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Autore: _Nica89_    29/06/2014    2 recensioni
Per gli abitanti dei distretti ogni mietitura è una situazione nuova, le paure cambiano nel tempo, a seconda dei ruoli che ognuno riveste. Per Cecelia, vincitrice e mentore, la settantaquattresima mietitura coincide con la prima del figlio.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cecelia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest di ManuFury 1 su 24 ce la fa
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Tributo:Cecelia
Turno:quarto
Titolo Storia:Una mietitura alla volta
Pacchetto (se presente): 11. Il Tributo assiste per la prima volta ad una Mietitura (+1 punto se assiste ma non vi partecipa).
Genere:introspettivo, Slice of life
Rating:verde
Avvertimenti:
Pairing (se presente):
Note (facoltative): Non dovrebbe esserci nulla in particolare. Ho dovuto forzare un po’ le edizioni dei Giochi, per non avere dei bambini troppo grandi nell’edizione della memoria. I quattordici anni di mietiture sono quelle dalla prima di John all’ultima di Jenny.


Una mietitura alla volta

 
Continuo a rigirarmi nel letto, incapace di riprendere sonno. Se Richard fosse con me, probabilmente mi limiterei a rimanere immobile a fissare il soffitto, invece di controllare insistentemente le lancette dell’orologio che sembrano non volersi spostare dalle quattro del mattino.

Rimanere ancora sdraiata mi è impossibile, così mi alzo e mi dirigo verso le stanze dei bambini. Socchiudo appena le porte di quelle di James e Jenny, che riposano sereni ed entro nella camera di John. Anche lui – come i fratelli – sta dormendo, ma il suo sonno è agitato. Non posso vedere i suoi sogni – o, meglio, i suoi incubi – ma posso immaginare quali paure il suo subconscio sta risvegliando.

Vorrei svegliarlo, mostrargli che è al sicuro e che si trattava solo di un incubo, ma già so che peggiorerei solamente la situazione.    
Da quando, qualche mese fa, ha compiuto i dodici anni qualcosa è cambiato e John è diventato sempre più schivo. L’argomento “Hunger Games” è diventato sempre più spinoso e qualsiasi accenno a esso creava nuova tensione che si andava ad aggiungere a quella precedente.

Nonostante i miei propositi, non posso fare a meno di sedermi sul bordo del letto e spostare il ciuffo di capelli che gli ricade sugli occhi. Ritraggo velocemente la mano quando si sveglia con un sussulto. John impiega qualche secondo, prima di riuscire a mettere a fuoco la stanza e ad accorgersi della mia presenza.

«Mamma» mormora, con la voce impastata di sonno, mentre si mette a sedere con la schiena appoggiata alla testiera del letto.    
«Non volevo svegliarti» sussurro a mia volta, per scusarmi.    
John si stropiccia gli occhi, borbottando qualcosa che assomiglia vagamente a un «che ore sono?».
«È presto, rimettiti a dormire» cerco di rincuorarlo, prima di sfiorargli una gamba e congedarmi da lui.

«Aspetta» la sua voce è bassa, insicura, ma la sua richiesta d’aiuto è chiara, così rimango seduta sul suo letto, in attesa di una domanda che non tarda ad arrivare:    
«Se io dovessi essere scelto …» esita, ed io cerco di interromperlo:    
«Cerca di non avere pensieri negativi, non è ancora detto nulla»    
«Ma, se davvero toccasse a me, – insiste – sarai tu a farmi da mentore?». Ha dovuto sforzarsi per lasciare che quelle parole uscissero dalle sue labbra.

«Non sono stata invitata a Capitol City, quest’anno» ammetto, dispiacendomi – per la prima volta – che sia Sarah a occuparsi dei tributi di quest’edizione.    
John annuisce senza parlare, sul suo volto vedo l’ombra creata dalla flebile speranza che ho appena cancellato. Mi sento in obbligo di aggiungere qualcosa per rassicurarlo:    
«Farò comunque tutto il possibile per farti tornare a casa, se il tuo nome venisse estratto dall’urna».

Gli sfioro la guancia e lui si getta tra le mie braccia. Lo stringo, lasciando che trovi quel conforto che tanto ostinatamente cercava di rifiutare.    
Sento le sue braccia fare altrettanto dietro la mia schiena; tutte le difese che aveva cercato di alzare sono crollate come un castello di carte e, improvvisamente, mi appare troppo fragile per poter sopportare la mietitura.

