Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Nat_Matryoshka    30/06/2014    1 recensioni
Dal testo;
"Fin dalla prima volta in cui l’aveva incontrata, Lyanna era sempre stata una ragazza forte, una guerriera più che una lady del Nord. Vinceva tornei (sotto mentite spoglie, è vero, ma un torneo l’aveva vinto), si batteva come un ragazzo, cavalcava, tirava con l’arco… non aveva mai visto né incertezza né paura tenderle i lineamenti, anzi sembrava non esserci posto per quei sentimenti in lei, almeno quando erano insieme. Era la sua lady di Ghiaccio: forte, pura, indomabile.
Fino a quando non aveva scoperto di essere incinta del suo terzo erede."

[What if: e se la Battaglia del Tridente avesse avuto un esito completamente diverso? Se Rhaegar e Lyanna fossero sopravvissuti e avessero avuto la possibilità di incontrarsi di nuovo, insieme ad Aegon e a Jon?]
Storia completamente revisionata!
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo X
 

 
 


“Once I travelled seven seas to find my love,
and once I sang seven hundred songs.
Well, maybe I have still to walk seven thousand miles
until I find the one that I belong.”
[Xandria – Eversleeping]
 
 
 
 
Padelle Salate
qualche giorno dopo
 




Aveva sognato di nuovo Lyanna.

Questa volta non si era trattato di un sogno angoscioso, non era stato uno di quegli incubi che lo facevano risvegliare in un bagno di sudore, stravolto e spaventato come durante la convalescenza seguita alla battaglia del Tridente. No, era stato un bel sogno: era nel Parco degli Déi e la sua donna gli sorrideva, bella come l’ultima volta in cui si erano lasciati ma priva della sofferenza che le aveva deformato i lineamenti per lungo tempo, più serena e rilassata. Era seduta sotto uno degli alberi-diga e sembrava impegnata a giocare con qualcosa che stringeva tra le braccia e continuava a spostare verso l’alto e verso il basso: Rhaegar le si era avvicinato per scoprire che l’oggetto di quelle attenzioni era un bambino dai corti riccioli neri, uno scricciolo che la ragazza cullava e faceva ridere, tanto che le grida di gioia del piccolo riempivano il Parco e le orecchie del principe come una musica.

“Finalmente sei arrivato” gli aveva sorriso lei appena lo aveva visto. “Ti aspettavamo da tanto, io e tuo figlio. Ora che sei qui, resterai?”

Ho promesso troppe cose e ne ho mantenute poche, tanto che ormai ho quasi paura di questa parola e dell’effetto che fa, avrebbe voluto rispondere lui. Ma tanti altri sogni gli avevano insegnato che la cosa migliore era rimanere in silenzio e lasciarsi avvolgere dall’atmosfera del Parco, godersela come se si fosse trovato davvero lì, accanto alle persone che più desiderava vedere in quel momento. Si era seduto accanto a Lyanna e aveva preso il bambino dalle sue braccia per poterlo vedere meglio, terrorizzato all’idea di potergli fare male in qualunque modo, anche soltanto stringendolo in maniera sbagliata.
Il piccolo era proprio come se l’era immaginato, come l’aveva visto nei suoi sogni precedenti: occhi di un grigio scuro e morbido che sembrava la fusione perfetta tra il suo color ossidiana e il grigio azzurro di Lyanna, capelli neri e riccioluti, i tratti eleganti dei Targaryen che si ripresentavano sul suo viso ingentilendo quelli più decisi degli Stark. L’aveva alzato oltre la testa e suo figlio gli aveva dedicato un’altra risata, limpida come le precedenti, pura gioia che lo pervadeva e riempiva il cuore del padre. Non era riuscito a togliergli gli occhi di dosso, neppure quando Lyanna lo aveva poggiato delicatamente a terra perché potesse riposare all’ombra e si era avvicinata al compagno, sfiorandogli la fronte con la sua in un tentativo di contatto che mancava a entrambi da troppo tempo.
Era sceso verso le sue labbra piano, il più lentamente possibile, per non perdere nemmeno un istante di quanto la mente gli stava regalando. L’aveva baciata con la stessa delicatezza con la quale aveva stretto suo figlio e aveva aspettato che il sogno svanisse, così com’era venuto, in un turbine di luci sfavillanti e parole sussurrate che diventavano pian piano meno comprensibili… ma non era stato così. Una volta riaperti gli occhi, Lyanna era ancora con lui e accanto a lei lo osservava un ragazzino dai capelli argentati, piccolo e magro, un sorriso malizioso sul viso, degno di chi ha appena combinato una marachella e sa di essere stato colto con le mani nel sacco.

