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Autore: Cassie_Autumn    23/08/2008    2 recensioni
- Buonasera a tutti. Oggi, siamo qui, in questo cimitero, per ricordare degli eroi. Per ricordare delle persone che cinque anni fa ci hanno salvato. Per rendere grazie a delle persone che con il loro sacrificio ci hanno permesso di vivere liberi. –
Non mi serve altro per andare avanti. Per far si che il loro sacrificio non sia stato vano. Per vivere. Per aprire il mio cuore. E forse per farlo smettere di sanguinare.
Piccola One-Shot buttata giù di getto. spero vi piacca. che dire, Leggete e Commentate..bye bye
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Giorno della Memoria Salve a tutti! Piccola premessa prima della storia. Allora questa one-shot è stata scritta di getto fra un capitolo e l'altro dell'altra mia fan fiction. E' assolutamente senza pretese. Era un'idea che mi era balenata per la testa ed ora eccola qui.
Sarei felice di sapere quello che e pensate. Commenti belli o brutti è uguale. I vostri commenti mi servono per crescere!
Grazie in anticipo a tutti quelli che leggeranno...bye bye

Mi avvicino piano.
Lentamente. I miei passi risuonano piano nel’eco del cimitero.
E’ il crepuscolo. Il cielo si è dipinto di rosso. Un rosso intenso.
Rosso sangue.
Come quel maledetto giorno…
Mi muovo fra le lapidi bianche e ben curate.
Fra le foto che sorridono. Fra i fiori profumati. Fra le lacrime dei parenti.
Mi muovo ma l’orlo del mio vestito non fa rumore strisciando sulla ghiaia del vialetto.
Il mantello che indosso mi copre completamente. Celando la mia figura agli sguardi curiosi della gente.
Il cappuccio calato sul capo eclissa il mio sguardo velato dalle lacrime. Oscura il mio volto stravolto anche sotto il mio perfetto trucco.
Sento gli sguardi della gente seguire il mio incedere lento e controllato. Qualcuno bisbiglia. Altri mi osservano in silenzio. Non me ne curo. Sono qui per loro. Come sempre.
Proseguo il mio muto cammino verso l’ala del cimitero più nascosta.
La zona dedicata agli eroi di guerra è ancora molto lontana. Mi fermo cercando la forza di proseguire. Cercando la forza di reagire. Cercando quella forza che mi è sempre mancata. Cercando la forza di ricominciare a vivere.
Sfioro il ciondolo che porto al collo e afferro il cappuccio prima che scivoli giù rivelandomi.
Le mani bianche tremano leggermente.
Chiudo gli occhi mentre sento il cuore perdere un battito.
Un freddo intenso si espande nel mio petto.
Un magone mi chiude la gola, mentre sento le lacrime premere per uscire.
Riapro gli occhi, ritrovando una parvenza di calma e proseguendo quel cammino interminabile alla ricerca del perdono.
La ghiaia lascia il posto ad un vialetto di marmo rosa.
Gli alberi in fiore cedono il passo ad una radura verde.
Piccola.
Grande.
Immensa.
Un intenso profumo di fiori riempie l’aria. Dolciastro. Carico. A Harry non sarebbe piaciuto. Come agli alti del resto. Solo Luna apprezzava i profumi forti.
Mi perdo inconsciamente in quelle riflessioni.
Il mio cuore perde un battito…
Poi un altro…
E un altro ancora…
Batte furiosamente ora mentre guardo le sette lapidi di marmo bianco e le loro foto sempre sorridenti. Mi siedo sull’erba ancora bagnata dalla pioggia di questo pomeriggio.
Osservo le loro foto senza parlare.
Senza pensare.
Davanti ai loro volti spensierati mi sento vuota.
Un guscio vuoto la cui anima è morta cinque anni fa, assieme a loro.
Un guscio vuoto senza più vita, senza più desideri, senza più ambizioni, senza più voglia di andare avanti.
Guardo le lapidi mentre le lacrime a lungo represse sgorgano. Guardo i loro nomi incisi sulla pietra, guardo i fiori freschi su ognuna delle tombe, guardo i disegni di bambini che vivono felici grazie a loro.
E sorrido.
Mi accorgo appena che il cielo diventa sempre più scuro e buio.
