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Autore: Letz    30/06/2014    4 recensioni
Grantaire non è esattamente quello che si definirebbe un ragazzo facile. I suoi zii, decisamente esasperati dai suoi comportamenti da ribelle, decidono di mandarlo a studiare al prestigioso collegio Valjean nella speranza che un po' di disciplina riesca a raddrizzarlo. Ce la farà Grantaire a sopravvivere all'anno scolastico? Ma soprattutto, riuscirà a sopravvivere ai suoi assurdi compagni di scuola che lo obbligheranno a unirsi al club di teatro e a recitare in "Romeo e Giulietta"?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Con il senno di poi mettersi ad urlare come se il palazzo andasse a fuoco non era stata una buona idea da parte di Joly. E ora almeno quattro medici e due – anzi no, tre, l’ultimo era nascosto dietro il dottore ciccione – specializzandi lo fissavano ansiosamente in attesa che rispondesse alle loro domande.
“Sto bene. In che lingua ve lo devo dire?”, alzò gli occhi al cielo Bossuet.
“Signor Lesgles lei ha subito un trauma cranico e la sua memoria…”.
“Non mi chiami in quel modo, da mio padre non voglio niente, me che meno il suo fottuto cognome. E la mia memoria funziona, mi chiamo Bossuet, ho 18 anni, mia madre si chiama Virginie, il mio colore preferito è il blu di Prussia”.
“Ricorda qualcosa dell’incidente?”.
“Un secondo mio padre sta urlando contro mia madre e il secondo dopo mi sveglio in un letto di ospedale con Joly che mi fissa bianco come un cencio e mi dice che…”.
“Signor Lesgles, si sente bene?”.
“Certo che mi sento bene, ho appena ricevuto una dichiarazione d’amore dal mio migliore amico. Lei non sarebbe un po’ sconvolto?”.
 
~
 
Sei giorni dopo Bossuet era allo stremo. I medici si rifiutavano di fargli vedere i suoi amici, con la scusa che “solo i parenti sono ammessi” e la polizia si era presentata almeno tre volte per interrogarlo e formalizzare la denuncia. Dato che era maggiorenne aveva deciso di testimoniare in tribunale per assicurarsi che suo padre non mettesse il naso fuori dalla galera per almeno dieci anni.
Ma finalmente era arrivato il giorno della sua dimissione e tutti i suoi amici erano lì, nel parcheggio dell’ospedale. E per una volta Bossuet si sentì la persona più fortunata del mondo. Eccettuato Gastone, ma lui era un personaggio di un fumetto.
Tutti i suoi amici si stavano avvicinando – come una mandria di bufali – per stringerlo in un soffocante abbraccio in stile ti-vogliamo-bene-per-non-esserti-fatto-spaccare-la-testa-da-quel-violento-di-tuo-padre quando una voce isterica giunse dal retro del gruppo.
“Allontanatevi, lasciatelo respirare. Insomma, ha subito un trauma e…”.
“E tu vuoi essere il primo a saltargli addosso e stai giocando la carta del futuro medico”, fece dello spirito Grantaire scatenando le risate del gruppo.
Joly si fece avanti sgomitando e imprecando contro l’idiozia dei suoi amici e per un secondo i loro sguardi si incrociarono. Nessuno dei due era certo di cosa fare e Bossuet chiuse gli occhi per poter raccogliere i pensieri e partorire una frase che non fosse “ehi, è un po’ che non ci si vede”. Si ritrovò addosso Joly che lo stringeva fino a togliergli il respiro e sussurrava parole incoerenti al suo orecchio. Parole che assomigliavano sospettosamente a “ti amo”, ma forse le sue orecchie non funzionavano bene. Ma Joly ora lo stava fissando dritto negli occhi e nessuno lo aveva mai guardato così, come se lo amasse nonostante la sua sfortuna, i suoi capelli assurdi, il suo equilibrio precario e la sua incapacità nel cucinare – aveva fatto passare a tutti la notte in bagno a vomitare l’anno prima quando aveva tentato di cucinare una semplice pasta con il sugo.
“Anche io ti amo”, e le parole erano uscite rima che potesse pensarci, o perlomeno farle sembrare meno brutali.
“Molto bene, perché solo tu conosci i dosaggi dei miei farmaci, e cosa fare se ho un attacco di panico. Capisci subito se ho la febbre e riesci sempre a svegliarmi quando mi vengono gli attacchi di malattia del sonno e…”.
Bossuet gli chiuse la bocca con un bacio, prima che il suo fresco fidanzato iniziasse ad elencare tutte le sue malattie.
 
