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Autore: Abby_xx    26/06/2014    5 recensioni
Hebe Watson era una di quelle ragazze che preferiva restare nell'ombra piuttosto che essere notata.
Era diversa. In tutti i sensi in cui si può essere definiti tali.
Cos'era la sua vita? Un completo disastro. Un pò come lei, d'altronde.
Fu quando arrivò il misterioso ragazzo dagli occhi verdi in città, che
verità nascoste vennero alla luce, travolgendola in un mondo da cui avrebbe preferito restare alla larga.
[***]
Sbatté le palpebre un paio di volte, e notò un ragazzo guardarla accigliato con una sigaretta tra le labbra, seduto sulla scalinata che conduceva all'ingresso.
Lo riconobbe immediatamente.
[***]
Non riuscì a distogliere lo sguardo dal suo corpo, e per un momento il respiro le si bloccò nel fondo della gola costringendola a tossire. Era un angelo.
[***]
Scrutò aggrottando le sopracciglia il suo viso concentrato, i suoi occhi socchiusi, la bocca corrugata, i riccioli morbidi sparsi sulla fronte.
Lui sorrise, accorgendosi dello sguardo indagatore di Hebe sul suo corpo. Si girò di scatto, sentendo il calore affluire sulle guance.
-Dove stiamo andando, Harry?-
[***]
Hebe Watson. Harry Styles.
E un amore destinato alle tenebre.
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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                                                                                        CAPITOLO I


-Oh, diamine!-
Mancavano solo dieci striminziti minuti all'inizio delle lezioni, e Hebe Watson doveva ancora prepararsi per l'ennesima mattinata scolastica.
Prese distrattamente i jeans dalla sedia, infilandoseli saltellando sulle punte dei piedi per tirarli sù, e il maglioncino di cotone bianco che aveva indossato il pomeriggio precedente per andare a comprare il latte, catapultandosi contemporaneamente nel bagno adiacente alla sua stanza per prendere le scarpe.
-Le scarpe, le scarpe..- sussurrò cercandole.
Le aveva lasciate lì, ne era sicura.
-Dio, ti prego, se mi stai ascoltando, dammi una mano.- esclamò esasperata, portando le braccia in aria con un gesto plateale.
Sospirò e si girò lentamente verso il lavabo, chinandosi con gli occhi semichiusi per guardare sotto il mobile. -Eccole!- urlò sorridendo. -Ti ringrazio.- biascicò uscendo dal bagno.
Corse per il corridoio con una mano occupata a cercare di infilare le Converse, l'altra in cui teneva il bigliettino dove sua madre l'avvertiva che era uscita presto, e tra i denti il telefonino.
Incespicò imprecando tra gli scalini, rischiando di far capovolgere il meraviglioso e preziosissimo ritratto di una vecchia indù con in testa un turbante verde acido comprato in Thailandia che sua madre tanto amava, ma che di meraviglioso e prezioso secondo lei non aveva niente. Più che altro la metteva in soggezione, e le dava l'idea di essere costantemente osservata.
Hebe era una di quelle ragazze che preferiva restare nell'ombra piuttosto che essere notata. Una povera diciassettenne, quasi diciottenne, che data la sua diversità e la sua persistente timidezza, era costretta a subire le continue prese in giro dagli esseri più stupidi che mai avesse conosciuto: in poche parole dalle ragazze e dai ragazzi della Devies McLore High School di Holmes Chaple.
Perché era diversa, sì. Diversa poiché, a differenza delle altre adolescenti della sua età, lei preferiva decisamente un buon libro e la compagnia del suo gatto Church, alle serate in discoteca tutte fronzoli e lustrini.
Non amava uscire il sabato sera, né tantomeno sbavare dietro alla squadra senior di pallanuoto maschile. Che, tra parentesi, aveva constatato fosse piena di idioti. Erano due anni che veniva presa di mira, forse proprio per questo.
Una sottospecie di cavia che le cheerleader usavano per testare quanto crudeli riuscissero ad essere se si impegnavano; spalleggiate costantemente da giocatori di football o studenti altrettanto importanti.
