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Autore: queerzay    26/06/2014    4 recensioni
Zayn ogni trentuno ottobre vorrebbe morire, ma l'azzurro ogni volta posticipa la fine della sua vita.
Niall vive nella casa in fondo alla via, quella con le persiane azzurre.
* * *
[Ziall]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Niall Horan, Zayn Malik
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Water, is taught by thirst

 

 

Water, is taught by thirst.
Land - by the Ocean passed.
Transport - by throe -
Peace - by its battles told
Love, by Memorial Mold -
Birds, by the Snow.


L'acqua è insegnata dalla sete.
La terra, dagli oceani traversati.
La gioia, dal travaglio.
La pace, dai racconti di battaglia.
L'amore da un'impronta di memoria.
Gli uccelli, dalla neve.”

 

 

- L'acqua è insegnata dalla sete, Emily Dickinson.

 

 

 

 

In via Stendhal ci sono ventiquattro bici a noleggio, una lavanderia, ventotto villette a schiera, una affiancata all'altra, una panetteria, due fermate dell'autobus, un semaforo, uno studio medico, un ristorante, un negozio dell'usato, un parcheggio e un negozio di alimentari.
Le persone che abitano le case sono, in totale, novantasei e l'autobus passa ogni mezz'ora, ai venti ed ai cinquanta, ma soltanto quando non è in ritardo e l'autista non si lascia distrarre dai propri pensieri o non incappa nel traffico londinese.
Ad Halloween soltanto in sei villette i bambini trovano i dolcetti fuori dalla porta di casa, perché le restanti ventidue appartengono a vecchietti isterici e stanchi della vita, abbandonati a sé stessi o obbligati ad una convivenza con la persona che un tempo pensavano di amare.

È sempre il trentuno di ottobre.

 

31 ottobre 2002

Se passi per Via Stendhal alle otto del mattino o alle sei del pomeriggio, lo scenario è sempre lo stesso: la strada è vuota, umida, e appesantita dalla pioggia. Il grigio è il colore che prevale, entrato in simbiosi con le mura delle villette da un tempo così lungo che ormai risulta impossibile liberarsene. Ha attecchito sui muri di pietra chiara, sulle vetrine della panetteria e della lavanderia, sulle persone e sui loro pensieri. Segui il grigio e dopo un po' quello svanisce nel nulla, inghiottito da una sottilissima nebbiolina londinese che sembra quasi divorarti con grazie e dolcezza, avvolgendoti tra le sue dita umide e sfuggenti.
Ti trascina lenta verso l'oblio, così come trascina il giorno tra le sue membra, finché questo non scompare, cedendo il passo ad una notte cupa e malsana. È allora che nella via appare vita, seppur per pochi secondi: un bambino cammina nel buio sotto i lampioni, alcuni accesi e altri spenti, finché non raggiunge l'unica villetta in pietra con le persiane celesti e si piazza lì di fronte, ritto in piedi come un giunco di sedano. E poi guarda dentro la villetta e incrocia le braccia e pensa anche io voglio le persiane azzurre, ma non lo dice ad alta voce perché ha troppa paura. Anche lui le vuole, perché gli ricordano il cielo d'estate, quando la sua mamma lo porta nella casa di campagna e fanno i pic nic tra prati verde acceso e piccoli stagni tremolanti e mossi dal vento leggero e fresco. La mamma lo prende in braccio e gira su se stessa, poi lo poggia per terra e si sistema il cappello di paglia sui lunghi capelli biondi, ondulati e spettinati dai movimenti aggraziati, nonostante la frenesia del gioco in cui è coinvolta. Si liscia la camicia a quadri, di un azzurro tanto chiaro quanto il cielo che il bambino vede riflesso nello stagno a pochi passi da loro, poi sorride, si siede. Il bambino cammina cauto verso di lei e, ancora in piedi, accarezza piano i capelli della madre e le chiede perché ti sei fermata. Sono stanca, gli risponde lei. Il bambino si sbilancia all'indietro e si lascia cadere sul manto d'erba, che lo accoglie morbido e protettivo.

