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Autore: AlexEinfall    28/06/2014    2 recensioni
Quando un eroe diviene il peggior nemico dell'umanità, quando ogni indizio conduce allo smantellamento di una maschera di bontà, quando è il cacciatore a divenire preda, chi potrà essere ancora dalla sua parte? Se Spencer Reid, un giorno qualunque, si risvegliasse con le mani sporche di sangue, chi potrebbe salvarlo dall'oblio? Tra lo spettro della dipendenza e qualcosa di molto diverso e più oscuro, la strada per la soluzione dell'enigma non potrà essere percorsa in solitudine.
Dal testo
Sangue. Nella nebbia della droga si era chiesto, tre o forse quattro anni prima, che odore potesse avere il sangue di un'altra persona sulla sua pelle. Possibile, si era chiesto, che le molecole odorose di qualcun altro, mischiate alle mie, possano dare come risultato un buon aroma? Soprattutto lo incuriosiva il pensiero che la morte, a contatto con la sua pelle, forse avrebbe avuto l'odore della vita.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Jordan

Di me stesso so solo quel tanto che riesco a capire
nelle mie attuali condizioni mentali.
E le mie attuali condizioni mentali non sono buone.
Douglas Adams



Atlanta, Georgia.

  Secondo le prime formulazioni dell'antropologia criminale¹, un assassino nato è irrecuperabile e primitivo, presenta tratti fisiognomici caratteristici che lo allontanano dalla possibilità di vivere con gli altri esseri umani, perché in realtà non sono suoi simili. Più di cento anni di storia della mente separano il BAU da queste antiche teorie, eppure Spencer rimane inebetito dietro lo specchio unidirezionale. Oltre la lastra di vetro, Hotch siede di fronte al sospettato: un ragazzo giovane dalla storia personale intrisa di disturbi mentali. Il dottore non può fare a meno di guardare con curiosità morbosa quel viso: i lineamenti dolci da adolescente mai sviluppato, i ricci castani che appaiono setosi, seppure non curati, e gli occhi grandi, ma sfuggenti.
  Il suo nome è Douglas Adams. Il solo sentirlo, gli ha scatenato una manciata di ricordi, pescati dai libri letti da ragazzo.

Il mio Universo sono i miei occhi e le mie orecchie. Tutto il resto è supposizione.²

  Questa la frase che gli è venuta in mente, guardando per la prima volta la foto di quel ragazzo. Vorrebbe avere una soluzione così semplice, ma i suoi occhi e le sue orecchie lo portano a una sola conclusione: la sua mente lo sta lentamente abbandonando. Si chiede se quel ragazzo, Douglas Adams, abbia provato la sua stessa terribile paura, nel momento in cui si è reso conto di aver strangolato una perfetta sconosciuta. Questo pensiero riesce a terrorizzarlo ancor di più: non si era mai reso conto, prima d'ora, quanto profonda potesse essere la paura di aver tolto una vita. Cerca di pensare che le sue sono solo supposizioni, ma non credere ai propri sensi è troppo difficile, perché sente ancora l'odore del sangue, il suono dell'ammoniaca che scivola nel lavabo e il fastidio della pelle tesa da troppi lavaggi.
   Tornando a Douglas Adams, il dottore si scopre a chiedersi se anche lui abbia lo stesso sguardo anormale. Quel ragazzino non è certo il ritratto di un mostro, ma Spencer non ha dubbi: «E' lui,» mormora «è stato lui.»
  Morgan aggrotta le sopracciglia. «Quale connessione ha creato il tuo bel cervello?»
 «Nessuna. Gli indizi e il profilo conducono in una direzione, ma è solo un orientamento. Le certezze possono arrivare senza prove, sono...esistono. Non posso spiegarmelo.»
  «Un uomo di scienza come te si affida al sesto senso?» lo beffeggia Morgan.
  Reid ha un moto di fastidio e volta la testa di scatto, fissandolo con un astio che lo sorprende. Lui è lì che lo canzona, che gli ricorda ciò che era prima di quella mattina, e non riesce a tollerarlo. In un attimo si accorge di odiare Derek e l'immagine che ha del gracile e bonario dottor Reid, un essere ingenuo e innocente con il quale lui non si ritrova. «Non credere di potermi conoscere così a fondo.»
  «Vuoi dirmi che ti prende?» ribatte l'altro, fronteggiandolo con la sua possente aria da troppo testosterone in circolo, tanto che Spencer riesce quasi ad avvertirne l'effetto sulla parte istintuale del cervello.
  «A me cosa prende?» lo beffeggia alzando le sopracciglia. «Credi di sapere tutto, vero? Credi che perché una persona sia innocente o...qualunque altra cosa, basti che tu lo senta? Tu non capisci nulla.»
 «E' di questo che si tratta? E' con me che hai un problema?»
  «Io non ho nessun problema» afferma poco convinto. «Forse dovresti pensare ai tuoi di problemi» rincara piccato. «Credi che io sia stupido?»
 «Di che diavolo parli?»
  In quel momento la porta della piccola stanza, che sembra sempre più stretta, si apre e Hotch fa capolino.
  «Possiamo ritenere il caso chiuso» annuncia il supervisore capo. Poi squadra entrambi e annusa la situazione. «Cosa succede qui?»
  Reid si affretta a parlare: «Nulla di importante» dice, con l'intenzione di ferire il più possibile. Poi guarda Morgan e aggiunge: «Non starmi col fiato sul collo, non sono una tua responsabilità.» Sorpassa Hotch, costringendolo a farsi da parte, e scompare oltre il corridoio a passo svelto e risoluto. Il supervisore lo guarda andar via e rivolge uno sguardo interrogativo all'agente.
  «Hai sentito, no? Lui non è mia responsabilità» quasi ringhia Morgan, uscendo anche lui e combattendo ferocemente contro l'istinto di rincorrere il dottore.


