra al mio orecchio in modo roco ed impercettibile, passando leggermente una mano sulla parte bassa della mia schiena mentre la bambina affonda subito, celermente, il visino nel mio collo, quasi come a voler ricercare un contatto più diretto ed il mio odore.

Alludendo alla tensione che mi irrigidisce, lui continua a lambirmi, apparendo visibilmente stanco e stravolto, i turni di notte mixati al fatto di non riuscire a dormire le volte che non li ha che lo rendono quasi disorientato, causandomi un senso di consapevole colpevolezza.

Annuendo leggermente, provo così il simultaneo impulso di dirgli di tornare a letto, non volendo assolutamente privarlo di altro prezioso riposo.

In ogni caso, ho a malapena il tempo di alzare il mento verso l'alto e di guardarlo più agevolmente in faccia dal momento la porta della cucina si apre poco silenziosamente alle nostre spalle, il suo cigolio che per un istante di confonde con il chiasso di sottofondo.

Creando un momentaneo caos, tutto ciò mi porta a staccarmi da Andrew immediatamente e a muovermi nuovamente in modo sconclusionato sul posto, riprendendo a dondolare per farla cessare di lamentarsi.

Intanto, mi volto con una piccola torsione del capo in quella direzione, le mie pupille che si scontrano istantaneamente con una figura minuta e assonnata.

Con gli occhi scuri ridotti a poco più di due piccole fessure e completamente a piedi scalzi, Lizzie ci fissa ancora intontita dalla sonnolenza, restando ferma ed immobile a pochi passi dall'entrata senza dire assolutamente.

Quasi miracolosamente, anche il pianto di mia figlia cessa mentre adocchio la nipote di Andrew in modo dolce e critico al tempo stesso, conscia di come il motivo della sua presenza sia unicamente dovuto ai lamenti della neonata.

Fasciata unicamente da una semplice maglia a mezze maniche bianche decorata con dei minuscoli fiorellini lilla, abbinata ad un paio di pantaloncini rosa scuro, ci adocchia dal basso, la treccia in cui avevo legato i capelli prima di dormire che appare ora scompigliata e gonfia, alcune ciocche, sfuggite all'elastico, solleticano la sua gota rosata.

- Ti ha svegliato di nuovo, vero? - sospiro pesantemente, alludendo al chiasso che ha fatto la bimba nell'ultima ora scarsa mentre Andrew le riserva una occhiatina carica di affetto e calore, non esprimendosi.

Non è, difatti, decisamente la prima volta che si viene a creare una situazione simile, particolarmente frequente negli ultimi tempi.

Meno male che è finita la scuola almeno, tento goffamente di rincuorarmi mentre roteo le pupille al soffitto per una brevissima frazione di secondo.

Stringendosi appena tra le piccole spalle ed esibendosi in uno sbadiglio sonoro, lei acconsente mutamente con un cenno del capo, rispondendomi in modo soffice e strascicato senza risultare troppo infastidita o stizzita da questa circostanza.

- Si – ammette con semplice candore senza aggiungere altro, incassando il capo mentre alternando lo sguardo tra di noi prima di continuare a parlare, incalzandoci con un quesito, a sua volta – Come mai piange? - domanda realmente interessata alle condizioni della sua piccola cuginetta, un accenno di apprensione che distorce i suoi lineamenti e che mi fa quasi sciogliere, sottolineando lo strano legame che si è creato tra le due nonostante la pochissima conoscenza e l'impossibilità di dialogare.

Quasi come se fosse un qualcosa di istintuale e di pancia, infatti, fin da quando ho partorito, Lizzie ha dimostrato una spiccata curiosità verso la bambina, risultando premurosa e disponibile ad aiutarmi in qualsiasi momento.

Cosa che decisamente mi aveva sorpreso, disattendendo le mie ipotesi riguardo una sua probabile e naturale gelosia, dettata dalla consapevolezza che a nessun bambino piace condividere le attenzioni.

- Non lo sappiamo neanche noi, tesoro – borbotta stancamente Andrew in risposta, allargando le braccia nel momento stesso in cui lei compie pochi e frettolosi passi verso noi, raggiungendoci facilmente – Però, tu dovresti essere a letto – la rimprovera staticamente ed in modo tenero, per nulla brusco o sprezzante, l'attimo seguente, alludendo all'ora tarda della notte e provocando la sua espressione bonariamente colpevole.

Mordendosi leggermente il labbro superiore, lei ricambia la sua occhiata ammonitrice con una di scuse, non ribattendo nulla.

In ogni caso, ci pensa mia figlia, subito dopo, ad attirare su di se tutta la nostra concentrazione, gorgoliando un insieme di versi e mugolii indecifrabili mentre si rannicchia quasi contro di me, non smettendo neanche per un istante di stringere le dita intorno alla mia maglia.

Con le iridi di una sfumatura imperscrutabile e non con certezza definibile, a metà tra azzurro e un colore di fondo più cupo, annaspa mentre sfrega convulsamente la guancia contro di me, guardandosi intorno.

Quasi come se fosse improvvisamente incuriosita, non piange momentaneamente più, zittendosi mentre continua a muovere i piedi, non trovando forse una posizione comoda e portandomi di riflesso a sistemarmela meglio in braccio.

Dirigendo la sua occhiata sfocata proprio sulla cugina, suscita il sorriso irrazionale di Lizzie in modo immediato e luminoso, una smorfia gioiosa e svagata che curva all'insù la sua bocca.

Compiendo una lunga falcata verso di me, lei mi raggiunge velocemente mentre allunga in contemporanea una mano verso la neonata, sfiorandole con la punta delle dita il piccolo pugnetto, stretto vigorosamente e con impeto.

Dedicandole una rapida carezza impregnata di una delicatezza di cui ancora mi sorprendo, si limita unicamente fissarla intrigata e affascinata, facendo calare nella cucina un pacato silenzio.

Lo stesso che viene interrotto l'attimo seguente proprio dall'affermazione decisa di Andrew, che risulta perentoria e amorevole al tempo stesso.

- Perchè non vi mettete sul divano mentre io finisco di preparare il biberon? - ci domanda, invitandoci indirettamente a farlo senza contraddirlo e notando probabilmente l'improvvisa calma, decisamente da cogliere al volo senza nessuna rimostranza.

Scoccandomi, difatti, una eloquente occhiata da sotto le ciglia, mi sprona ad acconsentire, riservandomi un debole sorriso.

Annuendo, non protesto assolutamente niente, limitandomi unicamente a scrutarlo un'ultima volta prima di voltarmi con una lenta torsione del busto, compiendo un simultaneo passo in avanti, verso la porta della cucina.