E tutto quello che vede è azzurro.


31 ottobre 2004

Gli occhi li ha presi da lei.
Grandi, neri, contornati da lunghe ciglia che rischiano di impigliarsi ogni qual volta abbassi lo sguardo. Il bambino è un ometto adesso: è cresciuto di qualche centimetro ed ha più consapevolezza delle cose e delle persone che gli stanno intorno, e quegli occhi, un tempo sognanti, ora sono disillusi e tristi.
Quando lei sorride, alle estremità degli occhi si formano due piccole rughe d'espressione. Lei pensa sottolineino la sua età avanzata, ma al bambino paiono le bellissime e incancellabili testimoni del ricordo di una vita felice, che il tempo ha tratto a sé troppo repentinamente.
Lui non le ha, ma d'altronde lui non sorride.
Una donna si affaccia alla finestra, infreddolita, e allunga il braccio per avvicinare le persiane.
Il ragazzino le guarda, le sue uniche amiche, e pensa voglio restare con voi ancora un anno, soltanto uno, voglio potervi toccare, sfiorare con le dita, comprendervi al tatto, poi, forse, potrò morire.

E tutto quello che vede è azzurro.

 

31 ottobre 2006

Quando la luce pallida della sfera di fuoco cala, nascondendosi dietro l'orizzonte, e la sera avanza, carpendo veloce un'anima dopo l'altra, il bambino chiude la porta dietro di sé e cammina svelto lungo il marciapiede. Il silenzio, suo unico amico, lo accompagna fino all'angolo della via, poi si siede sul muretto, aspetta. I minuti si rincorrono e fanno a gara per chi riesce a scorrere più lentamente, in un'estenuante marcia che sembra retrocedere, anziché avanzare. Poi la signora delle persiane parcheggia e scende dalla macchina. È mercoledì, ha fatto la spesa. Scompare dietro la porta celeste e poco dopo le persiane sono spalancate e la luce al pian terreno accesa. Il ragazzino sente le mani inumidirsi al contatto con il muretto di pietra, ma non si sposta e aspetta. Disegna, la schiena appoggiata contro il muro della villetta e le gambe piegate al petto, finché una piccola Fiat 500 non inchioda davanti al cancello della villetta con le persiane azzurre e il padre scende, il corpo avvolto da un completo gessato e i piedi costretti in un paio di eleganti scarpe. Apre la portiera posteriore e lascia scendere il figlio, che con uno sbuffo si carica in spalla la borsa da calcio blu e segue il padre a capo chino.
Riprende a disegnare.
È lei che gli ha insegnato a farlo, quando aveva otto anni: qualche linea qua, qualche tratto più scuro per delineare l'ombra là, e il gioco è fatto. Poi lo ha portato al parco e gli ha fatto riprodurre il piccolo laghetto verdastro e pieno di anatre dall'espressione scontrosa, un pomeriggio di aprile.
È ancora impresso nella sua memoria, quel laghetto, nonostante non ci sia più tornato. Prova a riprodurlo, ancora, e ancora. I fogli accartocciati si ammucchiano sul marciapiede: prima uno, poi due, tre, quattro. Sospira e il mondo gli sembra un fardello troppo pesante da sopportare.
Sono passate ore quando la signora si sporge, attira a sé le persiane e le unisce in una morsa indistruttibile con un sonoro schiocco.
E lui pensa, le voglio vedere ancora, l'anno prossimo, un'ultima volta prima di morire.
E, soltanto dopo che le avrò viste un'altra volta, allora potrò morire.

E tutto quello che vede è azzurro.

