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Autore: Jewels5    29/06/2014    6 recensioni
Lei era drammatica.
Lui era dinamico.
Lei era precisa.
Lui era impulsivo.
Lui era James e lei era Lily, e un giorno condivisero un bacio, ma prima condivisero numerose discussioni, poiché lui era presuntuoso e lei dolce, e le questioni di cuore richiedono tempo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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n/t Senza ulteriori preamboli...

Disclaimer
: Copyright di J.K.Rowling. E I Lovin’ Spoonful

Nei capitoli precedenti di TLAT: Remus è un lupo mannaro (anche se, se non lo sapevate, ora come ora  non dovreste leggere nient’altro che Il Prigioniero di Azkaban). Tutti tornano a casa per le vacanze estive. James, Remus e Peter si rifiutano ancora di incontrare/parlare con Sirius dopo lo scherzo del Platano Picchiatore ai danni di Piton. L’amicizia tra Lily e Piton finisce, appena lei fa ripartire la sua amicizia con James.

Riguardo alla Geografia: Ho controllato in una mappa e ho realizzato dove si trovi effettivamente Manchester, e gli errori geografici in questo capitolo sono, per prima cosa, il risultato di un ricordo confuso del primo capitolo del primo libro (dimenticando il riferimento di Hagrid a Bristol). Se trovassi il tempo, potrei correggere dopo, ma al momento non ho né tempo né energie e, nel frattempo, mi sento obbligata a chiedervi scusa.

Capitolo 24 – “Contra Mundum”

O
“Summer in the City”

Tanto tempo fa c'era un bambino, che aveva cinque anni ed era felice. Il suo nome era Remus Lupin.

Al quel tempo, Remus era un bambino vivace. Sua madre, una babbana, amava molto suo figlio sebbene i suoi frequenti scoppi di magia accidentale erano sempre accompagnati dallo shock. Suo padre, un mago, lo adorava.

Era cresciuto vicino Rochdale e aveva facilmente fatto amicizia con gli altri bambini non babbani della zona. Stare all’aria aperta lo divertiva; amava il mare ed il sole ed il vento. Rideva frequentemente e con facilità; era intelligente, aveva imparato a leggere in fretta e aveva dimostrato una buona attitudine alla magia.

Remus era spontaneo, beneducato e loquace. C’era, sosteneva Mary Lupin, qualcosa in suo figlio che attirava le persone, qualcosa di speciale.

Ma una notte, quando Remus John Lupin aveva cinque anni, quando era ancora piccolo e felice, quando era ancora inconsapevole della parte oscura del mondo, quando era dispettoso e spensierato, quando il nome Voldemort non era nient’altro che un sussurro pronunciato solo negli angoli più bui dell’Inghilterra magica, una notte il corso della promettente vita di Remus Lupin fu cambiato.

Per tutta la vita, Remus, aveva ricordato molto dettagliatamente la prima parte di quella sera. Si ricordava con terrificante chiarezza la sensazione dell’erba sulle sue gambe nude, la calura dell’aria estiva, il gentile crack delle foglie sotto le suole dei suoi sandali mentre camminava per il parco. Ricordava la prima fitta di una paura sconosciuta (ben poche cose lo spaventavano a quell’epoca) e il poco familiare, suono fuori luogo, da qualche parte tra gli alberi.

Ricordava gli occhi – quegli occhi gialli e pieni d’odio che lo fissavano, scegliendolo, imperturbabili e terrificanti.

Il mormorio del vento, l’altalena nel parco che cigolava come se si agitasse, una breve e facilmente reprimibile fitta di senso di colpa con la consapevolezza di star disobbedendo all’esplicito ordine del padre, voci distanti e deboli come se qualcuno nel palazzo avesse acceso una radio…

E poi il sangue.

Della seconda parte della serata, Remus ricordava davvero poco.


La parte peggiore era al mattino.

Ogni centimetro del suo corpo bruciava e soffriva; il sangue gli oscurava la vista; il resto era gonfio e congestionato. Poteva sentire ogni singolo osso – ognuno spezzato in un dolore unico, ognuno pulsante al ritmo veloce e irregolare del suo cuore. Boccheggiò in cerca d’aria.

Si rese conto di non essere più un lupo. Era di nuovo Remus. Ma tutto quello, in verità, significava che adesso avrebbe potuto comprendere propriamente l’agonia fisica della propria trasformazione, e nessuna quantità d’ansia o procrastinazione avrebbe potuto ritardare l’inevitabile verità.

Il mattino arrivava sempre.

“Alzati, mostro,” una voce echeggiò nel suo cervello, finché Remus realizzò che la voce proveniva dall’altra parte della sua fredda, buia cella. Una lama di luce e una forma sfuocata indicavano che la porta, rinforzata magicamente, della stanza era stata aperta. “Ho detto alzati!” ripetè la voce, con tono più alto… era il Guaritore, quello che lo aveva spinto lì dentro la notte precedente, rimproverando con cattiveria la norma del San Mungo di accettare anonimamente ogni lupo mannaro che si fosse offerto volontario per rinchiudersi durante la luna piena. La cella di Remus era a malapena delle dimensioni di due piccoli stanzini per le scope. “Ti prendiamo per la notte,” abbaiò il Guaritore – un mago con spalle larghe e faccia volgare che si rivolgeva ai pazienti con il tono di un mastino assetato di sangue. “Non ci sono garanzie per il resto del giorno. Quindi alzati.”

“No-non ci riesco,” rantolò Remus, sedendosi con grande difficoltà. “C-credo che la mia gamba… sia rotta.”

“Allora devi andare ed aspettare un posto come tutti gli altri,” scattò il mago.

“N-non riesco a m-muovermi,” gracidò Remus – muoversi? Riusciva a stento respirare! Il Guaritore restò in silenzio per un minuto, poi si lasciò andare ad un verso irritato.

“Bene. Vedrò di trovare qualcuno a cui non interessi toccare una feccia come te.”

La porta si chiuse. La luce scomparve. Remus sentì le sue braccia sorreggerlo debolmente, e – per non crollare – il giovane licantropo si stese sul pavimento di cemento. Il bruciore sulla pelle, realizzò, era il risultato del sudore, che stava gocciolando dentro le ferite aperte. Ma era troppo debole per provare a fare qualsiasi cosa in proposito in quel momento. Quindi, infreddolito, nudo, e spezzato, aspettò che qualcuno tornasse.

La parte peggiore era al mattino.

 

(Due settimane dopo)

Remus fece molto rumore uscendo dalla sua stanza, dando a sua madre abbastanza tempo per svuotare il bicchiere e farla arrivare fino al lavello, dove lo risciacquò frettolosamente sotto il rubinetto. Il vago sentore alcolico si attardava ancora nell’aria quando Remus entrò nella stanza, ed entrambi, madre e figlio, lo sapevano. Probabilmente il peggio era che ambedue sapevano che l’altro sapeva, e nessuno dei due voleva parlarne.

Remus si sedette al tavolo della cucina intanto che la signora Lupin finiva di pulire il bicchiere, e quando si girò verso di lui, sorrise debolmente.

“Buongiorno, caro,” salutò, fingendo naturalezza. “Hai dormito bene?”

Erano appena passate le undici, e Remus era stato sveglio per ore, ma non c’era motivo di informarla di quello. “Sì,” mentì. “Tu?”

“Oh, abbastanza bene,” replicò la signora Lupin, sedendosi a capotavola del tavolo piccolo e rettangolare.

“Hai dormito questa mattina. Non inizi già a… sentirlo?”

“No. Sono in ritardo con i miei compiti estivi.”

“Capisco.” Una pausa imbarazzata, e poi: “Vuoi un po’ di tè, caro?”

“Lo prendo da solo.” Remus si alzò bruscamente per prepararsi il tè.

Mary Lupin era una donna minuta e magrolina, piuttosto pallida, con sottili capelli marroni e grandi occhi grigi, come quelli di Remus. Aveva un atteggiamento calmo e modesto ed una voce dolce. Dimostrava più dei suoi trentotto anni e profonde linee correvano sotto i suoi occhi ed intorno alla bocca. Ma rimaneva qualcosa di incrollabilmente bello in lei, a dispetto della sua aria stanca e delle crescenti ciocche bianche tra i suoi capelli che combatteva con la tinta.

“Hai dei progetti per oggi?” chiese lei, giocherellando nervosamente con un giornale babbano appoggiato sul tavolo. I Lupin avevano vissuto in un quartiere babbano per circa undici anni, da quando la malattia di Remus aveva complicato la loro vita tra la comunità magica. Anche lei una babbana, la signora Lupin era, probabilmente, l’unica contenta di questo aspetto della situazione, e – anche se non lei l’aveva mai detto – Remus pensava che era l’unico aspetto della situazione che la confortava davvero.

“Mi vedo con James questo pomeriggio,” disse Remus.

“Oh, sì, me lo avevi detto.” Lo aveva fatto… tre o quattro volte. “Salutalo da parte mia, va bene?”

“Certo.”

“Sai… potresti portare i tuoi amici qui, se vuoi,” continuò la signora Lupin. “Non lo fai mai, ma non ci sarebbero problemi. Ed io sarò a lavoro questo pomeriggio, quindi non avrai da preoccuparti che la tua vecchia madre babbana ti metta in imbarazzo…” Si girò, ancora seduta, sorridendo alla battuta, e Remus rispose al sorriso mezzo rincuorato.

“James è appena tornato dalla campagna,” le disse Remus. “Probabilmente vorrà solo gironzolare, sai no?”

“Oh.” Annuì lentamente. “Capisco.” Il bollitore iniziò a fischiare. “Niente foglie, mi dispiace, caro; dovrai usare una bustina.” Silenziosamente, Remus preparò il tè, e la signora Lupin continuò: “Certo, casa nostra non è certo casa Potter…”

“Mamma…”

“No, lo capisco. Avevo un’amica simile a scuola: Tracy Minelow. Suo padre era proprietario di mezza città, sai. Noi volevamo sempre vederci a casa sua.” La signora Lupin abbassò lo sguardo e aggiunse: “Certo, non ho più rivisto Tracy fino al giorno del mio matrimonio con tuo padre.”

Remus si risedette al tavolo. “Vive ancora qui vicino?”
“Oh, no, credo che adesso viva a Londra. Si è sposata con un ricco signore anni ed anni fa.”

“Dovresti… dovresti andare a trovarla qualche volta,” disse Remus incoraggiante. “O qualcuna delle tue vecchie amiche. Solo perché papà è un mago non significa che tu non possa avere amici babbani…”

“No, no. Non avrei niente in comune con le altre ragazze. Oltretutto…” La signora Lupin si alzò e si piegò per baciare i capelli marroni di suo figlio. “Ho tutto quello che potrei desiderare proprio qui.” Si raddrizzò. “È meglio che mi cambi per il lavoro.”

Remus la guardò allontanarsi. “Mamma…”

Le si fermò vicino al corridoio. “Sì, caro?”

Ma lui cambiò idea. “I-io non starò via per molto.”

La signora Lupin annuì. “Sì, caro.”

L’odore del whisky non era ancora scomparso, e Remus bevve un sorso di tè. 

 


 

Siete invitati a festeggiare le nozze di

Petunia Elaine Evans

E

Vernon Walker Dursley

Il venticinque luglio millenovecentosettantasei

Alle tre del pomeriggio

Chiesa di Saint George

Chorley, Lancashire

 

Le parole, stampate a caratteri delicati su un elegante foglio di carta bianca, lanciavano minacciosi bagliori verso Lily mentre li rileggeva per quella che doveva essere la quindicesima volta. Per quanto si sforzasse, la diciassettenne non riusciva a provare nient’altro che terrore per l’evento.

“Non sono adorabili le partecipazioni?” cinguettò Nancy Wiggins, seduta sul divano del salotto vicino a Lily. Ovviamente, Nancy si era servita lo champagne dal bar, o non sarebbe mai stata così cordiale con la sorella stramba di Petunia. Nancy, così come Lily, era una delle damigelle di Petunia molto-presto-Dursley, e la sua presenza, come quella di Lily, era richiesta quel giorno, per il “Pranzo della Sposa” che Petunia ospitava.

Lily sorrise falsamente ed annuì. “Oh, sì, adorabili.”

“Petunia ha così buon gusto,” continuò Nancy, riferendosi, probabilmente, alle partecipazioni. “Di sicuro tu devi saperlo, crescendo con lei e tutto il resto…” (Il tono era decisamente invidioso), “ma il matrimonio – oh, il matrimonio sarà semplicemente fantastico. I fiori…”

“Rose per la sposa, in miniatura per le damigelle,” la interruppe Lily, prima che lei potesse continuare. “Rose color rosa e petunie bianche per la chiesa, e rose bianche all’occhiello per i testimoni. Sì, lo so. Nancy, non c’è una singola cosa che tu possa dirmi di questo matrimonio che io non sappia già.”

“Oh, sono certa che sia così,” disse Nancy, imperturbabile. “Ma sarà comunque adorabile, non è così? Hai già visto il vestito che indosserai?”

“Svariate volte.”

“Una sfumatura così adorabile, non credi? Petunia ha un tale buon gusto…”

Ed era ripartita, lodando il criterio di eleganza di Petunia e il rifiuto di prendere in considerazione il denaro mentre pianificava il matrimonio perfetto… Lily non era mai andata così vicina a contemplare il suicidio.

Il salotto di casa Evans in quel momento era affollato. Di fianco a Lily e Nancy sedevano le altre damigelle (Yvonne St. Clair e Marjorie Dursley), la madre di Lily, una manciata di parenti femmine e più di una dozzina di “amiche strette” di Petunia, e Lily non ne aveva mai incontrata neanche una. La signora Dursley – una donna paffuta, dal naso schiacciato, di circa cinquant’anni e distinta madre dello sposo – era presente, con quattro o cinque amiche, ognuna delle quali squadrava casa Evans con diversi gradi di disgusto.