“Chi è il vero Principe che è Stato Promesso, padre? Io, il Drago della stirpe Targaryen, o il ragazzino del Nord, il figlio dei Lupi? E chi sceglierai tra noi per regnare?”

Rhaegar non sapeva come rispondere. Avrebbe desiderato chiamare a sé quel ragazzino e donargli lo stesso affetto che aveva dato al fratellastro, ma per quanto potesse tendergli le braccia quello gli scappava ridendo, fuggendo in una foschia che diventava sempre più fitta e confusa, sfuggente, impossibile da afferrare… fino a che il giovane non si svegliò, ritrovandosi sul letto nel quale aveva trascorso gran parte della sua convalescenza. Poco distante da lui, Aegon VI Targaryen, tornato neonato, piangeva a pieni polmoni, forse per la fame, forse perché si era svegliato anche lui dopo un bel sogno e voleva esprimere in qualche modo il suo disappunto.
Il principe si alzò, lo prese in braccio e cercando di calmarlo, mentre si avvicinava alla finestra e la apriva per godere un po’ del fresco e della brezza marina portati dalla notte. Sentirlo agitarsi tra le sue braccia per poi tranquillizzarsi e addormentarsi in pochi minuti lo aiutò a rilassarsi e a lasciare che i frammenti del sogno lo pervadessero.
 
 


***
 


“Siete proprio sicuro, Altezza? Sapete bene che le sorti del regno dipenderanno anche da voi e dalle vostre decisioni… volete davvero voltare le spalle ai Sette Regni e recarvi al Nord per intraprendere un viaggio che non sapete neppure se avrà esito positivo?”
“Non sto voltando le spalle ai Sette Regni, Lord Varys… o almeno, lo sto facendo solo per ora: sapete benissimo che non ho la forza sufficiente né per radunare un esercito, né per sondare il terreno e capire se le famiglie fedeli alla mia lo sono ancora. Mi serve del tempo, semplicemente del tempo… che lo trascorra nascosto in una qualsiasi delle Città Libere o al Nord, il risultato sarebbe lo stesso. Devo riflettere e cercare me stesso, ma soprattutto devo ritrovare una parte della mia famiglia. Il Principe che Fu Promesso…”
Si interruppe di botto, come se avesse avuto timore di lasciar trapelare con troppa intensità quelle che aveva sempre considerato fantasie, se non addirittura ossessioni. Varys, però, gli rispose con la solita calma.
“Si tratta di una leggenda, Vostra Altezza, lo sapete benissimo. Come potete essere sicuri che vostro figlio sia davvero il Principe?”
Rhaegar non aveva risposto: si era limitato a sorridere, spostando lo sguardo sull’eunuco, in piedi accanto a lui. “Se non do una possibilità al mio destino non lo vedrò mai realizzarsi, non pensi anche tu, amico mio? Sono pronto a tutto ciò che verrà, anche al fallimento… ma devo tentare. Devo farlo, desidero farlo disperatamente, per me e per i miei figli. E per il futuro dei Sette Regni. Questo viaggio al Nord potrebbe portare molto di più di quello che immaginiamo.”
L’uomo chinò il capo, come a volergli comunicare che comprendeva il suo ragionamento, anche se lo approvava solo in parte. “Se ritenete che sia giusto così, Altezza, sicuramente avrete le vostre ragioni. Tuttavia, vi chiederei di aspettare ancora qualche giorno prima di partire, se non altro per permettere alle vostre ferite di guarire totalmente… vi aspetta un viaggio piuttosto lungo.”
“Sarà fatto. Dobbiamo anche discutere di quanto occorrerà ai miei fratelli affinché vivano tranquilli e non abbiano problemi, almeno fino a che Dany non sarà cresciuta abbastanza da poter prendere in mano la sua vita” aveva concluso Rhaegar, ribadendo un argomento che stava a cuore sia a lui che a Varys, il quale gli restituì in pieno il sorriso, felice che il principe avesse messo da parte un po’ dell’avventatezza che aveva caratterizzato le sue giornate precedenti.
“Senz’altro, Altezza. Senz’altro.”
 