Lentamente, la stretta attorno al mio busto si allenta ed io mi sciolgo dal suo abbraccio.
«È ancora presto per alzarsi, prova a riaddormentarti» gli suggerisco, posandogli un nuovo bacio sulla fronte.
John annuisce, sistemandosi sotto le coperte.    
«Rimarrai finché non mi sarò addormentato?» domanda, trattenendo a stento uno sbadiglio.
«Solo se lo vuoi» gli rispondo. John annuisce, chiudendo gli occhi, mentre io rimango a vegliare su di lui.

Sussulto quando Richard mi sveglia. Il sole ormai entra sicuro dalle persiane; inizio a pentirmi di aver desiderato che la notte passasse velocemente: adesso vorrei poter fermare il tempo, in modo che l’ora della mietitura non arrivi mai più.

Guardo mio marito, il suo volto è segnato dalla stanchezza del turno di lavoro appena concluso, ma è ugualmente pronto a darmi tutto il sostegno di cui ho bisogno. Mi stringo a lui e insieme continuiamo a osservare il nostro primo figlio.    
Richard sbadiglia e subito gli propongo di andarsi a stendere, approfittando degli ultimi momenti di tranquillità prima che si sveglino i bambini e che arrivino i miei preparatori per oggi pomeriggio.

«Non preoccuparti, – mi risponde – preferisco fare colazione». Mi bacia la fronte ed io lo seguo verso la cucina. Sono tentata di svegliare anche i bambini, per far godere loro una delle poche colazioni tutti insieme, invece lascio che rimangano a letto ancora per un po’.

«Com’è andato il turno di notte?» domando a Richard, porgendogli una delle due tazze di caffè fumante che ho appena preparato. Lui fa una smorfia, prima di raccontare:    
«Hanno serrato ancora i tempi di produzione.  Per poco, una nuova operaia ha rischiato di stamparsi il logo di Capitol City sulla mano, invece che sulla divisa del pacificatore …». Scuote la testa, esprimendo tutta l’esasperazione che prova in un sonoro sbuffo.

«Mi chiedo fino a che punto vorranno spingersi, la gente è al limite della sopportazione. Basta uscire in strada per capirlo».
«La gente ha già superato quel limite – mi corregge Richard – la protesta in fabbrica è già pronta a scoppiare, si stanno muovendo su un terreno minato».

Rimango in silenzio, fissando il contenuto della mia tazza, ripensando a una conversazione tra i miei genitori – udita, per sbaglio, diversi anni fa – su una protesta in fabbrica e sulla sorte che toccò a mio zio per avervi preso parte attivamente.

Torno nuovamente a osservare mio marito, ma il discorso viene interrotto dall’arrivo dei due bambini più piccoli. Jenny corre subito dal padre, mentre James corre a cingermi la vita, prima di richiedere la sua colazione. Mentre scaldo il latte per i due, ci raggiunge in cucina anche John.

«Buongiorno!» lo saluta Richard.    
«Vuoi qualcosa di colazione?» gli domando io.    
Lui scuote la testa. Non mi è difficile capire che ha nuovamente indossato quella fragile corazza che ha costruito negli ultimi mesi. Con un groppo alla gola, lascio che sbocconcelli solamente alcune fette di pane tostato. Alzo lo sguardo verso l’orologio che segna quasi le dieci, tra poco arriverà il mio team di preparatori.

Non faccio in tempo a rassegnarmi all’idea di essere nuovamente trattata come una bambola, che il campanello inizia a suonare come impazzito. Jenny sobbalza e corre prontamente a nascondersi sotto il tavolo. Questa scena mi farebbe sorridere, se solo non conoscessi quanto sia terrorizzata dall’idea di trovarsi davanti a Tigris, la mia vecchia stilista. Ho provato a spiegarle che – come l’anno scorso – sarà Lumnia a prepararmi, ma Jenny preferisce rimanere nascosta e sbirciare appena, uscendo allo scoperto solo dopo essere sicura che “la donna tigre” non sia effettivamente in casa.

Appena apro la porta, la casa si riempie delle voci e dei toni tipici di Capitol City.
Lumnia non perde tempo ed elenca minuziosamente il suo programma, sia a me che ai suoi due aiutanti.
«Hai già scelto l’abito che indosserai, cara?» mi domanda.    
«Non ancora» ammetto, anche se è difficile spiegare a un abitante della Capitale il perché – solitamente – non sia l’abbigliamento a preoccupare gli abitanti del Distretto, nel giorno della mietitura.

Lumnia zittisce i mormorii di dissenso dei suoi collaboratori e torna alla carica:
«Vorrà dire che lo sceglieremo insieme, in attesa che i trattamenti per i capelli facciano il loro dovere. Visto che sono previdente, ho portato qualcosa di davvero delizioso! Sono sicura che non hai visto abiti più belli … » afferma,spingendomi verso il bagno, dove inizia subito a miscelare creme e polveri in diverse scodelline, prima di applicarmi in testa vari intrugli.

