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Autore: Riyu87    03/01/2005    4 recensioni
che dire...Il diario quotidiano di un simpatico killer! ^_^
AVVISO: la storia fa pena!
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Boris
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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In ogni capitale c'

In ogni capitale c'è un Hotel Ritz e sono tutti uguali. Gli addetti alla reception sembrano copiati da un unico modello e dicono sempre la stessa cosa:

"il signore ha una prenotazione?"

Ce l' avevo. L' uomo degli incarichi è abbastanza preciso in questo, ma, come succede di solito nei Ritz, mi dettero la stanza peggiore. Non mi importava. Non ero venuto a Istanbul per turismo, ma per osservare l' incarico.

-mi secca ammetterlo ma si tratta di un materiale molto difficile da reperire- aveva detto l' uomo degli incarichi.

-e se lo trovo che faccio?- avevo chiesto.

-Non comprarlo là. Gli appaltatori vogliono solo prodotti nazionali- aveva spiegato

Anche se mi vanto di essere un buon professionista, le sue parole mi risollevarono. Non ero preparato ad agire a Istanbul, non conoscevo la città e fin da quando avevo messo piede fuori dall' aereoporto i militari turchi mi avevano innervosito. Guardavano con insistenza chiunque potesse sembrare curdo, o avere a che fare coi curdi.Avevo ringraziato mentalmente mia madre di essersi cercata uno sposo russo quanto lei, ma ciò nonostante si prospettava molto difficile trovare dei buoni arnesi del mestiere in Turchia.

Da dove diavolo saltano fuori i tassisti? Quello che mi portò dall' albergo al centro dei congressi era un turco con dei baffi lunghi come un manubrio di bicicletta, e non appena posai il culo sul sedile -amabilmente protetto da un telo di plastica- mi prese di mira affannandosi a catechizzarmi. Maledisse tutte le donne in minigonna che passeggiavano per strada, la pubblicità del Rum, quella delle sigarette, e alla fine, dicendomi di non offendermi, se la prese con gli stranieri che portano soltanto abitudini perniciose. Quando arrivammo al centro congressi stava mandando a quel paese Linneo. Mentre gli pagavo la corsa mi ripromisi di trattare più dignitosamente le professioniste dell' amore e di non chiamare più figlio di puttana chi non lo meritava. Figlio di Allah mi pareva un insulto molto più grave.

Strano uomo, l' incarico. Nel programma dell' incontro "megalopoli e problemi migratori" compariva la sua foto, il suo nome -supponendo che fosse quello vero-, un interessante biografia che lo presentava come un pioniere delle organizzazioni non governative e la nazionalità. Yuri Ivanov era Russo,nato a Tula nel mio stesso anno. Quindi aveva venticinque anni, una buona età per morire.

Nel caffè del centro congressi lo ebbi a meno di due metri. Sarebbe stato un gioco da ragazzi stenderlo lì, ma non potevo nè dovevo farlo. Gli appaltatori volevano che il suo ultimo respiro fosse di aria americana, una qualunque boccata d' aria di quella che va dal Rio Grande fino a Capo Horn. Stava parlando con un gruppo di uomini e donne che lo guardavano con espressione di stima. Coi suoi interlocutori saltava dall' inglese al tedesco e dal francese al portoghese. Finchè una giornalista, in inglese, gli chiese un intervista, allora lui, con un sadismo tipico di noi russi, le rispose in russo stretto chiedendo delucidazioni sul signifato delle sue parole, fingendosi costernato del non poterla comprendere.

"beh caro mio, farai sparire dalla piazza un tipo simpatico" mi dissi, e ancora una volta mi sentii stupido perchè desideravo conoscere il motivo per cui dovevo ucciderlo.

"Non ti capisco. Sei venuto per vedere l' incarico, per soppesarlo, per fiutarlo, e una stupida scenetta con un giornalista ti fa quasi sorridere. Che razza di professionista" disse un tipo che indossava una giacca uguale alla mia nello specchio.

"non mi seccare, lo sai che faccio sempre il mio dovere"

"lo spero. e ora che intenzioni hai? vuoi leggerti un bel romanzo rosa?"

"frugherò tra le sue cose. Andrò nel suo albergo"

" Non è compito tuo. Il problema è che vuoi sapere perchè devi eliminarlo. Io lo so."

"E mi dirai perchè devo mandarlo al mondo dei più?"

"Certo, perchè per questo lavoro ti daranno un assegno con sei zeri sulla destra esentasse. Tutto qui, coglione."

Decisi di fregarmene dell' abitante degli specchi. Un biglietto da cinquanta dollari spazzò via le reticenze del tipo baffuto che stava alle informazioni. L' incarico alloggiava all' hotel Richmond. Non era male il posto. L' atrio dell' edificio trasudava nostalgia dell' impero ottomano e l' addetto della reception era come piacciono a me: discreto a parole ma loquace a gesti.

"Qualche ora fa ho lasciato dei documenti per il signor Ivanov. Si tratta di una cosa molto importante e voglio sapere se li ha ricevuti."

