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Autore: Elly J    01/07/2014    1 recensioni
"Feci per alzarmi dal letto, ma subito mi fermai con un gemito. Provai un forte dolore all’altezza della scapola sinistra e istintivamente mi sfiorai il punto dolente con una mano. Sentii subito il tessuto della maglia strappato e non appena toccai la pelle dovetti ritrarre il braccio per il forte dolore. Qualcosa di umido e viscoso mi era rimasto sulle dita e, non appena mi portai queste ultime davanti agli occhi, mi resi conto che erano sporche di sangue."
Fan fiction liberamente ispirata al bellissimo Resident Evil: Revelations. La maggior parte dei personaggi sono inventati completamente da me, ma nel corso della storia appariranno alcuni camei di Resident Evil.
Buona lettura!
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: tutti i personaggi e le ambientazioni di Resident Evil presenti in questa fan fiction non appartengono all’autrice, ma appartengono alla Capcom e a chi detiene i diritti sul videogioco. Questo racconto è stato scritto per puro divertimento personale e quindi non a scopo di lucro. Di conseguenza nessun copyright è stato violato.
Gli intrecci del racconto e i personaggi nuovi non appartenenti all'universo di Resident Evil sono stati invece ideati dall’autrice (Elly J) che quindi ne detiene il copyright, vietandone così la riproduzione altrove.
La riproduzione altrove e qualsiasi citazione è ammessa solo se l’autrice ne ha dato il consenso.





 
1.
 
Mi svegliai di soprassalto, il cuore in gola.
I miei occhi sbarrati fissavano il soffitto, immobili. Non avevo il coraggio di guardarmi attorno. Li richiusi per alcuni secondi, respirando profondamente.
- Shane? - chiamai.
Nessuna risposta.
Riaprii gli occhi, fissando ancora una volta il soffitto rossiccio decorato con degli orribili motivi floreali. Mossi leggermente le dita delle mani, sfiorando qualcosa di leggero e particolarmente ruvido. Sembrava un lenzuolo.
- Shane? - chiamai ancora una volta, come per cercare di convincermi che non ero sola. Ma nulla, nessuno mi rispose.
Girai leggermente la testa verso destra e subito notai una porta chiusa e un mobile in legno. Alzai lievemente il viso per avere una visuale più completa e molti altri oggetti si materializzarono ai miei occhi: un comodino, una lampada, un quadro ritraente una qualche guerra..
Facendo leva sui gomiti alzai il busto e con notevole difficoltà riuscii a mettermi seduta. Mi trovavo sopra un letto matrimoniale in una stanza abbastanza ampia che, con ogni probabilità, si trattava di una camera da letto. Spostai lo sguardo da destra verso sinistra più volte, cercando di cogliere qualche cosa di familiare in quel luogo. In fondo alla stanza sulla sinistra c’era un grande guardaroba di un blu slavato; sembrava di legno visti i motivi intarsiati sulle ante, ma non ne ero completamente sicura. Di fronte ad esso, distante di qualche metro, era stato posizionato un piccolo tavolino tondo con attorno alcune sedie. Sopra il tavolo qualcuno aveva rovesciato un vaso e tutti i fiori si erano sparpagliati in giro; erano molto secchi, il che indicava che erano lì da molto tempo. Tornai con lo sguardo alla mia sinistra, osservando la porta che avevo già notato pochi minuti prima. Pensai che fosse l’entrata del bagno, poiché con tutta probabilità l’ingresso di quella stanza stava alla mia sinistra, dove il muro faceva angolo. La cosa che però aveva attirato più di tutto la mia attenzione era la grande tv nera a schermo piatto che si trovava di fronte a me, poggiata su un mobile in legno. Era accesa, ma sembrava che non ci fosse segnale; l’audio gracchiava leggermente e la luce dello schermo produceva una luce sinistra, riflettendo lunghe ombre sulle pareti della stanza. Perché diavolo avevano lasciato quello stupido televisore acceso?