 

31 ottobre 2009

L'azzurro è tutto.
Il cielo, è azzurro.
Il mare, è azzurro.
L'acqua, quando vuole, è azzurra.
Le persiane della casa che si sta lasciando alle spalle, all'una di notte passata, sono azzurre.
Il suo pennello, è azzurro, così come il soffitto della sua camera. Il rullo, impregnato di colore, assorbe quanto più azzurro possibile, perché l'azzurro è vita, è respiro, è calma ed è spirito.
L'anima è azzurra.
La pittura lascia il rullo, triste di dover abbandonare il suo nuovo amante così presto, le braccia che protendono ancora verso di esso per potervi rimanere avvinghiata, e attecchisce al soffitto bianco, ingrigito dalla muffa e dall'umidità.
Il ragazzo aspetta che il soffitto sia asciutto, poi si sdraia sul pavimento e lo guarda e pensa sembra più grande, e forse questa volta lo dice ad alta voce, perché la nonna è di sotto ed ha l'apparecchio acustico spento.
Ti piace, chiede ad alta voce, flebile ed insicuro, l'ho fatto per te, aggiunge poi.
Lei annuisce, gli si sdraia accanto, respira leggera, ed è come se fosse lì, a sprigionare l'azzurro racchiuso nella sua anima attraverso gli occhi neri e la pelle pallida e delicata, le gote arrossate per il freddo.
Mi piace, risponde, ed è come se lo avesse detto davvero. È molto azzurro, continua, e forse sta sorridendo.
Anche il ragazzo sorride.
E forse, forse, lei può aspettare ancora un anno. Soltanto uno.
Le persiane, pensa, le persiane, dice, le persiane, scrive.

E tutto quello che vede è azzurro.

 

31 Ottobre 2011

Ragazzo, è tutto a posto?, gli chiede la nonna quel pomeriggio.
Sì, replica lui, lasciando vagare lo sguardo fuori dalla finestra, il viso abbandonato sul palmo della mano destra e la schiena curva in avanti.
Se guardi Via Stendhal è tutta uguale: villette a schiera in pietra e persiane marrone scuro, cancelli imperiosi e giardini perfettamente curati. Poi, in fondo alla via, nascosta, trovi la casa del ragazzo.
Nessuno pota l'edera che sembra divorare la casa in una morsa da anni. È la casa più grande di tutta la via, a due piani, si erge impettita eppure sbilenca e le pareti grige nemmeno si vedono sotto l'edera e l'infinita quantità di cespugli. Anche il giardino si estingue sotto la forza della natura, schiacciato da piante non potate e lasciato libero soltanto in un sottile vialetto che collega la porta d'ingresso con il cancello. Attraverso il cancello non è possibile intravedere il giardino, proprietà privata dell'edera che lo divora senza alcuna pietà.
Al ragazzo non piace il giardino, gli alberi sono così fitti che costruiscono un soffitto naturale.
Da lì non si vede il cielo.
Sembri triste, dice l'anziana signora, mentre il ragazzo trova uno spiraglio di luce attraverso la finestra e riesce ad intravedere la strada.
Sono solo stanco, ripete per l'ennesima volta di seguito, ma che senso ha dirlo ad alta voce, se non può comprendermi, si domanda tra sé e sé, e serra gli occhi, come se quel gesto possa scacciare via tutte le sue perplessità.
Esce, raggiunge il muretto, si siede e la vita non gli è mai sembrata così triste.
Ma, l'anno prossimo, pensa. L'anno prossimo sarò pronto ad accettare la morte, si ripete tra sé e sé.
Sospira, guarda le persiane della casa. Prima di morire deve toccarle.

E tutto quello che vede è azzurro.