Lily si chiese, vagamente, se il Ministero le avrebbe spezzato la bacchetta nel caso in cui avesse affatturato qualcuno…

Da quando Lily era ritornata dalla scuola, circa due settimane prima, pressoché ogni momento era stato occupato da Petunia e dal suo matrimonio. L’appartamento in affitto della primogenita degli Evans era stato dato via all’inizio di giugno e, fino a quando non si sposata con Vernon a luglio, la signora Evans aveva concluso che, per Petunia, avrebbe avuto più senso tornare a casa nel mese prima delle nozze. Visto che la casa nel Surrey che i Dursley avevano comprato per dopo il matrimonio non era ancora pronta per essere abitata, Petunia aveva accettato. Sarebbe stato comodo preparare il matrimonio da casa, anche se questo significava dover vivere con Il Mostro. Sfortunatamente per Lily, la signora Evans, il gatto Ira e chiunque si fosse imbattuto in casa Evans i quei giorni, la fissazione di Petunia per il matrimonio sembrava  prorompente e inarrestabile.

Petunia aveva rimosso tutto il pane dalla casa ed aveva obbligato (o, almeno, ci aveva provato) tutte le sue damigelle seguire una dieta priva di carboidrati. Il frigorifero, ora, era rifornito di insalata e di un intruglio marrone e ben poco gradevole alla vista, chiuso in bottiglie etichettate “Energia in Proteine!” . Lily aveva capito subito che il motivo per cui sua madre aveva iniziato a frequentare la chiesa in fondo alla strada tutte le mattine, era la pasticceria all’angolo in cui si fermava di ritorno a casa.

Edie Evans – aveva concluso Lily – o era una santa, o era, semplicemente, tanto felice di vedere la figlia sposata da riuscire a tollerarne le assurdità.

“Lo so che è difficile sopportarla, ultimamente,” disse consolante la signora Evans a Lily, una mattina a colazione; “Ma è il suo matrimonio. Dobbiamo solo essere pazienti.”

Ma la signora Evans sembrava possedere un anormale ammontare di pazienza di cui Lily era sprovvista. Se Lily non avesse saputo che Petunia non avrebbe mai messo intenzionalmente a repentaglio le fotografie del suo matrimonio, avrebbe potuto sospettare che la sorella avesse scelto il rosa pallido come colore dei vestiti delle damigelle, puramente perché quel colore faceva a pugni con il rosso dei capelli di Lily.

Però Petunia era comunque sua sorella, e la più giovane pensava di essere di grado di sbrigarsela con tutto quanto, se non fosse stato per tutto il resto della gente coinvolta nel matrimonio.

Per primo c’era Vernon Dursley, che Lily aveva sul serio tentato di farsi piacere, fallendo miseramente.

Era una uomo alto, con capelli neri, un paio di baffi e spalle larghe. Aveva un corpo massiccio e vantava un eccellente record di campionati di boxe scolastici. Dopo il diploma, Vernon era andato a lavorare in una ditta che produceva trapani, un aggancio trovato grazie ai suoi ricchi  genitori con-la-puzza-sotto-al-naso. Indossava abiti costosi, anche se era sprovvisto di buon gusto, e guidava una macchina elegante. Aveva messo al dito di Petunia un bell’anello e non aveva mai mancato di ricoprire di attenzioni il suo diretto superiore quando era a casa Evans.

In ogni caso, Lily avrebbe voluto prenderlo a pugni.

Neanche le altre damigelle, Yvonne, Nancy e Marge, erano di gran conforto per Lily. Yvonne e Nancy erano andate a scuola con Petunia e Lily conosceva entrambe da molto tempo. Al secondo anno Petunia – la più alta, la più carina e la prima a sviluppare delle curve tra le tre – era, di fatto la leader, con Nancy come fedele braccio destro e Yvonne, la servetta leggermente più in carne.

Ma, aveva notato Lily, sembrava esserci stato un cambio ai vertici in quei giorni. Yvonne pareva aver perso circa dieci chili ed era – probabilmente non proprio per coincidenza – la damigella d’onore.

“Grazie a Dio Yvonne ha perso tutto quel peso,” fu una delle tante osservazioni che Nancy rivolse a Lily quel pomeriggio, mentre la damigella d’onore in questione scivolava sospettosamente verso il bagno dopo il tè. “Sembrerebbe ridicola accanto ad una cosina sottile come Petty.” Quando Yvonne ritornò, rossa in volto, una decina di minuti dopo, a Lily stessa parve di star per sentirsi male.

A parte il fatto che fosse una svampita, una donna piena di sé, e avesse un’amminazione non proprio normale per Petunia, Lily non aveva niente contro Nancy. Non le era mai neanche dispiaciuta troppo Yvonne, anche se, sicuramente, Yvonne detestava abbastanza Lily. Quello, Lily presumeva, era decisamente dovuto all’influenza di Petunia.

“Ѐ un peccato che la sorella di Petty sia rossa di capelli,” aveva notato Yvonne durante una prova degli abiti, mentre Lily sedeva in disparte. “Tutte le foto del matrimonio potrebbero essere a rischio.”

Ma nessuno riusciva a discutere di quanto Lily fosse una minaccia per “tutte le foto del matrimonio” più di Marge Dursley.

Marge era la versione più bassa e più massiccia del fratello. L’abito delle damigelle non era affatto adatto alla sua figura, ma con l’aiuto di un corsetto e di una dieta severa, Petunia era convinta che Marge non avrebbe sfigurato così tanto il giorno delle nozze. Comunque Nancy aveva detto in confidenza a Lily che, un mese fa, Petunia aveva pianificato di espellere Marge dal rinfresco se non fosse dimagrita. Sembrava quasi che la dieta fosse per il “bene” di Marge.

Lily avrebbe anche potuto sentirsi dispiaciuta per la donna, se non si contava il fatto che Marge fosse, probabilmente, la persona meno piacevole che Lily avesse mai incontrato – incluso suo fratello.

“Tu sei la sorella di Petunia, no?” aveva borbottato Marge al loro primo incontro. Lily aveva sorriso meccanicamente ed aveva annuito.

“Giusto. Lily.”

Marge non le aveva stretto la mano – evidentemente le era arrivata voce che c’era qualcosa di sbagliato in Lily. “Dove sei stata, quindi?”

“Sono stata in una scuola lontana.”

“Davvero? E dove?”

“Saint Elizabeth,” aveva replicato Lily; era quello che, di solito, diceva alle persone.

Marge aveva grugnito. “Scuola cattolica, non è così?”

Lily non ne era sicura, ma aveva annuito in ogni caso e Marge le era sembrata anche più disgustata, se possibile. “Non ho mai approvato quel tipo di scuole,” aveva detto storcendo il naso. “Un focolaio di saffisti e scherzi della natura.”

Ed ecco il momento in cui Lily aveva deciso che Marjorie Dursley non le piaceva affatto.

“Sai, se non prendi la giusta sfumatura di rosa l’effetto è tutto sbagliato,” Nancy continuava a parlare mentre Lily annuiva silenziosamente in risposta, “ma Petunia, secondo me, ha fatto la scelta perfetta. E dobbiamo avere le unghie sistemate per il pomeriggio seguente, sai, e…”

“Lily, cara,” chiese la signora Evans, apparsa misericordiosamente, come se avesse percepito la sofferenza della figlia a stare tra le grinfie di Nancy Wiggins, “mi daresti una mano in cucina?”

Lily era praticamente balzata in piedi. “Sì mamma. Scusa Nancy – devo andare.”

Aveva seguito svelta la madre lontano dal rinfresco, dentro la cucina, dove la signora Evans aveva iniziato a preparare un’altra teiera.

Edie Evans era minuta, con i capelli corti e biondo ramato, che avrebbe potuto essere il colore naturale di Petunia se solo lo schiarente a ossigeno non fosse intervenuto negli ultimi sei e passa anni. Aveva fantastici occhi blu e un viso solare e sorridente, con qualche ruga lasciata da più di cinquant’anni di vita, per non parlare dell’aver avuto due figlie.

“Ci sono altri pasticcini nel congelatore, Lily,” disse una distratta signora Evans, preparando la teiera. “Potresti prenderli?”

“Perchè Marge deve proprio essere al matrimonio?” brontolò Lily, assecondando di malavoglia la richiesta di sua madre. Era una protesta stupida, ma tutte le cose importanti erano troppo serie per potersene lamentare. “Quella donna è un’idiota.”

Lily.”

“È vero, mamma. È maleducata, è meschina e puzza di cane.”

“Lily, per favore. Non è così che ti ho educata,” la rimproverò la signora Evans. “Marge farà presto parte della famiglia.”

“Capisco,” borbottò Lily;  appoggiò il vassoio dei pasticcini sul bancone della cucina e poi cominciò a giocherellare con un boquet di margherite accanto al rubinetto. “Quindi non stai per perdere una figlia, ma per guadagnare i Dursley.”

Lily.”

“Cosa?”

La signora Evans sospirò. Si appoggiò al bancone e il quadro (di lei in un sofisticato vestito verde oliva e ingioiellata di perle, che assumeva una postura così noncurante) era stranamente paradossale. “Non posso far finta di non pensare che, per quanto riguarda l’acquisizione di figli e figlie, l'accordo sia a tutto vantaggio del Signore e la Signora Dursley...”

Lily sogghignò.

“...ma Petunia ama moltissimo Vernon, e lui ama lei. Tu non ci sei stata, Lily. Non li hai visti insieme tanto quanto li ho visti io, e non li hai mai visti quando le cose sono alla normalità.”

“E questo cosa vorrebbe dire?” volle sapere Lily.

“Tutto è un pò fuori dalle righe il periodo prima di un matrimonio,” disse l’altra. “Se una coppia riesce a superarlo, può superare moltre cose, io penso, almeno fintanto che le affronti con la stessa determinazione.”

“Petunia era molto determinata riguardo alla scelta dei centrotavola,”concesse Lily ironicamente. La signora Evans sorrise. Si raddrizzò, poi girò intorno al tavolo per andare a circondare con un braccio le spalle della figlia.

“Tra un paio di settimane tutto sarà finito, tesoro. Tutto tornerà alla normalità.”

Lily sospirò. “Dovremo passare il Natale con i Dursley?”

La signora Evans aggrottò la fronte, come se il pensiero l’avesse sfiorata solo adesso. “Certo non ogni anno...”

La porta della cucina si spalancò, lasciando entrare la sposa in persona.

“Il tè è pronto?” chiese Petunia ansiosamente.

“È solo tè,” fece notare Lily.

Petunia si accigliò. “La signora Clayton si sta spazientendo, e io le ho detto che era solo questione di pochi minuti.”

“Bè, se è per la signora Clayton, allora...”

“Non sminuire le mie amiche, spostata, solo perchè...”

Ragazze,” le interruppe la madre. “Tutte e due, dico sul serio. Lily, tu non sminuire nessuno; Petunia, tu non chiamare tua sorella una spostata, mi avete sentito?”

“Sì,” dissero in coro le sorelle, aspramente.

“Bene.” La signora Evans si diede un’aria professionale, mentre assemblava il vassoio da tè e lo prendeva in mano. “Il tè è pronto. Tu porta i pasticcini, Lily.”

Lily, un po’ riluttante, obbedì, prendendo il vassoio e seguendo la madre fino in salotto. Lo posò su un tavolino e fece poi per ritirarsi immediatamente nella sua camera, con l’intenzione di controllare se Marlene avesse risposto alla sua ultima lettera.

Lily,” la richiamò sua madre, facendola fermare alla porta. “Niente fughe. Questa è la festa di tua sorella e tu sei una damigella.”

“Ritorno subito,” promise Lily. “Vado solo a vedere se Marlene mi ha scritto. Per favore?”

La signora Evans ci riflettè, quindi annuì. “Cinque minuti.”

“Dieci?”

“Cinque.”

“Sette.”

Cinque.”

Lily mise il broncio. “Non hai ben capito come funzionano questa sorta di compromessi, vero, mamma?”

“Cinque minuti,” ripetè sua madre; si sporse in avanti e le diede un bacio sulla guancia. “Oggi è la giornata di tua sorella.”

Lily annuì. “Sarò giù tra poco.”

La concessione di cinque minuti non era stata però così rigida come sua madre le aveva fatto credere, visto come un’ospite o un altro indubbiamente catturava l’attenzione della signora Evans ad ogni dato momento, distraendola dall’assenza della figlia per almeno venti minuti. Ciò nonostante, Lily voleva godersi ogni secondo di libertà che riusciva a racimolare.

Il gufo di Lily, Niko, non era ritornato per quando Lily entrò nella sua stanza. Tuttavia, un gufo reale che non le era familiare era appollaiato in attesa sul davanzale della finestra. Un rotolo di pergamena giaceva ai suoi piedi. Lily si affrettò verso la sua scrivania e afferrò una scatola di tartine per gufi da un cassetto, lanciandone un paio al gufo e prendendo poi la lettera.

Mentre il gufo (era una creatura davvero magnifica, con piume splendenti e occhi dorati) mangiava, Lily aprì il rotolo e tirò fuori due fogli di pergamena. Portavano la data del giorno prima, e Lily non dovette sbirciare la fine per capire l’identità dell’autore. Questo era evidente dal modo in cui iniziava.

Cara Snaps,

Questa – il gufo - è Elisabetta Seconda, la quale porta il nome della signora sulle banconote babbane. Il mio vecchio gufo è andato in pensione dopo uno sfortunato incontro ravvicinato con Bertram, il gatto di mia nonna. Sembra che quello sia stato un attacco da parte di un gatto di troppo, e ora si rifiuta di consegnare lettere.

Sono al sud con la mia famiglia al momento, ma domani torniamo a Manchester, un sollievo. Anche Pete è qui, a danneggiare irreparabilmente il mio soffitto con una Pluffa, al momento (ti saluta), ma in ogni caso, non c’è molto da fare a Godric’s Hollow. Lui – cioè Pete – ha fatto l’esame di Smaterializzazione mercoledì. È passato senza l’aiuto della Felix Felicis e tutto...

Ho cominciato il tema di Transfigurazione per la professoressa Mcgranitt due volte ormai e sono riuscito a scrivere solo una frase. Ecco quello che succede a non procrastinare. Lo farò semplicemnte sul treno, come sempre.