Feci per alzarmi dal letto, ma subito mi fermai con un gemito. Provai un forte dolore all’altezza della scapola sinistra e istintivamente mi sfiorai il punto dolente con una mano. Sentii subito il tessuto della maglia strappato e non appena toccai la pelle dovetti ritrarre il braccio per il forte dolore. Qualcosa di umido e viscoso mi era rimasto sulle dita e, non appena mi portai queste ultime davanti agli occhi, mi resi conto che erano sporche di sangue.
- Merda.. - gemetti leggermente, sentendo il cuore che accelerava i battiti. Dovevo andarmene da lì e soprattutto dovevo trovare Shane e gli altri.
Cercando di non pensare al dolore mi alzai dal letto e una volta in piedi mi accorsi che non avevo più il mio cellulare. Non ricordavo dove lo avevo messo prima di ritrovarmi in quella stanza, ma ero certa di averlo avuto con me. Feci per frugarmi nelle tasche, ma mi resi conto che avevo addosso un paio di leggins, ovviamente senza tasche. Mi guardai in giro, spostandomi poi verso il comodino. Aprii tutti i cassetti che trovai, rovesciai il cuscino e le coperte del letto, guardai sotto di esso.. nulla. Del mio cellulare non c’era traccia.
Alzai lo sguardo verso la porta che stava di fronte all’armadio blu slavato. Ora che mi ero alzata dal letto potevo vederla bene, poiché non avevo più la vista ostruita dall’angolo del muro. Senza pensarci due volte mi catapultai verso di essa, afferrandone il pomolo e girando con forza. Ripetei il movimento per due volte, ma la porta non si mosse si un centimetro.
- No, cazzo, no!
La mia voce carica di panico proruppe quasi con violenza. Mi portai le mani nei capelli, facendo scorrere velocemente gli occhi qua e la nella stanza alla ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa per aprire quella dannata porta. I miei occhi si fermarono sull’altro uscio che avevo notato quando mi ero svegliata, il quale molto probabilmente portava al bagno. Tanto valeva tentare.
Mi diressi con passo svelto verso la porta e una volta davanti a essa pregai con tutta me stessa che almeno quella fosse aperta. Afferrai il pomolo e lo girai, spingendo leggermente in avanti. La porta si aprì con un cigolio. Subito una puzza di chiuso e muffa si insinuò nelle mie narici, facendo contrarre i miei muscoli facciali in una smorfia disgustata. Mi portai il dorso della mano destra verso il naso, cercando di coprire quell’orrendo odore più che potevo. Era veramente insopportabile.
Dapprima con gli occhi socchiusi, poi aprendoli sempre di più, osservai il piccolo bagno che avevo scoperto dietro la porta. Era in condizioni veramente pessime: le mattonelle, che un tempo erano state sicuramente di un rosa chiaro, erano tutte macchiate di uno strano liquido marrone. In alcune parti sembrava fresco mentre in altre si era seccato, formando delle particolari geometrie senza alcun senso. Mi avvicinai al lavandino che stava proprio di fronte alla porta e con grande sgomento vidi che era tutto sporco di un liquido che con ogni probabilità si trattava di sangue.
- Oh mio dio.. - mormorai sbarrando gli occhi.
Alzai lo sguardo e vidi la mia immagine riflessa nello specchio sgangherato che stava sopra al lavandino. Ero davvero io? Avvicinai una mano al vetro, sfiorandone leggermente la superficie, come per accertarmi che quella ragazza riflessa fossi davvero io. Ero in condizioni pietose, come tutto ciò all’interno di quella maledetta stanza. Avevo i capelli tutti arruffati e il viso era una machera di tagli e piccole ferite. Del sangue mi si era seccato sulla fronte sopra l’occhio destro e sotto di esso, più precisamente sullo zigomo, un’altra ferita posta orizzontalmente completava il quadretto. Spostai leggermente il viso verso destra e mi alzai sulle punte dei piedi per permettere allo specchio di riflettere la mia immagine oltre il collo e fu proprio così che finalmente vidi la bruttissima ferita all’altezza della scapola sinistra. Me la sfiorai per la seconda volta con gli occhi spalancati, terrorizzata. Come mi ero procurata un taglio del genere? La ferita partiva dalla spalla e la maglia strappata ne segnava il lungo percorso obliquo, passando sopra la scapola fino ad arrivare quasi a metà petto. Non era un taglio eccessivamente profondo, ma di certo nemmeno una bazzecola oltre che essere veramente orrendo da vedere.
