Capitolo
12
Note
della
traduttrice:
Perdonate,
voi che seguite, il ritardo negli aggiornamenti: ma studio
universitario e
lavoro mi lasciano ben poco tempo libero. In ogni modo, sarò
lieta di
rispondere a chi di voi invierà un messaggio, o una
recensione, e ci tengo a
precisare che sebbene con dei rallentamenti, la storia
verrà tradotta per
intero e non abbandonata.
n.a..
Attenzione: alcune scene di moderata violenza da
questo capitolo in poi.
La
tiene per il colletto alto del vestito nero di
velluto, sollevandola vicina al suo viso tanto che lei riesce a contare
le
singole lentiggini, piazzate in modo strategico. Il sorriso di lui
è
incostante, trema come una fiamma; la punta affilata del naso le sfiora
la
guancia mentre la attira più vicino, più vicino,
tanto vicino da sussurrarle
all'orecchio, tua
sorella
è morta. Poi lui tira indietro il pugno, che
picchia sul suo viso, tanto
violentemente da rompere la cartilagine; tanto violentemente da vedere
delle
macchie luminose davanti agli occhi. Porta di nuovo la mano
all'indietro, e
questa volta le nocche strette a pugno dure come il ferro sbattono nel
suo
volto con un toc. Di nuovo all'indietro. Toc. E
ancora.
Fa
male, ma non riesce a muovere le braccia. Le mani
sono fiacche, inerti e inutili contro i fianchi. Sembra che tutto
quello a cui
riesca a pensare, mentre alza lo sguardo sul suo viso, è che
i suoi occhi non
sono —non—
Regina
Elsa, la bocca si muove, ma il timbro di voce non
corrisponde,
tutto preoccupazione esitante. Il pugno si spinge in avanti. Toc.
Regina
Elsa? Ancora. Toc.
"Vostra
maestà?"
Si
tira su a sedere con un rantolo. Un'ondata di ghiaccio colpisce il
baldacchino blu scuro al di sopra di lei; si sfascia. La stoffa le cade
in
testa svolazzando, e i sostegni di legno si schiantano ai due lati del
letto.
"Vostra
maestà, va tutto bene?"
Le
ci vuole un momento per associare la voce. Il sogno le aleggia attorno
agli occhi e sulla lingua, un saporaccio di cui non riesce a
sbarazzarsi. Si
toglie di dosso la stoffa blu, valutando i danni; la testa le pulsa, ha
gli
occhi carichi di sonno. Tra i detriti accantonati in un angolo
dell'armadio, e
l'ormai stato rovinoso del letto, presto avrebbe dovuto decretare le
proprie
stanze una zona disastrata.
Tira
su le ginocchia al petto, appoggiandosi le dita alle tempie e
chiudendo gli occhi.
"Vostra
maestà!"
"Sì!"
fa di rimando, a volume troppo alto. Sussulta. "Sì, va
bene, sono qui."
"Mi
dispiace avervi svegliata—"
"Non
mi hai svegliata," Elsa risponde, richiamando la maledizione
alle punte delle dita, che lascia ferme sulle tempie. Sopprime uno
sbadiglio.
"Sono sveglia da ore."
"Sì,
beh—Mastro Olin mi ha informato che una nave proveniente
dalle
Isole del Sud ha fatto porto la scorsa notte—"
Questa
volta il ghiaccio, con niente che interrompa il suo corso, colpisce
il muro di fronte.
Sente
il respiro accelerare. Sente il panico formarsi dal fondo dello
stomaco, mescolarsi disgustosamente all'alcool scadente e al cibo della
taverna.
"Sì. Beh, sono sicura che sia solo una nave
mercantile—" comincia.
"—e
due ambasciatori la attendono nella sala del trono."
Chiude
gli occhi e vede le stelle, un'intera galassia, danzare, ruotare,
vivere, e poi li riapre e non c'è nient'altro che la propria
stanza disastrata
con l'armadio rotto e il letto sfasciato. "Scendo subito."
"Sì,
vostra maestà." Pausa. "Regina Elsa,
posso…portarvi—qualcosa?"
Si
lecca le labbra, premendosi i palmi sugli occhi.
"Puoi
portarmi il Principe Albert."