Vediamo, che altro c’è? Oh, io e Pete abbiamo visto suonare i Fresh Blood dal vivo in Spagna, martedì. Mio cugino Sam ci ha rimediato dei biglietti all’ultimo minuto; è stata una cosa da pazzi, ma magnifica. Clavin Shrewt era ubriaco marcio, ma è un dio con la chitarra. Ho afferrato una bacchetta da batteria, ma poi l’ho data a Petey (Sua Altezza Reale Peter Minus mi ha formalmente chiesto di smetterla di chiamarlo “Petey”, quindi assicurati di chiamarlo così la prossima volta che lo vedi). I Ministry of Merpeople suonano a Londra in Agosto, quindi spero che Sam faccia la sua magia anche in quell’occasione. Preferibilmente non con un anticipo di soli venti minuti...è una storia lunga, te la dico quando ci vediamo.

Cosa che mi fa ricordare – visto che Petey non si è fatto esplodere al suo esame di Materializzazione, potremmo incontrarci a Diagon Alley o qualcosa del genere. Ho menzionato il fatto che mi sto annoiando a morte? Le vacanze estive non sono sempre state così piatte, vero? Per quanto mi disgusti la prospettiva di affrettare il mio ritorno in quel succhia-anime-alla-Dissennatore che è il cosiddetto “Mondo Reale”, un pò vorrei che la scuola si sbrigasse a riiniziare.

Forse è solo colpa di Godric’s Hollow.

A ogni modo, spero di riuscire a vedere le Vespe che giocano contro il Puddlemore la settimana prossima. In estate, il tempo è scandito dalle partite di Quidditch, penso io.

Oh, Remus mi viene a trovare domani. Dovresti scrivergli. È in condizioni pietose, e non sono sicuro se sia a causa del suo Piccolo Problema Peloso o se c’entri qualcosa di più serio. Dovresti scrivergli e dirgli di uscire di casa. A me non da ascolto, e penso che sia arrabbiato per il fatto che gli abbia mandato un Strillettera canterina. Non capisco perchè si sia irritato così – non ho usato la mia voce o cose del genere, e l’incantesimo ha prodotto un soprano davvero meraviglioso.

Come sta andando la tua estate? Spero che non ti stia crogiolando a far nulla o qualcosa del genere.

Merlino – ti rendi conto che sono passate solo due settimane da quando la scuola è finita? Hai sentito niente di Tu-Sai-Chi? Non Voldemort, Piton. È un tuo vicino di casa, non è vero? 

Petey mi dice che non dovrei chiedertelo perchè è un tasto dolente. Come se il “tatto” sia mai stato una mia specialità.

Merlino.

Ad ogni modo, è meglio che ora ti lasci. Mamma vuole che io e Petey portiamo dei biscotti di pasta frolla alla vecchia signora Bath che vive in fondo alla strada, e lei (mamma) sta decisamente dando di matto per il fatto che non ci sia andato questa mattina, cosa che potrei o non potrei aver promesso di fare. Quindi, vado. Ti auguro una buona settimana – non fare niente che io non farei, e se lo fai, scatta delle foto.

Ci vediamo,

James Potter

Elisabetta Seconda se n’era già andata per quando Lily aveva finito la lettera di James.  La strega quasi rise ad alta voce all’immagine mentale di James e Peter in piedi sull’uscio della “vecchia signora Bath” con un piatto di biscotti di pasta frolla in mano, e si ritrovò anche ad essere inesplicabilmente lieta alla vaga possibilità di “incontrarsi” con James (e Peter) a Diagon Alley, un giorno di questi. Forse era a causa del fatto che si trovava isolata nel mondo babbano, ma la prospettiva la entusiasmava più ci quanto si sarebbe preoccupata di spiegare.

La signora Evans doveva ancora bussare alla sua porta, così Lily si sedette sul letto con la lettera di James in mano. E avendo come colonna sonora la distante orazione di Petunia in merito al ballo del matrimonio, Lily si sdraiò sulla sua coperta gialla e rilesse la pagina e mezza ricoperta da una calligrafia disordinata, fino a che la voce di sua madre proveniente dal corridoio non arrivò alle sue orecchie, e Lily fu obbligata a ritornare al rinfresco.
 


 

Fino a quel momento, James non aveva proprio visto l’ora di ritornare insieme alla famiglia nella casa di Manchester. Godric’s Hollow era così piccola e fuori dal mondo che solitamente si annoiava dopo pochi giorni dal suo arrivo.

Anche con la compagnia di Peter, James era stato ansioso di ritornare nella casa sulla-cresta-dell’onda dove aveva passato la maggior parte della sua vita non-hogwartsiana. Ma ora che si trovava nella mastodontica sala d’ingresso a fissare le pareti ricoperte di opere d’arte, la scalinata grande, il pavimento di marmo e il soffitto ornamentato, desiderava che i Potter non fossero affatto tornati a casa.

Quasi esattamente un anno prima, Sirius si era presentato sulla porta d’ingresso nel bel mezzo della notte, bagnato fradicio, pieno s’ansia e senza casa...

“Le tue valigie non si porteranno da sole al piano di sopra, James,” fece notare Grace Potter, dando un bacio sulla guancia al figlio mentre gli passava accanto. Poi notò la sua espressione infelice e gli chiese più seriamente: “Cosa c’è che non va, tesoro?”

James si riscosse. “Niente.” Estrasse la sua bacchetta e, sogghignando, aggiunse: “E hai torto, sai?”

“Torto?”

“Mmm.” Agitò la bacchetta e le due valigie in pelle che portavano le sue iniziali si alzarono in aria di diversi piedi, cominciando a levitare rapidamente verso la scalinata principale. “Le valigie si porteranno da sole al piano di sopra.”

“Oh, ma quanto sei spiritoso,” disse la signora Potter sarcasticamente. “Vieni, forza – sto morendo di fame. Facciamoci un tè.”

“E con “tè” intendi...”

“Penso che siano rimasti dei biscotti in un barattolo da qualche parte...e sicuramente c’è qualcosa da Mielandia nella credenza.”

James sogghignò. “Sembra proprio un buon piano.”

Alla fine, tutto quello che riuscirono a rimediare fu la cioccolata. La signora Potter mandò via gli elfi domestici e prepararò il tè, prima di sedersi intorno al bancone della cucina insieme a suo figlio.

“La casa sembra così vuota senza Sirius,” osservò lei in tono sommesso. “Anche prima che venisse a vivere qui, era da queste parti così spesso che poteva benissimo sembrare che...”

“Non voglio parlare di lui,” dichiarò James.

“Tesoro,” disse sua madre ironicamente. “Non è morto.”

“Potrebbe benissimo esserlo, per quanto mi riguarda,” disse l’altro. “Ad ogni modo, non ne voglio parlare.” James diede un feroce morso ad una barretta di cioccolata.

 “Tutti commettono degli errori, James,” continuò la signora Potter, ignorando la richiesta del figlio. “Merlino solo sa quanti ne abbia fatti tu.”

Per favore. Non ho mai fatto niente di simile a quello che ha fatto Sirius...e anche se l’avessi fatto, tu non me l’avresti lasciata passare con un “tutti fanno degli errori”.”

La strega sospirò pesantemente. “No, suppongo di no, ma – James, Sirius non ha avuto tutti i benefici – i vantaggi che hai avuto tu.”

“Attenta, mamma, parli come una purosangue.”

“Beh, lo sono. Per quanto riluttante io sia ad ammetterlo, io sono nata una purosangue... nella famiglia più pura di tutte.” Fece una pausa, poi continuò in modo significativo: “Proprio come Sirius.”

“Capisco,” replicò James. “Quindi quando eri al sesto anno, hai cercato di uccidere qualcuno, non è così?”

“Lui non intendeva...”

“Che io sia dannato se non lo intendeva.”

“Modera il linguaggio, James.”

Il mago roteò gli occhi e diede un altro morso alla cioccolata. “Mamma, non voglio parlare di Sirius. Lui...se n’e andato. Okay?”

“Non se n’è andato,” ribattè sua madre. “È il tuo migliore amico da quando avevi undici anni. Avete passatto tutti gli anni ad Hogwarts insieme, e ho visto lo sguardo che avevi quando sei arrivato oggi. Provavi le stesse cose che provavo io – probabilmente le provavi anche in modo più intenso. Come se mancasse Sirius...”

“Già. Immagina un po’,” borbottò James, “avere effettivamente del cibo nella dispensa e un po’ di pace e tranquillità. Per non parlare dell’armadietto dei liquori...”

“Oh, sono sicura che farai tranquillamente incursione nell’armadietto dei liquori anche senza Sirius.”

James sbuffò. “Sai, mamma, alcune madri cercano di scoraggiare i propri figli diciassettenni dal bere.”

La signora Potter scrollò le spalle. “A quale scopo? Tu fai sempre esattamente quello che vuoi.” Si sporse sul bancone di marmo della cucina. “E’ una buona cosa che tu sia un giovane assennato, James. Altri maghi con la tua stessa testardaggine si metterebbero nei guai.”

“Non voglio comunque parlare di Sirius.”

“Beh, non tutto può sempre andare come vuoi tu,” disse la signora Potter. “Il punto, James, è che so che tu non sei perfetto. Ti metti certamente nei guai un sacco di volte. Merlino solo sa che mi sono ormai abituata a ricevere gufi da Miverva su come sei stato spedito nell’ufficio del preside per aver dato fuoco alle tende o per aver incantato i rubinetti dei Serpeverde...” James sogghignò. “...Ma penso che tu sia un giovane mago molto brillante. E penso che nonostante tutte le tue... monellerie, hai davvero una buona testa sulle spalle. Sai sempre... conosci sempre i tuoi limiti.”

“Beh, tu sei mia madre – sei costretta a dirlo,” ribattè suo figlio con disinvoltura.

La signora Potter sorrise. “James, quando ho detto che Sirius non ha avuto gli stessi vantaggi che hai avuto tu, intendevo dire che lui non ha sempre la tua stessa capacità...di riconoscere i suoi limiti. E tu, Peter e Remus siete sempre stati in grado di aiutarlo a questo proposito. Gli avete impedito di perdere il controllo.”

James bevve un sorso di tè, brontolando. “E cosa ti ha reso un’esperta del mio migliore amico, mamma?”

La signora Potter si guardò le mani raggrinzite dall’età, e quando parlò, fu con una certa delicatezza: “Io comprendo Sirius... tu sai come fosse la mia famiglia, tesoro. La più pura delle purosangue... e il bisogno di ribellarsi... a volte, sei così occupato a risentire il posto da cui provieni da dimenticare il motivo per cui sei diverso. Hai bisogno di qualcuno che... ti riporti con i piedi per terra.” Sorrise. “Io avevo tuo padre...”

“E quasi non volevi sposarlo perchè era un purosangue, e pensavi che ai tuoi genitori non avrebbe dato fastidio abbastanza,” concluse James, sogghignando. “Ho sentito questa storia centinaia di volte.”
“Beh, è vera,” disse la signora Potter, a testa alta. “Gli ho detto che potevo promettergli di rimanere con lui per sempre, e che forse – solo forse – un giorno non avrei obiettato ad avere un figlio o due.” Rise al ricordo, gli occhi color nocciola che scintillavano. “Ma non sarei diventata mia madre. Non sarei stata una di quelle vecchie streghe aristocratiche purosangue che vivono in enormi case con centinaia di elfi domestici al loro servizio, che non fanno altro che organizzare matrimoni e che usano la magia solo per incantesimi domestici o per farsi dei ritocchi...se pure lo fanno da sole.”

James scosse la testa. “E cosa ti ha fatto cambiare idea?”

“Niente!” protestò sua madre, quasi offesa. “Sono sempre stata risoluta riguardo al non diventare in quel modo, riguardo alla mia carriera e agli elfi domestici – questi ultimi in particolare. Ma, alla fine, tuo padre ha portato un argomento molto convincente alla causa del matrimonio.”

Voglio saperlo?”

“Disse,” continuò la signora Potter, “che l’unico modo per liberarmi del mio cognome da purosangue, “Dearborn”, era cambiarlo con un altro.”

“E ha funzionato?”

“Beh...” Sogghignò. “Penso che fossi propensa nei suoi confronti in ogni caso. Oh, e poi c’era l’anello...” Come faceva d’abitudine, giocherellò con l’anello di oro bianco con diamante che portava alla mano sinistra. “ Ma oh, quanto ci abbiamo litigato. Abbiamo annullato tutto tre volte prima di beccare la volta giusta. Ero proprio terrificata all’idea di diventare come mia madre.”

“Beh, avendo incontrato la nonna, capisco cosa intendi,” commentò James. “Tuttavia, la casa enorme ce l’hai. Questo come ti fa sentire, signora Potter?”

“Oh, non lo so.” Lei tamburellò distrattamente con le dita sul bancone. “Avrei preferito qualcosa di più piccolo – di più pratico. Ma è una bella casa, non è vero? Suppongo di aver deciso che non sarei cambiata solo perchè vivevo nella casa di famiglia dei Potter. Potevo comunque essere Grace – la solita vecchia Grace. E in definitiva, ho capito che amavo Alex più di quanto amassi Londra.” Aveva uno sguardo perso sul volto lungo e sottile, come se la sua mente fosse immersa nella nostalgia, cosa di cui James non capiva nulla. Poi, ritornò a guardare suo figlio e si raddrizzò. “Quindi, James, assicurati di sposare una brava ragazza babbana. Questo non farebbe altro che irritare per bene tuo padre...”

“Sei una cattiva influenza per me, mamma.”

“È più probabile che sia il contrario, tesoro.” Lei finì il suo tè e scartò una barretta di cioccolata. “E a proposito della ragazza che sposerai...”

“Oh-oh.”

“Come vanno le cose su quel fronte?” volle sapere la signora Potter. Le sue labbra rosse erano atteggiate in un sorriso malizioso, mentre teneva il mento appoggiato sulla mano. “Non hai menzionato nessuna ragazza in particolare, ma non si può mai dire quando si tratta di te.”

“Beh, non c’è nessuna ragazza in particolare.” Lui diede un morso più grande alla cioccolata.

“Single e all’asciutto per un intero anno? Sei sicuro di essere mio figlio?”

L’espressione di James era sofferente. “Non dire mai più una cosa del genere, mamma, per favore. Mi stai traumatizzando.” Lei si limitò a ridere, e lui continuò: “Ho avuto qualche appuntamento qua e là – niente di importante, però.”

“Capisco. E per quanto riguarda quella ragazza per cui Sirius – cioè, Colui-che-non-deve-essere-nominato, ti prendeva sempre in giro?”

James roteò gli occhi. “Quello era una vita fa.”

“Hai rinunciato, quindi?”