Mi accorgo appena del freddo che mi penetra nelle ossa.
Non mi accorgo di nulla mentre la mia mente scivola lontano da me, lontano da quel cimitero, lontano dalla radura, lontano…tornando a quella giornata di cinque anni prima, quando io assieme a loro sono morta…

Hogwarts era stata appena attaccata da una folta schiera di Mangiamorte.
Le prime avvisaglie d’invasione ci arrivarono qualche ora prima dell’attacco quando, le nostre spie, tornando alla scuola feriti e in gravi condizioni rivelarono il piano di Voldemort.
Silente e gli altri professori si organizzarono all’istante. Ci radunammo nell’ufficio di Silente assieme al resto dell’Ordine della Fenice. Eravamo tutti agitati. Tutti terrorizzati. E fin troppo consapevoli che da lì a poche ore molti di noi sarebbero morti sotto i fuochi nemici.
Noi, i membri più giovani dell’Ordine radunammo tutti gli studenti dal primo al sesto anno, compresi coloro del settimo che non volevano battersi. Il tempo per rimandarli a casa non c’era. Il rischio di una carneficina era altissimo. Ci recammo nel bagno di Mirtilla Malcontenta dove Harry riaprì la camera dei segreti che, grazie ad un potente incantesimo di Silente, si sarebbe riaperta con una combinazione di rune.
Non c’era tempo per un piano concreto. Secondo quanto affermato dalle spie eravamo in netta minoranza rispetto ai Mangiamorte. L’unica cosa che ci rimaneva da fare era sperare. Organizzammo l’infermeria e la sala grande ad ospedale. E ci distribuimmo lungo il perimetro della scuola.
Quella che di lì a poco si sarebbe svolta ad Hogwarts era l’Ultima Grande Battaglia. E la consapevolezza di ciò mi attanagliava lo stomaco in una morsa di ferro. Era terrorizzata all’idea di morire. All’idea di non farcela. All’idea che Voldemort avrebbe potuto anche trionfare.
Ciò che mi passava per la mente lo vedevo riflesso negli sguardi vacui degli altri miei compagni.
Cercavamo di essere coraggiosi, di essere pronti, di essere forti. Ma era tutto tremendamente difficile.
Nella mia mente già vedevo una figura incappucciata e con una maschera d’argento puntarmi la bacchetta contro e pronunciare l’anatema mortale, mentre io immobile e impaurita non facevo niente per spostarmi da lì. Avevo solo 17 anni e non volevo morire. Stavo per nascondermi e lasciare che la mia codardia prendesse il sopravvento quando vidi Harry immobile con la bacchetta stretta in pugno e lo sguardo concentrato fisso davanti a se.
Era lui che rischiava più di tutti noi. Era lui che avrebbe sfidato Voldemort, da solo. Era lui che aveva sulle spalle il peso delle nostre vite e della nostra futura felicità. Non io, non Ron o Hermione, non Draco o Blaise o Ginni o Luna, non Silente, non gli altri. Lui. E stava lì a guardare l’orizzonte in attesa del destino. Fu allora che mi alzai da terra, tirai fuori la bacchetta e mi posizionai in attesa di ciò che sarebbe successo.
I Mangiamorte arrivarono dopo poco. Voldemort in testa, Bellatrix Lestrange alla sua sinistra e Lucius Malfoy alla sua destra.
Non feci nemmeno in tempo a rendermi conto della situazione che tutto ebbe inizio. Combattevamo per sopravvivere, combattevamo per vincere. Mi ricordo solamente di aver combattuto contro qualche mangiamorte di cui non ricordo neanche più il nome, uccidendoli. I caduti erano tanti da entrambe le parti. Vidi Fred Weasley cadere sotto i colpi di Yaxley, Charlie Weasley uccidere Selwyn e Goyle per poi morire sotto un anatema di Rabastan Lestrange. Vidi Molly Weasley lottare come una leonessa contro Bellatrix Lestrange riducendola ad un corpo senza vita. Mi svegliai da quel’incubo quando vidi Susan Bones avere la peggio contro Galena Parkinson. Mi rialzai in piedi e mi scagliai davanti alla Bones puntando la bacchetta contro Galena. La fissai negli occhi scuri, pazzi, completamente ed inesorabilmente folli. Scagliammo la maledizione nello stesso istante. Ma mentre io, per istinto di sopravvivenza mi buttai di lato potando con me la Bones, lei rimase immobile fissandomi negli occhi e morendo senza quasi accorgersene.
