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Autore: TeclaRachello92    02/07/2014    2 recensioni
Questo è il mio primo libro fantasy e spero vivamente che vi piaccia! lasciate tutti i commenti che volete, che siano belli o brutti, perchè si può sempre migliorare! la Trama è questa: I sogni che facciamo, vengono protetti da Creature di un'altro mondo, da cui traggono l'energia per vivere. Questi combattono contro le creature degli incubi, comandate da una potente Strega. La protagonista è Evangeline, una ragazza vent'enne che, dopo un grave incidente, verrà catapultata in questo strano mondo nel peggiore dei modi. Fatevi stregare da questo libro colmo di avventure e magia!
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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Vi è mai capitato di sentirvi osservati mentre siete a letto, che dormite? Ecco, a me ultimamente, capita spesso. Troppo spesso. I medici dicono che sia dovuto all’incidente che ebbi quattro mesi fa. Stavo correndo col motorino e sovrappensiero passai uno stop. Fui investita sul colpo da una macchina e rimasi in coma per tre settimane. Per non parlare di tutto il mio lato destro rotto. Dal braccio, alle costole, al fianco fino alla gamba completa. Passai tre mesi in ospedale e tuttora faccio riabilitazione. Io non ci vorrei mai andare perché faccio troppa fatica e perché è davvero dolorosa, ma sono obbligata. Inoltre nell’impatto battei talmente forte la testa, che dal quel giorno ho incubi e mi sento sempre a disagio, e in ansia. Che io sia sola, o in compagnia, non cambia. Non mi sento mai nel posto giusto. Non mi sento più a casa. Più, e più volte i medici hanno chiesto a cosa pensavo, quel giorno, da non farmi vedere il cartello dello stop, e da non farmi sentire i clacson e il folle rumore del traffico, che istintivamente ti fa frenare. Ma ogni volta che mi sforzo nel ricordare, vedo solo una figura nera, inquietante, vicino a me, che mi dice qualcosa. Io non parlo ormai più con nessuno. Tanto che i miei hanno perso l’entusiasmo e la forza nel farmi domande. Perché tanto non ricevono mai una risposta. Sono nel mio mondo. Un mondo oscuro… cui non riesco a uscire.
Oggi, è una giornata come tante. Mi alzo a fatica dal letto, dove ho degli attrezzi che mi aiutano a reggermi in piedi, e, piano piano, arrivo al bagno. Mi lavo la faccia con l’acqua ghiacciata per svegliarmi dall’incubo di questa notte. È in parte sempre lo stesso. Io che non riesco a muovermi, stesa a terra su un pavimento lastricato e gelido, una serpe che mi parla e mi striscia addosso, un tonfo…e il buio. Ma per quanto mi sforzi, non riesco mai a capire quello che mi dice. So che non è amichevole. Al contrario. Quel sibilo mi fa rabbrividire. È come se volesse dirmi che tornerò di nuovo in coma. Di nuovo in quel buco nero dove non sei, ma sai di esistere. Quando ho finito col bagno, me ne torno in camera e mi rifletto sul grande specchio dell’armadio: sono cambiata così tanto. Prima pesavo sulla settantina ed ero tondetta, visto che sono alta 1.63 m. adesso invece, peso sì e no quaranta chili. Forse perché non ho più appetito. Troppi incubi. Troppi attacchi d’ansia. Troppo tutto. Il mio bel capello folto e curato biondo dorato, adesso è solo una massa sciupata di fili deboli color cenere. Le cicatrici nel viso, i tagli, si sono rimarginate, ma si vedono ancora le macchie bianche. Mentre per il resto, beh, sono presa ancora male. Così mi vesto sempre troppo, tanto da sembrare una pazza, visto che a Charleston in Sud Carolina, adesso fa veramente caldo.  
