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Autore: Ginnever    23/08/2008    5 recensioni
Perchè?
Ginny afferrò rabbiosamente il lavandino gelato con le piccole mani.
Scuoteva la testa, convulsamente, confusamente, sofferente.
Perché, Hermione? Che cosa, ti ha spinto a fare una cosa tanto crudele? Una cosa così orribile…a Harry? A Harry?!
Lui ti ama….lui…ti ama….
Una lama fredda come quel lavandino le trafisse il petto, all’altezza del cuore.
Harry…
Il pensiero di poterlo veder soffrire, la uccideva.
*Salve a tutti! Questa è la mia prima shot, e per me sarebbe importante sapere cosa ne pensate, essendo appunto la prima^^ Cmq ringrazio già in anticipo chiunque abbia voglia di leggerla xD Spero vi piaccia! Saluti a tutti, Ginnever^^*
Genere: Romantico, Suspence, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Harry/Ginny
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! ^^
Sono di nuovo qui, a postare la mia seconda fic *__* (Che spero però abbia più successo della prima xP) anche se questa volta si tratta di una short-fic, divisa in 5 capitoli (x ora l’idea è questa^^), completamente diversa dalla mia prima long ancora incompleta, ‘Il suono del silenzio’.
Per chi l’ha seguita, volevo solo specificare che sono diversissime, per molti motivi: a partire dalla coppia principale, che qui è Harry/Ginny, fino ad arrivare alla personalità di Hermione, e alla assenza di Ron.

Bene…spero che vi piaccia^^
Per me è molto difficile scrivere una One-shot, quindi sono costretta per ora a provare la short-fic che presenta ancora 3-4 capitoli, non per forza uno; quindi, dato che per me è più che altro un esperimento, mi piacerebbe molto sapere che cosa ne pensate, anche perché mi servirebbe un sacco per capire dove sbaglio^^

Grazie a tutti coloro che leggeranno^^
Buona lettura.
Ginnever



Cap. 1:
La finestra



Rosse.
Incandescenti, come fiamme danzanti del fuoco.
Così, erano le sue labbra.
Così, non era lei.
La sua bocca si mosse appena disegnando i freddi contorni della parola ‘sì’, e io la seguii ammaliato con i miei occhi smeraldini, mentre un sorriso dolce mi increspava le labbra pallide.
Lo stesso sorriso -o così mi parve- che comparve sulle sue, di labbra, sciogliendomi il cuore.
“Ti amo”Mormorai.
Ma lei non lo sentì, o parve non sentirlo, perché non rispose.
Si alzò silenziosa come era solita fare, sventolando la sua chioma bruna e riccia alla chiara luce dei raggi del sole e si allontanò, sparendo oltre i cancelli lucenti del parco.
Il nostro parco. Il Burning  Emerald.
Abbassai il capo, con uno strano calore sotto il collo. Guardai con sguardo perso la superficie grigia della piazza in cui io ed Hermione ci appartavamo sempre prima che lei ritornasse al lavoro, promettendoci poi di rivederci più tardi, a casa (Come facevamo sempre).
Sospirai e il fischio soffice del vento mi mosse appena i capelli, arruffandoli ancora più di quanto non lo fossero già.
Mi passai stancamente una mano tra la chioma corvina voltandomi verso il tronco d’albero a fianco alla panchina su cui ero seduto.
Sorrisi senza  neanche accorgermene.
Quell’albero che rispondeva muto al mio sguardo, era sempre stato l’unico testimone dei nostri incontri nel parco, che avvenivano quasi ogni giorno, ormai, da quando Hermione aveva cominciato a lavorare in un albergo poco lontano da lì. Dal nostro parco.
Nostro….
Di me e di lei, insieme. ..
Come mi piaceva pensarci! Mi faceva sentire vivo, letteralmente ubriaco d’amore per lei, euforico.
Una sensazione magnifica. E Che non avevo mai provato in vita mia…..o che non avevo voluto mai provare.
Mi appoggiai allo schienale della panchina, fissando la resina che il sole faceva brillare come fa con l’acqua limpida di un fiume, pensando alle Sue labbra. Hermione metteva spesso il lucidalabbra e l’effetto che aveva nelle giornate di sole, era proprio quello: di brillare grazie alla luce della stella più grande, più luminosa di tutto l’universo. E di brillare sul viso più bello e candido che scoprii essere tardi.

Ma non troppo.

Sorrisi, beandomi della sensazione di piacere che il pensiero di un suo bacio mi offriva: era caldo, morbido, soffice come il vento, ma soprattutto, casto.
E ancora, sorrisi.
La mia Hermione non era diventata ancora donna.
Pensare di poterla aiutare a esserlo, mi faceva impazzire.
E incantato da quelle immagini incantevoli e luminose, mi addormentai, lì, sulla panchina, aspettando il momento in cui l’avrei rivista, con intrepida impazienza.