“Non è così.”

“E allora com’è?”

Il mago cambiò posizione sul suo sgabello da cucina, a disagio. “È solo...diverso.”

“Diverso?” fece eco la signora Potter. “Beh, ora è tutto chiaro.”

“Mamma, dobbiamo proprio avere questa conversazione adesso? O del tutto?”

Per essere una donna di quasi settant’anni, la signora Potter riusciva a dare convincente prova di puerilità. Fece il broncio e notò: “Una volta mi raccontavi certe cose, James.”

“No, una volta mi constringevi a certe cose, è diverso,” corresse suo figlio.

“Un’abilità che pare abbia perso con l’età.”

“Capita.”

Lei sorrise. Sedettero in silenzio per un po’, a finire il cioccolato, prima che la signora Potter parlasse di nuovo. “James,” cominciò, gli occhi di nuovo abbassati. “Spero che tu sappia – che tu capisca che...non importa cosa accada – io e tuo padre ti vorremo sempre tanto bene.”

“Non ti preoccupare, mamma,” replicò James in tono serio. “Non sono incinto.”

La signora Potter gli diede giocosamente uno schiaffetto sulla mano che teneva appoggiata sul bancone. “Mio figlio è un cretino,” annunciò. “Dico sul serio, James.”

“Lo so...solo non capisco perchè tu abbia sentito il bisogno di dirlo.”

Ma sua madre si limitò a sorridere dolcemente e a finire il suo tè.

“Quando arrivano i ragazzi?”

“Tra circa un’ora.”

“Suppongo che vorrete del cibo vero per allora,” sospirò la signora Potter. “Chiamo Twitchet. Merlino solo sa che non mangi mai quello che cucino io.”

“Questo perchè sei una cuoca terribile.”

La signora Potter gli lanciò un’occhiataccia. “Va di sopra e fatti una doccia prima che arrivino i tuoi amici. Puzzi da morire.” Scivolò giù dal suo sgabello e si mosse verso i fornelli, dando un bacio sulla guancia al figlio quando gli passò accanto. Anche James si alzò in piedi e fece per dirigersi verso la porta. “E assicurati di disfare le valigie – non voglio che tu lo faccia fare a Peter!”

“Ma è sempre così volenteroso...”

“James Alexander Potter...”

“D’accordo, d’accordo...”


"'Giorno, Tom," biascicò Sirius, senza togliersi gli occhiali da sole anche alla luce scarsa del Paiolo Magico. Tom il locandiere fece un sorrisetto, mentre il mago più giovane andava dietro al bar  e afferrava un grembiule marrone da un gancio.

"Ti sei portato il lavoro a casa, ieri sera, eh?" Tom chiese con l'aria di chi la sa lunga. Sirius scrollò le spalle.

"Sto bene.  Tanto prima di mezzogiorno non verranno più di due persone. Niente di nuovo?"

"Nah. Notte tranquilla. Di questi tempi le persone non escono quanto facevano prima."

Sirius si limitò ad annuire, e poi prese, tutto rigido, uno straccio per pulire il bancone.

Tom osservò il suo nuovo giovane dipendente. "Ho qualcosa per quel brutto mal di testa che ti ritrovi," disse, dando una forte pacca sulla spalla di Sirius. "E non ti stare a preoccupare di fare il carino coi clienti prima di pranzo—chiunque metta piede in un pub il lunedì mattina dovrebbe sapere cosa li aspetta."

Sirius sorrise debolmente. "Grazie."

"'Di che."

Tom scomparve nel retro, e Sirius si accasciò contro il bancone, togliendosi gli occhiali per strofinarsi gli occhi. Il campanello appeso sopra la porta suonò, e alcune giovani streghe entrarono nel pub. Sorrisero flirtando con Sirius mentre passavano, ma non si fermarono, dirigendosi invece verso l'entrata sul retro che portava a Diagon Alley. La maggior parte delle persone che entravano al Paiolo Magico—specialmente così presto—faceva lo stesso.

Mezz'ora era passata prima che qualcuno entrato nel pub  richiedesse i sevigi di Sirius, e anche allora, era solo una coppia che alloggiava alla locanda e voleva fare colazione. Mandò l'ordine in cucina e si risiedette sullo sgabello dietro al bancone.

Mancavano cinque ore e ventisette minuti alla fine del turno, ma chi le contava?

La porta si aprì di nuovo, facendo entrare un'altra strega, questa volta sola. Indossava costosi abiti viola, ma coi lunghi capelli color platino, pelle candida, e grandi occhi grigi, la donna sarebbe stata bellissima anche con addosso degli stracci. Sirius sobbalzò—ma non perché fosse bella. Perché era di famiglia.

Gli occhi della strega si posarono su Sirius quasi immediatamente dopo essere entrata nel pub; era tanto sorpresa di vederlo quanto lo era lui, ma distolse lo sguardo in fretta e, senza una parola, si diresse al passaggio per Diagon Alley. Aveva quasi raggiunto la stanza sul retro quando Sirius le rivolse la parola.

"Mi è giunta voce che stai per sposarti."

Narcissa Black si fermò. Diede le spalle al cugino per un paio di secondi, e poi si voltò lentamente. "E' così," rispose con dignità. "Mi è giunta voce che  Zio Alphard ti abbia lasciato tutto il suo oro."

Sirius annuì. "La maggior parte."

"Madam ha incenerito il suo nome sull'albero genealogico," disse Narcissa. Aveva un tono di voce strano—forzato e un po'sprezzante. "Proprio come con te, quando te ne sei andato."

"E Meda," aggiunse Sirius spietato. Narcissa trasalì.

"Sì. Anche lei," annuì. Rimasero entrambi in silenzio, e poi Narcissa, con un'occhiata timorosa rivolta agli altri clienti del pub, disse: "Farei meglio ad andare. E tu faresti meglio a lasciare il lavoro. Se Bella ti vedesse..."

"Non è troppo tardi," Sirius la fermò. "Non è troppo tardi per te, Cissy."

Narcissa fece un passo avanti e aprì la bocca, come per voler dire qualcosa. Per un momento, ci furono emozione nei suoi occhi, e sincerità nell'espressione. E poi si irrigidì di nuovo. "E' troppo tardi per te, Sirius. Fidati di me. Lo so."

"Per colpa di gente come Bella—e il tuo fidanzato... Malfoy."

Narcissa non rispose. "Presto sarà tutto finito," disse, invece. "Spero tu sopravviva, ma... non è una cosa probabile." Si voltò per andarsene.

"Ti sbagli," disse Sirius dietro di lei. "Non è quasi finito. Sta appena iniziando."

Ma sua cugina non disse niente; si affrettò ad andare nel retro. Sirius si risiedette dietro al bancone.

Mancavano cinque ore e ventiquattro minuti alla fine del turno.


Per le due di pomeriggio, le ultime ospiti se ne erano andate, e Lily non avrebbe potuto esserne più grata. Persino Petunia sembrava grata di avere la casa di nuovo in uno stato di normalità, quando crollò sul divano, scalciando via i tacchi, e reclinando la testa. Lily si abbandonò su una sedia poco lontano.

"Stanca?"

Petunia alzò lo sguardo, sorpresa. "Sì." Si raddrizzò e si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la porta.

"Cos'è, ti ucciderebbe passare cinque minuti nella stessa stanza, assieme?" sbottò Lily.

Petunia esitò. "Potrebbe," borbottò alla fine, prima di scappare in fretta in cucina.

Lily tirò un grande sospiro. Fece per seguirla, ma, a metà strada, inciampò su una delle scarpe di Petunia e andò a sbattere con un dito del piede in un tavolino da salotto.

"Vaffanculo." Cadde  sul divano, sussultando e massaggiandosi di malumore il dito ferito. "Porco Merlino," borbottò la strega. "Devo uscire fuori di qui."


La signora  Potter salutò Remus con un largo sorriso prima di spostarsi per farlo entrare nel foyer.

"Ciao, caro," disse, "James è di sopra, ma scenderà tra un..."

"Ciao, amico," li interruppe la  voce del mago in questione. Apparve in cima alla grande scalinata e si affrettò a scendere, un ghigno stampato in faccia. "Come stai?"

"A posto, suppongo," rispose Remus, un po' in imbarazzo. Si infilò le mani in tasca ed esaminò l'enorme ingresso dei Potter per la prima volta dall'estate precedente. Sembrava essersi ingrandito. "Allora, com'era la campagna?"

"Adorabile," fece la signora Potter, chiudendo la porta alle spalle dell'ospite.

"Noiosa," disse James.

"Non contraddirmi."

"Non lo faccio."

La signora Potter sorrise e scosse la testa. Ci fu un colpetto sulla porta, comunque, prima che potesse rispondergli, e James superò madre e amico perandare ad aprire la porta a Peter.

"'Cià, Pete. Da quanto tempo non ci vediamo."

"Quasi quattro ore," disse Peter. "Ma chi le conta? Salve di nuovo, signora Potter."

Ciao, Peter, caro."

"Moony—come va?"

"Non da schifo."

"Ecco l'ottimismo di Remus Lupin che conosciamo e adoriamo," scherzò James. "Okay, andiamo di sopra prima che mamma inizi a fare la galante."

Fece strada verso la scalinata. "Hai solo paura che gli racconti le storie di quando eri bambino!" disse a voce alta mentre se ne andavano.

"Stai scherzando?" James aveva raggiunto l'ultimo gradino. "Sono sempre stato figo come adesso."

"Ha!Potrei raccontare di quella volta in cui hai giocato a nascondino coi tuoi cugini..."

"Ciao, mamma!" James sovrastò la sua voce, salutandola con la mano mentre saliva le scale in fretta, seguito dagli altri due.

"C'è del cibo in cucina," La signora Potter ricordò loro. "Faccio un salto all'ufficio per essere sicura che non abbiano distrutto niente mentre ero in ferie. Non combinate guai!"

"Guai?" le fece eco James, e poi piano agli atri due Malandrini. "Noi?"


Aveva i capelli ancora bagnati, dopo la doccia, e si era truccata a malapena, ma si sentiva magnifica, dopo essere uscita dal vestito che era stata costretta a indossare per il pranzo di Petunia, e la comodità di jeans, t-shirt e sandali era indescrivibile.

Lily entrò al Paiolo Magico con il pizzico di trepidazione che la invadeva sempre ogni volta che rientrava per la prima volta nel mondo magico. Ogni tanto immaginava—scioccamente, forse—che un giorno, provando a oltrepassare la barriera al binario Nove e Tre Quarti o la porta del Paiolo Magico avrebbe scoperto che questi posti non esistevano... che gli ultimi anni non erano stati altro che una strana fantasia.

Immediatamente, comunque, l'aria stregata (anche se fumosa) del pub dissipò i momentanei dubbi di Lily. Sentì la porta dietro di sé chiudersi, e venne rincuorata dalla familiarità della stanza... i soliti maghi e streghe, che chiacchieravano davanti a un bicchiere di Burrobirra o di Whiskey Incendiario, il vecchietto con la pipa che sembrava esistere solo seduto allo sgabello nell'angolo, la pila di copie del Profeta del Pomeriggio sulla mensola, Tom dietro al bar...

Ma non c'era Tom dietro al bar.

"Sirius?"

Il suo compagno di classe alzò lo sguardo al sentirsi chiamare, e sorrise di rimando quando vide Lily che camminava verso di lui. Finì di versare alcool da una bottiglia scura a una strega carina sui venti-e-qualcosa, e posò la bottiglia. "Evans," la salutò il Malandrino. "Cosa ti porta qui? Non riuscivi a stare lontana da  me, eh?"

Lily alzò gli occhi. "Sarebbe stato più plausibile se avessi davvero saputo che lavori qui..." Si sedette sullo sgabello. "Lavori qui, giusto? Non è che hai sequestrato il bar ?"

"No, anche se è una buona idea. Cosa ti servo?"

"Oh." Lily in realtà non aveva pensato di ordinare qualcosa, ma già che c'era... "Burrobirra, suppongo."

"Originale," rispose Sirius, sardonico. "In bottiglia o alla spina?"

"La bottiglia va bene."

"Ancora più originale."

Le servì la bottiglia, e Lily alzò le sopracciglia. "Da quanto lavori qui?"

"Più o meno una settimana," rispose Sirius. La strega carina a un paio di sgabelli di distanza lanciò uno sguardo inceneritore in direzione di Lily; era chiaro, pensava di avere qualche specie di diritto esclusivo sul bel barista. "Alloggiavo di sopra—la locanda, no—e Tom ha detto che di giorno una mano gli avrebbe fatto comodo. I due tizi che ci lavorano di solito stanno passando l'estate a girovagare per il continente. Oh—Anche Shack lavora qui..."

"Lo so. Mi ha scritto." Lily bevve un sorso di burrobirra. "Più di quanto possa dire per te."

"Giusto—Volevo risponderti... sono passati solo pochi giorni. Vacci piano con me, Rossa. Oh—un'altra?" Questo al mago con la pipa, e Sirius andò a riempirgli il boccale. Fu di ritorno da Lily un minuto dopo, comunque, e si chinò sul bancone.

"Alloggi ancora qui?" chiese lei.

Sirius scosse la testa. "Ho preso un appartamento sulla Alley. Proprio sopra la Farmacia."

"Hai affittato una casa a Diagon Alley? Deve costarti un sacco."

Sirius sorrise di nuovo. "Non in affitto. L'ho comprata."

"Ha-a-hai comprato la farmacia?" Lily balbettò. Sirius rise.

"No, no, no. Solo le stanze sopra. Non sono nemmeno dello stesso proprietario. Tipo veramente a posto, comunque—mi ha fatto un prezzo fantastico, considerando... Perchè non sembri felice per me, Rossa?"

"E' che odio vederti spendere la tanto faticata eredità."

"Ne è rimasto più di quanto me ne serva," rispose Sirius, noncurante. "In tutta onestà, lavoro qui solo per passare il tempo."

"Ma presto tornerai a scuola," controbattè Lily. Poi le venne in mente un pensiero spiacevole. "Ci tornerai, non è così?"

"Non fare la scema. Certo che torno a Hogwarts. Dovrò affittarlo a qualcuno durante il semestre, suppongo. O lasciarlo vuoto, anche."