Senza dire nulla l' uomo si voltò, e con gesti da prestigiatore mi indicò la casella vuota corrispondente alla stanza quattrocentocinque.

"i documenti sono stati debitamente consegnati al signor Ivanov" disse con servile orgoglio a cinque stelle.

 

Arrivo, ammazzo e me ne vado. Ecco cosa ho fatto negli ultimi sette anni, e in questa professione si imparano cose senza nemmeno rendersene conto. Una di queste è fiutare in tempo la lieve puzza di qualcosa che non va.

Quello che non andava nel corridoio centrale del Richmond era un ciccione mezzo calvo che leggeva il <> con la schiena appoggiata al muro, davanti agli ascensori. Un paio di metri più in là aveva a disposizione tutta una serie assortita di soffici divani, ma l' amico leggeva in piedi.

Entrai nell' ascensore e premetti il pulsante col numero sette. Nella solitudine del corridoio fumai una sigaretta con tutta calma, poi scesi lentamente le scale. Al quarto piano potei constatare che l' abitudine di leggere il <> davanti agli ascensori era contagiosa. Al secondo lettore mancava solo un cappello da texano per tradire la sua nazionalità.

Quando mi vide spuntare nel corridoio si concentrò nella lettura. Mi maledissi per aver commesso un errore da principiante: senza dubbio il ciccione di sotto aveva una ricetrasmittente, mi aveva descritto, e lui vedendomi comparire dalla porta che conduceva alle scale aveva avuto conferma dei sospetti. Diavolo, dovevo agire in fretta e lo feci.

Arrivai agli ascensori, tesi una mano per premere il pulsante della chiamata e, senza toccare il cerchio di plastica rossa, mi girai ripiegando la gamba sinistra per poi allungarla di scatto verso il lettore impenitente. Il calcio lo prese in pieno nei testicoli, e senza dargli il tempo di riprendersi, gli mollai due colpi sopra le orecchie. L' auricolare fracassato gli penetrò profondaente nella carne. Il tipo nascondeva un bel microfono dietro il risvolto della giacca, portava una calibro trentotto e, sorpresa, aveva una tessera di riconoscimento ben plastificata di agente della Drug Enforcement Administration.

Un paio di minuti dopo un' uscita di emergenza mi risputava per strada. Mi misi a camminare. Avevo bisogno di riflettere, e in fretta. La D.E.A. pedinava il mio soggetto. La connessione con Istanbul? L' amico Ivanov aveva forse cominciato a fumare tappeti? Quanti altri uomini aveva la D.E.A. a Istanbul? Dovevo trovare alla svelta un bagno per parlare con l' abitante degli specchi che mi conosce così bene.

 

La stanchezza delle gambe mi fece capire che camminavo da varie ore in una qualche direzione, ma senza un itinerario ben definito, o forse sì, ne avevo uno, casuale, che sebbene non mi portassa da nessuna parte mi allontanava sempre più dal mio uomo. Mi ero immischiato in quello che non mi riguardava, mi preoccupavano le ragioni per cui dovevo eliminare un uomo, avevo appena picchiato un agente della D.E.A. e come se tutto questo non bastasse, l' immagine dell' amico Ivanov mi compariva a dolorosi intervalli nella mente come uno spot pubblicitario di qualcosa che non avrei mai potuto comprare.

Quando mi trovai in un mare di tappeti, arazzi, narghilè, spaventose litografie di paesaggi e altre cianfrusaglie orientali, capii che senza volerlo ero arrivato nel gran bazar. La mescolanza di incensi e patchouli rendeva irrespirabile l' aria. I venditori assediavano i turisti e questi si dedicavano al tastaggio di tappeti vari con assoluta svogliatezza. Due tipi baffuti mi si avvicinarono sorridendo, uno di loro teneva tra le braccia un arazzo arrotolato e l' altro mi salutò con un cenno della testa.

"noi abbiamo tutto ciò che il signore sta cercando, non c'è dubbio. Se ci concede l' onore di accettare un tè in nostra compagnia, potremmo discuterne il prezzo" dichiarò con gesti da Alì Babà.

"Spiacente ma non ho intenzione di comprare nulla" replicai

"La prego di dare un occhiata, solo una, all' incomparabile qualità dei nostri tessuti" suggerì lui, mentre faceva un cenno al suo accompagnatore.

L' altro uomo sollevò l' arazzo arrotolato fin quasi a sfiorarmi il naso. In mezzo spuntavano le due canne di un fucile. Stavolta fui io a chinare umilmente la testa, accettando l' invito a bere un tè nel gran bazar di Istanbul.

I due mi condussero nel retrobottega di un negozio. Là, quello con il fucile mi indicò un cuscino mentre l' altro parlava con qualcuno al cellulare. Quando ebbe finito la telefonata, l' uomo riprese con il suo tono cerimonioso.