Con gli occhi scuri di Lizzie puntati addosso, cammino, seguita silenziosamente a ruota dalla bambina che, in prossimità dell'uscio, allunga leggermente la mano in direzione della maniglia, flettendola e aprendola subito dopo.

Dedicandole un dolce sorriso come ringraziamento, esco subito dopo dal vano, strisciando leggermente le piante dei piedi mentre attraverso velocemente il corridoio buio, non accendendo volutamente la luce per evitare di svegliare anche Adam.

Muovendomi in modo naturale e conoscendo alla perfezione ormai il nostro appartamento, agisco senza alcuna incertezza o indecisione, inoltrandomi nel salotto con estrema semplicità.

Illuminato fiocamente dal chiarore azzurrino e dalle tonalità quasi fredde proveniente dalle vetrate, i lampioni e le luci di una New York addormentata che giungono fino a noi, sfiorandoci sbiecamente e permettendo ai miei occhi di guardarsi più agevolmente intorno.

Le mie pupille infatti si abituano facilmente ed in modo istantaneo alla improvvisa penombra, l'odore di pulito della stanza che mi investe in pieno le narici nel medesimo attimo in cui Lizzie mi supera con un piccolo saltello, aggirando con semplicità gaia il divano prima di lasciarvici cadere con un delicato rimbalzo, apparendo per nulla stanca o ancora assonnata.

Notando questo fatto, mi dirigo con un lento dondolio verso la poltrona posta alla mia sinistra, la sua pelle color panna che risulta quasi opalescente nell'ammutolito buio della camera, unicamente interrotto da qualche sporadico gorgoglio della bimba.

Poco dopo la nascita di nostra figlia, infatti, io ed Andrew abbiamo deciso di comprarla per svariati motivi, un po' per allargare le sedute del salotto, dopo che la famiglia si era improvvisamente ingrandita, e un po' per avere un appoggio comodo e riservato per tutte le volte che l'avrei dovuta allattare nel cuore della notte.

A questo irrazionale pensiero sorrido debolmente, ricordando quando Andrew me l'aveva fatta trovare in casa un lunedì pomeriggio, sottolineando come avesse scelto il modello reclinabile proprio come io desideravo.

Stringendola a me sotto l'impeto di questi pensieri, fletto, intanto, appena le gambe, cercando di cadere sulla sua morbida seduta nel modo più delicato ed attutito possibile, premendo leggermente una mano sulla sua nuca nel tentativo materno di non farla sobbalzare.

Affondando la schiena nell'imbottitura mi rilasso leggermente, tutta la tensione apprensiva di poco fa che svanisce lentamente dalle mie membra mentre lei sembra improvvisamente essersi calmata.

Facendo attenzione a mantenere il suo capo alzato, la sposto subito dopo dalla mia spalla, facendo in modo di farla sdraiare comodamente sulle mie braccia, la sua guancia che trova subito il mio seno in un gesto istintivo, appoggiandovisi, mentre la presa della sua mano sulla mia maglietta scivola via.

Inclinando la testa di lato ed adocchiandola amorevolmente, i suoi tratti che appaiono distinti nonostante l'oscurità e quasi impressi a fuoco nella mia mente, mi rendo conto con un attimo di ritardo di come, dopo essersi accoccolata contro di me, abbia anche socchiuso le palpebre, godendo del mio rassicurante profumo e calore.

Cullandola leggermente con un movimento ondulante e così fievole da risultare impercettibile, mi mordo il labbro superiore mentre noto Lizzie scivolare sdraiata nell'angolo estremo del divano, le gambe piegate e il viso reclinato lievemente indietro sul cuscino.

In ogni caso, prima ancora che io possa considerare di dirle di andare a letto a riposarsi, il rumore di alcuni passi attutiti dal parquet attirano corposamente la mia attenzione l'attimo seguente, portandomi ad alzare istintivamente il capo nella direzione del corridoio, le mie iridi assottigliate che incontrano immediatamente la figura slanciata di Andrew.

- Ecco, il latte per la mia topolina – afferma di impeto giocosamente ed, insieme, in modo vellutatamente sussurrato agitando il biberon che stringe tra le dita sottili e pallide, alludendo chiaramente a nostra figlia mentre si inoltra nel salotto, facendomi ridacchiare teneramente dinnanzi ad uno dei mille nomignoli con cui ha iniziato a chiamarla.

Fin da subito, difatti, ha iniziato a chiamarla con soprannomi strani e buffi al tempo stesso, scaturendo le irrazionali e incomprensibili risatine gorgoglianti della bimba, non ancora in grado di comprendere appieno il significato delle sue parole ma già profondamente divertita.

Tuttavia, non ho il tempo materiale di invitarlo ad avvicinarsi e di passarmelo dal momento che è lui stesso a parlare, anticipandomi e cogliendomi in contropiede con un mormorio vagamente imperscrutabile che non comprendo subito.

- Anche se non credo servirà – borbotta quasi tra se e se una manciata di secondi dopo, cogliendomi impreparata e alla sprovvista e portandomi ad aggrottare confusa ed interdetta la fronte senza comprendere appieno la sua allusione.

Intanto, lui mi guarda esitante mentre si ferma affianco al divano con una semplice falcata, indicando con un piccolo cenno del mento nostra figlia non appena intravede lo sconcerto nei miei occhi ed espirando in contemporanea in modo pesante nel medesimo attimo in cui si stringe sconsolato tra le spalle, un mezzo sorrisino intenerito.

Ed è unicamente nell'attimo in cui volto velocemente il capo verso di lei, studiandola accuratamente che mi rendo conto di una cosa che mi fa ridacchiare a metà tra il compiaciuto e l'ilare.

Si è addormentata, realizzo sollevata e appagata, storcendo deliziata la punta del naso mentre le mie pupille dilatate scivolano convulsamente sulla sua espressione calma e fortunatamente quietata, più nessuno spasmo dovuto al fastidio.

Facendo estremamente attenzione a non destarla dal suo riposo, muovo leggermente una mano, dedicandole una fragile e delicata carezza sulla guancia rosata e tiepida, un sospiro più lungo che solca la sua bocca dischiusa mentre continua placidamente a dormire con il viso voltato di lato.

Esattamente meravigliata come Andrew, smetto di cullarla gradualmente mentre un pensiero fulmineo mi attraversa in contemporanea la testa, portandomi a guardarlo nuovamente in faccia, la dolcezza che lascia spazio totalmente ad una punta di sbarazzina malizia che mi punzecchia nel profondo.

- La poltrona ha colpito ancora – rido, infatti, in modo sommesso, il leggero e naturale tremore dovuto al divertimento e allegria che mi scuote le spalle nonostante io cerchi di frenarlo con tutte le mie forze per non svegliarla mentre gli lancio uno sguardo svagato, riferendomi contemporaneamente alla poltrona su cui sono seduta.