 
***
 


Avevano lasciato Approdo del Re qualche giorno prima, in mattinata, con il sole che aveva appena iniziato a rendere tiepide le pietre del cortile. Questa volta era stato il re in persona a salutarli, quasi a volersi far perdonare la sua mancanza di ospitalità alla vigilia del matrimonio: aveva scambiato con Ned un abbraccio fraterno e con Catelyn i soliti convenevoli amichevoli riservati alle dame di alto lignaggio, ma si era trattenuto con Lyanna per tutto il resto del tempo, impegnato nel saluto più difficile tra quelli che gli era toccato distribuire quel giorno.

“Allora, Vostra Maestà… abbiate cura di voi. E salutate la regina.”

Robert l’aveva guardata, passando gli occhi sul suo profilo deciso, le labbra piegate in un tentativo di sorriso distaccato, gli occhi grigio-blu che mandavano fiamme nonostante fossero del colore del ghiaccio. Si chiese, forse per la prima volta, se avesse davvero capito qualcosa di quella ragazza, se non avesse sbagliato fin dall’inizio a corteggiarla senza dare prima un’occhiata alla sua anima per capirla, o almeno per provarci. Ora era troppo tardi per ripensarci: gli restava il rimpianto di non averlo fatto, la consapevolezza e la rabbia che, là fuori, c’era stato un altro uomo abbastanza fortunato da saper conquistare il suo cuore e la sua anima tutti interi, senza dover pregare gli Déi per una possibilità.
“Lyanna… mi dispiace per ieri. Se puoi, dimentica la nostra discussione e quello che ho detto. Sono state parole terribili, ma sai che per te ho il massimo rispetto e continuerò ad averne sempre, anche se le cose sono andate diversamente da quanto ci aspettavamo.”
Lei gli aveva sorriso mestamente, stringendo le briglie e rivolgendogli la domanda che più avrebbe bruciato. “Ma non puoi ancora accettare il fatto che io ami un altro uomo e sia la madre di suo figlio, vero? Anche se quel bambino è sia mio che suo.”
Robert restò in silenzio: Lyanna lo capiva molto meglio di chiunque altro. Anche più di quanto lui capisse se stesso. Non le rispose: si limitò a prenderle una mano e a stringerla per salutarla, guardandola un’ultima volta negli occhi prima di lasciarla andare. Solo gli Déi sapevano quando l’avrebbe rivista…

“Abbi cura di te, Lyanna.”

La ragazza si era lasciata la corte alle spalle con un certo sollievo, pronta a riprendere la strada per il Nord, per Jon e la sua famiglia. Aveva spronato Visenya al trotto e non si era voltata indietro, non era riuscita a cogliere quella luce mista di rabbia e tristezza che illuminava gli occhi blu del re.
 

 