Considerando che l'ultima volta che aveva parlato con Sirius—al Binario Nove e Tre Quarti, due settimane prima—l'ex Malandrino non era altro che sconfortato, adessso di certo sembrava abbastanza allegro. Glielo fece notare, e Sirius scrollò le spalle.

"Ho fumato un grammo di Hashish di Manticora durante la pausa," le disse.

"Sirius," Lily lo sgridò, e lui rise.

"Scherzavo, Evans." La strega carina dall'altra parte del bar si schiarì la gola, con tutta l'aria di volersi intromettere, e Sirius sobbalzò. "Oi, giusto. Lily, questa è Adelaide. Adelaide, Lily. E io sono Sirius, nel caso qualcuno se lo sia dimenticato."

"Lieta di conoscerti," disse Lily.

"Piacere," rispose Adelaide brusca.

Adesso che questa nuova conoscenza sembrava avere almeno una qualche importanza nella vita di Sirius, Lily la guardò con più attenzione. Era molto carina, con l'aspetto un po' da maschiaccio, e  indossava pantaloni di lino larghi e un top a bretelle aderente. Pelle abbronzata, lentiggini, lunghi capelli neri, e scaltri occhi castani. Il suo volto aveva qualcosa di scolpito, tratti rafforzati dall'evidente disprezzo nei confronti di Lily.

"Adelaide lavora in Guferia," Sirius spiega. "Ed Evans viene a scuola con me."

"Capisco," disse Adelaide con l'aria di chi la sa lunga. "Una di Hogwarts."

"Ci sei mai andata?" chiese Lily.

"Oh, no. Non credo nei mezzi d'istruzione comune. E' tutta una questione burocratica, sai." Adelaide sorseggiò il drink. "Ma se a te sta bene..."

Lily ricacciò indietro una rispostaccia. "Dovresti incontrare la mia amica Carlotta,"  disse invece, e Sirius rise sbuffando dal naso.

"Comunque," disse Adelaide, scivolando giù dallo sgabello. "Devo tornare al lavoro. Sai..." aggiunse con un'occhiata significativa a Lily, "è tosta per quelli di noi che lavorano."

"Oh, immagino," si disse d'accordo Lily, in tono sincero. "Ma pensa a tutto il bene che stai facendo lì. Devi essere un grande conforto per il resto degli animali nel negozio."

Adelaide diventò rossa, ma, invece di controbattere, si sporse sul bancone, baciò Sirius sulle labbra, e si voltò per andarsene. Lily alzò le sopracciglia.

"E non avevi menzionato neanche lei," fece notare, una volta che Adelaide se ne fu andata.

"Sii buona con Adelaide," scherzò Sirius. "Potrebbe far parte della mia vita per molto tempo... almeno altre due, tre settimane. Comunque, è stata scortese solo perché si è sentita minacciata da te... credo che pensi che scopiamo."

"Ovviamente hai intenzione di correggere questa supposizione," Lily rispose, allarmata, ma Sirius si limitò a ridere.

"E perché? Probabilmente avrà tutta l'intenzione di marcare il territorio o cose del genere, e può solo tornare a mio vantaggio."

Lily alzò gli occhi. "Sei un essere umano deplorevole, Sirius Black."

"E ne sono fiero. Ehi, stacco tra quindici minuti. Vuoi vedere il mio appartamento?"

"Non ho intenzione di aiutarti a far ingelosire Adelaide."

Sirius rise. "Sarò un perfetto gentiluomo. Prometto."


"Sbronziamoci," suggerì James. Era seduto sul suo letto, rivoltando pigramente un galeone tra le dita, mentre Remus sedeva sulla panca vicino alla finestra e Peter ai piedi del letto.

“Questa è la soluzione a ogni tuo problema?” chiese Remus sarcastico e James fece un sorrisetto.

“Ne devo ancora trovare una migliore.”

“Sono le due del pomeriggio, James.”

“E cosa c’è di meglio di ubriacarsi di pomeriggio?”

Remus alzò semplicemente gli occhi al cielo.

“Niente. Esattamente.” James si sedette, lanciando la moneta sul comodino. “Beh, dovremmo fare qualcosa. Potremmo andare a Londra. Diagon Alley, magari.”

“Questa potrebbe non essere una buona idea,” borbottò Peter.

“Non ti preoccupare, Wormtail. Hai passato l’esame di smaterializzazione e se sei ancora nervoso, possiamo portarti con noi…”

“No, non è quello.” Peter sospirò, dibattendo qualcosa, e poi disse: “Sirius sta lavorando al Paiolo Magico. Ci sono andato per una burrobirra lo scorso finesettimana, e lui era lì.”

“Oh,” James si accigliò. Remus rimase impassibile. “Beh, non è che dobbiamo parlare con lui, se capita che lo incontriamo…”

“Preferirei non andare,” intervenne Remus; James e Peter si scambiarono un’occhiata ma non obiettarono.

“Beh, c’è sempre Hogsmeade.”

“Andiamo sempre lì.”

“Okay–possiamo fare qualcos’altro.”

“Non sono dell’umore.”

“Non ho ancora suggerito nulla.”

“Sì, ma c’è più di una decente possibilità che qualunque cosa tu suggerisca comprenda fumare qualcosa o bere qualcosa, e non sono dell’umore.”

Irritato, James si appoggiò contro la testiera ancora una volta, mordendosi la lingua, perché se avesse parlato, sarebbe stato sicuramente con rabbia. Dopo un silenzio teso, Peter intervenne.

“Che ne dite di Gobbiglie?”

“Non siamo abbastanza perché sia divertente,” disse Remus.

“Scacchi?”

“Troppi.”

Peter ci pensò per un po’, poi: “Potremmo giocare a Quidditch.”

James concordò con entusiasmo, ma Remus ancora una volta affondò la proposta. “Troppo vento.”

“Ovviamente,” borbottò James, e Remus colse il suo tono.

“Mi dispiace se non sono continuamente impaziente di giocare a Quiddich,” sbottò. “Alcuni di noi hanno altri interessi.”

“Oh, sì, quali? Guardare fuori dalla finestra? Certo, un ottimo impiego del proprio tempo…”

“Beh, non ci sono ragazzini del primo anno in giro che io possa incantare, quindi…”

“Potremmo sempre leggere un libro,” ribatté James. “È quello che fai, non è vero, Moony? Leggere invece che fare esperienza…”

“Mi perdonerai se trasformarmi in un mostro una volta al mese sia abbastanza esperienza per me.”

“Giusto, perché il fatto che sei un lupo una volta al mese significa che devi essere un pretenzioso coglione senza vita per il resto del tempo.”

“Oh, smettetela!” si lamentò Peter ad alta voce. “Se voi due avete intenzione solo di litigare, me ne vado a casa.”

“Potresti anche farlo,” disse James. “Non sembra che faremo nulla di interessante qui oggi.”

Peter si incupì. “Va bene.” Si alzò dal letto. “Chiamatemi quando smetterete di essere idioti.” Si diresse alla porta, ma si fermò prima di attraversarla. “Sapete, è già abbastanza brutto che voi non possiate sopportare di stare nella stessa stanza con Sirius senza che roviniate anche le cose tra voi.”

Con quello, uscì, e Remus e James rimasero soli. “Credo che se Wormtail se ne va…” Remus cominciò piano e quando il suo ospite non lo interruppe, aggiunse più bruscamente: “Voglio dire il pretenzioso coglione senza vita non vorrebbe annoiare sua altezza o qualcosa del genere.”

“Troppo tardi per quello.”

“Bene.”

“Bene.”

James incrociò le braccia ostinato, e Remus si alzò dalla panca vicino alla finestra, uscendo dalla stanza e sbattendo la porta dietro di lui.


"Soyez bienvenus à ma maison."

Lily inarcò le sopracciglia e Sirius aprì la porta.

“Benvenuta,” modificò. Entrarono e Lily guardò la stanza con interesse. Erano entrati in una stanza dalle discrete dimensioni, con la cucina alla immediata destra e una sorta di salotto di fronte a loro. Vi erano due porte sulla parete più lontana, una delle quali era aperta appena perché Lily vedesse che era la camera da letto di Sirius. L’altra porta era piuttosto stretta e Lily sospettava che fosse un ripostiglio. Vi erano pochi mobili–un tavolo di legno quadrato con una sedia nel salotto, posizionato di fronte ad un caminetto e un brutto divano viola contro la parete. Accanto al divano vi era un piccolo tavolino, coperto da bottiglie marroni vuote e un’altra mezza dozina stava in cucina.

Sirius lanciò le chiavi sul bancone e si mosse dentro l’appartamento. “Ignora l’orrenda decorazione. Sono qui solo da una settimana. Ho dovuto scroccare un po’ e sono terribile con gli incantesimi domestici. Però mi sto documentando. Sarà meglio tra una settimana o due.” Mani in tasca, Sirius si voltò a guardare Lily e valutare la sua reazione. “Che ne pensi?”

“Mi piace,” disse Lily onesta. “Ha carattere. Quel divano è tremendo, però.”

“Avresti dovuto vedero prima che provassi a renderlo marrone.”

“Stavi tentando di farlo diventare marrone?”

“Non ho mai incantato un divano prima!” protestò Sirius. “Voglio dire, l’ho fatto una volta, ma è molto più difficile rendere un divano marrone che incantarlo affinché lanci le persone giù dalla seduta.”

“Ovviamente.” Camminò curiosamente nella cucina. “Quindi–a parte incantare divani e servire whisky incendiario, cosa stai facendo?”

“Non molto, in realtà,” replicò Sirius. Si sedette sul divano, mentre Lily esplorava i suoi mobileti. “Trasfigurare piatti e cuscini, per lo più.”

“Non hai visto nessun altro di scuola?”

“Oh, quattro o cinque studenti passano ogni giorno. Anche Marlene è passata–a proposito, ha detto la stessa cosa sul divano. E Shack, ovviamente. Abbiamo fatto qualche turno insieme.”

Lily annuì. “Nessuno… in particolare, quindi?”

Sirius fece un sorrisetto. “Vuoi dire, è venuto James a pregarmi in ginocchio di tornare ad essere il suo migliore amico? No. Sto ancora aspettando per quello.”

La strega sospirò. “Mi spiace. Non avrei dovuto tirarlo fuori.”

“Nessun problema,” insisté l’altro. “Davvero. Sto bene. Non depresso. Non solo. Adelaide è di grande compagnia… e in più di un modo.”

“Congratulazioni. E ew.”

Sirius cambiò tatto. “Che mi dici di te? Stai passando un’incantevole estate?”

Lily si mosse nella stanza principale, lasciandosi cadere nella sedia di legno vicino al tavolo, ma con le gambe di lato per guardare Sirius. Si sporse in avanti. “Non lo so. Va bene, credo. È isolato, però. Non mi ricordavo di essermi sentita sempre così… separata.”

“Conosco il sentimento.”

“Credo che prima avessi Severus. Poi c’era sempre Luke l’anno scorso.”

Sirius annuì piano. Poi si alzò repentinamente e andò in cucina. Tirò fuori due scure bottiglie di vetro da uno degli armadietti. “Ne vuoi una?”

Lily scrollò le spalle. “Perché no?”

Lui colpì I coperchi di metallo una volta con la sua bacchetta e portò le bottiglie nell’altra stanza. “Tenute fredde con il migliore incantesimo ghiacciante,” scherzò.

“Solo il meglio,” aggiunse Lily asciutta. “Salute.”

“Salute.”

Fecero scontrare le bottiglie e presero entrambi lunghi sorsi. Lily poggiò il gomito sul tavolo alla sua sinistra, riposando la testa sul palmo della mano.

“Quindi cosa ne pensi?” chiese Sirius. Fissava pigramente nella sua bottiglia. “In qualità di residente ottimista–andrà meglio?”

Lily sorrise. “Indubbiamente.”


Remus era andato via da un intero minuto prima che James si alzasse velocemente e si affrettasse alla porta. Peter aveva ragione–aveva già perso Sirius, no?

Spalancò la porta della stanza da letto. Remus stava arrancando su per le scale verso la camera. Si guardarono.

“Stavo solo…” cominciò James, gesticolando vagamente. “Sai…”

“Sì, anche io,” ammise Remus. Si sedette sullo scalino più alto e James sedette accanto a lui.

“Mi dispiace,” disse Remus.

“Anche a me,” disse James. Per un lungo minuto, nessuno parlò. “C’è qualcos’altro, non è vero?” James continuò alla fine. “Sai che puoi dirmelo, vero?”

Remus esitò per qualche secondo. “Sono geloso di te,” disse infine.

James sembrava sbigottito. “Come hai detto?”

“Ti invidio,” ripeté il lupo mannaro cupamente. “Sei così–a tuo agio a casa.”

“Vuoi dire–non la casa?” chiese James incerto.

“No, non è quello… è… è come sei quando sei a casa. Tu stai bene. Tua madre è deliziata… la tua famiglia va in vacanza insieme… tu–tu sei a tuo agio qui, proprio come lo sei a Hogwarts.”

“Moony…”

“Mia madre è infelice quando sono a casa,” lo interruppe Remus.

“Non è vero…”

“Lo è, invece. Non è che non mi ami o che non le importi di me o che non le piaccia vedermi. È solo… un peso per lei.” Sospirò profondamente. “E vedere come ti comporti con tua madre mi ha reso… geloso credo. È stupido–mi dispiace…”

James faticò a capire. “Perché lo pensi? Voglio dire, riguardo tua madre…”

“Non lo so. Posso solo dirlo. Ogni giorno che rimango la infastidisco. Lei e papa battibeccano di più. Sono solo infelici.” Remus fissava in fondo alle scale, la sua faccia piegata dalla concentrazione. “Quando ha sposato mio padre, lei non–non aveva mai immaginato che nulla di simile potesse accadere. E non lo dice, ma so che lo pensa. Quando sono a casa, è come un costante promemoria di tutte le cose che sono andate storte…”

“Remus, smettila, non è… non è colpa tua…”

“Certo che lo è! Lei… lei ha ragione. Non avrebbe mai dovuto a che fare con questo… Nessuno dei due avrebbe dovuto…”

“Non è colpa tua!”

Ma Remus non sembrava stesse ascoltando. “…Come le cose sarebbero state diverse se io solo… se io solo fossi rimasto dentro–se avessi fatto ciò che avrei dovuto, invece di… uno stupido sbaglio… ero solo un bambino…”

“Remus, smettila,” lo interruppe James ad alta voce, afferrando la spalla di Remus e costreingendolo a fronteggiarlo.