Da quando, infatti, l'abbiamo acquistata, puntualmente, ogni volta che mi ci sono seduta con l'idea di darle finalmente da mangiare lei si è magicamente addormentata, mandando in fumo i miei piani e l'appetito per cui aveva tanto pianto.

Andrew scoppia a ridere istantaneamente, scacciando i miei pensieri senza dire nulla, limitandosi a scuotere debolmente le ampie spalle in un gesto vago e spontaneo che lascia intendere come tutto questo lo stia rallegrando nonostante la spossante stanchezza che lo affligge.

Curvo maggiormente le labbra verso l'alto, una scintilla che illumina il mio sguardo mentre Lizzie ci guarda sbiecamente senza troppo comprendere il nostro scambio di battute e il nostro complice ridacchiare, le sopracciglia aggrottate ed una espressione incerta stampata in faccia.

Ed è proprio nel medesimo attimo in cui i miei occhi si scontrano contro quelli del padre di mia figlia e lui si siede automaticamente sul bracciolo del divano che mi rendo conto di come questa circostanza buffa e ormai di ordinaria amministrazione ci rappresenti bene, perfettamente.

Sorrido.

Semplicemente di come sia un perfetto ritratto di noi.







- Pensa che puntualmente ogni volta che ti preparavo il latte tu ti addormentavi – afferma in modo acuto e ilare Andrew nel medesimo attimo in cui io mi fermo sulla soglia dell'open space con un piccolo sospiro sognante, il corridoio alle mie spalle mentre resto immobile e sorridente a fissarli, il suo sussurro che mi fa riemergere con estrema facilitá dal ricordo che ho appena rivissuto – Sembrava lo facessi di proposito – ride ancora prendendola quasi dolcemente in giro, non accorgendosi assolutamente della mia presenza e facendo di risposta scoppiare a ridere la bambina, riferendosi ad uno dei tanti aneddoti che si diverte a raccontarle ogni tanto, quando è particolarmente di buon umore.
Un moto di dolcezza mi attanaglia la bocca dello stomaco a questa visione così intima e quotidiana, famigliare.
Continuando a tenere Tommy stretto a se senza il minimo sforzo, la sua indole completamente pacata e bonaria che emerge preponderantemente rendendolo quieto e tranquillo, Andrew dondola appena sul posto in modo ritmico, la camicia azzurra, tenuta volutamente fuori dai jeans che indossa, che fascia alla perfezione la sua schiena ampia e muscolosa, rendendolo semplice ed elegante al tempo stesso.
Sentendomi, però, osservata da un paio di occhi famigliari e, al tempo stesso, indefinibili, un miscuglio di colori che non mi permettono di capire la reale e concreta sfumatura che li definisce, sposto leggermente lo sguardo sul bambino l'attimo seguente, la sua guancia paffuta appoggiata contro la spalla del padre mentre un ciuffo di capelli estremamente biondi circonda il suo viso dai lineamenti delicati, mettendoli in risalto.
Sogghignando spontaneamente rallegrata dalla smorfia di stupore che si delinea sul suo volto, non appena mi riconosce, compio un piccolo passo in avanti nel medesimo attimo in cui gonfio il petto mentre schiudo la bocca simultaneamente, apprestandomi a parlare con puntigliosa semplicità e a palesarmi.
- Non ti addormentavi quando tuo padre ti faceva il latte – puntualizzo, infatti, senza preavviso e cogliendo tutti di sorpresa, correggendo la piccola imprecisione di Andrew e ricordando alla perfezione ogni singolo istante di quei momenti mentre mi pronuncio in modo deciso e quasi saccente, la voce incrinata da una punta di divertimento che la rende frivola e leggera.
Stringendo tra le dita il biberon del bambino ed inarcando intanto un sopracciglio scuro verso l'alto mi inoltro nel soggiorno senza smettere di ridacchiare mentre Andrew si volta celermente verso di me con una piccola torsione del busto, una espressione meravigliata che campeggia limpidamente sulla sua faccia nel medesimo attimo in cui Tom si agita maggiormente.
Scoccandogli una occhiata un po' altera e un po' compiaciuta nel coglierlo per una rara - rarissima - volta impreciso ed in errore, rido appena prima di continuare a parlare con lo stesso identico timbro ilare.
Ugualmente interessata e rapita dal nostro scambio di battute, anche nostra figlia, seduta sulla punta di una delle tante sedie che circondano il tavolo ovale della sala da pranzo, focalizza la sua attenzione su di noi, scrutandoci silenziosamente con le palpebre semi socchiuse, apparendo intrigata ed ammaliata come ogni volta che io e suo padre battibecchiamo giocosamente.
- Era la poltrona a farti addormentare - affermo ancora tranquillamente ed in modo determinato mentre percepisco le loro occhiate affettuose sfiorarmi pacatamente - Non appena mi sedevo con te in braccio, mentre aspettavo che tuo padre portasse il biberon, crollavi come un sasso - concludo infine la mia spiegazione, un velo di dolce melanconia, tipica dei bei ricordi passati, che mi travolge in pieno mentre Andrew rotea scherzosamente gli occhi al cielo, quasi come a voler minimizzare il suo piccolo sbaglio.
Sottolineando proprio questo suo atteggiamento sereno, compie un gesto vago con la mano libera, sferzando l'aria mentre i capelli, leggermente più corti del solito, accentuano la sua aria eternamente sbarazzina e mascolina al tempo stesso.
Tuttavia, prima ancora che lui abbia il tempo di ribattere, nostra figlia ci interrompe, mandando in frantumi il nostro ironico scambio di occhiate con un mormorio meravigliato e così vispo da risultare acuto, quasi stridulo.
Senza lasciarci il tempo di parlare, infatti, ci interrompe bruscamente, ricordandomi indirettamente la mia stessa irruenza quando mi preme dire qualcosa di particolarmente importante o la curiosità mi sta divorando, rendendomi frenetica ed impaziente.
Sorrido dinnanzi a questo paragone così naturale.
- Davvero, mamma? - mi incalza sporgendosi leggermente oltre il bordo del tavolo nel tentativo di richiamare più insistentemente la mia attenzione, appoggiando entrambi i gomiti sul ripiano lucido e finendo, di fatto, per arricciare e stropicciare tutti i fogli su cui stava disegnando, sparsi qui e là e sommersi parzialmente dai pennarelli colorati.
Mamma, come accade nei miei momenti di accoratezza e sentimentalismo, il sentirmi chiamare in questo modo mi destabilizza leggermente, causandomi una morsa di incontrastabile tenerezza all'altezza del cuore.
Inclinando leggermente il viso nella sua direzione, mi avvicino ancora fino ad affiancare Andrew, guardandola attentamente e specchiandomi nei suoi occhi dilatati dallo stupore e dall'interesse.
Così simili e, al tempo stesso, diversi dai suoi.
Annuendo celermente come risposta nel medesimo attimo in cui appoggio una mano sulla piccola schiena di Tommy, deliziandolo con una coccola che sembrava disperatamente agognare e in cui si crogiola amorevolmente compiaciuto, perdo qualche secondo ad osservarla accuratamente, non riuscendo ad abituarmi al mix dei miei tratti fusi con quelli di Andrew.
Nonostante, infatti, siano passati ormai sei anni dalla sua nascita, mi ritrovo ancora a meravigliarmi sibillinamente nel ritrovare in lei atteggiamenti caratteriali tipici di Andrew o vederla esibirsi in una delle mie tante smorfie stizzite, imbronciandosi nel medesimo modo in cui inconsapevolmente faccio io.