***
 


Demeter gli aveva procurato quanto gli aveva chiesto: una polvere nera in una piccola sacchetta di pelle, il primo passo verso una serie di cambiamenti che sarebbero arrivati lentamente, con costanza. Aveva lasciato Aegon alle cure della solita ragazza e si era spinto verso l’intrico di alberi di un boschetto vicino, in cerca di un tratto di fiume che fosse il più lontano possibile dagli insediamenti umani e gli garantisse la tranquillità di poter agire in silenzio e calma, protetto dall’ombra degli alberi secolari che crescevano attorno a lui.
Si era inginocchiato nei pressi del fiume, prendendo dell’acqua nel cavo delle mani e versandola sulla testa, rabbrividendo appena al tocco gelato delle sue dita. Il passo successivo era stato quello di impastare la polverina nera con altra acqua e passarsela sui capelli, con lo stesso impegno di un bambino che gioca con il fango e vuole creare con le sue mani castelli, valli, interi imperi. Era seduto davanti al fiume, chinato quel tanto che bastava da poter osservare la sua immagine riflessa: un giovane dal viso scavato gli restituì lo sguardo, un po’ stranito, una luce guardinga negli occhi ormai abituati a vedere inganni e pericoli dappertutto. Un giovane che, fino a qualche mese prima, era stato il figlio di un re, l’erede al trono, una speranza di pace e serenità per i Sette Regni , ma che ora era ridotto a scappare e nascondersi come un mendicante, ad aver paura perfino del suo aspetto, tanto da dover ricorrere a trucchi di quel tipo per proteggere se stesso e il bambino che gli Déi o chissà chi altro avevano salvato a costo delle vite della madre e della sorellina.
Distolse lo sguardo dai suoi stessi occhi, pozzi di ossidiana che avrebbero potuto inghiottirlo se solo avesse fatto un passo falso, impregnò le mani della miscela di polvere e acqua e lasciò che ricoprisse completamente i suoi capelli, colorandoli, nascondendo nel nero il biondo argenteo che li aveva resi tanto belli.
Pian piano, il giovane principe Targaryen cambiava aspetto davanti ai suoi stessi occhi: le occhiaie marcavano uno sguardo stanco e pensieroso, un accenno di barba bionda gli copriva il mento e il labbro superiore, ma erano i capelli a fare la differenza, neri come la notte, come l’ala di un corvo, bagnati e incollati al viso come se avesse tuffato la testa nell’acqua per rinfrescarla dopo un pomeriggio di lettura al sole. Così diversi da quelli argentei che le dame osservavano sospirando, dalle ciocche morbide che Lyanna aveva accarezzato nei momenti trascorsi insieme che gli sembravano ormai lontani secoli, millenni, come se fossero appartenuti ad un’altra vita o ad una delle ballate che suonava con la sua arpa. Eppure, era quella la maschera che avrebbe dovuto indossare, almeno fino a che non sarebbe tornato al luogo al quale davvero sentiva di appartenere.
Dovunque, ma con lei.
Si prese il viso tra le mani e respirò profondamente, aprendo i polmoni all’aria e il corpo al tocco dell’erba sotto le ginocchia, alla puntura gelata dell’acqua sulle dita, a tutte quelle sensazioni che le giornate trascorse a letto gli avevano precluso. Continuò a respirare e aspettò che qualche raggio di sole gli sfiorasse la testa per asciugare i suoi capelli bagnati e completare la trasformazione nel giovane senza nome che avrebbe viaggiato per il Nord in compagnia di un cavallo e del figlio, solo e sconosciuto, o almeno sperava.
Sfiorò con un dito le sue cicatrici sul petto, là dove Robert Baratheon aveva calato il martello da guerra per colpirlo, schiacciando le sue ossa come foglie morte, scavando solchi con la forza del braccio e dell’odio che bruciava dentro di lui. Le delineò, accarezzandole come se dovesse imparare la loro esatta collocazione, immaginando la testa di Lyanna appoggiarsi sul suo petto e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che avrebbero affrontato qualunque ostacolo insieme, che lui era il Sangue del Drago, il principe ereditario, parte della sua forza, l’unico uomo che avrebbe mai desiderato al suo fianco. Sorrise tra sé, mentre prendeva il piccolo sentiero che lo avrebbe riportato al villaggio, facendosi accompagnare da quei sogni ad occhi aperti.
 
 


***
 
 


“Non posso credere che tu l’abbia fatto, Lyanna. Sul serio. Come accidenti sei riuscita ad introdurti nello studio di Robert per portarla via con te? E soprattutto, come hai fatto a nasconderla?”
“Hai presente la cerimonia della messa a letto? Mentre eravate tutti impegnati a cantare sconcezze e portare a letto la dolce sposina Cersei, io mi riappropriavo di un oggetto che merita di meglio che venire gettato in una stanza, nemmeno fosse spazzatura. Quindi me la sono ripresa, starà meglio qui a Grande Inverno che in una stanza qualunque ad Approdo del Re, a corrodersi e soffocare nella polvere.”
Lyanna aveva sorriso con l’aria di chi l’ha fatta grossa sotto al naso di qualcuno, prima di spacchettare con cura un involto infilato tra i bagagli che avevano riportato dalla capitale: dalla stoffa era apparsa nientemeno che l’arpa d’argento e legno prezioso appartenuta a Rhaegar Targaryen, che brillava sotto al sole del mattino quasi a voler ringraziare la sua salvatrice di quella premura.