“Sei… sei fottutamente perfetto, okay? Sei il bambino che tutti I genitori vorrebbero I loro figli fossero! Sei un prefetto,  hai buoni voti…” Ghignò, “Esci con I ragazzi fichi. Andiamo–mia madre? Lei vorrebbe che io fossi la metà ben educato di te! Sei–sei il fottuto bambino dei sogni!”

Remus guardò le sue mani, ma non disse nulla.

“Qualunque cosa i tuoi genitori pensino o sentano,” continuò James serio, “sono fortunati ad averti.”

Ancora silenzio, più lungo questa volta, e poi Remus si alzò. “Andiamo,” borbottò.

“Dove stiamo andando?”

Remus lo guardò da sopra la spalla, ghignando sarcastico. “Sbronziamoci,” propose.

James fece un sorrisetto.

(Due settimane dopo)

Era il tipo di caldo che rende le persone riluttanti a mangiare qualsiasi cosa eccetto il gelato, che è spesso e sgradevole, e dura di molto dopo il buio. Era il tipo di caldo che sa distintamente di luglio e per quanto Lily fosse entusiasta di lasciare casa appena venti minuti prima, stava cominciando a pentirsi di quella decisione.

Finì il suo cono di gelato, cortesia di Florian Fortebraccio, e guardò attorno Diagon Alley in cerca di un rifugio dal caldo oppressivo. Sirius stava lavorando al Paiolo Magico… poteva sempre tornare lì, se ce ne fosse stato bisogno. Ma poi Lily vide la libreria e cambiò idea.

Era venerdì, quasi le cinque, e il Ghirigoro era sorprendentemente affollato. A Lily furono pestati due volte i piedi mentre entrava nell’incantato freddo del primo piano e lo spazio era reso ancora più scarso dal caos che avvolgeva il negozio nella forma di un cartello che diceva: “Espansione In Corso.”

Un grande lenzuolo bianco copriva circa un quarto del negozio, ma sopra di esso, oggetti lievitanti e sinistre scintille erano visibili… evidentemente questa era l’espansione.

“Signora, signora, la prego…” un esausto impiegato implorò una strega di mezz’età lì vicino, “le devo chiedere di controllare suo figlio…”

Il bambino in questione stava correntemente buttando giù libri dagli scaffali, apparentemente per il semplice divertimento che gli causava. Ghignò maniacale e sua madre rimproverò con lo sguardo il commesso, prima di lanciarsi in un discorso sugli incompetenti ficcanaso. Lily si sentiva sinceramente triste per l’arrossato commesso e gli lanciò uno sguardo rassicurante, prima di muoversi verso la sezione dei romanzi.

La folla diminuì lentamente e Lily trovò gli scaffali sufficentemente spaziosi. Scelse un libro o due che valeva almeno la pena di sfogliare e si guardò attorno in cerca di una sedia vuota. Ce ne era una nell’angolo, ma Lily non vi si diresse immediatamente, poiché I suoi occhi caddero su una familiare massa di capelli neri e il mago a cui appartenevano, appoggiato contro uno scaffale con un libro tascabile che sembrava economico.

James Potter.

Lily sorrise ampiamente, inesplicabilmente divertita dalla vista. Posò i libri sullo scaffale e si mosse verso il mago. Piuttosto che affrontarlo, Lily camminò, giusto accanto a lui, e si sporse come per leggere una pagina del libro da sopra alla sua spalla.

James lanciò uno sguardo alla presunta estranea ed era sul punto di chiederle cortesemente di andare al diavolo, quando realizzò chi stava correntemente invadendo il suo spazio. “Evans!”

Lily alzò un sopracciglio alla sua reazione in qualche modo esagerata. “Ciao…”

“Ciao,” rispose James, ricomponendosi. “Scusa–tu… mi hai colto di sorpresa.”

“Evidentemente,” concordò Lily. “Ma, ehi, guardati! Non sapevo che sapessi leggere!”

James ghignò. “Non lo so fare. Sto facendo finta… sai… per impressionare le ragazze.”

“Come sta andando?”

“Alla grande.” James sporse la testa verso Lily e mormorò, “Vedi quella bionda nel reparto domestico? Ha sbattuto le ciglia verso di me ogni sette minuti come un orologio.”

Lily lanciò furtivamente un’occhiata alla strega in questione. Stava certamente guardando James ora e non sembrava avesse una grande stima di Lily. La rossa incrociò le braccia, preparata a valutare. “Spero che tu abbia standard più alti di questi. Sta leggendo un libro per dilettanti–o facendo finta di leggere, e deve avere almeno ventidue anni. Probabilmente una ragazzina viziata cresciuta sulle spalle di elfi domestici.”

James finse di essere ferito. “In qualità di ragazzino viziato cresciuto sulle spalle di elfi domestici, sono offeso dalle implicazioni di quella affermazione,” disse. “Ma comunque a parte quello–non ha fegato. Un’ora e mezza a flirtare attraverso un negozio è solo eccessiva. Se fosse stata interessante, sarebbe venuta qui e avrebbe detto qualcosa. Ora, cosa hai detto che stavi facendo qui, Snaps?”

“Fuggivo di casa,” replicò Lily, sospirando. “Mia sorella si sposa alla fine del mese e si sta sfogando su di me. Oggi ho evitato un’invettiva sul colore delle cravatte dei camerieri.”

“Improvvisamente sono grato di non avere alcuna sorella.”

“Goditelo,” disse Lily. “E tu invece? Cosa ti porta qui?”

“Solo uscire di casa,” rispose James con un’alzata di spalle. “Non avevo immaginato che avrebbe fatto così dannatamente caldo.”

“Lo so. È molto peggio fuori, però.”

"Ci credo. È l’unico motivo che mi ha fatto rimanere qui due ore—il terrore di affrontare l’ambiente esterno finchè non faccia buio."

"Due ore in una libreria?" chiese Lily meravigliata. "Sono colpita."

"Non dirlo a nessuno, ma vengo qui un giorno sì e uno no," James le disse. "A casa ci si annoia a morte durante il giorno, a meno che Pete o Remus non riescano a venire."

"Capisco... e quindi... sei arrivato dal Paiolo Magico?"

"Intendi dire se ho visto Sirius?"

"Sono molto più ovvia di quanto pensassi," mormorò la strega. James fece un sorrisetto.

"Sì, lo sei. E no, non l’ho visto. Sono arrivato dal passaggio di Notturn Alley."

"Un po’ estremo, non trovi?"

"Hai intenzione di farmi la ramanzina?"

"No."

"Bene."

Furono interrotti da un gruppo di streghe strizzate assieme nel tentativo di oltrepassarli. "C’è un sacco di gente," Lily notò.

"Davvero."

"Ehi..." a Lily venne un’idea. "Hai mangiato?"

"Non di recente."

"Hai fame?"

"Quasi sempre."

"Che ne pensi di Camden?"

"Positivo, in genere."

Lily sorrise. "Beh, forza, allora."


"La Lanterna” era un edificio babbano di mattoni, illuminato da lampade indicative del suo nome, e un’atmosfera pigra e fumosa. C’era un mazzo di carte da gioco su ogni tavolo, e di sottofondo una canzone vagamente psichedelica, appena percepibile al di sotto del frastuono indefinito degli altri clienti. Il bar era ancora più rumoroso, ovvio, ma Lily e James si sedettero su una panca, un po’ più lontano. Era un tavolo ad angolo, cosicché in realtà non stavano seduti l’uno di fronte all’altro, ma sui due lati, con l’angolo del tavolo proprio in mezzo.

James lamentò l’assenza di burrobirra, ma alla fine concesse che la cola fosse la cosa più simile che avesse mai provato, e prese in mano il mazzo di carte, in attesa del cibo.

"Allora, perché questo posto?" le chiese, mescolando pigramente le carte. "Voglio dire, come l’hai trovato?"

"Sono venuta qui con mia sorella e il suo fidanzato l’estate scorsa," Lily replicò. Avvicinò la schiena al dorso della panca, appoggiando una gamba nello spazio libero accanto a sé. "C’era questa recensione entusiasta in una rivista che Vernon—il tipo di mia sorella—aveva letto, così pensò di darsi delle arie e portarci tutti qui. MA poi la vecchietta che vive nella nostra strada si è sentita male, e mamma si assunse il compito di portarle la zuppa o cose del genere... è tutta caritatevole, strano ma così, quindi rimanemmo solo io e Tuny e Vernon."

James annuì. "E dal tuo tono, presumo che tu non sia una grande fan dello sposo."

"Non ce n’è bisogno," asserì Lily secca. "è già il più grande fan di se stesso."

"E perchè lo sposa, quindi?"

Lily scrollò le spalle. "Chi lo sa—previdenza, demenza, gravidanza... o forse per farmi dispetto. Vernon mi odia."

"L’aspetto “stregoneria” lo smonta?"

"No, realtà. Questo ancora nemmeno lo sa. E non so se Petunia abbia o meno intenzione di dirglielo." Lily sorseggiò la coca cola. "Lei dice di sì—dice che lui la vorrà sposare comunque, non ha paura di questo, ma non so. Inizio a credere che pensi che finchè lui non lo sa, avrà una scusa per non invitarmi a Natale o roba del genere."

"Oh. Scusa—Non mi ero reso conto che le cose fossero così... tese. Tra te e tua sorella, intendo." Lily non rispose, e la prese come conferma. "Ma sono tutte così le relazioni fraterne? Mi sembra di non conoscere nessuno che vada d’accordo con suo fratello o sorella."

"è complicato," disse Lily evasiva. James sollevò le sopracciglia, scettico, e lei aggiunse riluttante: "Petunia odia la magia."

"Odia la magia? Perché?"

Lily sospirò. "Anche questo è complicato."


Remus chiuse il rubinetto, posando la tazza di caffè, adesso pulita, accanto al lavandino, sopra al piatto e alle posate già sciacquati. Aveva finito di cenare—ufficialmente, ora che aveva finito di lavare i piatti. Quella sera aveva la casa tutta per sé, visto che entrambi i suoi genitori lavoravano fino a tardi, and Remus si godeva la solitudine. L’ultima sera prima della luna piena era sempre particolarmente difficile, quindi proprio non aveva le forze per stare con James—o qualsiasi altro—quella notte.

Si era appena seduto e lanciato all’assalto di un grosso libro babbano quando sentì il rumore delle chiavi nella porta d’ingresso, e un momento dopo si aprì per far entrare sua madre.

Quando lo vide, sobbalzò. "Remus, tesoro, che fai qui? Si è fatto orribilmente tardi, no?"

Passò un momento prima che Remus capisse cosa voleva dire sua madre. Pensava che la luna piena fosse quella notte. Quasi contemporaneamente, la signora Lupin si accorse dell’errore.

“è domani..."

"Oh, sì, domani, ma certo. Mi dispiace." Si accigliò. Remus sollevò le sopracciglia.

"Di cosa?"

"Oh, niente, tesoro, ero solo—alcune delle ragazze volevano uscire dopo il lavoro, e avevo fatto un salto a casa solo per cambiarmi, ma se tu sei qui, allora resto anche io..." Posò la borsetta.

"No, mamma, davvero," disse Remus in fretta. "Esci con le amiche. Va bene."

"Ma è la tua ultima sera, tesoro..."

"Mamma, no, sul serio..."

"Sciocchezze." Andò in cucina. "Hai cenato? Hai fame?"

"No, ho già mangiato." Remus la seguì. "Mamma, sono serio..."

"Ma, ci saranno alter sere per uscire con le amiche," insistette, mettendo una pentola sul fornello. "E non voglio che rimani solo, stanotte. Le ragazze le vedo al lavoro, e non sarebbero andate in nessun posto particolare, sono sicura..."

"Mamma, basta!" la interruppe Remus a voce alta. "Basta, okay? Smettila di provare a... a sistemare tutto! Vai in giro con le amiche, per favore, io..."

"Oh, ma non ci voglio andare..."

"Mamma, vai..."

"Sciocchezze. È—è molto più divertente passare il mio tempo libero col mio unico figlio."

Non riuscì a sopportarlo più.

"Non lo dire!" Remus quasi strillò.

La signora Lupin lo guardò a bocca spalancata. "Remus, che...?"

"Non far finta che qui sia dove tu voglia stare!" continuò.

"Ma..."

"Smettila di comportarti come se ti stesse bene! Sono—sono dodici anni—credi che non me ne accorga? credi che non me ne accorga che vorresti essere ovunque tranne che qui? Che tutto quello che hai è rimpianto... e che poi provi a far finta che tu non rimpianga niente? Mamma, esci con le amiche—allontanati da me, perché sappiamo tutti e due che ti uccide vedermi prima della luna piena. E, sul serio, mamma, non è la mia cosa preferita al mondo vedere te che mi guardi come—come se non lo sapessi? Come se non sapessi che è colpa mia se niente è come volevi che fosse..."

La signora Lupin lo fissava scioccata. "Remus," iniziò con veemenza, "Non ho mai detto una parola..."

"Non dovevi dirlo ad alta voce! È ovvio da tutto! E mi dispiace! Mi dispiace se è colpa mia, che ti ho rovinato la vita..."

"Remus John..."

"Però è vero! La colpa è mia! Tu non l’hai mai chiesto! Non hai mai volute un mostro per figlio, e già mi sento abbastanza in colpa senza che tu ti autocondanni a essere infelice!"

Le lacrime affiorarono agli occhi della signora Lupin, e iniziò a piangere. La rabbia di Remus sparì all’improvviso, mentre sua madre crollava sul pavimento, il volto coperto dalle mani. Non ci sarebbero stati litigi, né discussioni da parte sua, perché sapeva che aveva ragione. Non poteva avercela con lei, comunque—non poteva disprezzare il suo risentimento, come avrebbe potuto fare con qualcun altro. Non era una donna forte; aveva fatto del suo meglio—sopportato più che poteva per dodici anni, e non le si poteva chiedere di più.

"Mamma..." fece cauto un passo verso di lei, ma singhiozzò più forte.

"Mi dispiace così tanto," annaspò tra le lacrime. "Così tanto..."

Remus si sedette sul pavimento accanto a lei, mettendole un braccio attorno alle spalle tremanti. "Mamma, ti prego..."