Restando trepidantemente in attesa che io snoccioli altri particolari, socchiude appena le palpebre, le iridi caratterizzate da una particolare sfumatura di grigio che le rende quasi uniche.
Bensì, difatti, richiamino particolarmente quelli di Andrew, non appaiono perfettamente uguali, un fondo scuro e più torbido che le rende molto meno leggibile, celando spesso i suoi pensieri, e che probabilmente in futuro faranno dannare molti ragazzi.
Sorridendo, affondo gli incisivi nel mio labbro inferiore a questa elucubrazione mentre Andrew borbotta una affermazione che realmente non sento, dissolvendosi in un semplice ronzio di sottofondo nel medesimo attimo in cui una riflessione lontana mi attraversa la mente, portandomi a ricordare la sua estrema gioia nel constatare il colore degli occhi della figlia.
Con ancora il sapore del bacio intenso e carico di languido sentimento che mi aveva dato l'attimo seguente dopo aver guardato orgogliosamente la bambina impresso a fuoco nel cervello e sulla pelle, sospiro debolmente, rammentando come mi avesse rivelato intimamente ed in un complice sussurro come avrebbe ardentemente voluto che fossero scuri come i miei.
Lo stesso bacio che mi aveva strappato anche quando avevamo scoperto, durante la mia seconda gravidanza, di aspettare un maschietto e la mia proposta di chiamarlo Tom, come suo fratello.
Una ondata di brividi e palpitazioni mi assale facilmente a questo pensiero, destabilizzandomi con un turbinio di emozioni nonostante ormai sia passato un po' di tempo, quell'identico senso di vulnerabilità e amore che mi pungola nel profondo.
- Ma è la stessa su cui dai da mangiare a Tom? - mi tormenta ancora lei, genuinamente curiosa, facendomi riemergere dalle mie elucubrazioni in un sol soffio, mentre sbatte quasi convulsamente le ciglia chiare e quasi bionde, esattamente come i capelli lunghi fino alle spalle che le incorniciano il viso pallido.
Dimostrando un incredibilmente spirito di osservazione e il suo essere particolarmente sveglia nonostante i pochi anni, si stringe appena tra le spalle, facendo arricciare il cappuccio della felpa blu scuro che indossa mentre arriccia la bocca a cuore, sormontata dal piccolo naso a patata, in un broncio pensieroso e quasi perplesso.
Gonfiando le guance con un muto sbuffo di impazienza, mi strappa un piccolo risolino nel medesimo attimo in cui Andrew si piega impercettibilmente in avanti, permettendomi di agguantare con estrema facilità nostro figlio.
- Si, Anne – soffio con semplicità, chiamandola dolcemente ed in modo sciolto per nome, facendola sogghignare compiaciuta ed esaltata per esserci arrivata da sola e senza bisogno di aiuto, una smorfia vittoriosa e altera che campeggia sul suo viso e che la rende incredibilmente identica ad Andrew al momento – Proprio quella – continuo ancora indicandola con un cenno del capo, appoggiando entrambe le mani sul piccolo torace di Tom, prendendolo agilmente in braccio e sistemandolo contro di me dopo aver posato il biberon sul tavolo.
Lui, come accade consuetamente, non protesta minimamente, adagiandosi contro di me senza alcuna rimostranza ed emettendo unicamente un sospiro goduto, manifestando chiaramente una indole molto più calma e meno turbolenta rispetto alla sorella.
Storcendo leggermente la punta del naso e muovendosi sulla sedia, agita il pennarello nero che stringe tra le dita mentre si appresta a parlare ancora, manifestando un lato sognante e fantasioso che assolutamente condivide con me.
- Allora, è una sedia magica! - deduce con un trillo, riuscendo unicamente a spiegarsi tutta questa situazione in questo strambo e strano modo, trattenendo estasiata il respiro mentre scrolla il capo, facendo ondeggiare alcune fini ciocche sulle sue spalle esili, ed usa il colore quasi come fosse una bacchetta, riproducendone i movimenti.
Sia io che Andrew scoppiamo vigorosamente a ridere dinnanzi a questa sua affermazione così stravagante e inattesa, scambiandoci uno sguardo complice e divertito, un moto di ilarità che contagia entrambi.
Accarezzando delicatamente la nuca del bambino, intanto, con la mano libera afferro nuovamente il biberon, ormai tiepido e alla giusta temperatura.
Senza dire nulla mi guardo brevemente intorno, l'arredamento del nostro appartamento che è rimasto di fatto immutato, fatta eccezione per qualche soprammobile nuovo dovuto a qualche inconsueto regalo di Natale e alla poltrona color panna.
Per creare maggior comodità e far in modo che i posti a sedere non venissero mai a mancare vista la numerosità della nostra famiglia, infatti, abbiamo aggiunto un altro divano a due posti nel salotto un paio di anni fa, dovendo così spostare la poltrona reclinabile nell'angolo del soggiorno, situandola nell'angolo tra la parete più lunga e il piccolo pilastro che sorregge l'arco squadrato che collega i due ambienti.
- Più o meno, tesoro – ride ancora in risposta lui, causando la sua smorfia un po' interdetta e un po' sconcertata, il probabile dubbio di essere presa in giro che sembra abitarla, apparendo leggibile sui tratti delicati sul suo viso.
Lui, intanto, passa i palmi delle sue mani leggermente sul tessuto dei suoi jeans prima di raggiungere, con una semplice falcata, la sedia semi scostata dal tavolo, prendendovi posto con un movimento semplice e fluido mentre un plico di fogli accuratamente impilati campeggiano sul ripiano lucido, facendomi intuire come stesse lavorando in presenza di Anne.
Cosa che accade di frequente, realizzo mentre lo aggiro con una piccola falcata, apprestandomi a dirigermi verso la poltrona nel tentativo di dare da mangiare al bambino, che ha ripreso a lamentarsi debolmente, probabilmente stufo di dover attendere ancora.
Picchiettando debolmente le dita sulla sua schiena per farlo calmare, la raggiungo in poco meno di una frazione di secondo, le mie pupille che cadono involontariamente sul box blu, pieno di giochi per neonati e dove campeggia una piccola coperta azzurra accartocciata, e dove abitualmente siamo soliti mettere Tom durante il riposino pomeridiano.
Flettendo debolmente le gambe, mi ci seggo pacatamente mentre, contemporaneamente ed in modo automatico, sposto il bimbo dalla mia spalla, accomodandolo sdraiato sul mio braccio e contro il mio seno.
Lui, istintivamente, muove leggermente le mani, adocchiandomi dal basso e gorgogliando un qualcosa di incomprensibile mentre io gli sorrido amorevolmente, imboccandolo con gentilezza con il biberon.
- Ora si mangia, finalmente, amore – gli sussurro amorevolmente mentre un mesto silenzio pervade per una manciata di secondi la stanza, risultando pacato ed estremamente piacevole.
Espirando goduto e socchiudendo immediatamente appagato gli occhi, Tom inizia subito dopo a succhiare il latte, il corpo che si rilassa accondiscendente contro di me mentre io mi perdo ad osservarlo, non riuscendo a non trovarlo incredibilmente simile ad Andrew.
Il taglio degli occhi, la forma della bocca e il profilo del naso, tutto lo ricorda alla perfezione, considero per l'ennesima volta in questi mesi.
Se, infatti, ho faticato a comprendere la reale somiglianza che tutti vedono tra me ed Anne, trovando difficoltà a scorgere i miei lineamenti e a non focalizzarmi unicamente su quelli che ha preso da Andrew, Tom si è rivelato essere un piccolo Andrew in miniatura.