“Questo è rubare. Lyanna, non ti rendi conto di quello che fai. Se Robert…”
“Se Robert non la vedrà più, penserà di averla già buttata via e non se ne preoccuperà più di tanto. Fidati Ned, se l’ha gettata via in quella maniera voleva soltanto levarla di torno e non pensarci più… gli ho fatto un favore, mi dovrebbe ringraziare” concluse la ragazza con un altro sorrisetto, scrollando le spalle come se la questione non la toccasse più di tanto. Prese con grande delicatezza lo strumento e lo portò nel salone, in attesa di trovargli una sistemazione migliore: una volta ripulita e fatta accordare da qualcuno che se ne intendeva, sarebbe tornata a fare bella mostra di sé come meritava. Peccato che nessuno dei membri della sua famiglia sapesse suonarla.

Più tardi quella sera aveva finalmente preso in braccio Jon, restando per un bel po’ da sola con lui. Si era limitata a guardarlo muoversi sul letto e avvertirla della sua presenza emettendo piccoli gorgoglii e versi di impazienza, ma era bastato a ridarle un po’ di serenità e a calmare i suoi nervi. Mentre lo accarezzava e faceva del suo meglio per metterlo a dormire – aveva completamente abbandonato l’idea di provare ad allattarlo – ripensò all’arpa e al viso sconvolto di Ned quando l’aveva vista estrarre dai bagagli. Suo fratello era sempre stato l’immagine della razionalità e dell’equilibrio, un giovane lupo saggio e posato che sapeva quale fosse la decisione giusta da prendere, un vero lord… eppure, in casi come quello, non riusciva ad abbandonare la ragione e a guardare le cose dal suo punto di vista, quello di una persona innamorata disposta a cacciarsi nei guai pur di riguadagnare qualcosa appartenente al proprio passato felice.
Avrebbe voluto portare suo figlio davanti allo strumento, guidargli le manine sulle corde e spiegargli quello che quell’arpa aveva significato per lei, raccontargli il modo in cui lei e suo padre si erano conosciuti e innamorati grazie anche alle note che da lì erano nate, alle ballate che il bel principe malinconico cantava e suonava nelle stanze vuote del castello, per la polvere e i ricordi sbiaditi delle antiche battaglie che ancora le abitavano. Avrebbe desiderato che Jon fosse già adulto, anche solo per potergli raccontare tutto e sentirsi rispondere con fiducia che suo padre sarebbe tornato, che il sangue del Drago era forte in lui e non sarebbe bastata una cornata inflitta da un cervo a farlo finire nel fango e nella polvere. Sapeva che i suoi pensieri erano più frutto di un improvviso desiderio di sicurezza che una predizione sicura della realtà, ma non le importava: anche lei aveva le sue debolezze, dopotutto… non le avrebbe mai nascoste a suo figlio. Jon meritava di vedere ogni suo lato, sia la parte migliore che quella che le piaceva meno.

Appoggiò le labbra sui ricciolini neri del bambino e aspirò il suo profumo di caldo e di casa: erano neri, morbidi, scuri quanto i capelli di Rhaegar erano chiari, e bellissimi.
 

 