  Il viaggio di ritorno in jet è silenzioso. Tutti avvertono la tensione, poiché si trovano nel mezzo di quel muto conflitto: in un angolo siede Spencer, con lo sguardo perso nelle proprie mani; all'angolo opposto Morgan guarda oltre il finestrino, con le mascelle serrate e le sopracciglia corrucciate.
  Dopo quel diverbio, non hanno più parlato l'uno con l'altro e Spencer si è chiuso in un mutismo estremo, rifiutandosi di proferir parola con chiunque. Negli ultimi tre giorni la sua mente si è divisa: una piccola parte ha lavorato al caso come a qualunque altro e ha costruito la facciata di una normalità vacillante. Ma la parte maggiore della grande testa del dottore è rimasta invischiata nella spirale della paranoia: mentre guarda le dita sottili aggrovigliarsi tra loro, sente la morsa al petto, che lo opprime da quella dannata mattina, stringersi a cappio. Ora sa che, nel momento della caduta, sarà inevitabile trascinare con sé la sua famiglia. Vorrebbe solo far soffrire di meno, limitare i danni, arginare i confini. Si sente travolto da ogni sorriso che gli viene porto, ogni tentativo di avvicinamento, ogni premurosa attenzione rivoltagli. Se ne sente colpevole, aggredito, impotente. Ma, soprattutto, si sente irrimediabilmente solo.
  Mentre il jet sorvola una tempesta in formazione, gli occhi del dottore cominciano a inumidirsi.


  Appena giunti in ufficio, dentro Spencer sorge il terrore del ritorno a casa. Il mal di testa non lo lascia un attimo, sprofondandolo nel dubbio di non essere in grado di giungere al proprio appartamento senza drammi.
  E se dovesse accadere di nuovo? Se ancora perdessi l'orientamento e la memoria?
  Riesce a bloccare JJ prima che salga sull'ascensore. Ha atteso che tutti andassero via e che la ragazza, rimasta per sbrigare delle pratiche, fosse pronta per ritornare dalla vera famiglia.
  «Spence, tutto bene? Non sapevo fossi rimasto fino a quest'ora.»
  «Volevo rivedere il caso» mente il ragazzo. «Stai tornando a casa?»
  «Sì, Henry ha fatto un po' di capricci e non vuole andare a dormire» risponde sorridente.
  «Oh...»
  «Qualcosa non va?»
  «Nulla. Volevo chiederti un passaggio, ma se vai di fretta non importa, prenderò la metro.»
  JJ gli da una pacca amichevole sulla spalla, facendolo lievemente sobbalzare. «Sei un fascio di nervi, Spence. Meglio che mi assicuri che arrivi a casa sano e salvo.»