"È
tutto un po' troppo, no?" fa un verso altezzoso col
naso, ripugnato, alzando lo sguardo sui pannelli di legno riccamente
decorati
che profilano il soffitto sopra di lui. "Tutto l'insieme è
così…oppressivo."
Suo
fratello colpisce col piede la base di una delle colonne bianche,
dandogli un colpetto con lo stivale, e nota, passando, un occhio
rivolto alla
guardia ferma alla porta, lontana—
"Tutto
legno."
Anna
si rigira, e cade dal letto.
Cade
prima di fronte, e poi sbatte col petto a terra, e la prossima cosa
che fa è cercare di capire se quel rumore che ha appena
sentito è il polso che
si è fratturato o il pavimento che si è rotto. "Ahiiii,"
geme.
"Beh, ora sono sveglia." Sbatte le ciglia guardando
i bioccoli
di polvere che si nascondono al buio, chiedendosi vagamente se avessero
lo
stesso sapore dello zucchero filato che a volte faceva il
cuoco—ok, forse
non sono del tutto sveglia, ugh, perché ho pensato una cosa
del genere—e fa
una smorfia, schiaffando le mani sui bordi del letto e mezzo tirandosi,
mezzo
trascinandosi in alto per posare il mento tra le coperte.
"Mi
sento morire," si lamenta.
"Beh,
non credo che tu sia morta."
"Arghah—"
strilla, cadendo all'indietro, riuscendo a
malapena a distinguere gli occhietti neri acquosi e la testa annuvolata
e il
naso arancione prima di essere di nuovo a terra. "Olaf!"
"Io!"
Il pupazzo di neve strilla dall'altra parte del letto,
lottando per avvicinarsi coi piccoli piedi rotondi e cercando di
issarsi sul
copriletto, che scivola. Le braccia non sono proprio adatte
all'arrampicata.
Anna emette un oof e non si muove, lasciando
ricadere la testa sul pavimento
duro e fissando il soffitto.
"Ma
che stai facendo, Olaf?"
"Controllo
solo, controllo solo—eccoci qui." Paf, paf, paf.
Ed ecco che la guarda dall'alto, dopo aver scalato con successo il
monte
LettoeLenzuola. "Come stai?"
"Mhhhhbene,"
sbadiglia. "Che ore sono?"
"Tardi,"
Olaf si siede. I piedi arrivano appena al margine del
letto. Le sorride.
"Tardi
quanto?"
"Uh-huh."
"Olaf,
tardi quanto?"
Il
suo sorriso di allarga. "Uh, sì."
E'
il sorriso di un pupazzo di neve che si è mangiato il topo,
e Anna
stringe gli occhi, arriccia le labbra, e chiede, lentamente, "Che
succede?"
"Allora,"
Olaf batte le mani, producendo un suono secco, uno
schiocco, e sbatte le palpebre rotonde, "com'è andata la
serata con
Kristoff?"
"Olaf!"
"Così
bene, huh?" Tira un sospiro smielato. "Ma allora voi
due vi amate davvero."
"A-amate?
No, chi ha detto niente—ok, adesso stai saltando alle
conclusioni." Anna si aggrappa in cerca di un appiglio e si alza,
cercando
di strofinare via dagli occhi appiccicati la sensazione di morte. I
calzini
scivolano un po' sul pavimento liscio.
"Che
cos'è?"
"Huh?"
Olaf
tiene in mano il cristallo arancione sfaccettato, osservando
le
sue profondità, tizzoni tremolanti, con una specie di
incanto infantile.
"E' così caldo," sussurra affascinato.
"Ecco,
Olaf, non credo che ti faccia bene stringerlo in mano,"
Anna esclama, togliendoglielo—le braccia avevano iniziato a
emettere fumo—e
stringendoselo al petto. Ecco di nuovo il calore, che avvolge tutto,
che inizia
dalla punta delle dita e la percorre tutta fino alle piante dei piedi.
Sospira,
soddisfatta.
"Che
cos' è?"
"Un
cristallo di fuoco. Kristoff l'ha preso per me."
"Ma
allora ti ama davvero."