Mi rialzai tremando e piangendo. Mi scostai i capelli dal volto e guardai Susan immobile a terra. La feci levitare e la condussi in infermeria dove Madama Chips si stava già occupando di numerosi studenti e auror. La feci stendere su un lettino e feci per andarmene quando una mano mi trattenne e voltandomi sentii Susan sussurrare un flebile “Grazie” prima di perdere i sensi.
Fu quel ringraziamento bisbigliato tra i denti a darmi la forza di tornare là fuori, a combattere per altre vite. Quando misi piede in giardino, varcando la soglia di Hogwarts, la situazione era in stallo. I morti non si contavano più da entrambe le parti. Cercai con lo sguardo i miei amici, li vidi uno dopo l’altro, feriti ma vivi. Ci accorgemmo tutti assieme di Silente che giaceva a terra respirando appena. Il panico mi prese e mi misi a tremare senza accorgermene. Trovammo Harry con lo sguardo. Stava combattendo con tutta la sua forza contro Voldemort. Sapevamo che lo scontro sarebbe stato duro per lui e quella ne era la dimostrazione. La portata dei loro incantesimi impediva a chiunque di avvicinarsi. Se avessero continuato così, in qualsiasi caso, vittoria o sconfitta, nessuno di noi sarebbe stato in grado di raccontarlo.
Prendemmo una decisione solamente guardandoci negli occhi. Facemmo semplicemente quello che il cuore ci diceva. Era una missione suicida, ma le vite di Silente, degli altri membri dell’Ordine, di alcuni studenti, era più importante della nostra, in quel momento. Avevamo l’opportunità di salvarli e lo facemmo incuranti delle conseguenze delle nostre azioni.
Ci mettemmo tutti e sette attorno ad Harry e Voldemort creando una specie di cerchio che li racchiudeva.
Da quel momento non ci fu più tempo per pensare, per capire, per parlare. Agimmo.
Ricordo poco di quei momenti, l’unica cosa che mi torna alla mente fu un incantesimo urlato a gran voce da noi sette e poi uno strappo all’altezza dell’ombelico. Toccai terra in modo violento. Mi ci volle qualche minuto per riprendere fiato. Quando mi alzai ebbi solo il tempo di vedere il luogo desolato in cui ci trovavamo.
Hogwarts rimaneva solo un miraggio lontano nelle nostri menti, in quel luogo deserto.
Quello che sentii dopo fu l’eco di due incantesimi pronunciati in contemporanea, il panico prendere possesso del mio corpo, e la violenza di un’esplosione che mi investiva in pieno facendomi perdere i sensi.

Non so quanto tempo passò prima che riuscii a riaprire gli occhi e a guardarmi attorno per capire cosa era successo.
Quello che vidi fu l’immagine che ancora oggi mi accompagna durante le mie notti. Durante le mie giornate. Durante a mia vita.
I miei amici giacevano a terra, tutti. Erano ormai corpi senza vita. Erano tutto ciò che sarei dovuta essere anche io. Erano morti, e io quel giorno morivo con loro.
Rimasi più di un’ora ad osservare i loro volti sereni, i loro corpi rilassati, i loro occhi chiusi. Piangevo cercando di svegliarli. Non potevo accettare che loro, le persone per cui avrei donato la vita, le persone che mi erano state vicino da due anni a quella parte, e quelle che conoscevo da più di 15 anni, fossero morte, sacrificandosi per il mondo magico e non, lasciandomi sola a superare tutto quel dolore.
Mi alzai ancora in lacrime e radunai i loro corpi vicino a me. Compiere quei gesti mi costava un enorme fatica. Sia fisica che emotiva. Infine, creai una passaporta, come ci era stato insegnato da Silente. La chiusi fra le mani di Voldemort. Il mondo intero doveva aver la prova che tutto era finalmente finito quel giorno, sulle colline di casa Riddle.
Tornai dai miei amici presi le mani di ciascuno, gli abbracciai tutti piangendo disperatamente, poi con le poche forza che mi erano rimaste mi smaterializzai nel cortile di Hogwarts.