   Il parcheggio sottorraneo è silenzioso e umido. Mentre cammina, stringe le braccia al petto e cerca di non pensare. Sa che, se qualcosa dovesse trasparire dal suo volto, JJ lo noterebbe subito. Per distrarsi, si guarda attorno, soffermandosi a leggere le targhe delle auto parcheggiate. Sono per lo più piccole auto compatte, tutte scure, appartenenti ai dipendenti notturni. Quasi giunti alla monovolume di JJ, qualcosa attira l'attenzioe di Spencer. Fa un passo indietro e controlla meglio, sicuro che qualcosa non vada.
   «Spence?»
   Si riscuote e guarda la collega con tono interrogativo. «Questa di chi è?» chiede indicando un'auto rosso scuro. JJ fa spallucce e sorride.
   «Perché?»
   «Hanno assunto qualcuno di nuovo?» insiste Spencer: è sicuro di non aver mai letto prima quella targa. In fondo lo avrebbe ricordato certamente.
   «No...non lo so. Ha importanza?» chiede JJ ridendo.
   Reid abbozza un sorriso, guarda ancora quella targa e poi fa spallucce, raggiungendo l'auto dell'amica.
   Forse la sua paranoia comincia ad essere fin troppo estrema.   


  Appena chiude la porta dell'appartamento, il telefono prende a squillare. Fruga freneticamente nella tracolla, rischiando di far cadere il cellulare nel rispondere.
  «Sì?»
   Una voce femminile, posata e calma, risponde: «Hey! Sono io, Jordan.»
   Sa di conoscere quel timbro particolare, ma non riesce ad associare quel nome a qualcuno.
   «Mi scusi?»
   «Jordan Norris, ricordi?»
  Uno spiraglio si apre nella mente del dottore, aprendo un grosso occhio sul passato: Jordan, l'unico amore di Owen³, il ragazzo che lui allora credeva d'aver salvato. Ora sa che, in realtà, non c'è salvezza per quelli come lui.
  Per noi.
  «Oh, sì, certo. Mi ricordo di te.»
  Dall'altro capo del telefono proviene una risatina. Tutta quella spensieratezza, malgrado i drammi del ricordo, lo intenerisce. «Vorrei ben dire. Sono appena atterrata a Washington. So che è tardi, quindi possiamo vederci anche domani mattina.»
  Spencer strizza gli occhi, confuso: di cosa sta parlando?
  «Jordan, non credo di capire...»
  «Ma come? Mi hai chiesto di venire a Washington, per...sai, qualcosa che riguarda Owen...» gli dice, bisbigliando in modo circospetto.
  Spencer conferma e la saluta, con la sola intenzione di riagganciare quell'assurda telefonata.
  Poggia la schiena alla penisola della cucina e cerca di ricordare.
 Jordan Norris soffre di un lieve ritardo mentale, nulla fa supporre deliri o idee di riferimento.
   Spencer conclude che l'ipotesi più probabile è riconducibile a quella notte d'amnesia: deve aver contattato la ragazza e ora non ne ha memoria. Ma perché chiamare Jordan? E, soprattutto, cos'altro ha fatto? Molla tutto dove capita e si dirige in bagno: ha davvero bisogno di una doccia.
  Sistemerò tutto domani, si dice. Deve esserci una spiegazione.
  Mentre l'acqua calda gli penetra in ogni poro, i muscoli riescono a rilassarsi e la mente sembra sciogliersi.
  Tutto si sistemerà.
 




¹Si parla della teoria di Cesare Lombroso, oramai sorpassate. Per chi vuole approfondire, Cesare Lombroso su Wikipedia
²Citazione tratta da Ristorante al termine dell'universo di Douglas Adams.
³Episodio 16 della Terza stagione Memoria da elefante.

Note: Ringrazio chi mi sta seguendo, chi sta commentando la mia storia e chi, in fondo, mi sta spronando a pubblicarla.
Vi sono davvero grata.
Ax.
  
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