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Autore: waterdrop    02/07/2014    2 recensioni
"Johanna era nata il 31 d’ottobre mentre fuori infuriava una tempesta autunnale, di quelle che spazzavano via le foglie e inondavano le strade. Era una bellissima bambina, con un ciuffetto di capelli biondo miele e gli occhi verdi come le foglie"
Ecco come ho immaginato la storia di Johanna, prima dei giochi e PostMockingjay.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Johanna stava cercando la sua ascia che ogni sera riponeva accuratamente nel ripostiglio degli attrezzi in giardino. Aprì il magazzino e rovistò fra gli attrezzi: in una scatola di latta rossa, c’erano le sue armi. Un coltellino svizzero, quattro fionde di diverse misure, un temperino affilato e sottile, un arco leggero con solo sei frecce rimaste e infine, il gioiello più prezioso: la sua ascia. Le teneva nascoste lì perché sua madre non le poteva vedere: era stato Michael a regalarle alla figlia, in segreto. Accarezzò l’arco con cura e solo dopo averne percorso tutta la lunghezza rivolse l’attenzione alle fionde, scegliendo una delle più piccole. Poi fece scivolare il temperino in tasca e si avviò silenziosamente fuori. Era un’umida sera di maggio, con le prime rondini che svolazzavano in lontananza e il che significava due cose: che era cominciata l’estate e che Johanna poteva finalmente dire a tutti che aveva nove anni e mezzo. Scivolò fuori dal giardino di casa infilandosi nel buco della siepe: si strappò i capelli con i rovi e si incastrò qualche foglia nei vestiti, ma riuscì a non fare rumore. Discese la collina a grandi falcate, arrivando a valle con il fiatone. Si spazzolò i vestiti, si pettinò i capelli lunghi e biondi con le dita e corse nel boschetto che saliva su per la collina dove si trovava il villaggio. Quando arrivò nella piazzetta delle Fate, così chiamata grazie alla fontana al suo centro che aveva le creature alate scolpite con grazia nel marmo, tutti gli altri bambini di Hilltop erano lì. «Guardate, è arrivata Johanna Mason» disse uno dei più grandi. «Cosa vuoi, piangi-piangi?» chiese un ragazzo biondo con un pallone bucato in mano. Johanna era abituata a quel soprannome: essendo minuscola, era facile far credere a tutti di essere una frignona per picchiarli meglio in seguito. La bambina abbassò lo sguardo e disse in un soffio: «Cerco Tatiana Fairyoak e Ludmila». Il ragazzo che l’aveva derisa scoppiò a ridere, soffocando fra le risate qualche insulto e il nome di Ludmila. «Sono alla pasticceria della Grande Piazza» disse l’altro, che non aveva battuto ciglio. Quando Johanna scomparve fra le stradine di Hilltop, diede una gomitata all’amico e rise anche lui.
 
Tatiana era la tipica bambina femminile e ingenua, con i voti alti a scuola, i vestiti stirati e i capelli raccolti in un fiocco. Ludmila non era da meno: al suo contrario, però, non era affatto ingenua. Le due ragazzine avevano rispettivamente dieci e tredici anni; i capelli l’una castani e l’altra biondo neve; le gonne una azzurra e l’altra bianca. Johanna arrivò mentre loro erano appena uscite dalla pasticceria e stavano svoltando nella stessa stradina in cui si trovava lei. Erano molto ricche, anche se nessuno ne sapeva realmente il motivo. Appena la vide, Tatiana trasalì e lasciò cadere il sacchetto di dolci a terra (che venne salvato appena in tempo da Ludmila). Le ragazzine si squadrarono, poi la più grande esibì un sorriso smagliante. Jo era l’opposto delle due ragazze: aveva la salopette di jeans logora all’altezza delle ginocchia e con i risvolti lerci di terra, una maglietta verde scuro con la stampa sbiadita e gli anfibi allacciati fino in alto. Guardò Tatiana con lo sguardo pieno di odio e poi disse: «Cosa hai fatto a Nate?». Ludmila ignorò gli occhi lucidi dell’amica e scoppiò a ridere: «Tesoro, lei non ha fatto niente. Piuttosto la colpa è di Nathaniel. Non è colpa nostra, o tua, se è un frocetto». Purtroppo per lei, si accorse della fionda quando l’elastico era già vuoto e il sasso le arrivava sulla fronte. Johanna rinfilò l’arma in tasca e si buttò addosso a Ludmila, ringhiando: «Cosa gli hai fatto, stronzetta? Sta piangendo da quando è tornato a casa!». Ludmila, però, non sembrava affatto turbata che Johanna le fosse volata addosso. In fondo, quanto poteva pesare? Venti, venticinque chili? Jo allora prese il coltellino e lo puntò alla gola di Ludmila, che smise di ridere trasalendo all’improvviso; poi prese la fionda e colpì Tatiana sulla testa mentre cercava di fuggire. La bambina si chinò a terra in lacrime e implorò pietà a Johanna: poi si accucciò in angolino, tenendosi le ginocchia strette. La Mason guardò Ludmila mentre la teneva bloccata a terra con una mano sulla trachea e il coltellino alla guancia. L’aveva visto fare centinaia di volte negli Hunger Games: avrebbe potuto uccidere la ragazza con un solo, piccolo, taglietto sulla vena del collo, e Ludmila lo sapeva. Era passata dal ridacchiare al tremare: chiuse gli occhi e implorò Johanna. Cresciute con la paura dei Giochi, le ragazze avevano un concreto terrore della morte. La bambina, che la teneva bloccata freddamente, sorrise incurvando appena le estremità delle labbra, poi disse: «La prossima volta che ti sento chiamare Nate così, o che lui torna a casa in lacrime, ti infilzo questo nei polmoni. HAI CAPITO? E se dici a qualcuno di quello che è successo oggi, ti stacco un dito alla volta con la mia ascia. Stesso per te» disse rivolta a Tatiana. Si rialzò appena, poi ffondò il temperino nel braccio di Ludmila quanto bastasse a farla urlare. «Hai un’ascia?» chiese incredula Tatiana. Ma Johanna era già scomparsa mentre il sole si tuffava fra i boschi all’orizzonte. Una rondine planò a valle mentre una figura esile correva verso la collina, asciugandosi gli occhi pieni di lacrime.
  
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