Quello che successe dopo è vago nei miei ricordi, ricordo che non volevo lasciarli per paura di perderli per sempre, per perdere anche la loro memoria, ricordo che qualcuno mi abbracciò dolcemente mentre io perdevo i sensi e la mia anima moriva, quel giorno, con loro…

Non sono consapevole di quanto tempo è passato.
Sono ancora seduta a terra, con le gambe piegate e la testa fra le ginocchia.
Piango tutte le lacrime che ho in corpo. Piango persa fra i ricordi di una notte che mi ha cambiato la vita.
Piango cercando di sopprimere tutto quel dolore che sento dentro, tutto quel male che mi accompagna.
C’è chi dice che il tempo cura tutte le ferite.
Io aspetto ancora che il tempo curi le mie.
Sento quattro braccia stringermi forte cercando di calmare i miei singhiozzi disperati.
Mi aggrappo a quelle braccia come ad un’ancora di salvezza.
L’ancora che mi permette di non affogare nei miei ricordi, perdendo il senso della realtà.
Alzo lo sguardo dopo essermi calmata.
Fleur Delacour mi passa un fazzoletto sul volto asciugandolo, mentre Bill Weasley mi cinge le spalle per farmi calmare.
E’ grazie a loro se oggi sono ancora qui, consapevole della mia vita e delle mie azioni, anziché in un reparto psichiatrico al San Mungo o peggio in un cimitero come questo.
Mi aiutano ad alzarmi da terra.
Il cielo è ormai scuro.
La notte è scesa senza che me ne accorgessi.
Mi avvicino alle foto baciandole una ad una. Dolcemente.
Mi allontano un poco vagando con lo sguardo al di là del muto del cimitero, fino a raggiungere con lo sguardo il castello appena ricostruito, pronto per riaprire.
Fleur mi prende a braccetto, guidandomi verso il palco allestito per la cerimonia.
Passiamo fra le lapidi di coloro che sono caduti in questa guerra.
Coloro che hanno combattuto con noi quel giorno.
Vedo incisi i nomi di conoscenti e amici.
Fred e George Weasley.
Lavanda Brown.
Ninfadora Tonks.
Seamus Finnigan
Hannah Abbott.
Remus Lupin.
Severus Piton.
Gabrielle Delacour.
Arthur Weasley.
Isabella Zabini.
Theodore Nott.
E tanti altri.
Mi danzano davanti intrecciandosi l’uno all’altro.
In un lungo e doloroso valzer di ricordi. Si ridestano nella mia mente ricordi condivisi con ognuna di quelle persone. Una giornata, un’estate, anni di scuola, riunioni dell’Ordine, anche solo una semplice punizione…
Mi chiedo se anche Fleur, quando vede tutti questi nomi di persone che abbiamo conosciuto nella nostra vita, si sente vuota dentro. Mi chiedo se anche a lei il cuore si ferma leggendo la lunga lista dei caduti.
Mi chiedo se anche lei sente il freddo inteso quando passa di fronte alla lapide di Gabrielle.
Non lo so. E non lo posso sapere. Dovrei chiederglielo. Ma so che non avrei la forza di riaprire quelle ferite anche su di lei.
Arriviamo vicino al palco.
Tutte le sedie sono piene di gente.
Sono tutti lì a ricordare quella giornata di cinque anni fa.
Tutti lì a rendere omaggio a queste persone.
Ci avviciniamo a Molly Weasley che mi abbraccia forte. Dice che per lei sono come la figlia che ha perso anni fa.
Ci sediamo sulle sedie bianche mentre Silente prende posto sul palco e inizia a parlare con la sua voce calma e pacata.
- Buonasera a tutti. Oggi, siamo qui, in questo cimitero, per ricordare degli eroi. Per ricordare delle persone che cinque anni fa ci hanno salvato. Per rendere grazie a delle persone che con il loro sacrificio ci hanno permesso di vivere liberi. –
La voce di Silente mi arriva distante e fioca.
La mia mente è nuovamente lontana.
Sento l’eco leggero di una canzone.
Di una canzone ascoltata per caso.
Con quello stereo babbano incantato.
E quel cd trovato chissà dove.
La canzone ascoltata una volta.
Poi un'altra.
E un’altra ancora.