Distolsi lo sguardo dalla ferita per poi abbassarlo verso i miei indumenti. La lunga maglia bianca che indossavo sopra i leggins neri era strappata in diversi punti e macchiata di sangue qua e là, mentre gli stivaletti color crema erano praticamente diventati di un marroncino chiaro. Sembrava che fossi stata investita da un camion. Alzai lo sguardo vedendo nuovamente la mia immagine riflessa, sulla quale mi fermai veramente molto poco. Dovevo assolutamente trovare qualcosa per aprire la porta della camera ed andarmene da lì.
Diedi una rapida occhiata al bagno: il wc sulla destra, la vasca da bagno poco più avanti, la quale presentava diverse macchie ambigue al suo interno, un portasciugamani, un contenitore di shampoo vuoto a terra.. niente che potesse aiutarmi ad aprire una porta chiusa a chiave. Per l’ennesima volta tornai con lo sguardo sulla mia immagine riflessa e solo in quel momento mi resi conto che dietro allo specchio sgangherato si nascondeva uno di quei piccoli mobiletti dove solitamente si lascia lo spazzolino e le varie creme per il viso. Con mano tremante aprii la piccola porticina cigolante del mobiletto e non appena misi bene a fuoco il contenuto non credetti ai miei occhi. Tra diversi vasetti di creme e altre cose a cui non prestai la minima attenzione era stato appoggiato un cacciavite dal manico verde sgargiante. Lo fissai incredula per alcuni secondi, incapace di pensare a come quell’oggetto fosse finito nel mobiletto di un bagno, solitamente adibito per contenere oggetti come spazzolini e creme varie. Quel oggetto non era finito lì per caso, ne ero certa. C’era qualcosa di perverso in quella situazione, in quella stanza, in quelle macchie marroni sulle mattonelle del bagno.. per non parlare del sangue nel lavandino e di quello che mi sembrava di aver intravisto nella vasca da bagno. Cosa diavolo stava succedendo? Di chi era tutto quel sangue?
I miei occhi fissavano ancora il cacciavite con incredulità. Il mio istinto mi diceva che qualcuno lo aveva messo lì affinché io lo trovassi e lo usassi. Certo, perché avevo tutta l’intenzione di forzare la serratura con quel affare e sarei rimasta lì anche ore a provare pur di uscire da quella stanza che aveva tutta l’aria di essere una camera delle torture.
Afferrai il cacciavite, questa volta con mano più ferma, dopodiché richiusi il mobiletto con un tonfo. Non notai subito che ora c’era qualcosa che non andava nella mia immagine riflessa, o meglio non notai che si era aggiunto qualcosa oltre al mio viso. Rimasi immobile per alcuni secondi fissando la massa umanoide che si era portata dietro di me, riflettendosi a sua volta nello specchio.
Urlai.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
L’orrendo essere alzò uno dei suoi arti innaturalmente lunghi per colpirmi e io, mossa da un istinto che non conoscevo, mi lanciai di lato verso destra per sfuggire all’attacco. L’arto del mostro colpì il mobiletto che finì a terra con un tonfo, rompendosi in mille pezzi. Schegge di vetro saltarono dappertutto, accompagnate da un orrendo verso che mi perforò i timpani. Alzai lo sguardo verso quello che sembrava una clonazione umana andata male e indietreggiai puntando i talloni sul pavimento per spingermi più lontano. Quell’essere umanoide aveva un qualcosa di femminile, quasi familiare. Era ricoperta di sangue da capo a piedi, il volto sfregiato, i capelli biondi che si univano alla carne viva del collo, gli arti aperti in due con diversi artigli che spuntavano qua e la. Un conato di vomito mi scosse da capo a piedi, ma fui in grado di controllarlo.
