Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
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Autore: arianellatenera    29/06/2014    0 recensioni
Rebecca e una ragazza come tante; e un ottima studentessa, ha tanti amici, un fidanzato e una mamma che l'adora. Ormai è finita la scuola e Rebecca da una settimana continua a fare strani sogni che le sembrano reali. Quando sua Nonna Elaine si trasferisce da loro, Rebecca scoprirà cose su se stessa che le erano sempre rimaste nascoste.
Insieme a Nicole, la sua migliore amica, verrà a sapere che in città sono arrivati un nuovo gruppo di ragazzi, tra cui una ragazza misteriosa. Rebecca intenta a scoprire qualcosa di più su queste persone, finirà con il cacciarsi in guai seri. Come se non avesse già tanti problemi, si troverà in mezzo a un triangolo amoroso, dove il cuore e la mente vanno in parte opposte, ma quando Lucas rischierà di perderla per sempre, la salverà mettendo a rischio la loro intera stirpe, perché anche loro nascondono un segreto; sono vampiri Millenari, scappati dalla spagna per colpa di una setta di Maghi, con l'intenzione di Trovare La prescelta. Colei che verrà sacrificata nel rito della Stella Nera.
Rebecca si troverà a scegliere tra un amore impossibile e un destino oscuro dove lei sa, non c'é ritorno,
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Guardando lo specchio vidi una parte di me che non avevo mai notato prima. Gli occhi bruciavano per via della luce emanata dalla luce delle candele di camera mia, rivoli di sangue colavano dal collo fino ad incontrare il colletto del vestito. Mi girava la testa. Guardai intorno in cerca di qualcuno..o qualcosa, ma non trovai nulla, Il collo incominciò a pulsare quando toccai la ferita. era ancora invia di guarigione, ma era di certo migliorata. Guardai i miei occhi azzurri iniettati di sangue riflessi nello specchio, che fino a qualche giorno prima avevano brillato di giovane gaiezza di cui solo una fanciulla può godere. La mia pelle pallida, le pupille dilatate ... Tutto cosi simile a Lui. Un ondata di disgusto mi pervase, provocandomi un forte capogiro. Successe in un lampo, senza che potessi controllarlo e all'improvviso ricordai l'accaduto della notte precedente, sentendo la rabbia montare a fior di pelle. Se solo non avessi accettato quella stupida challange ora come ora non sarebbe successo niente. Le stradicciole erano riscaldate dai bagliori tenui delle lampade a gas, lungo la strada il campanile scoccò la mezzanotte a Plaça Catalunya. << Dai, andiamo altrimenti di questo passo non arriveremo mai. >> disse Juan. Era il capo della banda, in cui ero capitata per puro gioco, non avevo idea a cosa sarei andata incontro, almeno finché non accadde. << Juan, davvero. Potrebbe essere troppo rischioso! Non sappiamo nemmeno cosa ci sia laggiù.. >> sollevai gli orli dell'abito, correndo a piedi nudi sui mattoni freddi della strada. Juan mi fulminò con un occhiata. << Ma sentila. La piccolina ha paura del buio. Allora, perché non torni da tua madre. Nessuno ti ha detto di seguirci! >> Juan mi puntò un dito contro, ci guardammo in cagnesco, avevo tutti gli occhi dei componenti della banda addosso, si stavano burlando di me, incoscientemente lo sapevo. Strinsi le mani a pugno fin quasi a far sbiancare le nocche, digrignando i denti con violenza. Odiavo essere sfidata, ma avrei dato la dimostrazione che non ero una bambina, che ero benissimo al 'altezza della situazione. Strinsi gli occhi a fessura, camminando con la schiena più dritta del solito e passai oltre i loro sguardi impertinenti a mento alto. “ Non sono una bambina, non sono una bambina, non sono una bambina” cominciai a ripetermelo come un mantra, mentre il mantello volava nel vento di quella calda sera estiva, troppo silenziosa. Arrivammo alla stazione ferroviaria della città, nessun respiro, la tensione si divulgò all'interno del gruppo. << Chi vuole scappare e ancora in grado di farlo. >> Annunciò Juan a gran voce, ma avevo idea che si riferisse a me. Mi passai la lingua sulle labbra, stringendo in pugno il manico del pugnale. << Andiamo. >> Sussurrai. Jorge e Andres si strinsero l'uno all'altra guardandosi intorno, lanciando gridolini