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Autore: Laylath    26/06/2014    1 recensioni
(Spin off di Un anno per crescere )
Più di venti anni prima che un gruppo di ragazzi intrecciasse i propri destini in un piccolo angolo di mondo, a New Optain, una pasticciera ed un poliziotto fanno il loro primo incontro.
Ecco la storia di Vincent e Rosie, i genitori di Vato.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vato Falman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo II

1876. Colazione segreta

 

Vincent Falman non aveva mai avuto molti rapporti con il gentil sesso.
La vita non era stata buona con lui, privandolo di entrambi i genitori in tenera età, e si era sempre dedicato allo studio prima e al lavoro poi. Solo quando era diventato poliziotto ed aveva avuto finalmente uno stipendio per rendersi indipendente dalla zia che l’avevano ospitato per tutti quegli anni si era sentito in qualche modo appagato.
Tuttavia queste sue vicende personali l’avevano spinto a una notevole severità e rigidità in primis nei confronti di se stesso: anche adesso che in qualche modo era libero non abbandonava la sua aria marziale che ormai faceva parte di lui.
Si concedeva veramente pochi strappi alle regole, spesso trascinato dai suoi compagni di squadra, ed in ogni caso le donne non rientravano certo nei suoi interessi.
Per questo per lui fu estremamente imbarazzante quando, un paio di mattine dopo, almeno un’ora prima di entrare in servizio, si trovò davanti a quella pasticceria.
Non sapeva nemmeno lui perché l’aveva fatto: era uscito prima di casa, senza nemmeno prepararsi il solito caffè, ed i suoi piedi si erano mossi da soli in quella direzione. Una cosa veramente stupida considerato il freddo che faceva a gennaio, dove ogni minuto passato dentro casa era prezioso.
Guardando la vetrina illuminata dalla luce del lampione lì vicino si chiese che cosa diavolo gli era saltato in mente. Trovò una risposta, ma gli sembrò decisamente stupida ed infantile e poco adatta a lui: certo in quei giorni quella timida ragazza con quel suo sorriso così dolce ed incantevole gli era tornata in mente diverse volte, però arrivare addirittura a questo…
Andiamo che sciocchezza, non ci siamo scambiati che poche parole e non…
“Buongiorno.” salutò una voce accanto a lui, distraendolo dai suoi pensieri.
Si girò e vide che si trattava proprio di lei, il volto mezzo coperto da una sciarpa lilla ed un pesante cappotto verde scuro abbottonato: se gli era sembrata minuta qualche giorno prima, infagottata in quell’indumento lo era ancora di più. Vincent fu quasi sicuro che lo doveva aver ereditato da una delle sorelle.
Nella parte del viso lasciata libera dalla sciarpa, occhi spalancati e lievemente timorosi lo fissavano con curiosità, probabilmente chiedendosi cosa ci facesse in giro a quell’ora.
“Buongiorno, signorina.” salutò, girandosi completamente verso di lei.
“Aspettava che aprissi? Mi scusi, oggi sono un po’ in ritardo: ci sono mia madre e mia sorellina con la febbre e a casa dobbiamo fare tutto in due perché mio padre è fuori città – armeggiò con la chiave del negozio e aprì la porta – venga dentro, la prego, fuori si gela: sono appena le sette e mezza.”
“Veramente passavo qui per caso mentre andavo a lavoro – mentì lui, seguendola dentro e osservandola levarsi la sciarpa per liberare i capelli neri che le caddero dolcemente sulla schiena – mi… mi sono ricordato che qualche giorno fa mi hanno portato qui dei miei colleghi, tutto qui.”
“Sì, lei è l’amico di Max, vero? – anche il cappotto venne appeso all’attaccapanni e lei rimase con un caldo vestito di lana azzurra – Le chiedo ancora scusa per mia sorella, non voleva offenderla, sul serio.”
“Non si deve preoccupare – Vincent scrollò lievemente le spalle, accorgendosi di come fosse delicata la sua voce senza l’esigenza di alzare il tono per farsi sentire in mezzo alla clientela – Mi scusi, lei dovrà sicuramente avviare il negozio, non la voglio disturbare più di tanto.”
“Cosa? – Rosie si girò verso di lui, la punta del naso arrossata per il freddo, sgranando gli occhi scuri – Ma no, non dica questo: fa freddo fuori, perché non prende un caffè?”
“Se lo deve fare…”
“Ma certo! Sono uscita da casa di corsa per non fare tardi e se non bevo qualcosa di caldo pure io mi congelo. Si sieda pure e non si preoccupi per me, tanto a quest’ora non credo di aver mai avuto clienti.”
Vincent si levò il cappotto e si sedette al tavolo dove si era accomodato la volta precedente con Max ed Alan e la guardò sparire dentro la cucina. Era così strano come con poche frasi quella ragazza l’avesse fatto sentire incredibilmente accettato: senza tutti quei clienti attorno, con quel silenzio e la luce soffusa che veniva dalla lampada sul soffitto, e quel profumo di caffè che iniziava ad arrivare alle sue narici.
Dovette aspettare solo pochi minuti prima che lei ricomparisse, il grembiule legato attorno alla vita, con un vassoio tra le mani.
“Ecco, caffè appena fatto: l’ideale per una mattinata così fredda – annunciò posando una tazza sul tavolo e versandolo dal contenitore fumante – le ho portato anche dei biscotti. Li ho fatti ieri, mi dispiace di non poterglieli offrire di giornata, ma le assicuro che ad inzupparli sono favolosi. Le lascio qui il caffè se ne vuole altro…”
“E lei non lo prende, signorina?”
Fu una domanda improvvisa e fuori luogo, totalmente non da lui, e se ne pentì subito. Ma gli dispiaceva troppo l’idea di non poter condividere quel momento assieme a lei.
“Io…? Ecco, non è cortese prenderlo al tavolo del cliente – annaspò lei, arrossendo e guardandosi intorno, come una bestiolina spaventata che cerca una via di fuga – non si preoccupi lo berrò in cucina, stia tranquillo.”
E senza aspettare risposta scappò letteralmente via con il vassoio stretto al petto.
Dannazione a me, ma che sto facendo? – Vincent posò lo sguardo sulla tazza di caffè fumante – Se non fosse per la divisa che indosso mi avrebbe preso per un malintenzionato da subito. E ovvio che è spaventata all’idea che siamo da soli in negozio e fuori è ancora buio e non c’è nessuno.
Si chiese se era il caso di andare da lei, scusarsi e rassicurarla del fatto che non aveva nessun’intenzione disdicevole nei suoi confronti, ma poi si rese conto che forse avrebbe solo peggiorato la situazione.
Così, con un sospiro si rassegnò a bere quel caffè da solo, ripromettendosi di lasciare i soldi sul tavolo senza dire niente alla ragazza.
 