Anche ora, che mi sto spogliando, e so di essere sola, mi sento osservata. Mi giro di scatto, ma niente. Non c’è mai nessuno. Oggi c’è il sole fuori, andrò a camminare. Prendo il cellulare, metto le scarpe, e scendo in cucina. Mia madre è al telefono che parla con non so chi, come sempre. Beh non la biasimo, parlare con me sarebbe inutile. Più e più volte ha tentato di reggere una conversazione, ma dopo l’ultima volta, dove è rimasta per un’ora a fare praticamente un monologo, ha deciso di lasciar perdere. Mi siedo sul tavolo bianco della cucina. E ora lo vedo. Sopra di me c’è qualcuno. Lo stesso qualcuno che quel giorno mi spinse nel buio del coma. Lo vedo perché il tavolo è laccato e con la luce del sole funge da specchio. Rimango immobile. Vedo che muove la bocca. Ma, più lo guardo, più quella figura nera appesa al muro prende forma. E non sembra cattiva, o sul punto di sferrare un attacco mortale alle mie spalle. Così mi sfugge un bisbiglio “ Non ti capisco…”. Mia madre si gira di scatto, è bianca in volto e il telefono le cade dalla mano. Non mi sono nemmeno resa conto di parlare ad alta voce. Ma ci sono riuscita. “ Eva?” mi chiede mamma commossa. “Eva tu…tu hai parlato!”. Lì mi venne spontaneo risponderle -Mamma, sai che odio quando mi chiami Eva.- Ma non dissi nulla. Rimango a fissare la figura dal riflesso del tavolo “Non capisco cosa vuoi da me”. Sento mia madre che mi urla qualcosa, ma non la ascolto. Guardo fissa il tavolo e vedo la figura che scrive qualcosa sul muro, sopra di me, e, quando finalmente leggo la scritta rosso sangue, rimango impietrita – Ritorna. - ecco cosa c’è scritto. Sento che qualcuno mi prende per le spalle e mi scuote. Ritorno in me e urlo “ Mamma basta! Sto bene!”. Ma non è tranquilla. Mi guarda come se fossi un alieno.
“Se stai bene, perché sei così spaventata” mi domanda. E solo in quel momento mi rendo conto di stare tremando.
“Anche se te lo dicessi, penseresti che sia matta.” Le rispondo.
“Apriti Eva” m’incoraggia. Ma odio quando mi chiamano così.
“Intanto mi chiamo Evangeline, non Eva.” La correggo.
Scoppia a ridere e incomincia a baciarmi le guance che s’inumidiscono delle sue lacrime.
“Finalmente rispondi a tono” risponde. Mi commuove vederla così. Chissà quanto deve essere stata dura per lei. Eravamo così unite, prima. E ora, non posso confidarmi con lei. Non capirebbe. Come non capisco io. Magari davvero sto diventando matta. Vedo cose che non dovrei vedere. Sento cose che non dovrei sentire. Mi sciolgo dall’abbraccio e le dico che esco per una passeggiata.
Il sole è così piacevolmente caldo sulla mia pelle. Che mi viene quasi da sorridere. L’erba sotto i miei piedi è così morbida, e soffice. Mi sento per la prima volta dopo tanto tempo in pace. Da quando mi hanno rimessa dall’ospedale, vengo sempre al parco comunale, sotto un grande albero di cedro, e me ne sto lì. Mi ricorda vagamente qualcosa, ed è l’unico posto in cui non mi sento inadeguata. È come se da quando ho avuto l’incidente vivessi la vita di un’altra, ma questo non è possibile, vero?
Mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto, quando vengo qua. E da qualche tempo viene spesso qui anche una bambina, bionda con dei boccoli che le ricadono dolcemente sulle spalle, gli occhi chiarissimi come il mare dei tropici, e sempre con dei vestiti da principessa. Ogni tanto mi parla, ogni tanto no. Lei gioca, parla con animali e creature inventate e si diverte. Ah, eccola anche oggi. Ha un vestitino azzurro cielo, con dei volant argento che decorano il tutto. Mi guarda, mi sorride, e si avvicina.
“Ciao. Mi chiamo Abbie”
“Ciao Abbie. Io sono Evangeline.”
“Oh. Lo sapevo.” Dice sovrappensiero tutta emozionata.
“Prego?” le chiedo divertita.
“Una fatina oggi è venuta da me e mi ha detto che ti chiamavi così.” Mi risponde lei.
“Ah, e questa fatina è qui?” le chiedo, per stare al gioco. In fin dei conti mi serve distrarmi un po’ dai pensieri tristi.
“Sì! La vuoi vedere?” mi domanda tutta eccitata. Ed io “ Sì, certo”. Ed è lì che capii. La bimba prese qualcosa dalla borsetta, ma non tirò fuori niente. Adesso capisco come si dovevano sentire i miei quando do retta a qualcosa che esiste solo nella mia mente. Come con Abbie. Lei pensa di vedere la fatina. Ma in realtà non c’è niente tra le sue piccole manine delicate. Fingo entusiasmo e stupore e me ne sto tutto il pomeriggio lì, a riflettere sui miei comportamenti.