In tutto tranne che nel colore degli occhi, gli sistemo meglio il biberon nel tentativo di non farlo ingozzare mentre rimugino su come, di fatto, questa unica caratteristica sia rimasta una totale incognita, non permettendoci di stabilire appieno la sua somiglianza.
In ogni caso, prima ancora che io abbia la prontezza di pensare altro, è Andrew a richiamarmi alla realtà con un mormorio sottile e pronunciato quasi tra se e se, attirando la mia attenzione.
- Lizzie prima mi ha scritto che sono appena usciti dal cinema – afferma in modo limpido e sereno alludendo alla nipote, portandomi ad alzare appena il mento e a guardarlo, trovandolo semi girato di trequarti verso di me e con un braccio appoggiato mestamente sul tavolo.
Compiendo una piccola pausa non dice poi nulla mentre io annuisco semplicemente ed Anne continua a disegnare in tutta tranquillità, limitandosi ad ascoltarci con una espressione concentrata stampata in faccia, le piccole dita macchiate di alcune chiazze di colore.
Irrazionalmente, intanto, il mio cervello mi porta a pensare a come ormai Lizzie sia diventata una adolescente e come, tra poco meno di due anni, partirà per il college, una morsa di leggera e apprensiva ansia che mi occlude la bocca dello stomaco a questo pensiero.
Tuttavia, viene scalzata dalla voce imponente e vagamente stizzita di Andrew, che continua il suo discorso mentre lancia una occhiata di sbieco al suo telefono cellulare, abbandonato poco lontano il plico di fogli.
- E mi ha detto che ora lei e quel tipo vanno a fare un giro al centro commerciale – borbotta ancora torvamente, roteando stancamente ed in modo infastidito gli occhi al soffitto prima di esibirsi in una evidente espressione carica di irritazione e preoccupazione.
Riferendosi chiaramente a Alex, il compagno e quasi fidanzato di Lizzie, infatti, manifesta un chiaro astio nei suoi confronti, alludendo alla giornata che hanno deciso di passare insieme nonostante il tempo uggioso e freddo.
Da quando, difatti, qualche mese fa, Lizzie ha manifestato di essersi presa una cotta per lui e poi l'aver annunciato il loro uscire insieme, Andrew non lo ha decisamente preso in simpatia, trovandolo inadeguato quasi in tutto e portandomi a riflettere su come, in futuro, farà nell'esatto modo anche con nostra figlia.
Se non peggio, mi corregge una vocina interiore nella mia testa mentre Tom finisce completamente il latte, sospirando goduto e appagato prima di socchiudere quasi totalmente gli occhi, probabilmente pronto a dormire.
- Si chiama Alex – puntualizzo io andando indirettamente in soccorso di Lizzie, correggendo il modo per nulla positivo con cui lo ha apostrofato e lanciandogli uno sguardo ammonitore ed eloquente, trovandolo quasi dolcemente apprensivo – E poi non capisco perchè non ti piace, va bene a scuola ed è figlio di una buona famiglia continuo inarcando un sopracciglio castano verso l'alto, perforandolo con la mia miglior occhiata inquisitrice mentre lui compie un gesto vago con la mano, quasi come a voler scacciare una mosca o un qualcosa di fastidioso – E' un ragazzo apposto, Andrew – concludo perentoriamente infine, ricalcando, di fatto, l'ennesima identica discussione a riguardo.
Non è, infatti, decisamente la prima volta che ne parliamo o che cerco di far scemare la sua immotivata simpatia, ottenendo unicamente l'effetto contrario e il suo incaponirsi.
Nel momento stesso in cui dedico una piccola carezza a Tommy, portando indietro lentamente un ciuffo dei suoi sottili capelli, facendolo ulteriormente rilassare, Andrew ribatte, gonfiando le guance con un imponente sbuffo che concretizza subito dopo.
- Apposto? - mi chiede in modo petulante e quasi stridulo, alzando leggermente il tono della voce mentre ricalca, di fatto, l'aggettivo con cui ho definito Alex, portandomi ad intuire come sia sul punto di dissentire vigorosamente – Ha già un tatuaggio e ha solo sedici anni! - afferma ancora determinato e testardo, quasi cocciutamente deciso ad avere ragione, assottigliando pericolosamente gli occhi ed alludendo, imbronciato, al piccolissimo tatuaggio che il ragazzo ha sul polso sinistro riportante una frase latina: hic et nunc – Non mi piace per niente quel tipo – conclude imperterrito e sprezzante, scuotendo lentamente il capo quasi a voler sottolineare il suo dissenso.
Arricciando le labbra in una smorfia sfibrata e stanca, lo trucido con lo sguardo, trovando una somiglianza disarmante tra lui e mia madre, un moto di ilarità che mi pervade a questo irrazionale e automatico pensiero e che scalza per una frazione di secondo l'interesse per il discorso riguardante Lizzie.
- Sembri mia mamma,sai – lo pungo volutamente, in modo ironico e sarcasticamente tagliente, palesando concretamente a parole questa stramba somiglianza, l'ultima decisamente che mi sarei mai immaginata di riscontrare.
Allargando allusivamente gli occhi e curvando all'insù le sopracciglia, lo fisso in attesa con un piccolo smaliziato sorriso che campeggia sulla mia bocca carnosa, notando distintamente una scintilla di stupore e poi di orrore nello scoprirsi simile a mia madre ai tempi d'oro, quando non poteva sopportarlo e lo sferzava di continuo con pungenti battutine.
O, forse, realizzo, è semplicemente il pensiero che Lizzie possa finire nella nostra stessa situazione, con dei figli, in un futuro prossimo a farlo inorridire così tanto, atterrendolo.
Non riuscendo assolutamente a trattenermi, scoppio mestamente a ridere l'attimo seguente, socchiudendo le palpebre e stringendomi appena tra le spalle, guadagnandomi la sua occhiataccia assassina e per nulla rallegrata.
A complicare ulteriormente la situazione, tuttavia, ci pensa Anne una manciata di secondi dopo, alzando appena il capo dal foglio che stava colorando e fissando intensamente il padre, una espressione seria e determinata che campeggia sul suo viso.
- A me Alex piace, papi – afferma con estremo candore, assestandogli, di fatto, il colpo mortale, la sua vocina sottile e sincera che appare carica di onesta dolcezza mentre non comprende probabilmente la malizia insita nella sua affermazione, essendo ancora troppo piccola – E' carino e simpatico – aggiunge ancora tranquillamente, una smorfia di terrore che attraversa, per un attimo, glacialmente il viso di Andrew, acutizzando di riflesso le mie risa fin quasi a provocarmi le lacrime agli occhi – Perchè non lo invitiamo qui più spesso? - ci domanda ancora, alludendo a tutte le attenzioni bonarie che il ragazzo le dedica, facendola giocare e dimostrando una estrema abilità nel interelazionarsi con i bambini ogni qualvolta si ferma a cenare con noi.
Faticando a contenermi, li adocchio mentre mia figlia lo guarda candidamente in modo innocente, restando in attesa di una risposta.
Andrew sgrana al contrario gli occhi, per nulla compiaciuto o felice del commento della figlia, il solo pensiero che Anne sia già interessata al genere maschile che sembra ghiacciarlo sul posto, fulminandolo tetramente e facendogli ribollire il sangue nelle vene.