Dallo specchio riesco a vedere il viso di Jenny sbirciare furtivamente nella stanza. Sorrido e lei mi contraccambia, radiosa come solo una bambina di cinque anni può essere.
«È tua figlia?» domanda la mia stilista, mentre fruga nella sua borsa da lavoro, alla ricerca di qualche strumento particolare.
«La più piccola» confermo, ma non faccio in tempo a chiamarla che lei è già scappata via, lanciando gridolini divertiti.

Lascio che il mio staff continui con i vari trattamenti. Rimango chiusa in bagno per buona parte della mattinata. Dalla cucina iniziano a provenire i rumori dei piatti di ceramica sistemati per il pranzo. Sono costretta a rimanere con i miei preparatori, mentre Richard e i bambini iniziano a pranzare e riesco a raggiungerli solo quando hanno quasi terminato. Tuttavia, il piatto di John è ancora pieno e lui continua a spostare il cibo da una parte all’altra, senza mangiarlo.

In un giorno qualsiasi lo sgriderei, ma la paura di una lite prima della mietitura mi trattiene. Finito il pranzo, ho solo il tempo di sparecchiare, prima che i tre preparatori mi rapiscano nuovamente per la vestizione e gli ultimi ritocchi al trucco. Quando sono finalmente pronta, manca solo un’ora alla mietitura. Richard ha già fatto il bagno a Jenny e John si sta lamentando che il fratello sia entrato in bagno prima di lui.

«Mi ero messo d’accordo con Oliver, per andare insieme, ma se James non si sbriga a uscire, come cavolo faccio?» l’ultima frase la rivolge direttamente al fratello, tempestando la porta di pugni. Lo allontano, cercando di farlo calmare. Fortunatamente James esce poco dopo.
«Adesso puoi andare a farti la doccia, intanto ti lascio sul letto il tuo completo, va bene?» lo rassicuro. John si chiude a chiave senza nemmeno preoccuparsi di rispondermi. Sfortunatamente, alla scena assistono anche i miei preparatori.

«Cara, dovevi dircelo che avrebbe partecipato alla mietitura, ci saremmo organizzati per poter preparare anche lui! Non ci è rimasto molto tempo adesso, possiamo comunque aiutarti nello scegliere i vestiti e sistemargli i capelli, sono sicura che  ruberebbe la scena a tutti gli altri ragazzi presenti in piazza …»    
«No». Le parole escono dalla mia bocca ancora prima che possa addolcirle con della falsa cortesia, tanta è la rabbia che provo all’idea di mio figlio nelle loro mani.    
«Ma, cara, - tenta di convincermi Lumnia, mentre m’insegue insieme al suo staff – vogliamo solo che possa risplendere!»

«Mio figlio non è un tributo. Non ancora! – inizio, scegliendo dall’armadio di John un paio di pantaloni stirati e una camicia di lino – Se verrà estratto, non vi mancherà occasione di acconciarlo come più ritenete giusto. Fino a quel momento sarò io a occuparmi di lui, così come sarò io a preoccuparmi della preparazione degli altri miei figli, chiaro?»

Vedo la mia stilista sgranare gli occhi sorpresa e, al contempo, risentita per la mia reazione. Poi Lumnia si mette sul volto la sua miglior espressione indignata ed esce dalla stanza, seguita a ruota dai suoi colleghi.    
Mi rendo conto di stringere troppo forte gli abiti che ho in mano; li appoggio sul letto, cercando di rimediare alle grinze lasciate dalle mie dita, ma le mie mani tremano troppo per ottenere un risultato accettabile. Mi siedo sul letto, cercando di calmarmi, con l’unico risultato di vedere John in piedi sul palco.

Richard entra in camera e mi trova nel momento peggiore della mia crisi di nervi.
«Cosa è successo? Quelle tre hanno raccolto tutto in fretta e furia e hanno puntato dritte verso la porta! Pensa che non ho dovuto neppure prendermi il disturbo di aprirla!». Mi scappa un mezzo sorriso nell’immaginarmi la scena, poi torno seria.    
«Volevano preparare anche John ed io non sono riuscita a controllarmi» gli spiego, cercando protezione tra le sue braccia.