Altra possibilità era che, dopo che aveva rifiutato l'invito al Ballo di Primavera da Mark Parker, prototipo di ragazzo-principe desiderato da tutte, lui l'aveva etichettata come "una da cui stare alla larga".
Cos'era la sua vita? Un completo disastro. Un pò come lei, d'altronde. E la vita a casa non era certo meglio.
Un padre scomparso, una madre sempre assente e con una fissa ossessiva per il suo lavoro, e un patrigno odioso che aveva l'orribile abitudine di masticare le gomme con la bocca talmente spalancata da far intravedere le tonsille.
Ah, quanto le mancava la sua vecchia vita. Quattro anni prima era tutto più semplice. Suo padre non aveva ancora fatto quel fatale incidente in auto, aveva ancora la mamma migliore del mondo, e tanti amici.
Sempre se così si potevano definire, dato che appena seppero della tragica morte del suo amato papà non le rivolsero più la parola; ed Hebe non capì mai se perché non sapessero cosa dire tanto il dispiacere, o semplicemente perché essere amici della sfigata della scuola avrebbe riscosso loro poco successo e scarsa vita sociale: credere nella prima opzione la faceva sentire decisamente meno patetica.
Una delle poche cose positive di quell'anno era stato il suo cambiamento fisico, nonostante lei si vedesse sempre la solita Hebe minuta, gracile, con spalle spigolose e poco attraente come gli anni precedenti.
Tutti avevano notato che ora era ancora più magra, aveva fatto crescere i capelli più rossi che biondi fin sotto il senso, e i suoi grandi occhi grigi, che tendevano a cambiare tonalità talmente tante volte da perderne il conto, erano diventati ancora più magnetici, per quanto fosse possibile. Altra cosa positiva, era che mancavano esattamente dodici giorni e otto ore, e la scuola avrebbe chiuso per le ristrutturazioni; ed Hebe non poteva esserne più felice.
Non aveva tempo per fare colazione, quindi prese dal recipiente sul tavolo una mela e lanciò un bacio voltante a Church, dopo avergli versato nella ciotola del cibo per gatti.
-Fai il bravo, e non rompere niente.- esordì, guardandolo negli occhi e mandando giù un boccone.
Church inclinò la testa a sinistra e la guardò confuso, provocandole un sorrisetto.
Prese velocemente la tracolla, e uscì di casa, sperando che almeno oggi la giornata sarebbe trascorsa senza alcun dramma.

Corse a perdifiato e arrivò a scuola dopo dieci minuti, appena in tempo per l'ultimo suono della campanella.
L'ingresso della scuola era completamente deserto, tranne che per qualche ritardatario che rischiava seriamente di inciampare sui suoi stessi piedi talmente la fretta che aveva di entrare. A differenza loro, Hebe rallentò il passo. Ormai aveva ritardato già da cinque minuti, un altro paio non le avrebbero evitato la ramanzina del professore di Chimica che l'attendeva una volta entrata in classe. Tanto era sempre in ritardo, la cosa sconvolgente sarebbe stata vederla entrare in orario.
Si appoggiò con la schiena al muro, che affiancava la porta dell'entrata di quello che poteva essere definito l'Inferno -e no, non esagerava- e si accasciò sulle ginocchia per riprendere fiato.
Alzò lo sguardo ispirando ed espirando profondamente fino a quando non fu sicura di aver riacquistato abbastanza aria nei polmoni.
Sbatté le palpebre un paio di volte, e notò un ragazzo guardarla accigliato con una sigaretta tra le labbra, seduto sulla scalinata che conduceva all'ingresso. Non riuscì a distogliere lo sguardo dal suo corpo, e per un momento il respiro le si bloccò nel fondo della gola costringendola a tossire.
Lo riconobbe immediatamente. Era lo stesso ragazzo che incontrava tutti i giorni da una settimana, ma fino a quel momento non lo aveva mai guardato bene in viso per paura di essere scoperta. Lo aveva già visto tempo prima, ne era convinta, ma non ricordava né dove né quando.
Era un angelo. Non uno di quelli biondi, completamente muscolosi, abbronzati e con gli occhi azzurri.