Fino a cantarla a squarciagola in riva al lago.
Noi quattro pazze.
Con la speranza nel cuore.
Di quella canzone oggi mi rimane ben poco se non una frase.
…Someday we gonna break free from these chains and keep on flyin'…
[un giorno, noi scapperemo da queste catene e andremo avanti, volando]
E ritorna nitida la consapevolezza di averci creduto veramente.
Di aver creduto realmente che un giorno ci saremmo lasciate alle spalle quella stupida guerra e saremmo stati liberi.
Loro ora sono liberi.
Io sono in catene.
Prigioniera di ricordi che non voglio abbandonare.
Che non ho la forza di lasciar andare.
Con uno stupido masochismo che mi costringe a cercare ogni più piccolo momento passato con loro.
Sento un profumo leggero di fragola.
Fragola e vaniglia.
La voce di Silente mi arriva nitida e forte.
- Chiamerei qui a parlare una persona che più di tutti noi è stata partecipe della vita di queste persone.-
Non ho tempo per i ricordi adesso.
Devo fare ciò che è giusto.
Devo trovare la forza.
Devo parlare di loro.
Mi alzo dalla sedia bianca. Sento Fleur stringermi forte la mano per darmi coraggio.
Mi volto e le sorrido.
Cammino lentamente verso Silente.
Salgo sul palco e mi accosto al microfono magico, mentre Silente si allontana.
Non alzo lo sguardo fino a quando non abbasso il cappuccio svelandomi.
Un brusio accompagna il riconoscimento del mio volto pallido.
- Buonasera a tutti – sussurro piano. La mia voce trema. Non posso farci niente.
- Non sono mai stata brava con le parole, ma spero, almeno oggi, di non venir fraintesa.-
Respiro. Le nocche bianche stringono il legno del banco in legno che ho davanti e su cui è poggiato il microfono.
- Sette anni fa, ero solo una ragazza di quindici che aveva fatto una scelta. Una scelta che andava contro quelle della propria famiglia. Contro tutto quello che aveva conosciuto. Una scelta fatta per paura. Per consapevolezza che quello in cui i suoi genitori credevano non sarebbe durato.–
Mi fermai per prendere fiato. Parlare di me in terza persona mi rendeva le cose più facili.
Come se non fossi io la persona di cui raccontavo.
E, in effetti, quella persona non ero più io.
Da tanto tempo
- Cinque anni fa. Ero nuovamente una ragazza che aveva fatto una scelta. Una scelta consapevole. Una scelta che avrebbe avuto delle ripercussioni forti. Quel giorno di cinque anni fa scendemmo in campo tutti e otto. Con la coscienza che saremmo morti. Consapevoli che la nostra vita sarebbe terminata ancora prima di averla iniziata a vivere realmente. Ebbene, non so per quale motivo io sono qui a distanza di cinque anni a ricordare, non so per quale motivo non sono morta quel giorno assieme ai miei amici, ma se sono qui è per mantenere vivo il ricordo di loro nei vostri cuori. Quindi io Pansy Parkinson, vi chiedo oggi di ascoltare. Non un racconto di ciò che avvenne. Ma semplicemente di ascoltare il ricordo di persone che ho conosciuto e a cui tutti noi dobbiamo la vita. –
Presi fiato. Avevo parlato senza pensare.
Fissando negli occhi tutti coloro che avevo davanti.
Nella muta richiesta di consenso.
Nella tenace ricerca di intesa.
Un applauso rompe il silenzio che io ho creato con le mie parole.
Ho trovato il mio coraggio.
Ho trovato la chiave per le mie catene.
Non mi serve altro per andare avanti.
Per far si che il loro sacrificio non sia stato vano.
Per vivere.
Per aprire il mio cuore.
E forse per farlo smettere di sanguinare.



Chiudo la storia dicendo che la frase sottolineata è tratta da Someday dei Flipsyde.
Inoltre la storia doveva essere un po' diversa, soprattutto la fine.
doveva esserci un vero e proprio ricordo di Pansy per ognuno dei ragazzi. ho pensato di terminarla qua perchè mi piaceva. fatemi sapere se volete la parte finale magari con un piccolo capitolo e magari, vedere come Pansy vive dopo essersi "liberata"..Bye bye
  
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