Due ore dopo.

L’orecchio. L’orecchio…fischiava.
Ma di solito…fischiava?
Era come se qualcuno ci stesse soffiando dentro. Mi stava stordendo.
Però, d’un tratto finì, sostituito da un respiro calmo e femminile.
Che conoscevo.
“Sembri proprio un angioletto, quando dormi.”
Aprii gli occhi, ma la luce bianca del sole mi accecò. Mi portai un braccio sulla fronte per farmi ombra e ritentai, stavolta con successo.
Poi, ghignai.
“Perché, di solito non lo sono?” Risposi un po’ stordito dal sonno, avendo riconosciuto la voce.
Una chioma fulva che incorniciava un viso lentigginoso e sorridente, fece ombra sul mio.
“Ti piacerebbe, Harry.” Mi disse, accarezzandomi con quel suono candido e limpido che era la sua voce.
Poi si scostò, permettendomi di alzarmi e sedermi accanto a lei sulla panchina.
“Ma che gentile sei, Ginny.”
Ginny Weasley sventolò una mano seduta di accanto a me, facendo una smorfia.
“Aaaah, mi viene naturale” Disse, ironica.
Scossi il capo, rassegnato ma divertito, facendo schioccare la lingua.
“Ingrata che non sei altro….io ti voglio bene e tu mi maltratti a questo modo.”
Ginny mi guardò fisso negli occhi per pochi secondi prima di scoppiare a ridere, tenendosi la pancia con le mani.
Inarcai un sopracciglio, lasciandola fare. Poi mi alzai e mi stiracchiai, aspettando che finisse quella sua convulsa risata.
“Hai finito?”Le chiesi.
Lei tossicchiò un attimo e si alzò.
“Credo di sì.”
“Bene.” Annuii sogghignando. “Posso farti una domanda semplice semplice, Ginny?”
Ginny scosse il capo sorridendo.
“Vuoi chiedermi perché sono qui, come ho fatto a trovarti e perché continuo con quello scherzetto dell’orecchio?”
Alzai gli occhi al cielo in risposta e lei sghignazzò.
“Ma non cambi mai, tu?”Mi chiese, dandomi un pugno sul braccio.
“Per tua fortuna no, altrimenti non sarei stato così da pazzo da fare quello che ho fatto, in passato.”
Sbuffò, evidentemente spazientita.
“Non hai ricevuto già abbastanza lodi dopo la morte di Voldemort? Vuoi anche le mie pacche sulle spalle?”
Ghignai fissandomi la spalla dove poco prima Ginny aveva tirato un piccolo pugno e inclinai il capo, come se stessi riflettendo.
“Detto fra noi:” La guardai ghignando. “ no.”
Mi scostai per evitare un altro suo pugno pronto ad essere scagliato, e la vidi seguirmi poco dopo.
Una volta a fianco a me, mi afferrò un braccio e vi appoggiò la testa; cominciammo così a camminare.
“Le mie pacche non sono sempre dolorose sai?”
La guardai ancora, incatenando i miei occhi color dei prati nei suoi, color delle nocciole.
“Lo so, Ginny.”
Sorrise dolcemente, e dolorose immagini sfocate cariche di ricordi, mi si susseguirono nella mia mente, come spezzoni di un film.
I nostri baci, le nostre carezze, il nostro affetto. Il nostro amore.
Ricordavo tutto perfettamente. Da quando c’eravamo messi insieme dopo la morte di Voldemort, dei nostri due anni felici, e della nostra caduta dolorosa che ha segnato la fine del nostro amore.
La stessa caduta per entrambi, ma che nel mio caso è stata attutita dall’arrivo di Hermione come fidanzata nella mia vita, e nel suo non è stata ammorbidita da niente: solo l’ennesima tegola su di lei e la famiglia, quasi dimezzata dopo l’ultima battaglia, ma che lei ha saputo sopportare come solo una donna forte e temprata dal dolore e le sofferenze sarebbe stata capace di fare.
La ammiravo molto. Ammiravo il suo coraggio, la sua testa. Ammiravo anche come era riuscita, dopo che ci lasciammo, a farmi legare a lei con un sentimento fraterno così intenso e forte da non sembrare vero.
Perché noi non li sembravamo, fratello e sorella.
Eravamo quasi sempre insieme. Quando non ero con Hermione, ero con lei. E dato che a Herm andava bene, molte volte stavo con entrambe. Fidanzata e…’sorella’.
Potevo dire di essere l’uomo più felice del mondo?