 

31 ottobre 2012

Il ragazzo che abita nella casetta con le persiane azzurre ha gli occhi dello stesso colore del cielo e i capelli tinti di un biondo chiaro soltanto in alcuni punti, spesso tirati su in una cresta disordinata che lascia scoperti i capelli castano scuro – quelli invece sono naturali.
Che cosa stupida, le tinte. Il ragazzo le ha sempre viste come un'ulteriore maschera che molte persone aggiungono a quella che già possiedono senza nemmeno accorgersene. È come dire Hey, i miei capelli non mi piacciono così, io non mi piaccio così e questo mi permette di nascondermi sotto uno strato di tintura tanto finto quanto coprente. Le tinte sono per le persone timide e insicure.
Scusa, hai da accendere, gli chiede quel giorno, e la sua voce è poco più che un sussurro strascicato. Il ragazzo stringe tra le labbra la sigaretta e solleva leggermente la gamba per poter afferrare l'accendino dalla tasca posteriore dei suoi logori jeans. Glielo porge e quando il ragazzo lo prende gli sfiora le dita. Ha la pelle molto pallida, quasi bianca, in netto contrasto con la sua. Somiglia al colore delle stelle, quelle minuscole che riescono ad illuminare la notte come se fosse giorno.
Forse brilla.
Grazie, amico, gli dice il tipo, e il ragazzo è obbligato a lasciar andare le sue riflessioni, permettendo che il gelido vento d'ottobre le porti via. Il ragazzo con gli occhi color cielo si issa sul muretto e si volta verso di lui, dando un tiro e sospirando con sconforto.
Nome, gli chiede ancora, e il ragazzo si domanda come possa avere così tanta voglia di parlare, perché alla fine cosa sono le parole, se non un casuale accostamento di lettere? Esiste qualcosa di più effimero e al tempo stesso potente di una parola?
Non ho un nome, tutti mi chiamano ragazzo, replica dopo qualche minuto, poi spegne la sigaretta contro il muretto e insieme alla cenere schiaccia anche le sue preoccupazioni più grandi, anche se solo per qualche istante. L'altro sorride e le sue labbra sembrano la conca di una barca che prende dolcemente il largo in un giorno di mare piatto. Okay, ragazzo, mormora, per poi dare un colpetto alla sigaretta e osservare la cenere che ne cade, parlami di te.
Non c'è molto da dire, vorrebbe dire, ma invece tutto quello che esce dalla sua bocca è: le persone non fanno mai domande del genere.
Soltanto perché hanno paura della risposta, gli fa notare il ragazzo tinto e lui pensa che forse, sotto sotto, un po' di ragione ce l'abbia. Lo guarda, gli sembra morto. Freddo, in un congelamento perenne, immobile nella sua pacata bellezza; e lui si sente così vivo e bruciante, per la prima volta, e i suoi organi si agitano all'altezza dello stomaco e il sangue pompa più veloce, come se d'un tratto abbia deciso di restituire tutto il calore che per anni ha tenuto per sé. Arriva alle dita intorpidite e le scalda, una ad una, in un impeto violento, e – oh! – è forse questo che significa sentirsi vivi?
Ci si vede in giro, ragazzo, gli dice d'un tratto il tipo, e lui, ancora una volta, è costretto a lasciar andare i propri pensieri, ora non più intrappolati nel confine della sua mente, ma liberi come gabbiani in cerca della terra perduta.
E lui dice okay, perché non sa così altro dire.
E poi pensa, potrei uccidermi l'anno prossimo, perché forse vuole davvero rivedere in giro il ragazzo dagli occhi azzurri. E, sì, che vuoi che sia, un anno.
Trecentosessantaquattro giorni sono un battito di ciglia in confronto all'età dell'Universo.
E la signora chiude le persiane.
E tutto quello che vede è azzurro.