- Vediamo – sussurra quasi con un filo di voce lui, apparendo quasi sul punto di dover scoppiare da un momento all'altro, chiaramente preso in contropiede dalla richiesta della figlia, assolutamente inaspettata e insolita – Ma, in ogni caso, tu non dovrai uscire con un ragazzo almeno fino ai trent'anni ok, amore? - le chiede subito dopo, le sue parole che suonano quasi come una premurosa imposizione mentre si sporge leggermente in avanti, esprimendosi in modo chiaro e determinato.
Non comprendendo probabilmente molto questa strana e assurda richiesta, lei aggrotta confusa ed interdetta la fronte, guardandolo leggermente dal basso per un lungo attimo di silenzio, quasi come se stesse soppesando l'importanza di questa asserzione.
- Ok – afferma infine appena con facilità, facendo appena spallucce prima di abbandonare il pennarello rosso, rigorosamente senza tappo, sul tavolo ed afferrare quello azzurro cielo, tornando a disegnare come se nulla fosse.
Ridacchiando, mi mordo leggermente il labbro inferiore, l'ipotesi di poco fa riguardo la futura adolescenza di nostra figlia che si rafforza, rendendo quasi incontenibile il mio essere gaia e svagata.
Incassando appena il capo tra le spalle mi porto subito dopo una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio, scostandola dalla mia guancia arrossata e leggermente accaldata.
Notando proprio i miei risolini acuti e strascicati al tempo stesso, Andrew si volta subito dopo verso si me, fulminandomi con una amorevole e piccola occhiataccia.
- Non è per nulla divertente, guarda – bofonchia quasi imbronciata prima di espirare in modo pesante e accorato, alludendo alla situazione che si sta venendo a creare mentre mi riprende bonariamente ed in modo delicato, corrucciandosi.
Sorridendo in modo estremamente luminoso e trasparente, mi umetto con la punta della lingua il labbro superiore mentre Tom si agita appena tra le mie braccia, allungando una gamba nel tentativo di sistemarsi meglio senza, tuttavia, interrompere il suo placido e tranquillo sonno.
- E tu che avresti voluto un'altra femmina – scherzo, pungendolo nuovamente ed alludendo al suo desiderio, non appena avevo scoperto di essere nuovamente incinta, di avere un'altra piccola donna in giro per casa – Saresti impazzito di gelosia – affermo ancora, sghignazzando sibillinamente mentre una espressione eloquente e sicura di me distorce i miei lineamenti.
Alzando entrambe le mani verso l'alto, quasi come a voler chiedere venia o una proposta di pace, lui sospira nuovamente, sgonfiando il petto e scrollando appena le spalle, assentendo silenziosamente.
Così, un breve attimo di calma e quiete cala intorno a noi, unicamente il rumore della punta dei pennarelli di Anne, premuti con fin troppa forza sulla carta, che lo incrinano delicatamente, creando una bolla di pace e tranquillità che mi godo appieno.
Socchiudendo appena le palpebre, reclino il capo indietro fino ad appoggiare la nuca sul poggia testa della poltrona, cercando di accomodarmi meglio e di godere almeno per qualche istante di questo caldo e torbido riposo, conscia di come probabilmente questa notte mi toccherà svegliarmi almeno una o due volte per dar da mangiare al bambino.
In ogni caso, non appena mi crogiolo nel silenzio della mia mente e dell'oscurità che le mie iridi serrate mi consentono un pensiero fulmineo mi attraversa la mente, facendo tornare in primo piano un qualcosa che mi stavo quasi scordando di dire ad Andrew.
- Stamattina ha chiamato tua mamma – mormoro, , di punto in bianco concretizzandolo senza alcuna esitazione, riaprendo gli occhi e fissandolo, le mie pupille che lo trovano intento a leggere ammutolito alcuni documenti – Ha detto che ci riportano Adam stasera sul tardi – aggiungo riferendomi chiaramente al bambino.
Approfittando del week-end libero e privo di compiti a causa del ponte festivo che la scuola Media che frequenta ha fatto, difatti, Elinor ed Adam Senior hanno deciso di portarlo a passare qualche giorno in montagna, assecondando il suo desiderio di imparare ad usare lo snowboard.
Non avendo nulla in contrario, sia io che Andrew non ci eravamo opposti, consci di come avesse bisogno, in qualche modo, di passare qualche giorno tranquillo, senza urla di bambini e pannolini.
Alzando il mento quel tanto che basta per guardarmi direttamente in faccia, lui annuisce con semplicità, un guizzo di allegria che illumina le sue iridi azzurre e che mi fa capire come, anche lui, sia intimamente contento di rivederlo nonostante i pochi giorni di distanza.
Da quando, infatti, ormai molto tempo fa, Adam e Lizzie hanno iniziato ad abitare con noi, è stato sempre incredibilmente difficile separarsi da loro anche solo per qualche giorno, diventando parte costituente ed integrante della nostra famiglia.
Inspiro una profonda boccata d'aria, scoprendomi leggermente illanguidita dall'alone lontano dei ricordi, dei primi momenti in cui entrambi, ancora piccoli e poco più che bimbi, hanno incominciato a vivere con noi, accettando da subito la presenza di una neonata.
Stranamente, rifletto, non era stato complicato integrare il tutto, far combaciare le necessità di una bambina appena nata e quelle dei nipoti di Andrew, riuscendo a creare velocemente un giusto equilibrio tra tutto.
Cosa che, assolutamente, non sarebbe stato possibile senza l'aiuto dei miei genitori, di quelli di Andrew e la preziosa e gentile disponibilità di Sam che, da poco più di un anno e mezzo, è diventata madre del suo primogenito Connor.
Un leggero sorriso mi solca le labbra a questo pensiero, la consapevolezza che tutti i tasselli nelle nostre vite sono andati lentamente ad incastrarsi alla perfezione, pennellate dalle diverse sfumature che hanno completato i nostri ritratti.
Sospiro.
I miei pensieri quasi esistenzialisti, però, vengono interrotti l'attimo dopo da Anne che, saltando giù dalla sedia con un piccolo e rumoroso saltello, si avvicina quasi correndo a me, ignara di disturbare il sonno del fratello o di poterlo svegliare.
Cosa che, fortunatamente, non accade, mi rincuoro adocchiandolo.
In modo quasi frenetico e sorridendo nello stesso identico modo che caratterizza anche Andrew quando è particolarmente compiaciuto ed esaltato da qualcosa, si ferma alla mia destra il secondo dopo, stringendo convulsamente tra le dita un foglio squadrato e visibilmente colorato.
- Guarda cosa ho fatto, mamma – mi dice scalpitante e ansiosa di conoscere il mio parere, il fatto di conoscere il mio amore per l'arte e tutto ciò che riguarda carta, tele e pennelli che, da sempre, la rende smaniosa di emularmi – Vieni anche tu, papi? - lo incalza subito dopo con vanesia sicurezza, non permettendogli di leggere con calma i documenti che stava osservando, pungolando vispamente nel tentativo di attirare la sua più che totale concentrazione.
Inclinando leggermente il viso verso di noi, lui aggrotta leggermente le sopracciglia senza capire a cosa lei si stia riferendo, individuando unicamente con un attimo di ritardo il disegno della bambina, comprendendo alla perfezione ciò a cui si sta riferendo.
- Certo tesoro – bofonchia lui come assenso, annuendo appena mentre, in contemporanea, fa leva sulle gambe, alzandosi in piedi.
Sorridendo in modo dolce e debole al nostro indirizzo, ci raggiunge con una manciata di piccole falcate, provocando il sorrisetto estasiato di sua figlia e il mio sguardo attratto e carico di amore.