Rosie nel frattempo era pesantemente posata contro la porta della cucina e cercava di calmare i battiti del suo cuore.
Oh no, Rosie, non va bene: non si tratta un cliente in questo modo.
Era stata veramente maleducata, l’aveva lasciato solo in sala in un modo così brusco, dopo che era stata lei ad insistere per farlo entrare a bere qualcosa di caldo.
Come poteva esser stata così stupida da reagire così? Era un poliziotto ed un amico di Max, non aveva di certo cattive intenzioni nei suoi confronti. Semplicemente non era bello stare da soli in quella sala deserta e silenziosa.
Per un attimo rimase perplessa sul da farsi, chiedendosi se era il caso di ripresentarsi davanti a lui dopo quella drastica fuga, ma poi si fece coraggio: posò il vassoio e da una delle mensole recuperò un’altra tazza.
Si affacciò timidamente dalla porta e vide che lui era lì, seduto composto al tavolo, la schiena perfettamente dritta. Tenendo stretta la tazza al petto si avvicinò al tavolo.
“Mi dispiace, sono stata scortese… posso… posso sedermi?”
“Prego – fece lui alzandosi di scatto e scostandole la sedia accanto alla sua – anzi, mi perdoni per il mio comportamento poco consono. Non si deve sentire obbligata, tutt’altro.”
Rimasero in silenzio, mentre lei si versava la bevanda fumante nella tazza: solo allora iniziarono entrambi a sorseggiarla in un clima di notevole imbarazzo.
Rosie lo fissò bene per la prima volta: era alto, davvero tanto, e magro, nel viso gli zigomi erano troppo evidenti. Il taglio degli occhi, poi, era davvero particolare… allungato? Di certo non aveva mai visto una cosa del genere in altre persone. E poi c’era quella rigidità in tutta la sua persona, l’aria severa che restava anche quando voleva essere gentile.
Solo.
Fu una parola che le esplose nell’anima, una di quelle intuizioni che giungono all’improvviso e che fanno capire l’essenza di una persona. Si trovò a guardarlo con maggiore attenzione, accorgendosi di quanto fosse diverso da Max e dall’altro loro collega, sempre sorridenti ed allegri.
Però c’era uno strano piacere nello stare accanto a lui, levato il primo imbarazzo Rosie si accorse di sentirsi protetta e a suo agio.
“Le piace? – si trovò a chiedere, vedendo che l’uomo stava mangiando uno dei suoi biscotti – i… i biscotti fatti da me, intendo.”
“Sono la cosa più buona che abbia mai assaggiato.”
Lei arrossì, percependo la sincerità di quelle parole: nessun complimento da parte di altre persone le aveva mai dato un simile piacere.
E poi, anche se la sua espressione era seria, la sua voce sapeva essere davvero calda e piacevole.
 