 

31 Ottobre 2013

Sei sempre qui, ogni trentuno ottobre, è parecchio inquietante, mormora il ragazzo che abita nella casa dalle persiane azzurre, sedendosi accanto a lui.
Il ragazzo lo guarda in silenzio, poi si accende una sigaretta e incrocia le gambe, il capo chino e le dita che tremano.
Ti ho trovato un nome, ragazzo, gli comunica, e questa volta il ragazzo alza gli occhi e lo guarda per la prima volta. I suoi capelli sono interamente castani, adesso, ed è ancora più bello, perché così contrastano con quegli occhi che, nonostante siano spenti, al suo sguardo paiono incredibilmente brillanti, seppur morti.
Zayn, che te ne pare, gli chiede titubante, cercando di incrociare i suoi occhi. Quando il ragazzo non risponde, lui si affretta ad aggiungere, come per giustificarsi: l'ho scelto perché si accosta bene alle tue origini.
Il ragazzo rimane in silenzio.
Sai, visto il taglio degli occhi e la carnagione ho pensato che fossi, tipo, arabo, sussurra l'altro, con lo sguardo perso nel vuoto, la voce bassa e la consapevolezza di aver sbagliato qualcosa.
Io sono inglese, lo corregge stizzito il ragazzo, gettando lontano la sigaretta e con essa tutta la sua irritazione.
Ma Zayn non è poi così orrendo, concede in un soffio rapido ed inconsistente.
Cosa fai nella vita, Zayn?, salta su d'un tratto l'altro, poi si sistema meglio sul muretto e il peso del cielo sembra gravare sulle sue spalle esili, coperte da un maglione grigio chiaro spesso due dita e più grande di due taglie.
Aspetto, gli dice.
Cosa, gli chiede allora lui.
Di morire.
E intanto pensa forse l'anno prossimo potrò morire in pace.

 

5 Novembre 2013

Il ragazzo guarda fuori dalla finestra, nello spiraglio attraverso il quale riesce a scorgere la strada, e il ragazzo degli occhi azzurri è lì, di nuovo, come i giorni precedenti.
In un attimo di follia, esce di casa e attraversa il giardino, raggiungendo finalmente la strada e attraversandola. Piove a dirotto e qualche lampo illumina il cielo, effimera striscia di pura lucentezza nell'opacità di quel grigio spento.
Cosa ci fa qui, gli chiede quasi urlando, per sovrastare il rumore della pioggia, è cinque giorni che sei piazzato davanti a casa mia come una statua di Michelangelo, aggiunge poi. E vorrebbe tramortirsi o, che sa, spararsi un colpo in testa per l'inadeguatezza delle sue parole.
Non voglio che tu muoia, gli dice dal nulla l'altro, e il ragazzo allora lo afferra per il polso e lo conduce verso casa sua, per poi entrarvi e spogliarsi del maglione fradicio. Sale le scale, sentendo la presenza del ragazzo dietro di sé, confermata dal suo respiro regolare e tranquillo. Si chiede perché anche il suo respiro non possa sempre essere così rilassato, che cosa determini l'andatura di un respiro, che cosa lo alteri, che cosa sia in grado di sconvolgerlo.
Quel ragazzo è sicuramente motivo di sconvolgimento del proprio respiro, pensa tra sé e sé.
Entra in camera e si siede sul davanzale della finestra, attendendo che il ragazzo dagli occhi celesti si sieda sul suo letto, composto da un materasso buttato in un angolo della stanza e abbandonato al suo triste destino. Lo osserva mentre si siede.
Perché vuoi morire, gli domanda dopo qualche minuto, e il ragazzo non riesce a trovare una vera risposta.
Qualcuno mi sta aspettando, dice infine.
E non può aspettare ancora, gli domanda intestardito l'altro.
Solo poco più di un anno, svela, per poi chiedersi perché l'abbia detto ad alta voce ad un ragazzo di cui non sa nemmeno il nome.
Anche io ti sto aspettando, mormora il ragazzo dagli occhi celesti.