Quando vedo il tramonto, la saluto e vado verso casa. Mentre cammino, con un po’ di fatica (ma grazie alla riabilitazione me la cavo sempre meglio) decido di ignorare la presenza che sento dietro di me. –Non puoi scappare - la ignoro, ma sembra sempre più vicina –Lascia che ti porti via, non mi sfuggirai di nuovo - aumento il passo, ma poi ripenso al pomeriggio appena trascorso. No. Non fuggirò più da qualcosa che non esiste. Così mi volto, lentamente, col cuore che batte a mille. Ma anche se mi volto, non c’è niente. Mi giro, ed è lì. Davanti a me. Immobile. Una figura nera, incappucciata. Non si nota se è maschio o femmina. Non si vedono occhi, naso o bocca. Si vede solo un mantello nero, che fluttua davanti a me. Non so come ma mi esce un “ Che cosa vuoi da me? Perché mi perseguiti?”. Ma niente. Nessuna risposta.
“Se non hai niente da dire, me ne vado” le dico in tono arrogante. La supero. E la sento – Aspetta, Evangeline – Quando sento il mio nome, rabbrividisco. Ma poi penso – se è la mia mente che s’immagina le cose, è ovvio che sa come mi chiamo. – Proseguo verso casa ma davanti a me riaffiora quella figura.
“Levati”
Non posso lasciarti andare a casa.
“Ah no? E perché?”
“Perché mi servi. Quel giorno, quattro mesi fa, ho commesso un errore”.
Quattro mesi fa… l’incidente… non capisco… mi gira talmente forte la testa che mi sento svenire, ma appena rialzo lo sguardo, la figura è vicinissima. Si prende il cappuccio e mentre se lo abbassa, una forte luce mi acceca, e distolgo lo sguardo. Sento solo –Mi dispiace- ma quando li riapro, non c’è nessuno davanti a me. Rimango immobile, arrabbiata con me stessa, per aver ceduto per l’ennesima volta alla mia pazzia. Mentre muovo i passi verso casa, non posso però fare a meno di ripensare a quelle parole – Mi dispiace. Quel giorno ho commesso un errore. - Ma quale errore? Sono stata io ad aver sbagliato! Io guidavo ed io mi sono distratta! O no?
Arrivata a casa, trovo i miei seduti sul divano. Li saluto e papà, si volta di scatto come fece mamma la stessa mattina, così ridendo gli dico “ Sì, parlo papà”. Lui corre da me e mi abbraccia forte, spingendomi qua e di la.
“Lo sapevo! Lo sapevo che ne saresti uscita!” urla tutto estasiato. E per la prima volta rido. Dopo tanto tempo torno a ridere. Viene anche mamma che ci abbraccia entrambi. È un bel momento. E mi costringo a essere felice. Ma dentro di me qualcosa è cambiato.
Prima dell’incidente, avevo un bel rapporto con i miei. Andavamo sempre via assieme.
Ora, a stento mi sento loro figlia. Non capisco il perché.
Ceniamo assieme come una volta, ridiamo, e stiamo sereni. Mamma e papà sembrano rinati, e mi sento sempre più in colpa. Se ripenso a come stavano solo ieri per colpa mia. Per colpa della mia stupida immaginazione!
Quando è ora di andare a dormire, li bacio e salgo le scale fino ad arrivare in camera mia. Ho di nuovo il cuore che batte forte. Ho paura. Ma non è fondata visto che non mi è mai successo niente. Apro la porta ed entro. Quasi mi sfugge un urlo. La Figura nera incappucciata è di nuovo lì. Di fronte a me.
Non riesco a muovere un muscolo. Nemmeno quelli del viso per urlare aiuto. Ho la gola secca e le gambe mi reggono a stento in piedi. Gli occhi fissi e terrificati guardano l’incappucciato davanti a loro. A un tratto, con un gesto fulmineo, la figura tira giù il cappuccio, e di nuovo il bagliore mi fa indietreggiare d’istinto. Tanto che sbatto contro il comò alle mie spalle e cado a terra. M’immagino già cosa vedrò: un teschio che mi vuole uccidere, o un uomo con le sembianze da mostro, oppure un vampiro che mi vuole succhiare tutto il sangue che ho in corpo.
Quando finalmente mi faccio coraggio e il bagliore sembra affievolito, torno a guardare la figura. Ma con mia sorpresa non è niente di tutto quello che ho pensato. Una lunga treccia castana esce dal cappuccio della figura. Quello che m’immaginavo fosse un teschio o un’immagine terrificante, è invece il dolce viso di una ragazza. La cosa che mi stupisce è che ha i miei stessi tratti del viso. Come se fosse mia gemella.
Io sono Ethalyn” dice con voce calma e rassicurante. ”So che sei spaventata, ma il mio tempo in questo mondo è limitato. Per questo motivo sono sempre apparsa e sparita continuamente.”. La mia mente torna a roteare come mai prima. Perché non riesco a smetterla di immaginarmi le cose?