spauriti a ogni minima sagoma scura che vedevano intorno, sbuffai. Beh, se per questo avevano paura perfino della loro stessa ombra. Un ragazzo bruno e abbastanza tarchiato si fermò di colpo davanti agli altri. << E qui. >> sussurrò. << e stato qui che ho visto la donna attaccata al muro. >> Michelle indicò un punto davanti a se, lungo la parete di mattoni. Si strinse nel mantello, gli occhi fissi sulla parete, come se stesse rivedendo la scena di nuovo, davanti a lui. << Sei sicuro di aver visto bene? Magari eri cosi ubriaco di Sangria che ti sei sognato tutto. >> mormorò Juan, scettico. << No, giuro che lo visto. La stava mordendo, aveva il sangue che colava dalla bocca come fosse bava, aveva gli occhi come quelli del Demonio. >> Lo disse con tale disgusto che si dovette coprire gli occhi con le mani. Posai una mano sulla spalla di Michelle, cercando di tranquillizzarlo. D'un tratto, un grido di terrore proruppe dalle nostre bocche, stringendoci sempre più stretti. Guardandoci intorno, camminando all'indietro. Poi una sagoma nera e pelosa saltò giù dal muricciolo e mi si strusciò contro una gamba, miagolando. Era solo un gatto, mi posai una mano sul cuore. << Facciamo quello che dobbiamo fare e poi andiamocene. >> dissi. Juan annui, seccamente. Prese la spada e ci dirigemmo a capo chino verso il lato ovest dell'edificio. L'edificio era vuoto, buio e puzzava di qualche strano incenso, presi una fiaccola attaccata alla parete, illuminando il corridoio spettrale. Fogli di carta svolazzavano da per tutto, spifferi d'aria fredda facevano sbattere porte e finestre. Ma com'era possibile che tirasse vento se fuori ogni cosa era immobile? C'era qualcosa di strano, me lo sentivo. Le ragnatele occupavano buona parte del soffitto. Mano a mano che avanzavamo, fissai i segni sulle pareti. Marchi incisi con fuoco. Sguardi di ammirazione e un misto di inquietudine, si fece strada nei nostri cuori. Allora non erano leggende metropolitane. Mi senti mancare. Sangue, sangue essiccato ogni dove. Un colpo di tosse, ruppe la quiete dell'edificio, distraendomi dai miei pensieri occulti. Era la voce di un … Uomo, steso per terra, con una coperta di lana addosso e un secchiello accanto. << Guardate c'è qualcuno lì. >> Indicai la sagoma accasciata sulla parete dove pezzi di intonaco si sbriciolavano. Evidentemente era un naufrago o un prigioniero di guerra riuscito a scappare, da chi sa quale luogo di tortura. Ci avvicinammo con circospezione, magari aveva bisogno di aiuto. Juan mi afferrò il polso, stritolandomi indietro. Con uno strattone mi liberai dalla sua presa, e corsi in quella direzione. Visto che nessuno si avvicinava, fui la prima a fare il primo passo. << Ha bisogno di aiuto? Come si chiama? >> Notai la sua pelle pallida, come quella di un cadavere. L'uomo rispose con un mugolio, ritentai. << Jules. Mi chiamo Jules. >> la voce rauca e flebile era poco più che un sussurro. << Aiutatemi, sto morendo di fame, mi hanno abbandonato qui, e non so come fare a tornare a casa. >> Juan mi guardo in modo severo e distaccato. Mimò con le labbra: << Attenta. >> i suoi occhi erano fissi su di me. Mi avvicinai ancora. << Mi dica di cosa ha bisogno. >> Gli occhi rimasero chiusi, nessuna risposta. Una mano fredda mi afferrò per il gomito. << Non ti hanno insegnato che non dovresti dare retta agli sconosciuti, splendida ragazza? >> L'uomo mi tiro verso di lui, presi a scalpitare strillando come un ossessa. Juan e gli altri cominciarono a correre a destra e manca della ferrovia, scatenando il caos. Il mostro o qualsiasi cosa quell'essere fosse stata, mi sbatte la testa contro il vetro freddo, la sensazione sulla mia pelle, mi tolse il fiato. la gola esposta sotto i suoi denti aguzzi,una senso di stordimento mi pervase,non riuscivo a respirare, le lacrime mi sgorgarono dagli occhi fissi in quelli dell'uomo indemoniato, no non era un uomo, non era il termine corretto, era una bestia. La presa si allentò dal mio corpo, alzai gli occhi è divi Juan. << Scappate! Ti prego Juan, andatevene. >> Lui non rispose e nonostante le mie suppliche, si buttò sulla creatura tentando di ferirla a sua volta. Sbarrai gli occhi, cercando nel cinturino che portavo alla vita, il