 

25 Dicembre 2013

Per te, gli dice il ragazzo con gli occhi azzurri, il cappotto stretto attorno al collo e un fagotto tra le mani.
Cos'è, chiede dubbioso il ragazzo, voltandosi per dare un'occhiata a sua nonna.
È un regalo di Natale, Zayn, gli spiega, spingendolo a prenderlo. Il ragazzo lo afferra, ma dice mia nonna ed io non festeggiamo il Natale, perciò io non ti farò mai un regalo.
Non ce n'è bisogno, lo rassicura il ragazzo, spostando il peso da un piede all'altro.
Okay, ci vediamo in giro, sussurra con gli occhi incatenati al pavimento.
Certo, risponde l'altro, e quella ha tutta l'aria di essere una promessa.

Sono pennelli.
Dodici, per la precisione, ciascuno con un taglio ed uno spessore diverso, ciascuno più o meno morbido.
Ne prende uno a caso, euforico, lo mostra alla nonna.
Nonna, guarda, ti piacciono, le domanda.
Certo, ragazzo, te li ha regalati il ragazzo con gli occhi celesti, chiede in risposta l'anziana.
Il ragazzo annuisce e sale le scale, e li prova, uno dopo l'altro, finché la sera non supera il giorno e la notte non supera la sera, e forse non ha poi così voglia di morire.
Si addormenta, e quando si risveglia sono le quattro del pomeriggio.
E pensa, perché la vita mi fa questi scherzi, proprio ora che sono pronto a morire mi dà un motivo per vivere.
La risposta non la trova.

 

22 Maggio 2014

Il destino talvolta è crudele, così come l'anima: ti fa credere per anni in un'ideale, poi nel giro di qualche istante è in grado di rovesciarlo e renderlo impotente ed effimero quanto lo sbadiglio leggero di un piccolo bambino assonnato. Allora ti chiedi, ma il mio ideale era davvero così insulso, come quel misero sbadiglio? E pensi, no, non lo era, ma il tuo cervello dice il contrario e finisci con l'impazzire per il caos che sembra albergare tra i tuoi pensieri. E la donna bionda con gli occhi azzurri all'improvviso è sostituita da un ragazzo che ti regala pennelli e ti parla come nessun altro ha mai fatto, senza quegli stupidi convenevoli e tutte quelle domande a cui è fin troppo facile rispondere.
Per te, gli sta dicendo in quel momento.
Il ragazzo lo guarda e dopo un po' gli dice non so nemmeno il tuo nome, ma tu continui a venire qui quando ti pare e a portarmi i tuoi pennelli e tutti questi colori e io-
Guardami, lo interrompe l'altro, afferrandogli il viso con un mano e facendolo voltare verso di sé. Dovresti baciarmi, gli dice.
Perché, gli chiede il ragazzo, e l'altro risponde per ringraziarmi.
Il ragazzo gli dà un bacio sulla guancia, ma prima che possa ritrarsi l'altro lo trattiene, sfiorando il suo naso con il proprio e serrando gli occhi.
Non così, sussurra piano, e poi, così, dice, prima di far unire le loro labbra in un bacio vero.
E il ragazzo pensa al diavolo i pennelli, al diavolo gli acquarelli azzurri che gli ha appena portato, al diavolo le persiane, non ha più voglia di morire.

 

27 Agosto 2014

L'essere umano nasce desideroso. Ha voglia di avere e possedere qualcosa, poi, quando lo ottiene, se ne stanca ed inizia a desiderare qualcosa di diverso. E, dopo ventuno anni, il ragazzo ha smesso di desiderare la morte ed ha iniziato a desiderare Niall, il ragazzo dagli occhi azzurri.
Questo perché l'essere umano è imprevedibile, forse anche più di una vita intera.
Pensavo, tutti cadiamo, dice quel pomeriggio a Niall, e poi si lascia cadere sul letto e lo affianca, voltando il capo e cercando i suoi occhi.
Niall lo guarda, e attende di essere invaso dalle parole di Zayn come la spiaggia attende di essere bagnata dall'onda.
E nel cadere soffriamo, ma quando ci rialziamo, tutto ci pare infinitamente più bello, continua il ragazzo. Sai, come quella poesia di Emily Dickinson, L'acqua è insegnata dalla sete. Tipo penso che valga la stessa cosa anche per la visione che noi esseri umani abbiamo del mondo. E poi, solo dopo aver assaporato il totale sconforto ci accorgiamo di quanto sia potente la gioia, solo dopo aver sfiorato con le dita e la mente la morte, capiamo l'importanza della vita, e pensavo che io mi sono accorto di quanto la vita possa essere bella solo per l'azzurro e tu l'azzurro lo porti negli occhi e quindi-
Niall interrompe la valanga di parole posando il palmo della mano pallida sulle labbra del ragazzo e ho capito, gli dice, non c'è bisogno di aggiungere nient'altro.