Fissandomi con i suoi grandi occhi grigi spalancati e le guance leggermente arrossate, Anne si muove poi irrequieta sul posto, non volendo proprio saperne di stare ferma, nel medesimo attimo in cui lui si ferma dall'altro lato della poltrona, appoggiando intimamente una mano sulla mia spalla sottile.
Sogghignando teneramente, allungo simultaneamente la mano libera verso di lei, afferrando con estrema attenzione e delicatezza il disegno.
Fingendo di assumere una espressione critica e volutamente seria che la fa scoppiare a ridere, lo tengo leggermente sollevato dinnanzi al mio viso, adocchiandolo con accuratezza.
Le mie pupille notano all'istante lo sfondo azzurro che riempie circa metà foglio, rappresentando probabilmente il cielo, e dove campeggia uno stilizzato e giallo sole e una grossa nuvola tondeggiante.
Fissandomi insistentemente, lei congiunge le mani dietro la schiena, assottigliando la bocca ad una linea agitata e sottile mentre dondola sul posto, non incalzandomi con nessun commento petulante o ansioso.
Subito dopo, però, una figura stilizzata e molto più alta rispetto alle altre attira il mio interesse, dei sgargianti capelli gialli che contornano il viso sorridente ed accompagnano la maglietta blu, come i pantaloni, che indossa.
Andrew, riconosco all'istante, notando come lei abbia esasperato l'altezza del padre, trovandolo probabilmente estremamente alto rispetto a lei.
Notandolo contemporaneamente, percepisco il risolino divertito e quasi soffocato di Andrew, un suono argento e fragorosamente allegro che mi contagia e che mi contagia l'udito.
Affianco, poi, compare una figura più bassa e con indosso un vestito azzurro e verde, i capelli leggermente di una sfumatura più scura, quasi ocra, che richiamano quelli castano chiaro di Anne, portandomi a considerare come si sia ritratta con una margherita bianca in mano, uno dei suoi fiori preferiti.
Io, invece, compaio qualche centimetro dopo, intenta a tenerla per mano e con i capelli legati in una stilizzata e scompigliata coda marrone, le labbra tinte di rosso che devono probabilmente richiamare il mio usare, a volte, i lucidalabbra mentre, con il braccio libero, tengo in braccio quello che appare quasi come un fagotto senza volto.
Unicamente una macchia di colore rosa, infatti, lo rende simile ad un neonato mentre poco oltre il disegno che mi raffigura compiano altre due figure abbozzate e più o meno alte uguali.
Vi è, infatti, un bambino, con dei capelli biondi e con dei pantaloncini rosso fuoco e una maglia arancione, una palla da basket messa ai suoi piedi, e una ragazza con dei lunghi capelli scuri, una gonna nera che probabilmente deve richiamare la divisa della scuola e un maglione smanicato color carta da zucchero.
Adam e Lizzie, sorrido, riflettendo unicamente ora su come abbia rappresentato tutti noi, lasciando un piccolo spazio bianco ancora da colorare sull'estremo lato destro.
- Amore mio, è bellissimo – le dico di impeto e realmente sincera, alzando lo sguardo scuro per guardarla nuovamente in faccia, non smettendo neanche per un attimo di sogghignare, complimentandomi con lei mentre Andrew mi fa eco – Stai diventando proprio bravissima a disegnare – affermo, conscia di come la mania del momento sia il suo voler diventare una pittrice da grande.
Gongolando silenziosamente soddisfatta, lei ghigna dolcemente, piegando leggermente il capo di lato prima di compiere un piccolo passo in avanti, prendendo posto con un movimento agile e semplice sul bracciolo della poltrona, facendola dondolare appena.
- Questo è papà – mi indica con il piccolo dito la figura che ritrae Andrew, sporgendosi leggermente in avanti e facendo, involontariamente, girare suo padre che, sentendosi richiamato, la guarda amorevolmente deliziato dalla sua opera artistica alquanto stilizzata e approssimativa – Ci sono io, ci sei tu con Tom e poi Adam e Lizzie – mi spiega accuratamente, sospirando lievemente le parole senza mai staccare gli occhi al suo disegno, apparendo quasi orgogliosa della sua opera – Volevo disegnare anche i nonni ma non ci stavano – mormora poi realmente dispiaciuta, stringendosi appena tra le spalle ed arricciando la piccola bocca in un broncio mesto, quasi rammaricata da questo fatto.
Deliziata dalla sua amorevole innocenza, le scocco una occhiata carica di amore e tenerezza, tentando di farle capire in modo silenzioso come il suo sia stato comunque un bellissimo pensiero nonostante questa piccola mancanza.
Però, non ho praticamente il tempo materiale di schiudere la bocca e di parlare dal momento che lei alza appena il mento, esprimendosi e cogliendomi quasi alla sprovvista per l'asserzione con cui mi sferza, un qualcosa di strano ed incomprensibile che a toccare un tasto sensibile dentro di me.
Appoggiando una mano sul lembo opposto a quello che sto stringendo io tra i polpastrelli, difatti, lo sorregge insieme a me, aiutandomi quasi a farlo.
- Siamo noi, però – aggiunge infatti, cercando di farmi infantilmente capire come nonostante quella piccola dimenticanza non mini il ritratto della nostra famiglia.
Inaspettatamente, il fiato mi si spezza in gola dinnanzi alla sua bonaria innocenza e premurosità, il cuore che accelera leggermente i battiti mentre un moto di dolcezza ingovernabile ed insopprimibile di dolcezza mi travolge in pieno, sottolineando una verità che non avevo inizialmente colto.
Istintivamente, stringo maggiormente a me Tom avviluppandolo maggiormente in un abbraccio serrato e caldo che lo fa mugolare appena, appagato dal contatto contro il mio seno morbido e ancora vagamente gonfio.
Un nodo di emozioni e sentimenti mi occlude vigorosamente la gola mentre lei mi adocchia sorridente, portandomi ad annuire commossa e accorata, lo sguardo appena lucido ed illanguidito da ciò che un semplice disegno è riuscito a scaturire dentro di noi.
- Si, tesoro, siamo noi – le do ragione con un semplice mormorio, la voce che si incrina appena e che vacilla sotto il peso della bellezza di queste percezioni totalizzanti ed intense.
Le stesse che mi fanno sentire così completa e vulnerabile allo stesso tempo, che mi fanno sentire solamente bene.
È la mia famiglia, realizzo sibillinamente mentre scruto per un'ultima volta il disegno, trovandolo perfetto nelle sue imprecisioni.
Deglutisco a fatica, il sospiro accorato di Andrew, alle mie spalle, che mi porta ad alzare simultaneamente il capo per poterlo guardare in faccia, scambiandomi con un lui uno sguardo carico di complicità e amore profondo ed immenso, sconfinato.
È la nostra famiglia.
- Penso che dovremmo appenderlo in salotto quando lo avrai finito, amore – le dico ancora, causando la sua espressione esaltata e profondamente stupita, il fatto di essere ritenuta così brava da esporre il suo disegno che la illumina vigorosamente in viso, rendendola quasi impaziente.
Ed è proprio mentre lei mi butta quasi le braccia al collo, abbracciandomi di slancio e incurante della presenza addormentata di Tom e riempiendomi il viso con dei piccoli bacini di ringraziamento che mi rendo conto di come questo sia il ritratto più bello che io abbia mai visto.
Semplicemente, perchè è il ritratto di noi.