pugnale. Evidentemente, doveva essermi scivolato mentre correvo. Andres e Michelle mi raggiunsero, armati di lancia e spada, ci scambiammo uno sguardo d'intesa e poi corsi a tutta la velocità che l'abito, ormai sbrindellato e sgualcito, mi permetteva, tagliuzzandomi le piante dei piedi sui cocci di vetro. Mi nascosi dietro a un masso, respirando a fondo. Dovevo andarmene, trovare un diversivo, una via di fuga, ma non potevo lasciare i miei amici qui. Le urla mi giunsero alle orecchie, mi presi la testa fra le mani ciondolandomi avanti e indietro, ignorando il sangue che scorreva lungo il pavimento, tracciando linee immaginare. Il rombo cesso cosi com'era cominciato, mi sporsi appena per vedere cos'era accaduto, e lo spettacolo che si presentò dinanzi a me, mi gelò il sangue nelle vene. Teste sgozzate, tutte impalate in fila, trafitte da un legno. I corpi scarnati, erano completamente prosciugati del loro sangue, gli occhi spalancati in una morsa di terrore, vuoti come lo spazio. Posai una mano sulla bocca, gli occhi sgranati. Dovevo scappare, altrimenti avrei fatto la loro stessa fine. Raccolsi il mio pugnale, camminando il più silenziosamente possibile. Quella forza sovrumana mi affascinava eppure mi intimidiva. << Eh, no tu non mi scappi, mi dulce Muñecaaaa. >> trascinando l'ultima parola. Guardai in tutte le direzioni. Jules era appeso al soffitto. Inclinò la testa in modo innaturale. Gli occhi di brace che mi squadravano, le labbra perfette appena socchiuse. Quindi, la bestia portava un nome. Mi feci avanti, senza timore sta volta. Jules scivolò con eleganza dal soffitto con un tonfo. Finalmente faccia faccia con il nemico. “ Se dobbiamo giocare, giochiamo.” Pensai, con aria di sfida. Jules mi ghermì con forza senza neanche dandomi il tempo di scappare. Scivolai con violenza sul pavimento sanguinante, sentendo la spina dorsale rompersi mentre un grosso coccio di vetro mi si infilzava dentro facendomi urlare dal dolore. Il suo alito pesante sul collo, il senso di arrendevolezza, la mia stupidità, tutto era davanti ai miei occhi. I suoi canini mi sfiorano con estrema lentezza la giugulare nel feroce tentativo di squarciarla. Sono inerme sotto i suoi artigli, più mi muovevo più la vista si annebbiava, ogni minimo sforzo che facevo per rimanere lucida era un salto ancora più profondo nelle tenebre dove quel dannato mi stava trascinando. Le sue parole suadenti, mi stregavano, mentre mi abbandono miseramente senza neanche aver lottato. Mi sento cosi stupida, mi sono fatta soggiogare con cosi tanta ingenuità. Alzò una mano per proteggermi gli occhi offuscati dal fuoco, il respiro mozzato, dove atroci guaiti , mi dilaniano consumandomi flemmaticamente. Lui si sazia di me, del mio sangue, poi il suo sorriso sudicio di sangue e i suoi occhi sono l'ultima cosa che vedo, prima di cadere nelle tenebre, dove mi accolgono, cullandomi dolcemente. Mi copri il viso con le mani, le membra ancora in preda agli spasmi. Una risata roca riempì gli spazzi vuoti della stanza. Sentivo un odore di marcio e muffa così forte che mi stavano salendo i conati. << Finalmente!>> mi girai di scatto verso quella voce profonda. Lui era li, a pochi centimetri da me, sentivo il suo alito che puzzava di alcol e questo di certo non aiutava il mio stomaco. << Cosa mi hai fatto bastardo?>> intuendo dalla sua risata aveva preso il mio insulto come un complimento. <> con un gesto della mano provocò uno sfarzo di vento così forte da dovermi aggrappare al baldacchino per non perdere l'equilibrio e cadere per terra. Mi prese per i fianchi, facendomi letteralmente volare. Caddi sul letto. I suoi occhi di un rosso scarlatto si posano su di me come se volesse mangiarmi. Aprii la bocca per cacciare un urlo, ma prima che potessi farne uscire un rantolo, mi si avvicinò stringendomi il collo in una gabbia ferrea, guardandomi negli occhi con quel sorriso così perfetto. La presa divenne sempre più stretta, tentavo invano di togliere quella mano pallida da dosso. Più la sua presa diventava stretta, più il suo sorriso si incurvava diventando sempre più ampio. sentii il sonoro schiocco di un osso che si rompeva. Ero morta.
  
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