“ Tu non esisti.” Sibilo. “ Tu non sei qui”. “Tu non mi stai parlando. È la mia testa che s’immagina tutto” continuo a ripetere ad alta voce.
Vorrei davvero non essere qui Evangeline. Cerca di ricordare... ”
“ Ricordare cosa? Di come mi hai fatto fare l’incidente? O di come mi hai perseguitata in questi cinque mesi?” le chiedo, cercando di contenere la voce per non sovrastare quella della Tv dei miei di sotto.
Perseguitata? Evangeline il mio tempo sta per scadere! Tornerò domani se posso e ti spiegherò il perché di tutti i tuoi incubi. Felici sogni.”.
E sparisce.
Rimango seduta a terra per una buona mezz’ora. Non so se ho più paura ad ammettere che quello che ho appena visto è reale, o se sono davvero impazzita. Appena mi alzo, torno al piano di sotto e chiedo ai miei se uno dei due dormirebbe con me questa notte. Mamma accetta volentieri, e ce ne andiamo a letto. Speravo che, come quando da piccolo hai paura e ti metti a letto con la mamma, tutte le paure passano, ma non succede niente. Sono terrificata.
“Eva” mi chiama mamma.
“Dimmi, sono sveglia” le rispondo, un po’ scocciata per come mi ha appena chiamata.
“Tesoro, dato che adesso parli, prova a spiegarmi, con calma, se ci riesci, il giorno dell’incidente.”
“Mah, non ricordo tanto. Solo che ero sullo scooter e mi sono distratta” le rispondo, tralasciando la figura nera che mi perseguita da quel giorno.
“Capisco…altro tesoro?”. Oh si, vorrei dirle. C’è molto altro.
“No mamma. È stata solo colpa della mia negligenza. Tutto qui” mi giro sul lato opposto e fingo di dormire.
Non saprei neanche come spiegarglielo. Perché nemmeno io so cosa ho visto. Sia quel giorno, che poco fa.
Mi sveglio la mattina dopo, cioè, mi sveglio è una parola grossa. Mi alzo dal letto presto e lascio mamma dormire sola. Scendo e vado in cucina, per fare colazione. Mi guardo intorno più volte e accendo tutte le luci che posso. Apro la credenza e prendo dei cereali, una tazza e un poco di latte. Speravo che vedendo il cibo davanti a me mi venisse appetito, ma sbagliavo. Questa notte mi ha fatto capire tante cose. Devo rimettermi in sesto, tornare a uscire con i miei amici, e rimettere su peso. Non posso continuare a fare l’asociale. Per questo scrivo un messaggio a una mia vecchia amica su un social network chiedendole se vuole uscire più tardi. Vado sul mio profilo, e guardo le foto di com’ero tempo fa. Una ragazza solare, allegra e spensierata. Una ragazza normale. Non una svitata.
“Ti sei svegliata presto” entra papà vestito per andare al lavoro.
“Sì. Non ho dormito tanto”
“Questo perché tua mamma russa.” Dice lui in tono allegro. È così felice stamattina.
“Papà, ti capita mai di vedere cose che non esistono?” chiedo un po’ titubante.
“In che senso tesoro?” risponde lui, distratto.
“Non so, tipo come quando si è più piccoli, e si vedono fatine e cose del genere.”
“Purtroppo no. Ma sarebbe bello viaggiare con la fantasia. Magari la botta in testa che hai preso ti fa vedere le cose amplificate. Prova a scriverle o a disegnarle, per far vedere a te stessa che sono cose immaginarie.”.
Non è poi così male come idea. In fin dei conti sono sempre stata brava a disegnare, potrei realizzare dei quadri.
“Grazie papà” Gli dico molto sinceramente.
“Prego piccola”. Mi da un bacio sulla fronte e se ne va.
Torno tutta entusiasta nella mia camera, e mi siedo sulla scrivania. Prendo delle tele e dei carboncini dal cassetto, e inizio a dipingere. Mi viene tutto così naturale. I colori prendono forma da soli. Comincio col disegnare l’attimo in cui vidi la figura nera prima di finire investita; continuo col coma; il mio risveglio; mamma e papà snervati dalla mia debole ripresa; io piena di lividi e gessi.
Continuo tutto il giorno, senza sosta.
Non mi rendo neanche conto che sono le quattro del pomeriggio fino a che la mia amica Rona risponde al messaggio che le ho inviato questa mattina.
Mi alzo, per la prima volta dopo tanto mi trucco, mi vesto ed esco. Finalmente torno a sembrare una 20enne.  