Ma un angelo dagli occhi verdi, la pelle diafana e i folti capelli scuri. La stava squadrando soprappensiero passandosi, dopo aver espirato boccate di fumo, la lingua sulle rosee labbra carnose.
L'aveva sognato, la notte precedente; varcava la soglia di un imponente arco greco e spalancava le grandi ali squarciando l'aria. Ali nere, come la pece.
Hebe rimase immobile, incapace di muoversi sotto il suo sguardo maliziosamente divertito. Lui alzò un angolo della bocca quando si accorse che era arrossita davanti la sua sfrontatezza. Il ragazzo si alzò, stringendosi nel cappotto scuro, e le si avvicinò lentamente serrando la sigaretta quasi finita tra le lunghe dita. Hebe sentì la terra mancarle sotto i piedi, quando la distanza che li separava iniziò a diminuire lentamente via via che il misterioso ragazzo si avvicinava, riducendosi poi a un paio di metri.
Sentì le mani tremarle e il cuore prenderle a battere ad un ritmo sovrumano, e si diede mentalmente della stupida quando si rese conto di avere gli stessi sintomi di una dodicenne in piena crisi ormonale; ma non poteva farci niente. Quel ragazzo faceva sì che il suo corpo fosse scosso da brividi e da un immenso calore contemporaneamente.
La stava guardando spudoratamente facendo salire e scendere lo sguardo lungo tutto il suo esile corpo, schiacciato ora lungo la parete.
Le passò accanto sfiorandole una spalla e lentamente aprì la porta scostandosi quanto bastasse per farla entrare.
-Grazie.- sussurrò Hebe strascicando le parole tra i denti, improvvisamente con la gola secca. Passandogli accanto alzò lo sguardo verso il suo viso, e incontrò i suoi occhi. Affogò, rabbrividendo, in quelle iridi cristalline che nella penombra avevano assunto il colore dei boschi notturni. Sentì il sangue gelarsi nelle vene e un brivido percorrerle la nuca.
Erano vuoti. Privi di ogni lucentezza. Verdi e scuri occhi grandi che la guardavano seri e strafottenti.
Assottigliò lo sguardo e cercò di intravedere una qualsiasi cosa che dimostrasse che era vivo, che una luce, anche se fioca, c'era.
Ma lui abbassò lo sguardo serrando la mascella, prima che lei potesse scorgere ciò che andava trovando.
-Entri o no?- le chiese sbuffando.
Hebe scosse la testa impercettibilmente, per liberarsi dai troppi pensieri che le stavano affollando la mente sul ragazzo che le si trovava dinanzi.
Pensieri che riaffiorarono nuovamente, duplicandosi, quando sentì la sua voce.
Roca e graffiata, come quella di un giovane motociclista nei film degli anni ottanta, con tanto di giubbotto di pelle e occhiali scuri. Lo sorpassò imbarazzata borbottando cose incomprensibili anche per sé stessa, domandandosi dove lo avesse già visto.
Avanzò quasi correndo lungo il corridoio e quando si voltò notò, stranamente senza sorprendersi, che era sparito nel nulla.
C'era solo lei, che si stava freneticamente grattando le nocche della mano come quando aveva paura o semplicemente si trovava a disagio, e pensierosa si voltò nuovamente diretta verso la sua classe.
Quel ragazzo la incuriosiva, ed era certa che non frequentasse quella scuola. L'avrebbe visto sicuramente, se fosse stato uno degli iscritti della Davies McLore High School, e l'avrebbe riconosciuto dalla scia di ragazze sbavanti che l'avrebbero venerato con occhi a cuoricino che certamente si sarebbe portato dietro.
Si sbatté una mano contro la fronte quando si accorse di aver sbagliato corridoio, talmente immersa nei pensieri, e sospirando iniziò una nuova corsa verso l'aula giusta.
Avrebbe potuto partecipare ad una maratona, magari. Nella ultima mezz'ora aveva corso più di quando avesse mai fatto dall'inizio dell'anno scolastico.

Aprì di scatto la porta dell'aula di Chimica scossa dagli affanni, venendo fulminata con lo sguardo dal Professor Miller.
-Ci ha finalmente degnato della sua presenza, signorina Watson.- gracchiò, mentre prendeva nota del suo ritardo.