~
 
“Non siamo pronti, le prove generali erano un disastro e faremo una figuraccia. Poi è il nostro ultimo anno, quindi non possiamo nemmeno rifarci il prossimo anno”. Jehan era praticamente isterico la sera della prima, se la sua treccia sfatta non fosse stata un indizio sufficiente di certo lo era la sua diarrea verbale.
“Amore, andrà tutto bene. È solo una recita scolastica in fondo”.
Grosso, grosso errore. Mai, mai sminuire il teatro di fronte a Jehan. Eppure Courfeyrac avrebbe dovuto imparare da quella volta in cui aveva definito Beckett “un vecchio arteriosclerotico incapace di mettere in fila tre parole sensate” e aveva vinto una fantastica lezione di un’ora sui pregi e sulle innovazioni apportate dal Teatro dell’assurdo alla scena teatrale moderna.
“No, Courfeyrac, è un omaggio personale al più grande drammaturgo di tutti i tempi e non posso permettere che voi zotici incapaci me lo roviniate”.
“Forse non dovresti gridare così forte, o il pubblico potrebbe sentirti”, e con questo consiglio Courfeyrac corse in camerino, prima che Jehan potesse eliminarlo fisicamente prima che lo facesse Combeferre in scena.
 
~
 
“E se vomito in scena? Non avrei dovuto mangiare maiale, con il rischio di beccarmi una bella trichinosi. E se svengo? Sai quanto sia sensibile alla luce dei fari. Forse dovrei recitare con gli occhiali da sole”. Joly era così agitato che si era morso le lebbra fino a farle sanguinare. Mentre puliva via il sangue con un fazzoletto Bossuet pensò che era decisamente strano che la prima preoccupazione di Joly era quella di morire in scena, e non quella - decisamente più normale, ma cosa c’era di normale in loro due e nella loro storia - di dimenticare la battute.
“Con la fortuna che mi ritrovo probabilmente il sipario mi crollerà in testa e qualche cosa andrà a fuoco. È passato un bel po’ di tempo da quando ho mandato qualcosa a fuoco. Tu sarai perfetto come sempre”.
Joly lo guardò come se non potesse credere a quello che sentiva. “Sono almeno due settimane che non succedono cose assurde quando sei insieme a me. Forse la mia ipocondria neutralizza la tua sfortuna”.
Poteva essere vero, anche se Bossuet sospettava che la sua sfortuna fosse solo sopita – dopotutto l’incidente con suo padre avrebbe dovuto concedergli almeno un anno di non-sfortuna – ma baciare con passione Joly dietro le quinte poteva essere un ottimo porta fortuna.
 