Qualche ora dopo le due sorelle McLane si stavano godendo la quiete dopo la tempesta del momento di tregua dato dall’orda di clienti. Come sempre Rosie assaporava quel momento, dove c’erano pochi e conosciuti avventori, ma a differenza delle altre volte si sentiva particolarmente felice, come se qualche evento le avesse illuminato tutta la giornata.
“Buongiorno, signorina Rosie, signorina Daisy.”
Uno scampanellio e la porta che si apriva fecero riscuotere le due ragazze.
“Buongiorno a lei, signore – sorrise Daisy, riconoscendo Nath – anche oggi il solito?”
“Certamente – annuì lui, sedendosi al solito tavolo – non potrei mai fare a meno di una colazione preparata dalla signorina Rosie. Oggi mi dovete scusare ma ho fatto più tardi del previsto.”
“Non si preoccupi. Arrivo subito – arrossì Rosie, prima di correre in cucina – si metta comodo.”
“Bene, bene – ridacchiò Daisy raggiungendola e aiutandola a preparare il necessario – e oggi un nuovo passo avanti lo vogliamo fare?”
“Che cosa vuoi dire?”
“Beh – scrollò le spalle lei con malizia – secondo me dovresti dargli dei segnali pure tu. Insomma, fagli capire che sei interessata.”
“Oh, Daisy, non potrei mai!”
“Suvvia: ti piace, no?”
“E’ carino, certo e anche simpatico, ma… ma lo conosco appena!”
“Non lo conoscerai mai meglio se rimani ferma così.”
“Sorellona, ti prego!” supplicò lei, intuendo che Daisy aveva tutta l’intenzione di prendere in mano le redini della situazione. Fece per aggiungere altro, ma poi si fermò con un sussulto al cuore.
Come poteva dirle che improvvisamente le erano tornati in mente quei momenti passati con quel poliziotto? Eppure era una cosa così assurda: si erano detti poco e niente e lui era andato via salutandola con estrema cortesia e augurandole una buona giornata.
Insomma, non c’è stato niente di compromettente!
“Dai che lui aspetta – la riscosse Daisy, mettendole in mano il vassoio – forza e coraggio, piccolo fiore!”
Fu quasi spinta fuori dalla cucina, il vassoio che rischiò di caderle rovinosamente per terra. Con un respiro imbarazzato cercò di darsi tutto il contegno possibile, traendo forza dal fatto che erano presenti anche altre persone e dunque non ci si poteva certo lasciar andare a gesti eclatanti o a discorsi imbarazzanti.
“Scusi tanto l’attesa – sorrise timidamente, servendo la colazione – oggi noto che non è con il suo solito amico.”
“Eh già oggi aveva un impegno di lavoro e mi ha abbandonato – ammise lui, fissandola con ammirazione – a dire il vero, speravo di poter parlare con lei, signorina.”
“Oh – arrossì lei, capendo che le cose stavano correndo davvero troppo – però… però in questo momento devo dare una mano in negozio e non posso dedicarle molto tempo, sign… Nath.”
“Allora – disse lui, prendendole il polso con timidezza – potrei chiederle se magari le va di vederci quando lei è libera?”
A Rosie quella presa, nonostante fosse estremamente gentile, sembrò bruciare più del fuoco. Il suo cuore smise di battere e pregò che qualcosa o qualcuno la aiutasse ad uscire da quella situazione.
“Un appuntamento? – fece Daisy, accostandosi a loro – Ma che idea fantastica! Rosie, scusa, sabato è il tuo giorno di riposo, perché non ne approfittate?”
“Ma io…” annaspò lei, cercando una qualsiasi scusa per poter scappare senza dare una risposta.
“Proprio sabato mattina al parco devono fare un piccolo concerto, mi chiedevo se le andasse…”
“Ma che coincidenza! Rosie adora la musica, vero sorellina?”
“Sì, ma…”
“Davvero, signorina? – Nath si alzò dal tavolo con un sorriso – Sarei davvero felice di essere il suo accompagnatore.”
E a Rosie non restò che annuire, ma in cuor suo si sentiva tremendamente in colpa, senza nemmeno capirne il motivo.
 