-Mi scusi, la sveglia non ha suonato.- sospirò alzando gli occhi al cielo, già stufa di quella lezione.
-Un giorno il traffico, l'altro i dolori alla pancia, e quello ancora dopo il malfunzionamento della sveglia. Cosa inventerà domani, che gli alieni sono venuti a prenderla e lei ha dovuto subire dolorose operazioni al cervello per le loro ricerche sul genere umano?- chiese. -Oh no, mi perdoni. Gli alieni cercano forme di vita con quozienti intellettivi sviluppati.- continuò sogghignando, provocando i sorrisetti e le risatine degli altri studenti.
-Allora stia sicuro che non verrano mai a prenderla.- sibilò Hebe, prendendo posto all'ultimo banco infondo alla classe.
Il Professor Nelson Miller la odiava. E non era un'ipotesi, o una supposizione personale, davvero la detestava. -Sei identica a Mayrise McFlaid.- le aveva detto guardandola scettico il primo giorno di liceo. Hebe aveva corrugato le sopracciglia e gli aveva chiesto chi fosse. -La prima ragazza che alle superiori mi spezzò il cuore. Finta, bugiarda ed enigmatica come tutta la tua specie.- le aveva risposto, con una smorfia di disgusto.
La mia specie?, aveva pensato confusa Hebe. Al secondo anno aveva capito che si riferiva al genere femminile con i capelli del suo colore. Era un pazzo, su quello non vi era alcun dubbio; e lui l'aveva presa di mira non appena lei glielo aveva fatto involontariamente notare.
-Non ne posso più.- brontolò, accasciandosi sul banco.
-Come ha detto, signoria Watson?- domandò lui, increspando la fronte accigliato.
-Che lei rende ogni lezione sempre più coinvolgente e interessante, Professor Miller.- commentò benevola, sforzandosi di sorridere.
-Si, ne sono consapevole.- replicò piatto, alzando le spalle con superiorità.
Prima o poi l'avrebbe strangolato, ne era certa.

Dopo l'interessantissima lezione di Chimica, aveva subito due ore di Filosofia, e ora stava prendendo i libri di Biologia per la quarta ora dall'armadietto, quando sentì un ridacchiare nasale alle sue spalle.
Sasha, la capo cheerleader, le stava andando incontro muovendo spudoratamente a destra e a sinistra i fianchi, tanto che Hebe si domandò come facesse a non sbilanciarsi, tallonata dai due ragazzi più rinomati, zucche vuote, ricchi di testosteroni della scuola: Mark Parker, per sua immensa sfortuna, e Lucas O'Donnel.
-Che carine che siamo oggi.- commentò Lucas, appoggiando la schiena ad un armadietto celeste ricoperto di strass accanto il suo.
-Grazie.- balbettò lei, lisciandosi il maglioncino a disagio.
Lui le sorrise, venendo fulminato dall'amico. -Sta zitto, imbecille.- brontolò quest'ultimo.
-Ma guarda un po' chi si rivede, come mai da queste parti Watson?- squittì Sasha, rigirandosi una ciocca di capelli attorno l'indice, mentre le girava attorno come un aquila pronta per l'attacco.
Aveva un insopportabile voce fintamente infantile, che evidentemente lei trovava senza dubbio attraente; ed Hebe avrebbe tanto voluto farglielo notare, ma si trattenne mordendosi la lingua.
-Si da il caso che frequenti questa scuola da ormai cinque anni, Stevens.- sussurrò quindi, serrando gli occhi.
Era stufa, ma non doveva andare oltre o avrebbe solo peggiorato le cose.
Sta zitta Hebe, pensò grattandosi le mani, non parlare. Respirò affondo, ma non riuscì a trattenersi.
-Ma data la piccolezza del tuo cervello da gallina, non mi sorprende il fatto che tu l'abbia dimenticato.- aggiunse velocemente, sorridendole sarcasticamente.
Tutti spalancarono la bocca, compresa lei, sorpresi da come aveva reagito a quelle provocazioni. Non aveva mai risposto, era sempre rimasta tremante e angosciata come un piccolo ramoscello spazzato via dal vento quando la insultavano, ma ora aveva espresso pubblicamente quanto la trovasse stupida.