Anna
armeggia a disagio, e poi, con tutta la grazia di una gazzella che ha
solo tre zampe, balza fino al tavolo da belletto, mormorando qualcosa a
proposito di spago o nastro per fare del cristallo una collana. Trova
un
vecchio pezzo di spago spinto nei recessi di un cassetto, probabilmente
un
progetto d'arte abbandonato quando era piccola, e procede ad avvolgerne
un capo
più volte attorno alla base del cristallo. Inizia a misurare
la lunghezza.
"E' tutto quello che volevi, Olaf?" chiede, mordendosi la lingua
dalla concentrazione, allungando la mano in cerca delle forbici.
Continua,
cupa, "Interrogatori?"
"Oh,
no, non essere sciocca. Elsa ha altre visite."
"Huh?"
Scivola, e le forbici quasi le tranciano il pollice.
"Uh-huh.
Due uomini. Nella sala del trono."
Anna
si acciglia, reggendo la collana improvvisata, e scrollando le spalle.
Questo è quello che passa il convento,
pensa, e poi, "Ehi, Olaf, ti
dispiace uscire, subito? Devo vestirmi."
Elsa
osserva lo specchio, e una donna bianca come la neve le restituisce lo
sguardo, occhiaie sbiadite sotto gli occhi stanchi. Raddrizza le
spalle,
ignorando la schiena dolorante, la fatica che le rode i pensieri ai
margini. Ha
la mente piena di luce delle stelle.
"Regina
Elsa?"
"Sì,
arrivo." Si alza dal tavolino da belletto, facendosi strada
tra i detriti sparsi sul pavimento. Si ferma appena prima della porta,
quanto
basta per stringere le mani a pugno ai lati del corpo e calmare i
nervi, quanto
basta per tirarsi su il pizzo ghiacciato del vestito. Poi appoggia la
mano sul
pomello d'oro, lo gira, e si ritrova faccia a faccia con Kai, delineato
dal
sole splendente nel corridoio. Scivola fuori in fretta, e chiude la
porta
dietro di sé.
"Gli
ambasciatori—" comincia.
"Ancora
nella sala del trono. Ho mandato un messaggero a convocare il
Principe delle Isole del Sud, ma non è ancora
arrivato—"
"Non
mi aspettavo che lo facesse. Mandatelo in biblioteca non appena
arriva. E Kai?"
"Sì,
vostra maestà?"
"Fallo
con riservatezza, te ne prego."
"Si,
maestà. Certo."
Annuisce,
la treccia che le sfiora il collo nudo. Aveva messo via quel
vestito dopo quella volta in cui avevano pattinato, e non l'aveva usato
da
allora, ma se doveva accettare questa sfida, l'avrebbe fatto secondo le
proprie
regole—sta per girare l'angolo del corridoio quando sente un
piccolo colpo di
tosse. Volta la testa. "Sì?"
"Se
mi permettete, maestà," e Kai sorride cortese, il mento che
si riempie di rughe. Era stato sempre così cortese con lei,
così come tutto lo
staff—l'immagine perfetta del decoro. Sospettava che fosse
per paura. "Mi
sono preso la libertà di ritirare la corona di vostra nonna
dalla camera blindata;
So che ha—perso la sua in tutta quella confusione".
Non
vuole dirgli che "perso" non è il termine esatto; che lanciata
giù dalla montagna sarebbe stata l'espressione
più appropriata. Perché era
stata forgiata appositamente per lei da
sua madre, tutta punte
affilate e angoli rigidi. Ma si trattava di sua madre, e a Elsa non
interessava
poi un granché.
La
corda è cucita a una custodia di color viola scurissimo. Kai
tira i capi
con attenzione ed estrae una corona che brilla ipnotica ai raggi del
sole che
si rifrangono sulla sua superficie trasparente. Sembra fatta di
cristallo,
tutta composta da fiori e stalattiti di ghiaccio, con una punta a
cappio; ed
Elsa tira improvvisamente in dentro un respiro, perché
è decisamente meravigliosa.
"Era
di mia nonna?" chiede, prendendola con attenzione.
"Fu
detto al mio predecessore che è appartenuta alla prima
regina di
Arendelle. Ovviamente, la moda decretò ben presto che
smettesse di essere
indossata, ma finchè la vostra nuova corona non
sarà pronta credo che possa
assolvere bene il suo compito."