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- Vuoi già partire? L’alba è ancor lontana. Era dell’usignolo, non dell’allodola, il cinguettio che ha ferito poc’anzi il tuo trepidante orecchio. Un usignolo, credimi, amore; è lui che canta, ogni notte, laggiù sull’albero di melograno.
Quante volte avevano avuto quella conversazione? Tutte le notti che avevano passato insieme - da quella prima dichiarazione al parco al coming out con i loro amici – le avevano passate nella stanza di Enjolras, con Grantaire che doveva sgattaiolare nel suo letto prima che tutta la casa si svegliasse. Ed Enjolras cercava sempre di trattenerlo, con scuse sempre nuove. Ma questa era la sua preferita.
- L’ansia di rimanere è più forte di quella di partire. Vieni o morte, e sarai la benvenuta! Così vuole Giulietta, e così sia! Sei soddisfatta adesso, anima mia? Parliamo pure. Non è ancora giorno.
E lui fingeva sempre di voler rimanere, dicendo che non gli importava se i loro amici li avessero trovati in posizioni piuttosto equivoche e decisamente poco vestiti.
- È giorno, invece, è giorno! Ahimè, fa’ presto! Va’! È l’allodola quella che canta, ora, con quel suo verso fuori tono, sforzandolo con aspre dissonanze.
Ed Enjolras che si arrabbiava e lo cacciava via, non prima di averlo riempito di baci.
- Addio! Addio! Ancora un ultimo bacio, e poi me ne vado.
Ma lui voleva sempre un bacio in più, che rubava dalle labbra imbronciate di Enjolras che gli chiedeva quando avrebbero potuto di nuovo stare insieme, come se non si vedessero ogni giorno a scuola e non passassero insieme anche tutto il loro tempo libero. Ma lui gli rispondeva comunque. “Tra un’ora sola amore mio. Tra un’ora sola”.
 
~
 
L’applauso sembrava non finire mai, e dovettero uscire per tre volte a salutare il pubblico che sembrava non averne mai abbastanza di loro. Erano tutti un po’ imbarazzati, forse perché nessuno di loro si aspettava che la loro versione riveduta e corretta potesse piacere a così tante persone. Anche Jehan ebbe la sua dose di applausi e di mazzi di fiori – tutti sospettarono Courfeyrac della cosa, ma lui continuò a negare con estrema convinzione -, cosa che lo ridusse sull’orlo delle lacrime. Il preside Valjean si avvicinò per congratularsi personalmente con ognuno di loro, e con loro estrema sorpresa i ragazzi scoprirono che l’uomo era un grande appassionato di teatro e letteratura. Infatti non si limitò a fare dei generici complimenti ma si congratulò con Courfeyrac per aver colto lo spirito ribelle di Mercuzio, e apprezzò la serietà e il senso dell’onore del Tebaldo di Combeferre. E quando venne il momento di salutare Enjolras e Grantaire Valjean augurò ad entrambi tanta felicità e fortuna.
“Ne avrete bisogno, in un mondo chiuso come il nostro”, e il suo tono era triste, come se parlasse per esperienza personale.
Persino Javert face loro dei complimenti, ma irritò Enjolras affermando che il fulcro del dramma era la giusta punizione, e il conseguente esilio, di Romeo. I due stavano quasi per mettersi a discutere ma la mano di Grantaire sul braccio di Enjolras riuscì in qualche modo a farlo fermare e a fargli ringraziare a denti stretti l’uomo, prima di andarsene in un turbinio di mantelli.
 
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Stranamente a proporre il brindisi non fu Grantaire ma Courfeyrac, probabilmente il più sentimentale tra gli Amis – Jehan era il tipo di sentimentale che legge poesie agli amici, Courfeyrac quello che piange e abbraccia tutti.
“All’amicizia, quella vera. Perché tra vent’anni saremo ancora qui – ovviamente non fisicamente qui, anche se adoriamo il bar di Feuilly”.
E i ragazzi alzarono i bicchieri e finsero di non vedere che un po’ tutti avevano le lacrime agli occhi, perché vent’anni sono tanti e perdersi è fin troppo facile.
Ma in un modo o nell’altro loro non si sarebbero mai persi.
 
 




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Odiatemi pure, sono una ritardataria cronica. Questo è l’ultimo capitolo!!! Se escludiamo l’epilogo naturalmente :D
Mi risparmio gli sbrodolamenti sentimentali al “vero” capitolo finale.
Non so per quale motivo questo capitolo mi sembra particolarmente carino, forse perché tutti sono agitati per lo spettacolo e si comportano come delle scimmie isteriche.
Grazie a chi legge/recensice/segue ma soprattutto sopporta le mie lungaggini.
Spero di non farvi aspettare troppo per la fine,
 
lots of love
Letz
  
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