 

1 Novembre 2014

Sopra la terra c'è il cielo, sopra l'inferno il paradiso, ma sul nero il bianco non trionfa e sulla morte la vita non vince e lui pensa maledetto ragazzo che mi ha fatto desistere dal mio intento per così tanto tempo, e adesso, adesso dovrò aspettare un altro anno.
Ma dentro di sé sa che non sarà soltanto un anno, perché lui aspettava la morte e lei lo aspettava al di là della vita, lui aspettava l'azzurro e lei aspettava il nero dei suoi occhi orientali.
Ma il ragazzo ha trovato ciò che aspettava nel corso della vita, inciampandoci per caso e rialzandosi come una persona diversa. E, pensa, è stato inaspettato.
Niall ha preso in fretta il posto di lei nella sua vita, andando ad occupare un ruolo forse addirittura più importante. Il suo azzurro, più luminoso, ha preso il sopravvento sugli occhi ormai spenti e morti di lei e s'è d'un tratto accesso nel momento esatto in cui il ragazzo ha pronunciato il suo nome ad alta voce.
E, forse, la vita non gli fa poi così schifo.
Forse lei potrà aspettare ancora per un po', gioendo della sua felicità e beandosi del sorriso che per la prima volta gli è comparso sulle labbra.
Si volta verso Niall, rilassa le spalle contro il muro, lo osserva.

E tutto quello che vede è azzurro.

 

È duro fagocitare l'idea di dover prima o poi morire, ma lo è anche fagocitare l'idea di vivere.

 

 

 

 

 

-

 


 

 

 

Wowowo.

È il 20 giugno ed ho iniziato a scrivere questa cosa in preda ad un raptus di rabbia mischiata a violenta tristezza dovuta a dio solo sa cosa.

IMPORTANTE: non elimino l'account perché mi funziona lo stesso anche se non ho la password della mail, quindi tanto meglio. Il problema sorge soltanto con gli aggiornamenti del pc, ma quelli non riguardano efp, perciò pace.

Non posto da... una vita? La verità è che sto scrivendo una os (ovviamente ziall) in cui Zayn è Ludwig II di Bavaria e Niall uno dei suoi numerosi amanti. E sono a pagina 25. Ed ho iniziato a scriverla a fine marzo. Faccio pena, sì.

 

Parlando di questa: è una piccola pazzia senza senso che però mi ha tartassato il cervello tutta mattina e che ho dovuto buttare giù il più in fretta possibile.

Non ci sono virgolette nei dialoghi perché boh, non mi andava di metterle e mi sembrava più coerente privare il testo di queste ultime per dare un aspetto più, diciamo, continuativo.

E niente, spero vi piaccia e la comprendiate, nonostante sia leggermente intricata come storia.

 

Per il resto che dire, mi dispiace di aver lasciato alla deriva le mie storie, ma ho avuto un sacco di problemi in famiglia e varie cose che non rubano tempo, ma soltanto i pensieri e tu magari ti metti anche davanti al computer con l'intento di scrivere, poi non ti esce niente.

Va così.

 

Scappo, un bacio,

Giuls :) xx

Twitter: bicaholic

 

 

  
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