Andiamo assieme al centro commerciale per farci un giretto, anche se preferivo andare sotto il cedro del parco. Parliamo del più e del meno, ma vedo che non sa se cosa chiedermi, per non farmi stare male.
“Scusa se sono sparita, Rona. Avrei dovuto chiamarti per sfogarmi”
“Non dirlo neanche per scherzo Eva! Non me la sono presa! Ognuno ha i suoi tempi!” mi dice. Ma anche lei ha questo vizio di chiamarmi Eva. Non so perché mi dia così fastidio per dirla tutta. Solo m’irrita. Ci sediamo nel bar del centro e prendiamo due cappuccini. Non resisto più e vado al bagno. Appena esco dalla toilette, la vedo li. Ferma. La mia gemella.
Torna a casa Evangeline” mi supplica.
“No. Tu non esisti. E questa è la conferma. Compari solo quando sono da sola.” Le rispondo a tono.
Tu non capisci. D’altronde come potresti…” si scoraggia lei.
Non so come mi venga in mente, ma alzo gli occhi sullo specchio. Non so dove ma ho sentito che fantasmi, mostri e vampiri non si riflettono negli specchi. Lei però c’è. La sua figura è lì con me nello specchio.
“Prova a spiegarti allora. Fammi capire perché mi sento una matta!”
Posso solo dirti che non lo sei. Posso solo dirti di stare all’erta. È già tanto che sia riuscita a venire da te. Non posso dirti altro. Cerca di ricordare il periodo che sei rimasta in coma, prova a ric... ” e svanisce di nuovo. Stavolta l’ho vista sparire. Un bagliore, e poi il niente. Non so perché ma ho sempre l’impressione che sia costruita in tutto quello che fa: da come mi parla, a come compare. Non so, non mi fido di lei, per quanto mi convinca a crederle. Torno al tavolo fingendo indifferenza e continuo il mio pomeriggio di svago. Ma appena saluto Rona, ed entro a casa, comincio ad avere la nausea. Non perché abbia mangiato più del solito. Ma perché sono sola a casa. I miei non sono ancora rientrati per cena, e per sviare i brutti pensieri opto per fare una doccia. Entro in bagno, chiudo la porta, e mi spoglio. La parte destra ancora non si è ripresa chirurgicamente. È martoriata da cicatrici e pezzi di pelle usata per coprire quella che se ne era andata. chissà se tornerà mai liscia e morbida come prima. Apro la doccia e mi butto sotto il getto dell’acqua calda. Mi lascio trasportare dal rumore di questa, come se fosse pioggia.
E poi un Flash. Pioggia. Bosco. Temporale. Osvaldo, il mio cane. Il villaggio. L’imperatrice che mi chiama. La paura del buio. Le lucciole che m’indicano la via. Riapro gli occhi ed esco violentemente dalla doccia. Mi schiaffeggio il viso più volte. Cos’erano quei flash? Perché ho la pelle d’oca? Perché ero li? Mi asciugo, mi avvolgo un asciugamano intorno al corpo, e corro a disegnare quello che ho appena immaginato. Ma più metto a fuoco i colori e le immagini, più mi sembra di vedere una foto. Non un disegno inventato. Io ero li. Ci sono stata. Lo ricordo così nitidamente. Un sogno non lo si ricorda così. Ricordo l’albero sotto cui mi ero rifugiata durante il violento temporale. Ricordo Osvaldo, il mio fidato cucciolo di cane alato, che mi seguiva come un’ombra. Ricordo distintamente la voce dell’Imperatrice che disperata cercava il mio nome. La paura dei tuoni, le lucciole che erano mie amiche e che m’illuminarono la via per la reggia. Ma come posso aver vissuto tutto questo, se all’età di quattro anni abitavo in Florida? Non capisco.
Vorrei che Ethalyn fosse qui per spiegarmi tutto. Ma lei compare solo quando le comoda. Torno davanti allo specchio. Mi fisso. Qualcosa in me dopo oggi è cambiato. Mi sento diversa. Nel senso che mi sento meno diversa. Non sono pazza come credevo. Non posso esserlo. Mi butto sul letto. E chiudo gli occhi. Le lacrime escono fievoli dalle fessure. Non so perché sto piangendo. Ma a un certo punto dico, “Voglio tornare a casa”.  



Angolo autore.
Ciao a tutti questo è il primo capitolo del mio primo libro! Mamma mia che emozione! Spero vi sia piaciuto e che leggerete anche i seguenti! Vi mando un bacione! la vostra TR
   
 
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