«Non so cosa mi sia preso, Lumnia lo considerava già come un tributo mentre mi proponeva di vestirlo e pettinarlo, affinché si distinguesse dagli altri ed io …» cerco di impedire alle lacrime di cadere, mentre parole incoerenti continuano a uscire dalla mia bocca. Richard mi zittisce. Continua a stringermi delicatamente, la sua mano scivola lungo la mia schiena, per poi risalire fino alla base del collo. Mi aggrappo a lui, per non affogare nelle mie stesse paure. Quando mi scosto appena, Richard mi fissa per assicurarsi che io stia meglio e in lui vedo riflessi i miei stessi timori.

«Non so se riuscirò a sopportare tutto questo per i prossimi quattordici anni» ammetto.
«Nemmeno io, – confessa a sua volta, poi mi prende il volto tra le mani – ma dobbiamo essere forti. Per loro. Non dobbiamo affrontare tutto adesso. Una mietitura alla volta, ricordi?» domanda mio marito, io annuisco e accenno a un debole sorriso, nel riconoscere le parole con le quali mi aveva dato coraggio il primo anno da mentore.    
Siamo ancora abbracciati quando John rientra in camera. Richard mi trascina fuori dalla stanza, congedandosi da lui con un semplice: «Ti aspettiamo di sotto».

In salotto, James gioca insieme a suo padre, mentre io finisco di allacciare l’abitino di Jenny.
«Sono pronto» annuncia John. Cerca di sembrare sicuro, ma è evidente quanto sia spaventato. Richard gli dà una pacca sulla spalla, per incoraggiarlo. Io gli sistemo il colletto della camicia, poi lo stringo a me, sussurrandogli all’orecchio:    
«Mi raccomando, cerca di non salire su quel palco!»    
«Farò del mio meglio» mi risponde, come se davvero questo dipendesse da lui. Lo bacio un’ultima volta, prima di lasciarlo uscire di casa.

Aspetto a raggiungere la piazza principale finché la sirena non inizia a suonare, annunciando l’imminente inizio della mietitura. James tiene per mano Jenny sul vialetto del Villaggio dei Vincitori, mentre io e Richard li seguiamo a breve distanza. Le sue dita stringono le mie ed io mi concentro solo su questo piccolo gesto, per riuscire a compiere il tragitto da casa fino al Palazzo di Giustizia. La strada principale si sta riempiendo velocemente di persone, così Richard richiama i bambini, in modo da non perderli tra la folla.

Rimango con loro a lato del palco, cercando di controllare la crisi di panico che sento crescere. Lo spazio riservato ai potenziali tributi va lentamente riempiendosi. Più volte cerco John sia tra i dodicenni, sia tra i ragazzi non ancora registrati; finalmente lo scorgo, mentre si allinea accanto ad alcuni suoi compagni di classe. Sento una stretta allo stomaco nel realizzare che – da ora in poi – non potrò più fare nulla per tenerlo al sicuro.

Scorgo tra la folla anche Daniel, il mio vecchio mentore che si sta facendo strada verso di me. Quando mi raggiunge nota subito che la mia famiglia non è al completo, io gli indico con un cenno della testa i recinti ormai quasi al completo.    
«Capisco» si limita a dire, prima di scambiare qualche parola anche con Richard, prima di suggerirmi di entrare nel Palazzo di Giustizia dalla porta a noi riservata.

A giudicare dalle espressioni preoccupate sui visi che mi circondano, devo essere impallidita improvvisamente. Richard è subito al mio fianco a cingermi la vita, per impedirmi di cadere.
«Mamma, sei tutta bianca!» esclama allarmata Jenny.    
«Non è niente, tesoro, è tutto a posto. Adesso la mamma sale sul palco insieme a Daniel e Sarah, ci vediamo dopo. Va bene?» cerco di tranquillizzarla, accarezzandole il visino paffuto.
«Ti accompagno» si offre subito Richard. Gli poso una mano sul petto e scuoto piano la testa:
«Sto bene, rimani con loro» rispondo a bassa voce, prima di allontanarmi da lui che, a malincuore, mi lascia andare.

Scortata da Daniel, mi unisco al sindaco, a Sarah e a Nahe, l’accompagnatrice di Capitol City che sorteggerà i due tributi. Quando l’orologio batte le quattro in punto, il portone principale del Palazzo di Giustizia si spalanca e noi facciamo il nostro ingresso e noi facciamo il nostro ingresso sul palco. Con passo tremante, riesco a raggiungere il posto che mi è stato assegnato.