Elsa
afferra il delicato cerchio di cristallo ritorto, e nel preciso
istante in cui le sue dita toccano il vetro, questo inizia a
risplendere di
colori insoliti—blu glaciali, verdi freddi, viola intensi,
forme che vorticano
sotto la superficie in una maniera che le ricorda il suo palazzo di
ghiaccio—poi sbatte le palpebre, e la visione svanisce. Si
poggia la corona sul
capo. "Grazie, Kai," sorride. "Assolverà il suo compito
splendidamente."
"Vivo
per servirvi," Kai si inchina, e ha un aspetto
infinitamente soddisfatto. "Devo informare gli ambasciatori del vostro
arrivo?"
"Sì,
fallo, per favore. Ti ringrazio."
Kai
si affretta lungo il corridoio. Lo guarda andar via, con la borsa di
velluto, ormai vuota, che gli picchia contro il fianco. E’ da
sola, a guardare
fuori dalle finestre. Era una mattinata luminosa e splendida, ma era
già così
tardi; si chiede se la notte precedente sia stata uno sbaglio.
Ma
no.
Si
volta, allacciando le mani avanti a sé, meravigliandosi
della quasi
assenza di peso della corona, e poi sposta lo sguardo di lato,
distogliendolo
dalla città, ed ecco la porta di Anna, serrata. Si ferma
davanti a essa.
Si
morde il labbro, sollevando una mano tremante stretta a pugno.
E
se non apre?
E
poi la porta si spalanca da sola. Elsa sobbalza, stringendo il pugno
chiuso al petto, un getto di brina che parte dal passo indietro che ha
fatto e
colpisce il muro dietro di lei con un thud sordo.
Anna la guarda
sbattendo le palpebre, la mano ancora sul pomello, e poi la sua bocca
si
schiude in un sorriso tutto denti.
"Ciao!"
"Ciao,"
Elsa sorride, mentre ancora cerca di calmare il respiro.
"Mi hai spaventata."
"Mi
hai spaventata tu, di più—ma per caso stavi per bussare?"
Il
sorriso di Elsa si trasforma in una specie di smorfia.
"…forse?"
"No!
No, è fantastico, non credere che— Voglio
che bussi.
Voglio dire, puoi anche entrare e basta, ma bussare va bene. Buon
inizio. Buon
giorno, a proposito," Anna conclude, uscendo nel corridoio e chiudendo
la
porta dietro di sé. Indossa il vestito verde che aveva
all’incoronazione, Elsa
nota, la smorfia che diventa un cipiglio confuso—
Perché
non aveva visto Anna indossare altro che vestiti a maniche lunghe
da—quel periodo, e come faceva lei a
sapere—
"Olaf
mi ha detto che c’erano due tizi nella sala del trono.
Quindi,
tipo, lo sapevo che avrei dovuto fare la guardia del corpo,
perché sono così—grr,
sai." Fa una smorfia e alza i pugni. Elsa smorza la risata nella mano.
"Molto
grr."
"Esatto.
Quindi, chi hai detto che devo grrare?"
Elsa
si lecca le labbra. Non era arrivata ancora a pianificare questa
parte, la fase diglielo. Indica lo spago
sfilacciato che Anna tiene
attorcigliato al collo, e la brillante gemma arancione che vi
è appesa.
"Che cos’è?"
"Questo?
Un cristallo di fuoco, da Kristoff," sorride fiera, ma
poi le si spalancano gli occhi e continua in tono nervoso, frettoloso,
"Non che abbia freddo o niente, solo perché pensavo fosse
carino.
Sai."
"Molto
carino," Elsa concorda.
"Ok,
aspetta, mi hai appena distratta. Non farlo più. Chi devo
picchiare?"
"Non
picchierai proprio nessuno."
"Chi
devo abusare verbalmente?" corregge.
"Anna,
ascoltami. Per favore, non—dare di matto."
"Dare
di matto? E chi ha detto niente sul dare di matto?"
"Devi
essere cortese. Ricorda, sei una—"
"Una
principessa, lo so, cioè, lo so da quando
ero, alta così,
quindi, dimmi." Pausa. "Ma quella corona
è nuova?"
Elsa
inizia a camminare. "Adesso chi distrae chi?"
"Io,
mi distraggo da sola."