"Non ho m-m-m-mai voluto... ho sempre cercato di p-p-proteggerti..."

"No," mormorò. "Non è colpa tua."

Pianse in silenzio per alcuni minuti, e nè madre nè figlio si mossero, o parlarono. Poi, lei iniziò a calmarsi, e appoggiò la testa sulla spalla di Remus. "Mi spiace così tanto," sussurrò debolmente. "Ti voglio bene, Remus."

Remus chiuse gli occhi, con un sospiro impercettibile. "Lo so, mamma. Anche io ti voglio bene."


Il sole era tramontato, e Camden High Street era piena del ronzio della folla del Venerdì sera, che allegra si metteva in coda per entrare nei pub e i ristoranti. Lily e James camminavano senza una destinazione precisa, più per gosersi a pieno le temperature serali più miti. Svoltarono in una stradina più tranquilla, e nonappena il bagliore delle insegne elettriche della strada principale svanì, rimasero solo i lampioni ad illuminarla.

Su un muro di mattoni, era attaccato un manifesto lacerato di uno spettacolo di fenomeni da baraccone, mezzo strappato, e James si fermò a leggere.

“Non ci vedo tutto questo fascino," notò. "Forse se fossi ubriaco..."

"Alle persone piace guardare cosec he considerano strane," Lily replicò. "O cose che non capiscono."

James lesse uno degli spettacoli pubblicizzati; "Dubito che sia un vero Lupo Mannaro," disse. "E io lo so..."

"Suppongo che, tecnicamente, entrambe saremmo qualificati per atti del genere," meditò Lily. "Tuny di certo direbbe così, in ogni caso."

"E dubito che abbiano anche un mago vero," aggiunse James, ricominciando a camminare. "solo un tipo tracagnotto coi baffi e le dita veloci."

Lily alzò gli occhi. "Questo è il problema della magia," disse. "Il mondo magico non conosce il senso della meraviglia e dei misteri dell’universo."

"Non è vero," protestò James. "Ci sono molte cose che mi lasciano a bocca aperta."

"Davvero?" chiese l’altra, dubbiosa.

"Sì."

"Dimmene una."

"Babbana o Magica?"

"Uguale."

"Farrah Fawcett."

Lily alzò gli occhi di nuovo, ma rideva. "Scemo. Non intendevo questo."

"Non hai specificato," James le ricordò, ghignando. "Comunque, che c’è di così sbagliato a sapere esattamente come funzionano le cose?"

"Niente," ammise Lily. "Solo che..."

"Solo che, cosa?"

"Beh... okay, se un babbano chiede 'come hai fatto?' e si risponde 'magia,' si presuppome che sia stato fatto qualcosa di abile e sorpendente. Se si risponde così a un mago o una strega, sanno esattamente che è successo. Qualcuno ha tirato fuori una bacchetta, ha detto un paio di parole in Latino, e la magia ha letteralmente risolto il problema."

James alzò le sopracciglia. "Quindi?"

"Quindi," Lily continuò, "non c’è mistero."

"Di nuovo... quindi?"

Aggrottò le sopracciglia. "Beh—che dici che se ogni volta che qualcuno ti chiede come hai fatto ad architettare uno dei tuoi scherzi elaborati, o quello che sia, tu gli dicessi esattamente come hai fatto? Allora tutti saprebbero il meccanismo esatto, e per te non ci sarebbe gusto. Non sembreresti abile, o brillante, o impressionante, no?"

"Al contrario—se le persone sapessero come in realtà facciamo le  cose, sarebbero ancora più impressionate."

"No, non lo sarebbero."

James la guardò male, un po’ sconcertato. "Perchè dici così?"

Lily sembrava sorpresa. "Perchè conosco alcuni dei tuoi segreti, e quando non era così, I Malandrini mi lasciavano più a bocca aperta."

"Ehi!"James sembrava piuttosto offeso. "Sul serio ti aspetti che creda che non sei rimasta nemmeno un po’ impressionata dalla cosa dell’Animagus?" Ghignò all’espressione dubbiosa di Lily.

"Beh, okay, non la cosa dell’Animagus," ammise. "Ma la Mappa e il Mantello... sapere che hai una mappa della scuola con puntini che rappresentano le persone è molto meno interessante che credere che in qualche modo, misticamente, sapessi tutto. E anche, più inquietante."

"Ehi, la mappa è magia complicata."

"Sì, lo so." Lily scrollò le spalle. "Solo che, adesso che so che c’è un meccanismo dietro la tua conoscenza invasiva  della scuola, non c’è più nessun mistero da lasciare a bocca aperta. Mi sento come se passando tante ore in biblioteca, e a  vagare furtiva come fai tu, potessi essere tanto abile quanto tutti pensano che tu sia."

James la guardò male. "Ferisci I miei sentimenti, Snaps."

"Non è un insulto," Lily fece. "Sei intelligente. Solo che non hai niente di mistico."

"Nemmeno un po’ enigmatico?"

"Nemmeno un po’."

James esaminò Lily per un momento, mentre prendeva a calci una pietra sul marciapiedi con aria distratta. "Bene," fece all’improvviso. "Di questo che mi dici?" Sfilò dalla tasca il mazzo di carte che stava sul tavolo al ristorante. Lily lo fissò, a occhi spalancati.

"Le hai rubate!?"

"No. Beh... forse."

"James..."

"Pensavo potessimo prenderle! Oh, e dai, non guardarmi così. Ho lasciato la mancia. Solo—seguimi un minuto, ok?"

Lily incrociò le braccia, in attesa, e James estrasse le carte dalla scatola, mescolandole con abilità sorprendente. Avevano smesso di camminare, e James sollevò le carte tra di loro. "Prendine una," disse. Scuotendo la testa e sorridendo, Lily scelse una carta. "Eccellente. Memorizzala."

"Okay..."

"Fatto?"

"Sì."

"Sicura?"

"Sì."

James le porse il mazzo, e Lily vi rinfilò la carta, e James subito glielo ripassò. "Mischia tu," disse lui, e lei lo fece. Quando gli restituì il mazzo, James estrasse una carta, apparentemente a caso, e la tenne fuori, col dorso rivolto verso di sè. Lily la prese.

"La tua carta?" le chiese. Lei annuì. "Jack di Quadri?"

La strega cercò di non mostrarsi impressionata. "Sì," ammise. "Come hai fatto?"

Si riprese la carta e la infilò nel mazzo. "Magia."

"Magia babbana o magia magica?"

James ghignò. "Sì."

Lily rise. "Okay, hai vinto."

"Oh, grazie. Amo vincere." Si rimise le carte in tasca. "Nel caso non te ne fossi accorta..."

"Oh, me ne ero accorta." A quanto pare si stavano avvicinando a una strada più frequentata, poichè voci e musica si sentivano di nuovo. Lily si ricordò di non aver detto alla madre che avrebbe fatto tardi. "Che ora è comunque?"

James controllò l’orologio. "Quasi le nove."

Lily sospirò. "Dovrei andarmene, mi sa."

"Appuntamento galante?"

"No, ma mamma si preoccupa." Lanciò un’occhiata a James. "Ma i tuoi non si chiedono che fine hai fatto?"

James grugnì. "Chiaramente, non conosci mia madre. Probabilmente si preoccuperà di più se torno a casa; se non sono fuori dopo la mezzanotte, penserà che c’è qualcosa che non va."

"Immagino che questo spieghi i tuoi problemi con il coprifuoco a Hogwarts."

"Preferisco considerare cose del genere dei... suggerimenti."

"Peccato che Gazza non sia d’accordo."

"Dannatamente irragionevole." La stradina stretta confluiva in un viale più ampio e affollato, e Lily rallentò fino a fermarsi. Se doveva materializzarsi, era meglio farlo da un posto più tranquillo. "Vuoi che mi materializzi con te a casa tua?" scherzò James.

"Credo di poterci riuscire da sola, grazie," Lily rispose, sorridendo. "Ma sono stata bene stasera—nonostante la nostra cameriera fosse una troia totale."

"A me è sembrata abbastanza carina..."

"Perchè con te è stata abbastanza carina," controbattè la rossa, indignata. "In ogni caso—sono contenta di averti incontrato."

“Anche io sono contento, perché sono venuto," disse James. Aggrottò le ciglia. "Non volevo fare un doppio senso."

"Troppo tardi, Potter." Sorrise e lo salutò con la mano, lui di risposta le fece il saluto militare, e poi, chiudendo gli occhi, Lily si materializzò.

Una volta solo, James si infilò le mani in tasca e si appoggiò al muro di mattoni dietro di lui. Rimase in piedi lì, sovrappensiero per un momento, poi si raddrizzò e si scompigliò i capelli come d’abitudine, prima di materializzarsi a casa a sua volta.

Lily comparve nel suo solito punto di materializzazione: un vicolo cieco e stretto a circa un isolato da casa sua. Aprì gli occhi e sospirò, prendendo un momento per ricomporsi e analizzare tutto quello che andava analizzato.

Ma iniziava ad avere freddo (aveva portato una giacca, ma indossava solo degli shorts), e così presto si incamminò, sfregandosi le mani nell’aria pungente. Il vicinato era silenzioso, e tutti i lampioni, tranne due o tre, si erano fulminati una vita fa; la città non aveva mai mandato nessuno ad aggiustarli. Camminava pigramente, rigirandosi in mente pezzetti di conversazione di quella sera, pensando a  James, e poi a se stessa, e come era stranissimo che fossero diventati amici, alla fine... che mangiassero assieme al Lantern, o che parlassero di Petunia, o qualsiasi cosa...

Lily raggiunse la porta d’ingresso, e la luce della veranda era accesa, ma non entrò subito. Riusciva a sentire sua madre che ascoltava qualcosa con il giradischi in cucina—Nat King Cole, pensò—e le richiamò alla memoria un ricordo di anni e anni fa, quando Petunia era ancora sua amica, e suo padre era vivo; all’improvviso si sentì molto triste, e si sedette sul primo gradino.

All’altra estremità dell’isolato di fronte, il parco all’angolo in cui giocava di solito con Sev quando era piccola si vedeva a malapena. Quando era più piccola, le era sembrato così lontano—le era stato vietato di andare fin lì senza Petunia che le teneva la mano. Ma adesso si rendeva conto di quanto in realtà non fosse lontano—solo in fondo alla strada. Non ci avrebbe messo neppure due minuti ad arrivarci; nemmeno Lumacorno si sarebbe disturbato a materializzarsi, a quella distanza.

Lily sorrise per la propria battuta leggermente cattiva e desiderò averlo detto quando qualcuno (James, per esempio) ci fosse stato per riderne.

Una brezza scosse le foglie degli alberi; Lily notò le altalene del parco dondolare alla luce della luna. I pensieri istintivamente si diressero a Sev.

Tanto tempo fa, l’avrebbe aspettata su una di quelle altalene, strascicando i piedi sulla sabbia, sembrando troppo piccolo in vestiti troppo grandi. Era proprio su quelle altalene, l’estate dopo il primo anno, che avevano giurato che sarebbero stati amici per sempre (a qualsiasi costo). E l’avevano creduto tutti e due, così tanto. Poi la fede si era trasformata in speranza, e la speranza nella pia illusione, e la pia illusione nel c’era una volta.

Le cose non andavano mai come ti aspettavi, Lily pensò triste. Se solo l’avesse saputo un po’ prima—saputo che alla fine avrebbe perso Severus. Avrebbe potuto fare le cose diversamente. Avrebbe potuto chiedere di essere smistata a Serpeverde, per stare con lui. Avrebbe potuto sforzarsi di più... costringerlo a scegliere, tempo prima, tra lei e gli altri amici—quando ancora avrebbe scelto lei. Avrebbe potuto passare un po’ meno tempo con Donna e Marlene e Mary, e un po’ più con lui. Avrebbe potuto...

E forse l’avrebbe salvato.

Ma non l’aveva fatto, e Severus se ne era andato.

E se avesse potuto rifare tutto da capo, non era sicura di cosa avrebbe cambiato. Perché amava Donna e Marlene e anche Mary. E amava Grifondoro. E credeva nel libero arbitrio. E se le cose fossero state diverse—se fosse stato ancora suo amico—adesso non le sarebbe stato permesso di esserci per Sirius. Non avrebbe potuto essere amica dei Malandrini. Di certo non avrebbe potuto essere amica di James Potter...

Se avesse potuto, avrebbe rinunciato a tutto questo per tenersi Severus?

Sarebbe stata obbligata?

Ma non importava, Lily decise un momento dopo. Adesso non poteva cambiare niente.  Era quello che era.

Si alzò e infilò le mani nelle tasche della giacca, preparandosi ad entrare. Comunque, in tasca, la mano di Lily sfiorò qualcosa di strano, che sembrava quasi plastica al tatto. Confusa, tirò fuori la cosa e la osservò sotto la luce gialla della veranda.

Era una carta.

Jack di Quadri.

Lily sorrise.


Tanto tempo fa, c'era un ragazzino, tredicenne e infelice. Il suo nome era Remus Lupin.

Per tanto tempo, si era sentito molto triste e spaventato. Ma soprattutto, molto molto solo.  Il dolore e la paura sono davvero tremende quando si sopportano da soli. Non c'è niente di peggio della solitudine.

Una volta compiuti undici anni, a Remus fu permesso di entrare a Hogwarts, e questo aiutò; aveva degli amici... be' aveva delle persone che, tutto sommato, gli parlavano, ed era in mezzo a ragazzi della sua età, e poteva imparare tutto sulla magia. Le lezioni gli piacevano. Specialmente quelle di Difesa—in quelle era bravo.

E, una volta al mese, veniva condotto giù alla Stamberga Strillante, dove pativa  le orribili e dolorose trasformazioni—da solo, come sempre. Ma non era spaventato; ci si poteva abituare al dolore, e i mostri non lo spaventavano più. Sapeva tutto su di loro.

E poi, un giorno, quando era al suo secondo anno a Hogwarts, la cosa che terrorizzava sul serio Remus accadde, ed il suo segreto fu scoperto—scoperto dai suoi tre compagni di dormitorio. Ma sorprendentemente, a loro non importò nulla. Non avevano paura di lui, non lo odiavano, ed a dire il vero ritenevano la cosa piuttosto fica.