***
 


Quella notte aveva dormito poco. Né sogni consolatori né incubi lo avevano tormentato, ma forse era meglio così. Si era svegliato all’alba e subito aveva iniziato a radunare le sue poche cose per prepararsi al viaggio, senza indugi né ripensamenti: la meta gli era chiara, doveva soltanto mettersi sulla strada e lasciarsi la sua storia alle spalle. Un capitolo della sua vita si era chiuso, un altro stava per riaprirsi, ma questa volta sarebbe stato lui a prendere il destino tra le mani, non qualcun altro.
Varys e Demeter erano accanto al suo cavallo, in attesa. L’eunuco gli aveva porto un sacchetto di monete, per la prima volta con un’espressione sul viso che si avvicinava all’imbarazzo.
“Queste spettano a voi, Altezza. Per quanto dobbiate restare in incognito, non potete viaggiare completamente privo di denaro…”
Rhaegar sorrise: non era più un principe, almeno fino a che non avesse ripreso il suo posto sul Trono. Quei formalismi erano inutili di fronte al giovane vestito con abiti semplici e con un bambino legato al collo come un piccolo involto di stracci, ma la deferenza e la gentilezza di Varys restavano sempre le stesse, come se si rifiutasse di ignorare ciò che era diventato e continuasse a mettere la regalità del principe ereditario al di sopra di tutto.
“Grazie, amico mio. Vi sono debitore di una vita intera… dovrei essere io a darvi una ricompensa.”
“La più grande ricompensa è la vostra salvezza, principe Rhaegar. La vostra e quella del giovane Aegon.” Demeter intanto era impegnato a sistemare le varie borse alla sella, assicurandole e ricontrollando che tutto fosse in ordine. Finì di legarle e si rivolse a Rhaegar: “Avrete provviste sufficienti almeno per i prossimi cinque, massimo sei giorni, Altezza. Dopodiché, la cosa migliore sarebbe cercare qualche buona taverna non troppo in vista e rifocillarsi lì, se manterrete un profilo basso e non darete troppa confidenza agli estranei non incontrerete problemi… non dovrebbero riconoscervi, camuffato in quel modo.”
L’armatura, ormai rovinata e macchiata di sangue, era stata tenuta da parte in un angolo della stanza. Varys gli aveva procurato dei pantaloni, una casacca color rosso cupo della sua misura e un mantello nero di buona fattura ma non particolarmente appariscente: con un po’ di fortuna sarebbe potuto passare per un signore di una casata minore in viaggio, oppure per un cavaliere errante. Nessuno avrebbe riconosciuto nel giovane dai capelli neri e gli occhi scuri e malinconici il bel principe drago Rhaegar Targaryen, anche perché praticamente nessuno, nei piccoli villaggi dell’Est, doveva averlo visto dal vivo.
E poi, tutti mi credono morto. Robert stesso pensa di avermi ucciso al Tridente… nessuno si aspetterebbe di vedermi ricomparire, da un giorno all’altro. Forse nemmeno Lyanna.
Si fece aiutare da Demeter ad issarsi a cavallo e sistemare il bambino in modo da non causargli disagi durante gli spostamenti. Per fortuna Aegon sembrava dotato di un’indole piuttosto tranquilla – si agitava solo all’ora dei pasti – e si lasciò legare come un piccolo pacchetto di stoffa senza fare tante storie, mugolando appena in segno di approvazione.
“Ricordate i nostri discorsi, Altezza. Promettermi che penserete ai vostri fratelli… che non perderete voi stesso e vi dedicherete anche al regno, oltre che al vostro erede del Nord.”
“Ve lo prometto, Lord Varys, ma non potrei fare altrimenti, conosco i miei doveri. Ho solo bisogno di aspettare e di raccogliere la mia famiglia, o almeno quel che ne è rimasto, accanto a me… il regno non sarà perduto. Ci vorrà del tempo, ma troverò la mia strada. Su questo potete contare.”
Sia l’eunuco che Demeter sorrisero. Vederlo partire era triste, ma l’espressione determinata del principe mostrava che quel periodo di convalescenza aveva fatto bene alla sua forza interiore e alla sua volontà. Il Drago non aveva perso le ali, né la capacità di sputare fuoco: era stanco, ferito, ma non completamente sconfitto. Avrebbe volato ancora, e non da solo. Ora i draghi erano quattro.
Quattro e mezzo, se voleva considerare anche il suo ultimo nato.
Rhaegar spronò il cavallo e agitò la mano per salutare entrambi, mentre si allontanava piano da Padelle Salate per dirigersi al Nord. Il suo primo pensiero, mentre trottava per i campi, con il mare accanto a lui che lo accompagnava come un nastro di pietre preziose in movimento, fu per il suo bisnonno Aegon V, che secondo le leggende che si raccontavano si era rasato i capelli e viaggiava per i Sette Regni in incognito, fino a che un cavaliere errante non lo aveva preso come suo scudiero. Io li ho tinti, invece, rifletté tra sé e sé, e per la prima volta dopo giorni si concesse un piccolo sorriso davvero divertito.
 
 

***
 
 
“Non ho intenzione di andarmene. Ora sono qui, e sono venuto per restare.”

Lyanna aveva alzato una mano nel dormiveglia, afferrando l’aria con le dita come se volesse impedire ai frammenti del sogno di sparire, andarsene senza il suo permesso. Rhaegar continuava a sorridere dietro alle sue palpebre, mentre una mano dalle dita lunghe e aggraziate – l’arpa le aveva modellate, rese delicate e leggere per poter pizzicare le corde senza incrinarle, senza piegarle troppo – le scivolava tra i capelli e li accarezzava, passando avanti e indietro, sfiorandoli come se volesse ricordarne la consistenza, per quanto la sua immagine non fosse altro che fumo e ricordi, nient’altro che quello.