“Ti va un caffè?”
Uscimmo in quell’istante dal parco, Ginny ancora stretta al mio braccio.
Le sorrisi affabile e le accarezzai i capelli rossicci e lucenti.
“Certo che sì.” Risposi, allegro.
Al mio tocco, Ginny chiuse gli occhi, facendo una smorfia di piacere come solo i gattini sanno fare in risposta a una coccola.
Sapeva essere dolce, se non pensava a tutto quello che le era successo. E doveva non pensarci, perché non se l’era meritato.
Facemmo cento metri di marciapiede quando intravedemmo il piccolo bar all’angolo della strada., quello che sempre frequentavo da solo dopo essermi visto con Hermione.
“Andiamo là?” Le chiesi, indicando il piccolo locale con una mano a mezz’aria. Lei mi annuì e attaccata a me, mi seguì in direzione del bar.
Entrando, però, si staccò. Il piccolo locale era quasi vuoto a quell’ora tarda del pomeriggio, così ci appostammo in un tavolo angolato vicino a una finestra, uno di fronte all’altro (Io con le spalle al vetro).
“Come sta Hermione?” Mi chiese cortese,sedendosi.
“Sta bene, ma il lavoro la sfianca un po’. Stare in quell’albergo giorno e notte la distrugge.” Risposi, sospirando.
“Beh, il fatto di essere una nata Babbana gioca un ruolo fondamentale.” Commentò Ginny, appoggiando gli avambracci sul bordo del tavolo. “Ma è insolito che una strega dotata come lei non si dedichi alla magia, insolito davvero.”
“Molte volte le ho chiesto il motivo per cui non vuole intraprendere con me la carriera di Auror, ma lei è sempre stata irremovibile su questo argomento, rispondendomi sempre che preferisce un lavoro in cui esercitare altre capacità, estranee alla magia.”
“Beh, non è da biasimare, Harry,” Disse lei, ragionevole “devi pensare che ha perso i genitori durante la guerra e forse, a causa di uno strano scherzo psicologico, lei potrebbe pensare che sia stata la magia, la causa della sua sofferenza.”Alzò le spalle “Non so se questo possa essere un motivo, ma…”
“Non lo so, Gin.” La interruppi, cominciando a giocare con il posacenere al centro del tavolo. “ Potrebbe essere, lei era molto legata ai suoi genitori e la loro morte deve aver portato un grande vuoto nella sua vita, ma mi sembra eccessivo accantonare quasi completamente il proprio lato magico per questo. Se non ci fossi io, lei potrebbe essere benissimo una semplice ragazza babbana senza alcun potere magico.”
Ginny non mi rispose. Si sorresse il capo con una mano e mi guardò con aria stanca.
Potei scorgere la pena, in quelle sue iridi color cioccolato. La sofferenza, la stanchezza. La solitudine.
Perché Ginny, era rimasta sola, non appena morti i genitori e gran parte della famiglia, sola con Ron, rimasto leso dalle ferite subite dai Mangiamorte. La sua vita, dopo la nostra rottura, era diventata triste, piatta, monotona.
Probabilmente le mie visite erano un sole a ciel sereno nella sua eterna nube di tristezza, forse, ero la sua unica speranza.
Più fissavo i suoi occhi nei miei, più sentivo il peso della mia scelta di due anni prima, di allontanarmi da Londra, con Hermione.
Con Hermione….
Abbassai lo sguardo.
Era…troppo.
Sentivo un macigno pesare quintali sulla mia testa, e non accennare a lasciarmi.
Questa che sentivo e che mi pesava sul collo, era la colpa. Puro e vero senso di colpa.
Strinsi i denti per impedirmi di scatenare la rabbia che provavo per averla fatta soffrire, per nascondere il mio dolore e attutire quello della piccola creatura dai capelli rossi, che seduta davanti a me, mi guardava con i suoi occhi dolci, tenaci, coraggiosi.
Coraggiosi….
Provai ad alzare lo sguardo per vedere brillare quegli occhi dorati che mi avevano incantato tempo fa, ma notai con stupore che Ginny non mi stava più guardando. Avevo lo sguardo fisso e attento sul vetro della finestra. Stava guardando qualcosa…ma cosa?
Non feci in tempo a girarmi perché la voce del cameriere che non avevo sentito avvicinarsi al tavolo mi trafisse i timpani e il cervello perso in pensieri lontani da quel piccolo bar, come una martellata.
 “Buongiorno, signori. Ah… Potter.” Mi dedicò il sorriso ampio che ogni volta vedevo stamparsi su quel viso anziano ma gentile quando i suoi occhi grigi incrociavano i miei, in quel bar. Risposi con un sorriso tirato che Ginny, notai con sollievo, non scorse. Stava guardandosi le mani aperte sul tavolo, l’espressione vaga.
Aggrottai la fronte stupito, ma il cameriere interruppe di nuovo la catena dei miei pensieri con una domanda.
“Che cosa desiderate, oggi?”
“Direi….Il solito caffè, per entrambi, grazie.” Dissi guardandolo.
“Perfetto. Arrivano subito.”
E dopo un breve inchino, l’uomo stempiato che vedevo ogni due giorni lavorare in quel piccolo bar, si allontanò.
Non feci in tempo a voltarmi, però, che Ginny era in piedi, un sorriso irreale stampato sul volto, le guance più bianche del solito.
“Vado un secondo in bagno.” Mi disse, atona.
E senza aspettare la mia risposta, si voltò e sparì oltre il bancone, verso la porta dei servizi.
Più confuso che mai, guardai il punto in sui poco prima stava Ginny, in piedi, senza capire.
Le sue parole senza tono e immensamente tirate come il sorriso che aveva impostato sul viso, mi preoccuparono.
Che cosa le era preso?
E subito l’immagine di lei che guardava la finestra con occhi attenti mi occupò la mente, seguita da quella in cui si guardava le mani aperte sul tavolo, al colore della sua pelle diventata bianca, quando si era alzata.
Senza pensare, mi voltai di scatto verso la finestra.
Prima vidi solo il vetro sporco del vetro, ma poco dopo i contorni di quest’ultimo sfumarono, per lasciare spazio alla strada trafficata, ai passanti frettolosi che sparivano in macchine posteggiate, taxi pronti a partire o autobus rossi fermi alla fermata.
Non vidi niente che avrebbe potuto suscitarmi qualche sensazione insolita, come paura, o stupore, o rabbia.
Nulla.
L’ordinario rumore e movimento di Londra a quell’ora del pomeriggio, quando tutti tornavano a casa in fretta per vedere le loro famiglie, i loro bei pargoletti che li aspettavano con pazienza in una fresca e comoda casa, ogni giorno, insieme alla mamma, occupava la città come sempre aveva fatto, senza alcuna novità.
Mi voltai, e trasalii alla vista del cameriere con le due tazzine bianche in mano.
“Ecco qua, signor Potter. Per lei, e la signorina.” Le appoggiò con saputa cura sul legno e lanciando un’occhiata la posto vuoto poco prima occupato da Ginny, mi disse : “Oggi abbiamo compagnia, vedo.” Mi ammiccò, e senza aspettare una mia qualsiasi risposta si allontanò un’altra volta, lasciandomi solo con il mio caffè fumante a fissare un tavolo vuoto.
Il mio caro e vecchio amico John. Non gli avevo mai detto di essere fidanzato, in nessuna visita solitaria nel suo bar, quando mi lasciavo con Hermione nel parco.
Scossi il capo e afferrai la tazzina sul piattino.