Note:
Buonasera!
Ed eccoci qui con l'epilogo di Ritratto di noi, l'ultimissimo capitolo davvero della continuazione di Ritratto di te.
Questa volta, infatti, non vi sarà più alcun continuo anche se non escludo totalmente, magari in futuro, di scrivere qualche OneShot su di loro o dei MissingMoments.
Per me è abbastanza difficile cliccare sul tasto “completa” e concludere questa storia dal momento che mi sono molto affezionata ai personaggi, alle situazioni e all'appuntamento settimanale dell'aggiornamento.
Tuttavia, sono anche molto soddisfatta e contenta di come questa avventura si sia concretizzata, di come sia uscita e del fatto che vi sia piaciuta.
Passando al capitolo, ora, come avrete intuito leggendo questo epilogo, vi è un salto temporale, sia per quanto riguarda la parte al presente, sia per quanto riguarda quella pertinente al flashback.
Nel primo caso, infatti, sono passati esattamente sei anni dal momento del parto, coincidente esattamente con la fine dello scorso capitolo, mentre nel ricordo solo qualche mese.
Come avete avuto modo di scoprire tramite questo scorcio di vita, Emma ed Andrew hanno avuto una bambina, Anne, alla fine e, solo in seguito, un bambino, che hanno deciso di chiamare Tom.
Nonostante sia vagamente diverso da come lo avevamo inizialmente pensato, questo epilogo chiude esaustivamente il cerchio della storia, permettendoci di vedere ciò che è accaduto e di lasciarci con la consapevolezza di ciò che accadrà: Lizzie ed Adam sono cresciuti, Sam ha avuto un bambino ed Emma ed Andrew vivono felicemente la loro quotidianità.
Direi che non c'è molto altro da dire, se non che spero che questo ultimo capitolo vi sia piaciuto, vi abbia soddisfatto e che vi abbia fatto piacere seguirci almeno quanto è piaciuto a noi.
Volevo, inoltre ringraziare di cuore tutti coloro che hanno letto, le persone che hanno recensito o inserito la storia tra le preferiti/seguite.
In ogni caso, questo non è l'ultimo appuntamento dal momento che vi perseguiteremo ancora;)
Abbiamo, infatti, deciso di iniziare una nuova storia, che verrà sempre pubblicata ogni mercoledì e che per certi versi si discosterà da questa storia, restando comunque caratterizzata dal nostro stile.
Per stuzzicare un po' la vostra curiosità, abbiamo lasciato un piccolo spoiler sul titolo in questo epilogo, sta a voi trovarlo!:) Avete capito qual è?
Il prologo, quindi, verrà pubblicato Mercoledì 2 Luglio.
A presto,

Xoxoxo

Live in Love








   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: live in love