Si auto-complimentò da sola, immaginando un enorme platea di persone che si alzavano in piedi e la applaudivano per la sua sicurezza. Sicurezza che però vacillò quando l'espressione di Mark tramutò da sorpresa a furiosa. -Ma come ti azzardi, ragazzina?- grugnì, prendendo Hebe per un polso e sbattendola contro gli armadietti, azione che le provocò formicolii dolorosi per tutta la spalla destra.
-Lasciami. Mi fai male, idiota.- sussurrò digrignando i denti.
-Idiota? Te lo scordi.- sibilò ridendo sadicamente. -Adesso ci divertiamo un pò, vero Lucas?-
-Lasciatemi in pace, per favore.- sussurrò dimenandosi.
Il ragazzo interpellato fece per avvicinarsi quando una voce roca intervenne. La sua voce roca.
Era lo stesso ragazzo che aveva incontrato quella mattina.
-Toglietele le mani di dosso.- ringhiò.
Hebe era certa di non avere mai visto niente di più bello. Il cappotto scuro era lasciato aperto sul petto abbastanza da far intravedere la maglia nera che gli fasciava il busto, e gli stretti pantaloni rendevano la sua aria minacciosa altamente affascinante.
I ricci color cioccolato strategicamente messi in disordine, la mascella contratta, le labbra rosee e gli occhi freddi.
Era esattamente come lo ricordava, mentre disegnava durante Filosofia il suo profilo su uno dei fogli del quaderno per gli appunti.
-Chi cavolo sei, il paladino dei deboli?- chiese ridendo Mark, cercando di dimostrarsi il più disinvolto possibile. -Non sono affari tuoi. Esci dall'istituto, prima che qualcuno ti veda.- continuò, schioccando la lingua sotto al palato.
-È il tizio che ha picchiato quell'uomo difronte al Moonfire ieri sera.- sussurrò Lucas, cercando di non farsi sentire, con scarsi risultati.
Hebe corrugò le sopracciglia e guardò il riccio. Aveva un espressione impassibile.
-Ripeto, toglile le mani di dosso o il prossimo a cui romperò il naso sarai tu.- sibilò avvicinandosi.
Hebe guardava prima l'uno e poi l'altro senza fermarsi. Sasha se ne era andata subito dopo il suo arrivo, e Lucas aveva la stessa faccia scioccata di Hebe. Nessuno si era mai rivolto così a Mark Parker, era ben noto che poteva romperti in due, se voleva, ma a quanto pare la stazza del ragazzo non sembrava intimorire il misterioso difensore di Hebe.
-Ma sentilo.- rise. -E come pensi di fa..-
Fu interrotto bruscamente.
Hebe sgranò i grandi occhi cristallini, prima di girarsi per vedere cosa fosse successo.
Il naso di Mark era visibilmente rotto, e del sangue gli scorreva lungo il mento.
Non scherzava, pensò Hebe, gli ha davvero rotto il naso.
Spostò spaventata lo sguardo sul ragazzo dai bui occhi verdi, il quale se ne stava con immobile a guardare Parker barcollare all'indietro e mollare la presa ferrea dal suo polso.
-Così.- disse. -Penso proprio di fare così.-

 


Angolo autrice:
CIao a tutte!
Inizio col dire che questa è la prima volta che pubblico qualcosa, e questo mi elettrizza e spaventa a morte allo stesso tempo. Insomma, una mattina potrei anche trovare l'account pieno di insulti e cose del tipo ''Ma che cosa vai a scrivere? E'orribile!'', però tentare non nuoce.
Premetto che questo capitolo non è proprio la fine del mondo, e ne sono pienamente consapevole, ma man mano che vado avanti con la storia inizio a ''sciogliermi'' e a scrivere meglio. Credo che posterò, più o meno, uno o due capitoli a settimana, pregando affinchè qualcuno legga questa ff.
Spero davvero con tutto il cuore che vi piaccia, e che recensiate per farmi sapere cosa ne pensate! Incorcio le dita!
Un bacione,
Abby_xx

   
 
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