Nello stesso momento, quasi per una disgraziata coincidenza, Vincent e i suoi colleghi ricevevano un nuovo incarico.
“Che cosa? Sabato dobbiamo andare di servizio al parco? Ah, ma che rottura, era il nostro giorno libero!” Max sgranò gli occhi e poi si sedette alla sua scrivania mettendo il broncio.
“E’ solo per la mattina – disse Vincent con una scrollata di spalle che indicava come a lui la cosa fosse completamente indifferente – c’è un concerto all’aperto ed è stato chiesto di mandare qualche uomo, giusto per sicurezza.”
“Sempre noi, eh? – sbottò – E io che volevo godermi un giorno di vacanza completo.”
“E’ il nostro dovere, se ti può consolare nemmeno a me piace la musica.”
“Non ho detto che non mi piaccia, solo che preferirei assistervi da borghese e con una bella ragazza… ah, ma che cosa ne parlo con te, Vincent.”
“Volevi andare da Daisy, ci scommetto – disse Alan con l’espressione di chi la sa lunga– ma un giorno di dieta non ti farà male. I troppi dolci sono pericolosi per la salute, non credi?”
“Ma finiscila! – sbottò l’uomo, sentendosi preso in giro – Meglio che vada a prendere una boccata d’aria…”
“Uh, la presa peggio del previsto.”
“Non ti preoccupare – fece Vincent con un lieve sorriso, riprendendo a lavorare al suo rapporto – si rifarà la settimana successiva.”
“Ehi, oggi sei meno rigido del solito, che ti succede?” Alex lo sbirciò con curiosità, sorpreso nel vedere quell’atteggiamento così rilassato: non aveva nemmeno richiamato Max all’ordine.
“Niente. Perché mi trovi diverso?”
“Sarà solo l’impressione, andiamo a prendere un caffè in mensa?”
“No grazie, ne ho bevuto uno ottimo stamattina e non voglio rovinarmi il sapore con quello della mensa.”
“Anche questa è una buona osservazione. Dai, vado a provare a recuperare Max.”
Rimasto solo nell’ufficio che divideva con i suoi compagni, Vincent si alzò ed andò alla finestra: ripensò a quella ragazza dolce e timida che si sedeva accanto a lui e gli faceva compagnia nel bere il caffè, con la punta del naso ancora rossa, i capelli neri sciolti sulle spalle.
Anche se non si erano parlati molto si era sentito così felice nell’averla vicino.
Si chiese se sarebbe stato molto scorretto andare da lei anche il giorno successivo, anche se aveva già preso la sua decisione.
 