Elsa
sorride, stringendo le mani avanti a sé. Fa passi lenti,
perché non ha
alcuna fretta di scendere le scale a spirale, di entrare nella sala del
trono,
di presentarsi al cospetto di quei due—
Due—
"Sono
arrivati due ambasciatori dalle Isole del Sud."
"Che
cosa."
Elsa
sussulta. "Due ambasciatori," ripete. "Due fratelli del
re—"
"Altri
due dei fratelli malvagi di Hans? Intendi come quel
buono a nulla di Albert—"
"Non
è così orribile come—potrebbe essere."
"Beh,
nemmeno tu sembri troppo convinta, quindi," Anna sbuffa,
strascicando il piede al suolo. "Continuano a spuntare dalla neve! Come
margherite!"
"Ho
ricevuto una lettera, poco dopo l’—incidente," Elsa
continua,
sentendo il bisogno di spiegarsi, "in cui c’era scritto che
sarebbero
stati mandati. Speravo che il Principe Albert potesse intercettarli, ma
la sua
nave aveva bisogno di essere riparata, e io ero—pensavo che
la cosa migliore
sarebbe stata aspettare," termina, vaga, lottando contro
l’impulso di
strofinarsi gli occhi.
"Voglio
dire, ma chi è che fa tredici figli? Cioè, quale folle
nel pieno delle sue facoltà mentali decide, oh,
ehi, voglio mettere su una
squadra di cricket—"
"In
realtà," Elsa fa ai propri piedi, e non riesce a credere di
stare per dirlo ad alta voce, per ammetterlo, ma—"In
realtà, speravo che
non sarebbero mai arrivati."
Anna
fa un respiro profondo e chiude la bocca. Smette di camminare. Anche
Elsa, un momento dopo, si ferma. Guarda in tralice il viso lentigginoso
della
sorella.
"Elsa,"
Anna esclama. "Non ti sto incolpando. Sono stufa
delle Isole del Sud, e non ci sono neanche mai stata! Senti," e Anna fa
un
passo verso di lei, e le afferra la mano. "Hai fatto la cosa giusta.
L’hai
fatto. E adesso," Anna prende Elsa a braccetto, e i loro gomiti si
toccano, e poi con la mano libera fa un saluto militare, "presenteremo
un
fronte unito, e diremo a quegli ambasciatori grazie, ma non ci piace
quello che
offrite, quindi andate a fan—"
"Anna!"
Elsa la interrompe con una risata sconvolta, e non riesce
nemmeno lontanamente a dire, Principessa, ricordi?
Invece, guarda grata
sua sorella.
Fronte
unito,
Elsa pensa, un sorriso piccolo e fragile.
Avrebbe
potuto abituarcisi.
Kristoff
apre gli occhi e vede il soffitto opaco, marrone e piatto delle
stalle, e il suo mondo è pervaso dal rumore di una vanga che
gratta sul rozzo
pavimento di pietra. Qualcuno stava pulendo la stalla. Si agita un
po’ nel
mucchio di fieno, sputando fuori un paio di pagliuzze e togliendosi
dagli occhi
pelo di renna. Pelo di renna, ma come ci—
Volta
la testa, e Sven è tanto vicino da fargli respirare una
lunga, bella
zaffata del suo alito mattutino
Schifo—
"Sven,"
inizia paziente, osservando gli occhi della renna
aprirsi, offuscati. "Cosa avevamo detto a proposito dello spazio
personale?”
"Sei
tu quello che è entrato dopo che mi ero addormentato, Mister
stavo – pomiciando – con – una
-principessa.”
"Prima
cosa, non era necessario. Seconda cosa, non stavo pomiciando
con lei. Stavamo solo parlando. E roba.
"Roba
tipo pomiciare”.
"Sven,"
Kristoff geme esasperato, spingendo via il muso
dell’amico, solo per non vedere più il suo ghigno
soddisfatto. Si siede in
fretta, ravviandosi i capelli, e ciuffi di paglia ricadono nel suo
grembo.
Probabilmente
avrebbe dovuto smetterla di dormire nelle stalle.
"Ho
provato a dirle che la amo," comincia, guardandosi le mani,
aprendole e chiudendole tanto per, e di tutte le cose che erano
successe la
scorsa notte, perché pensa proprio a quello, eh?