Per Remus, quello fu l'inizio dei Malandrini—non il vero inizio, ma l'inizio di Remus. Non era tutta la storia, però. C'era molto altro—migliaia e migliaia di momenti, costruiti da quella sera. Migliaia e migliaia di conversazioni e litigi e secondi di pura contentezza. Ed a quel punto, Remus Lupin non fu più triste. Non fu più nemmeno spaventato, e non si sentì più solo.

Per un bel periodo, Remus Lupin era stato felice.

E poi non lo era stato più.

Sentì una fitta di dolore, e la sigaretta probabilmente non gli stava facendo bene, ma non poteva farne a meno. Era steso sul prato di fronte casa, ed il terreno era duro contro la schiena. Sua madre era andata a letto leggermente più confortata, e suo padre era tornato poco tempo dopo. A quel punto, Remus era andato fuori a contemplare la luna, perché—come dicevano tutti—la luna piena era uno spettacolo della natura, e quella di stasera era la cosa più vicina che poteva veramente apprezzare.

Remus Lupin stava pensando. Stava pensando a sua madre, e a quello che sarebbe diventato in ventiquattro ore, quando la luna sarebbe stata piena. Stava pensando agli sbagli e alla Signora Potter e ai Malandrini. Stava pensando a Peter Minus e James Potter e a se stesso, e stava pensando a Sirius Black.

Ma più di tutto, stava pensando a quella sera di più di quattro anni prima, quando aveva trovato un biglietto appuntato sul suo cuscino nel letto del dormitorio ed era sgattaiolato di sotto per trovare chi lo aveva scritto. Stava pensando allo shock che aveva ricevuto nel trovare gli autori e nello scoprire ciò che gli autori sapevano su di lui. Stava pensando a quello stupido, ingenuo patto infantile che avevano stipulato, e al sorriso che aveva illuminato il volto di Sirius nel sapere che il banalissimo Remus Lupin era un lupo mannaro.

E stava pensando al resto di quella serata... quando la professoressa McGranitt li aveva beccati mentre cercavano di tornare in dormitorio... quando li aveva accusati di andare a fare malandrinate per il castello. E poi, alla punizione che avevano scontato insieme la sera dopo... quando Sirius aveva scoperto che Remus era, in verità, veramente spiritoso, mentre James era rimasto impressionato dalla sua conoscenza in fatto di fatture.

Quello—pensò Remus—fu come era iniziato tutto.

Tutto era iniziato quando Remus aveva deciso che Sirius Black, con tutte le sue battute, era davvero interessante, e che James Potter, con tutti i suoi scherzi, era veramente eccezionale, e che Peter Minus, sebbene fosse apparentemente l'ultima ruota del carro, era il tipo di persona che uno vorrebbe come amico.

Non era iniziato perché Remus Lupin erano un lupo mannaro (be', solo in parte). Era iniziato perché James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e Peter Minus si appartenevano.

E questo era il motivo per cui Peter e Remus stesso erano in Grifondoro, quando chiunque altro li avrebbe presi per un Tassorosso e un Corvonero. Questo era il motivo per cui James e Sirius erano diventati migliori amici, sebbene uno fosse un Potter e l'altro un Black, e sul serio, se il mondo avesse un minimo di senso, quei due sarebbero dovuti essere nemici mortali.

Il fato—pensò Remus, espirano fumo verso il nero, vasto cielo—operava in modo curioso a volte.

Buttò via la sigaretta e si alzò, e un brivido di consapevolezza gli attraversò il petto. Tutte le domande avevano di colpo risposta, tutti i dubbi erano svaniti, tutta la confusione alleviata. O per la maggior parte, comunque. Ad ogni modo, sapeva quello che doveva fare.

 


Matilda Minus posò amorevolmente in tavola un altro piatto pieno per suo figlio. “Su, mangia Peter caro”, tubò, un amore cieco nei rotondi occhi marroni. “Ce n'è ancora altro sul fuoco, se  ne vuoi”.

Peter annuì. La cucina dei Minus era piccola e pulita, e sebbene odorasse vagamente (come poi il resto della casetta) di latte vecchio, era una stanzetta ordinata e pulita. La signora Minus faceva in modo che fosse sempre così.

Peter finì il secondo piatto strapieno, e si dissuase dal prenderne un terzo, mentre sua madre mangiucchiava nervosamente la sua prima porzione. I due erano seduti ad una normalissima tavola di legno, la cui terza sedia era vacante. Lo era sempre stata da che Peter aveva memoria; non sapeva perchè sua madre l'aveva tenuta lì per sedici anni, ma non lo chiese.

Una vecchia e sciocca canzone d'amore suonava confusamente su Radio Strega Network, e i piatti—incantati in modo da lavarsi da soli—tintinnavano allegramente nel lavandino. Non era un brutto modo di vivere. Non era la villa dei Potter; non c'erano due genitori, come per Remus; ma sua madre era lì, no? E questo, per Peter, era abbastanza.

Un colpo alla porta interruppe la scarsa conversazione tra madre e figlio. Dato che la signora Minus stava ancora mangiando, Peter andò ad aprire.

"Remus?"

Sorpreso dalla presenza del suo amico alla porta, a Peter ci volle un momento per ricordare le buone maniere. A quel punto, si fece da parte e invitò Remus ad entrare.

“No grazie, non posso rimanere,” replicò in modo spiccio Remus.

“Prongs è con te?”

“No. Non—non è voluto venire.”

“Cosa è successo?”

“Niente.” Peter aspettò con aria d'attesa. Remus respirò profondamente. “A dire il vero,” iniziò, “Speravo che potessi venire con me a fare un giro.”

“Perchè?” chiese l'altro, sbigottito.

Remus serrò la mascella, raccogliendo a sé il suo coraggio. “C'è qualcosa che devo fare.”


 


Eccola lì, una cosetta proprio carina, sul serio. Scintillando alla luce del fuoco, con il suo tappo dorato, ancora sigillato al momento, e il liquido ambrato che rifrangeva l'immagine delle fiamme dietro di lui. L'etichetta—un'intricata opera d'arte... nera, dorata, e rossa, con fitte lettere serpeggianti—era ancora perfetta e liscia attorno alla parte più larga della bottiglia, con un anello più piccolo e sottile attorno al collo. Ed eccola lì, una cosetta proprio carina, sul tavolo dell'appartamento di Sirius, mentre il ragazzo era chino su di essa (non perchè volesse ubriacarsi ancora, solo per vedere le fiamme attraverso la bottiglia vergine di Whisky Incendiario).

Proprio carina, sul serio.

Non aveva voluto scolarsene cinque quella sera, ma l'aveva già fatto prima, ed il proprio volere, una volta che aveva iniziato, non aveva più avuto a che vedere con la faccenda.

I genitori di James avevano posseduto una magnifica bottiglia di tequila una volta—d'oro pallido e liscio. L'avevano presa, James, Remus, Peter e Sirius, ed erano andati in città... faceva così caldo, ed erano andati in un pub, e c'era la musica, e James e Remus si erano messi a discutere di politica da brilli, e c'era stata una ragazza, una cosetta proprio carina, con quel sorriso...

Ma quello era stato tanto tempo fa, ed ora Sirius aveva finito il proprio turno al lavoro e non ne avrebbe avuto un altro fino alla sera dopo, ed era tardi, e il whisky sembrava risplendere alla luce della fiamma, e alla radio mandavano una canzone bella e triste.

E lui avrebbe potuto uccidere Remus. Avrebbe potuto uccidere Piton. Aveva detto tutto a Piton.

Crack.

Sirius ruppe la guarnizione della bottiglia e si alzò per prendere un bicchiere. Quel tipo di formalità poteva sembrare senza senso a quel punto, ma gli donava uno strano senso di speranza nonostante tutto.

Clic, fece il bicchiere battendo sul tavolo.

Il Whisky Incendiario era più scuro della tequila.

Aprì svitando il tappo della bottiglia, e questo cadde sul piano del tavolo con un soddisfacente clangore, roteando su se stesso fino a che non cadde vicino all'angolo. La bottiglia ed il suo tappo separato erano gli unici oggetti sul tavolo, a parte il bicchiere.

Avrebbe potuto uccidere Remus. L'aveva detto a Piton.

Si sentiva dell'armonica nella canzone alla radio. A Sirius piaceva l'armonica.

Avrebbe potuto uccidere Remus. L'aveva detto a Piton.

Sirius prese in mano la bottiglia, e la sua mano coprì la maggior parte dell'etichetta nera, dorata e rossa che aveva ammirato così tanto. La inclinò, e lo scuro liquido ambrato scivolò attraverso il collo della bottiglia, cadendo sul fondo del bicchiere. Dopo pochi secondi, Sirius posò la bottiglia sul tavolo, ma non rimise sopra il tappo, perché non era, dopo tutto, così ingenuo.

Portò il bicchiere alle labbra.

Fu in quel momento che si accorse che quello scampanellio che aveva nelle orecchie proveniva dal suo stesso campanello di casa. Era la prima volta che lo sentiva.

Sirius si alzò, confuso, e si diresse alla porta. Indossava ancora i suoi abiti da lavoro. Chi poteva essere? Lily si era fermata di nuovo? Poi aprì.

Sulla porta c'erano Remus e Peter. Remus era rimasto stranamente sorpreso quando Sirius aveva aperto la porta, come se non si fosse totalmente preparato all'idea, ma non era niente in confronto a come si stava sentendo Sirius. Inclinò la testa da un lato, incapace di articolare le mille domande che gli erano immediatamente balzate in mente.

“Ciao,” disse Peter alla fine.

“Ciao” si aggregò Remus.

"Ciao," rispose Sirius. Poi, riprendendosi, aggiunse: “Volete entrare?”

Remus annuì. “Ci piacerebbe.”

Sirius si fece da parte, facendoli passare. I due entrarono nel salotto, osservando l'intero appartamento, con il whisky e tutto. Rimasero in silenzio per un po'.

“Non vorrei sembrare scortese,” iniziò alla fine Sirius; Remus si girò dalla sua ispezione dell'appartamento per fronteggiarlo, “ma—cosa vi porta qui?”

Peter si appoggiò al bancone della cucina, e stava guardando Remus molto attentamente. Il giovane licantropo, nel frattempo, fissò Sirius con determinazione nei suoi occhi grigio chiaro. “Non ci sono molte persone nella mia vita Padfoot. E di quelle che ci sono, ancora meno sanno la verità su di me. E questa verità non è per tutti—alcuni non riescono a gestirla o a tenerla per loro o a capirla. Ma alcune persone ci riescono, ed alcune volte chi dovrebbe esserci per te—la tua famiglia—non ne è in grado, quindi bisogna cercare qualcun altro che ci riesca. E quindi se si riuscisse a trovare questo qualcuno, che fosse in grado di capire il mio segreto, e che volesse aiutarmi ad affrontarlo ogni mese—qualcuno che fosse abbastanza forte per farlo—allora questo lo renderebbe la mia famiglia, no?”

Esitò, e Sirius non disse nulla.

“E la cosa importante della famiglia,” continuò Remus, “è che nonostante tutto, se ti chiede di perdonarla... tu devi farlo. Perché qualsiasi stupida... stronzata faccia, sai che sarebbe pronta a tutto per te se ce ne fosse bisogno.”

Rimasero tutti e tre in silenzio per qualche secondo. Poi, Sirius parlò. “Cosa stai dicendo, Remus?”

Remus sospirò pesantemente. Sapeva quello che doveva fare. “Sono venuto qui a dirti che ti perdono Padfoot,” disse.

E Sirius si rese conto che stava trattenendo il respiro solo quando lo buttò fuori. “Mi perdoni?”

Remus annuì leggermente. Sirius volse lo sguardo a Peter, che annuì a sua volta.

“Ma... avrei potuto ucciderti.”

“Lo so,” disse Remus.

“Avrei potuto uccidere Piton!”

“Lo so.”

“Saresti potuto andare in prigione!”

“Lo so.”

“E tu mi perdoni?” insisté Sirius, sbalordito. “Mi perdoni tutto quanto?”

Remus annuì di nuovo.

E avrebbe dovuto starsene zitto e accettare la cosa, ma ovviamente, Sirius non lo fece. “Sei sicuro?”

“Già. Abbastanza sicuro”

Un centinaio di emozioni si impressero sul viso di Sirius. C'era gratitudine e paura e rabbia e dolore e confusione. E infine ci fu il rimorso: “Mi dispiace tanto,” sussurrò, ma lo sentirono entrambi.

“Lo so,” rispose sinceramente Remus.

Sirius esitò. “Grazie.”

Remus annuì e basta. Allora, spontaneamente, Peter cominciò ad aprire gli sportelli. Li aprì uno dopo l'altro finché non localizzò i bicchieri, appena sopra il lavandino. Il Malandrino ne prese due e si avvicino al tavolo, posandoli vicino a quello mezzo pieno di Sirius. Aspettò.

Senza dire niente, Sirius e Remus si accostarono al tavolo; c'era solo una sedia, così nessuno si sedette. Peter versò Whisky Incendiario nei bicchieri vuoti. I tre esitarono a bere.

“È una bella canzone,” disse Peter, riferendosi alla canzone che ancora suonava da RSN. Forse il momento sarebbe potuto essere perfezionato da un brindisi più sottile, ma nessuno dei tre si sentiva molto poetico in quel momento. Remus e Peter bevvero; Sirius no. Fece scorrere un dito lungo l'orlo del bicchiere e, per la prima volta dopo mesi, si sentì genuinamente ottimista.

Remus vuotò il suo bicchiere e lo posò con un leggero clic sopra la tavola di legno. Forse l'alcol lo aveva riscaldato dentro e gli aveva placato i sensi, ma si sentiva molto sveglio. Non era ancora tutto perfetto... non potrebbe essere mai tutto perfetto, perché, dopo tutto, non lo era stato mai. Ma le cosa sarebbero migliorate. James avrebbe cambiato idea. Si sarebbe fidato di nuovo di Sirius. Sarebbero tornati ad essere di nuovo i Malandrini. La vita sarebbe tornata alla normalità ancora una volta.

Il mattino arrivava sempre.

Non era ancora lì, ma la luna era calata (il peggio era passato), e il cielo si stava schiarendo (era ottimista), e presto (molto presto), sarebbe sorto il sole.

 

  
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