La mattina dopo Rosie si svegliò alle sette meno dieci e uscì con discrezione dalla camera che condivideva con la sorella minore che ancora dormiva tormentata dall’influenza. Rabbrividendo per il contatto dei piedi scalzi sul pavimento, andò in camera di Daisy e mise una mano sulla sagoma addormentata.
“Daisy – bisbigliò – vado io ad aprire il negozio, va bene? Tu rimani pure a letto ancora per una mezz’ora e poi pensa a mamma e Alyce.”
“Sicura?” mormorò Daisy, senza nemmeno aprire gli occhi.
“Tranquilla, sorellona, ci penso io.”
Niente sarebbe stato più piacevole di restare al caldo, sotto le coperte, tuttavia Rosie sentiva l’esigenza di andare al negozio alle sette e mezza, proprio come il giorno prima. Probabilmente era solo una sua sciocca fantasia, ma se lui fosse venuto non poteva non farsi trovare: gli sarebbe sembrato un gesto veramente pessimo da parte sua.
Mentre correva per le vie ancora buie, il freddo che le sbatteva sulla parte del viso non protetta dalla sciarpa, continuava a ripetersi che era solo una stupida ingenua, del resto non gli aveva nemmeno chiesto il suo nome… anche se si ricordava che si chiamava Vincent. E probabilmente lui non si ricordava il suo e nemmeno gli importava.
Ma quando girò l’angolo e lo vide davanti al negozio il suo cuore smise di battere per la gioia.
“Buong…” iniziò a correre nell’ultimo tratto di marciapiede, ma un leggero strato di ghiaccio la fece scivolare in avanti.
In teoria sarebbe dovuta cadere rovinosamente con la faccia a terra, ma delle braccia forti la sostennero in tempo ed il suo viso si trovò premuto contro il cappotto di lui.
“Si è fatta male, signorina?” chiese Vincent con preoccupazione, aiutandola a rimettersi dritta.
“N… no – arrossì lei, sentendosi veramente imbarazzata per quella figura pietosa – il… il ghiaccio, non l’avevo visto. Grazie tante.”
“Si figuri – le sue mani ancora la tenevano per le spalle: nonostante i guanti la loro presa era così bella e bruciava in un modo completamente diverso da quella di Nath – è sicura che vada tutto bene?”
“Certo! E mi scusi per il ritardo: ho fatto più in fretta che potevo.”
Si frugò nella tasca del cappotto e prese le chiavi, cercando di controllare il tremore delle mani.
Entrarono e ancora una volta lui si sedette al solito posto, mentre lei andava a preparare il caffè ed i biscotti. Questa volta nel vassoio mise direttamente due tazze e quando la bevanda bollente fu pronta andò a sedersi al suo tavolo.
“L’altra volta non le ho nemmeno detto il mio nome, signorina.” fece lui alzandosi in piedi e aspettando cortesemente che lei si sistemasse
“Vincent…” mormorò lei con timidezza, sperando che lui notasse che se l’era ricordato.
“Vincent Falman.” e le sorrise, un sorriso intimo e caldo, solo per lei.
“Io invece mi chiamo Rosie McLane.”
“Lo so, me lo ricordo dal primo giorno… è un bellissimo nome.”
E se lo dici con quel sorriso, mi sento impazzire.


 
  
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