Non è la prima volta che assisto alla mietitura da un punto di vista così privilegiato come il palco, ma ogni mietitura è differente: ne ho vissute tante, alcune confusa tra gli spettatori, altre nei recinti delle ragazze sorteggiabili, altre come vincitrice, ma mai – fino ad oggi – come madre. Da semplice spettatrice, mi chiedevo chi sarebbe salito; da candidata, speravo di non essere io; da mentore, mi domandavo quali ragazzi mi sarebbero stati affidati; da madre, spero solo che non estraggano mio figlio, anche se questo vuol dire vedere un altro ragazzo strappato alla propria famiglia.

Il colpo d’occhio sulla piazza è davvero notevole: l’ordine marziale dei ragazzi sorteggiabili, rigorosamente divisi tra loro per sesso ed età, contrasta con la folla di spettatori, assiepata caoticamente accanto a loro. A fare da spartiacque tra i due gruppi, solo un cordone umano di pacificatori dalle divise candide.

Quest’anno, però, tra quei ragazzi c’è anche John. Mentre l’inno di Panem riecheggia dagli altoparlanti, continuo a tenere il mio sguardo puntato su mio figlio: ho voluto fargli vivere un’infanzia serena, lontana dalla logica degli Hunger Games e adesso mi domando se non avessi fatto meglio a prepararlo per i Giochi, ad allenarlo come un favorito o – quantomeno – ad abituarlo ad affrontare l’Arena.

La cerimonia continua e Nahe guadagna il centro del palco per sorteggiare i due tributi della Settantaquattresima Edizione. Imitando gli altri mi siedo meccanicamente al mio posto. Questo è sempre stato il momento che ho temuto e odiato maggiormente, ma mai avrei creduto di poter sentirmi tanto terrorizza e impotente come in questo momento. Per la prima volta, capisco realmente l’ansia che provava mia madre, e anche i suoi dubbi quando le avevo annunciato di voler avere dei figli: sapeva cosa mi sarebbe aspettato, lo aveva già passato a causa mia e voleva evitarmi almeno questa sofferenza.

Fa che non tocchi a John, imploro mentalmente, mentre Nahe sta ancora scegliendo il bigliettino nell’urna delle ragazze.    
«Zoe Needle» annuncia pimpante. Non ho mai sopportato il suo vizio di aspettare qualche secondo prima di pronunciare il cognome del sorteggiato. Dalle file centrali una ragazza si fa avanti, mentre la piazza rumoreggia riconoscendo la figlia del sindaco.    
Rivolgo uno sguardo di solidarietà alla moglie, come se questo potesse esonerare la ragazza dal partecipare agli Hunger Games.

Nahe la accoglie sul palco, prima di saltellare verso l’urna opposta. John segue i suoi movimenti con volto terreo. Vorrei poter essere accanto a lui, stringerlo per affrontare insieme questo momento, invece sono costretta a lasciarlo solo.    
Fa che non sia lui, ripeto mentalmente. So che è un pensiero egoista, ma non posso farne a meno.

«John Wool».    
John. Il nome di mio figlio continua a rimbombarmi nella testa, mentre il sangue mi rimbomba nelle orecchie e tutti gli altri rumori svaniscono e il mondo mi pare improvvisamente ovattato. Alla fine è successo proprio ciò che temevo.    
Guardo mio figlio e lo vedo immobile al suo posto, con i pugni ancora serrati, ma sul suo viso inizia a dipingersi una traccia di sollievo.    
Quando vedo un ragazzo uscire dalle ultime file e avviarsi verso il palco, mi rendo conto di non aver sentito il cognome del ragazzo, troppo colpita dal nome pronunciato da Nahe.

Il senso di liberazione che provo è talmente forte da provocarmi le vertigini.
«È salvo» sussurro appena, lasciando che un debole sorriso compaia sulle mie labbra.
La prima mietitura di John è finita e presto sarà di nuovo insieme ai suoi fratelli. Mi alzo in piedi per l’inno che conclude la cerimonia. I due tributi vengono scortati all’interno del Palazzo di giustizia per poter dire addio ai loro familiari. Con la coda dell’occhio vedo il sindaco sorreggere la moglie e accompagnarla oltre la porta.

Raggiungo Richard e i due bambini più piccoli, mentre la folla inizia a diradarsi. John ci raggiunge poco dopo. Lo stringo forte, mentre tutta la sua tensione si scioglie in un pianto liberatorio.
«È finita, sei salvo» cerco di rassicurarlo, lui annuisce, mentre con i pollici gli asciugo le lacrime che ancora rigano il suo viso. Il peggio – per quest’anno – è passato e possiamo tornare a casa tutti insieme.

Rientrare nel Villaggio dei Vincitori non mi è mai sembrato tanto dolce, anche se il mio pensiero non riesce ad allontanarsi dalle due famiglie che questa sera ceneranno con un posto vuoto in più alle loro tavole.
  
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