“Vorrei svegliarmi e trovarti accanto a me, come una volta. Ma so che non sarà così.”

Il sorriso di Rhaegar non si era incrinato, neppure quando Lyanna l’avevo guardato sparire con tristezza, inghiottito dalla nebbia leggera del sogno. Un’immagine opalescente che sfuggiva al suo controllo.
La giovane si alzò, scrollandosi i capelli dalle spalle e cercando di raccogliere solo per un istante un ricordo di quanto aveva visto, della voce e dei gesti di Rhaegar, almeno per conservarli un altro po’ nella mente. Ma un pianto la interruppe quasi subito, disperato come potevano esserlo solo i pianti dei bambini piccoli e affamati: Jon si era appena svegliato e richiedeva la sua presenza. Con un sospiro la ragazza si alzò e lo prese dalla culla, posandogli un bacio tra i ricciolini neri e cullandolo per calmarlo, piano, come faceva sempre.

Suo figlio stava crescendo, impercettibilmente, ma stava crescendo: aveva solo qualche mese e già si muoveva con irrequietezza e si esercitava in piccoli gorgheggi vivaci che sembravano tentativi di pronunciare qualche parola. A Lyanna piaceva portarlo con se quando passeggiava nel Parco degli Déi, soli, perché iniziasse da subito ad apprezzare la bellezza dell’ombra degli alberi-diga e la quiete che quell’angolo le regalava. Quando i suoi piedi poggiavano sul muschio fresco e umido e le mani si aggrappavano alla superficie liscia dei tronchi, solo in quel momento si sentiva veramente a casa.
Anche quel giorno non si fece mancare la sua passeggiata. Infagottò Jon in una copertina, indossò il mantello e uscì nel giardino, salutata dal vento autunnale che faceva cadere le foglie e le disseminava dappertutto, monete d’oro cadute dal cielo e dimenticate in ogni angolo. Il Parco risuonava della sua musica segreta e lei era lì per ascoltarla, pronta a camminare tra gli alberi e a portare con sé qualche traccia delle notti trascorse a pensare e a rincorrere sogni e immagini di quella che avrebbe potuto essere la vita che desiderava, con la speranza che la sensazione che provava al riguardo fosse esatta, che il padre di suo figlio fosse vivo, da qualche parte, un drago ferito ma ancora in grado di rialzarsi e di raggiungerla, volando, dovunque si trovasse.
Avrebbe voluto che anche Rhaegar fosse lì con lei, rifletté, mentre guardava Jon riposare tra le sue braccia, sotto al più grande tra gli alberi-diga del Parco.

Almeno per quel momento, però, avrebbe dovuto accontentarsi dei sogni.
 
 
 
 
 

 





Noticine di Nat
Sssalve cari lettori, e benvenuti ad un nuovo capitolo di passaggio!
Questa settimana è stata veramente caotica: tra riassunti, film da vedere e cose da appuntare, questa sessione estiva è una tribolazione. Mi ritrovo a poter scrivere solo in serata dopo aver studiato ore, ma sto cercando di portarmi avanti il più possibile per garantirvi comunque l’aggiornamento del lunedì. Se dovessero esserci eventuali ritardi potrei posticiparlo al massimo al mercoledì, ma spero non sia necessario ç_ç
Ora che Rhaegar è ufficialmente partito, la sua riunione con Lyanna appare più vicina… anche se c’è sempre il POV di Approdo del Re di mezzo, per cui vi farò cuocere ancora un po’ nella suspence, eheh. Lo so che mi amate <3
Scherzi a parte, le cose continueranno a movimentarsi “a piccoli passi”, anche perché mi piace alternare l’azione ai capitoli riflessivi. In questo ho inserito un piccolo “Easter Egg” relativo a Il cavaliere dei Sette Regni, una raccolta di Martin che ho adorato (e vi straconsiglio!), vediamo un po’ se riuscite a beccarla.
Alla prossima, allora, cari lettori! E buon inizio di luglio a tutti voi :3
Nat
   
 
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