L’essere fece un passo incerto verso di me, mugugnando qualcosa di incomprensibile. Il mio cuore batteva all’impazzata, la mia mente era completamente smarrita e confusa. L’unica consapevolezza che avevo era il fatto che mi trovavo nei guai, guai molto grossi. L’essere continuava ad avanzare verso di me ed io continuavo ad indietreggiare, fino a che la mia schiena non si scontrò contro la vasca da bagno.
Ero in trappola.
Il mio cuore prese a battere all’impazzata minacciando di sfondarmi il petto. Il respiro si faceva sempre più corto, la mente sempre meno lucida.
Dovevo difendermi e scappare.
Stringendo la mano destra mi accorsi di avere ancora con me il cacciavite che avevo trovato nel mobiletto. Lo fissai per alcuni secondi, dopodiché mi feci forza e mi alzai aggrappandomi al bordo della vasca da bagno. L’essere umanoide era ormai a pochi passi da me, pronto a colpire di nuovo per uccidermi.
Non ragionai, non pensai.. agii e basta.
Con uno scatto mi lanciai verso il mostro afferrandolo per una spalla. Urlai e poi colpii con tutta la forza che riuscii a trovare nel mio braccio. Il cacciavite andò a conficcarsi in profondità nell’occhio dell’umanoide e una volta raggiunta quella posizione lo estrassi con violenza. Un urlo sconnesso e orrendo fuoriuscì dalle fauci dell’essere, il quale barcollò all’indietro fino a cadere contro la porta aperta del bagno.
Non persi un solo secondo. Scattai velocissima e con un salto superai il mostro a terra, che già si stava muovendo per rialzarsi. Con il cacciavite grondante di sangue mi avvicinai alla porta chiusa della stanza, inserendo poi la punta dell’oggetto all’interno della serratura. Avevo notato che l’armadio blu slavato, che in quel momento si trovava dietro di me, aveva le ante aperte. Molto probabilmente il mostro era uscito da lì e il solo pensiero di aver dormito in quella stanza con quel coso nascosto all’interno dell’armadio mi fece provare un senso di vertigine terribile. Mi meravigliavo di essere ancora viva.
Mossi il cacciavite all’interno della serratura con dei movimenti rotatori, sperando di beccare il punto giusto.
- Ti prego, ti prego..
Quella maledetta serratura faceva resistenza. La mia mano tremava quasi in modo innaturale e i miei occhi continuavano a guizzare verso la porta del bagno per controllare l’essere.
- Cazzo, cazzo!
La serratura non scattava. Non scattava!
Il mostro ormai era in piedi e si stava dirigendo verso di me con quel passo incerto e traballante; il mio respiro affannoso copriva i versi sconnessi che emetteva l’essere. Mi sentivo in trappola, senza speranza. L’umanoide era ormai a pochi metri da me e io non ero ancora riuscita ad aprire quella maledetta porta.
No, non sarei morta in quella dannata stanza.
Conficcai il cacciavite più in profondità nella serratura, dopodiché mi alzai in piedi allontanandomi leggermente dalla porta. L’umanoide era ormai a pochi passi da me, pronto per un nuovo attacco. Respirai a fondo nonostante il panico che mi opprimeva il petto, poi colpii. Il forte calcio che assestai al cacciavite emise un rumore secco e deciso. Diverse schegge di legno si sparpagliarono sul pavimento e il cacciavite si piegò fino quasi a spezzarsi, rimanendo incastrato all’interno della serratura. Afferrai la maniglia della porta e la tirai verso di me, sperando con tutto il cuore che quel rumore secco che avevo udito fosse stata la serratura che era finalmente scattata.
L’essere umanoide stava quasi per colpirmi quando uscii dalla stanza, lanciandomi in una folle corsa lungo il corridoio semioscuro.
Ero salva.. per ora.
  
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