"Non sappiamo nè chi è lei nè quale sia il suo gioco, ma suppongo che ben presto ci parlerà dell' argomento. Devo anche confessarle che non è affatto bello ciò che ha fatto all' amico in albergo. Il poveretto ha un orecchio spappolato, e inoltre ha danneggiato beni dell' erario degli Stati Uniti d' America. Tutto ciò è decisamente riprovevole!"

"Spiacente, ma è stato lui ad aggredirmi e io ho dovuto difendermi. Ho pensato che si trattasse di un rapinatore" mi scusai

"Non si verificano molte rapine nei corridoi del quarto piano dell' Hotel Richmond. Non mi piace il suo racconto. Conosce la storia della principessa Sherazard? I racconti devono essere buoni e convincenti. Hassan, il nostro amico ha bisogno di un pò d' ispirazione" ordinò all' accompagnatore

Hassan sapeva dove colpire. Mi mollò una botta col calcio del fucile alla spalla sinistra che mi fece aprire le dita della mano.

"e ora che ha avuto modo di migliorare la trama, iniziamo con una breve biografia dell' autore. Chi è lei?" disse il tipo cerimonioso

Volevo ribattere "e voi chi siete?" ma non ero certo in grado di imporre condizioni al dialogo. Il secondo colpo alla spalla mi fece pensare che il braccio sarebbe caduto e che sarebbe scivolato giù dalla manica della giacca come un rettile morto. Hassan non amava le pause troppo lunghe nei racconti.

"Sono un turista che passava di là per caso. Ho l' abitudine di fare jogging nei corridoi degli alberghi"

Calcolai bene l' istante in cui Hassan mi avrebbe mollato il terzo colpo. Mi chinai verso sinistra e il calcio del fucile si limitò a sfiorarmi un braccio mentre lo afferravo con la mano destra e lo tiravo verso il basso.

Hassan perse l' equilibrio, incespicò coi piedi nell' orlo della djellaba e mentre cadeva in avanti riuscii a strappargli il fucile. Non sapevo se era carico e non avevo il tempo di verificarlo. Il problema era andarmene di lì e ancora una volta dovevo riflettere in fretta.

"Si calmi, non può certo uscire dal bazar con un fucile in mano. Le presento le mie scuse per le cattive maniere di Hassan e le propongo un colloquio cortese" disse il tipo cerimonioso.

Ma quelle furono le sue ultime parole, perchè all' improvviso la sua testa sussultò come se avesse ricevuto una botta e lui stramazzò bocconi su un mucchio di tappeti. Mi voltai. Allora vidi l' incarico, con in mano una trentotto col silenziatore , che faceva saltare le cervella all' impaziente Hassan, che cadde vicinissimo al suo compare.

"Seguimi coglione" ordinò l' incarico, e io gli obbedii ricordando che quando avevo visto per la prima volta il suo volto in fotografia avevo sentito che le nostre strade, bene o male, dovevano incontrarsi.

 

**

 

Il capo era nel nostro scompartimento e si teneva con entrambe le mani ai braccioli dell' ampio sedile visino al finestrino, ma nonostante ciò fu battuto sul tempo e quando il treno partì lo scossone lo fece rimbalzare avanti e indietro. Notai con la coda dell' occhio che stava per esplodere di rabbia, perciò decisi che era meglio ignorare certe realtà della vita quali il mancato pagamento della mia tredicesima, presi una rivista dalla borsa e mi ranicchiai nella poltroncina d' angolo.

Sempre tenendosi con entrambi le mani, il principale mi urlò:" saremo a Pittsburgh alle undici e venticinque, quattordici ore in tutto. Si ricordi che l' aereo non ci aspetterà in eterno perciò se arriviamo in ritardo ci toccherà aspettare il volo del pomeriggio. Se succedesse qualcosa alla nostra locomotiva..."

Gli risposi gelido:" non sono sordo boss e, davvero, potete sbraitare quanto volete -tanto è il vostro fiato che sprecate- ma se le vostre parole e il vostro tono di voce insinuano che io sia in qualche modo responsabile delle vostre digrazie, non sono disposto ad accettarlo. Mi ero già preparato il discorso ieri sera, sapevo che ne avrei avuto bisogno: Questo viaggio è una VOSTRA idea, siete voluto venire VOI.. anzi, siete VOI che avete voluto partecipare al convegno sule megalopoli. Sei mesi fa avete detto al signor Mizuhara che ci sareste stato, e adesso la cosa vi secca. E anche a me. Per quanto riguarda la nostra locomotiva, è una delle più nuove e avanzate e anche un bambino..."

"Una locomotiva ha duemilatrecentonove parti in movimento e una di queste può benissimo rompersi!" girdò lui, isterico

Il padrone soffriva di una fobia per le macchine e non aveva senso lasciarlo rimuginare, perchè sarebbe stato peggio per entrambi.Posai la mia rivista e gli sorrisi, pensando che potesse servire.

E servì, infatti.

 

**

 

Rei: perchè il mio rapporto col tizio ignoto che mi è capo puzza tanto? <_<

Me: mah...chissà!^^''

  
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