Perchè?
Ginny afferrò rabbiosamente il lavandino gelato con le piccole mani.
Respirava affannosamente, l’agitazione le faceva scalpitare il cuore.
Scuoteva la testa, convulsamente, confusamente, sofferente.
Perché, Hermione? Che cosa, ti ha spinto a fare una cosa tanto crudele? Una cosa così orribile…a Harry? A Harry?!
Ripetendosi nella testa che pulsava quel nome che adorava, Ginny sbattè un piede a terra, irata.
Lui ti ama….lui…ti ama….
Una lama fredda come quel lavandino le trafisse il petto, all’altezza del cuore.
La gola le bruciava dolorosamente, la testa le pulsava ancora.
Harry….
Il pensiero di poterlo veder soffrire, la uccideva.
Era solo perché lo sentiva vicino come un fratello? Era davvero così?
Sì….Harry è come un fratello, uno dei tanti che ho perso….non può e non deve più, essere qualcosa di più…
Perché, allora, stava così male? Perché, allora, il cuore le stava sanguinando dal dolore che stava provando?
Perché gli voglio bene…..perchè non voglio che soffra….
Quanto era vero? Quanto una bugia poteva suggerire la verità? Quanto?
Non sto mentendo….io non posso amarlo….io…non posso…di nuovo....

Ginny si prese il capo tra le mani, scuotendolo con forza.
La collera si impadronì di lei, che non riusciva e non poteva urlare, sfogarsi con nulla.
Ma in silenzio, e molto lentamente, si fermò. Restò con le mani sul capo, le dita affondate nella chioma rossa, sola davanti allo specchio sporco di quel piccolo bar.
Poco dopo le fece scivolare lungo i fianchi, e lentamente sollevò il viso, posando lo sguardo sulla sua figura riflettente che rispondeva al suo sguardo incandescente, un po’ opaca.

Restò così, immobile a guardarsi e a riflettere quello che aveva appena visto attraverso la finestra per parecchi secondi, fino a che non decise.
Quello stesso giorno sarebbe andata da Hermione per parlarle e chiarire la situazione.
E se non avesse provveduto Hermione a sistemare le cose, ci avrebbe pensato lei, Ginny.




Feci in tempo a bere metà del caffè prima del ritorno di Ginny.
Anche se di quella che si era alzata, non ve n’era più l’ombra.







   
 
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