"E?”
"E
aveva l’aria di una che sta per avere un infarto, quindi non
l’ho
fatto”.
"Ha
solo bisogno di tempo”.
"Ma
quanto tempo?" Kristoff geme, cercando di alzarsi.
Gli
serviva proprio un bagno. "Un giorno o l’altro mi
uscirà, e non potrò
evitarlo.
"La
ami così tanto?"
Pensa
al modo in cui lei sta bene tra le sue braccia; al modo in cui
parlava, parlava e parlava per ore delle sciocchezze; il modo in cui
non si
sentiva infastidito da lei, in cui non sentiva più il
bisogno di vagare tra le
montagne per stare da solo, non più—
"Sì,"
sospira, desiderando che le cose stessero diversamente.
"Si, credo di sì."
Anna
si dice di rimanere calma, si dice stai calma, ma
siamo onesti,
è completamente e totalmente prevenuta contro chiunque porti
il cognome Isole
del Sud, quindi quei due tizi erano spacciati in
partenza—
Entra
nella sala del trono subito dopo la sorella, passando da una porta
laterale. Un ciambellano esclama, "Fa il suo
ingresso, Elsa Regina
di Arendelle. Fa il suo ingresso, Anna Principessa di Arendelle," e la
sua
voce profonda risuona in tutta la stanza vuota. Anna si concentra sulla
scia
dritta e scintillante che segue il vestito di Elsa, osserva sua sorella
salire
sulla predella e sistemarsi sul trono rigido come fosse la cosa
più
confortevole del mondo. Il suo viso è
illeggibile—ma calmo, sereno. Anna
avrebbe quasi potuto credere che lo fosse, se non
fosse stato per i
piccoli vortici di ghiaccio che continuavano a spuntare dalle
punte delle
sue scarpe col tacco di cristallo.
Per
un momento dopo che Elsa si è seduta, si blocca, non essendo
sicura di
dove sistemarsi, ma erano un fronte unito, no? Quindi si regge le gonne
con una
mano e fa un passo, due, e si ferma in piedi accanto al trono rosso e a
sua
sorella su di esso. E poi alla fine, alla fine alza
lo sguardo.
"Fa
il suo ingresso, il Principe Viktor delle Isole del Sud,"
annuncia il ciambellano, e Anna non può fare a meno di
cercare le guardie con
lo sguardo, ed eccole lì, al capo opposto della sala,
accanto alle porte
principali—"Fa il suo ingresso, il Principe Tomas delle Isole
del
Sud."
"Vostra
maestà," due voci identiche fanno all'unisono, nel loro
tono una riverenza evidente, ed è in quel momento che la sua
attenzione si
concentra sulle due figure in piedi al centro della stanza, e non
è
possibile—
Gemelli,
pensa, alquanto disperata. Gemelli, sul serio—
Si
raddrizzano, due facce identiche che restituiscono il loro sguardo da
parecchi metri di distanza, resi all'apparenza più piccoli
dai lampadari
dorati sotto i quali stanno in piedi, due pesci fuor d'acqua, sul
pavimento di
legno decorato. Si costringe a rimanere immobile, anche se
all'improvviso sente
l'impulso di prenderli a pugni tutti e due,
perché hanno i capelli dello
stesso colore di quelli di Hans—quel castano ramato, quel
colore orribile, e
sicuro, è di parte, ma i loro occhi hanno un'aria—strana.
Sorridono
educatamente, guardando oltre i nasi dritti e affilati e gli zigomi
alti e
scolpiti. La loro unica vera differenza, Anna riflette, lottando contro
l'istinto di sputare (cosa che probabilmente non le avrebbe fatto
guadagnare
punti nelle grazie della sorella, e niente—) era che uno era
leggermente più
massiccio dell'altro.
Ma
gemelli, e dai—
"Principe
Viktor, Principe Tomas," Elsa comincia disinvolta,
senza scomporsi, e Anna, forse per la prima volta, ammira la
capacità di sua
sorella di stare calma, perché avrebbe voluto abbandonarsi a
una crisi isterica
in quel preciso istante e fare qualcosa di eroico,
tipo tagliare le
corde che reggevano i lampadari e oops, vi sono caduti in
testa, mi spiace
tanto—"Sono spiacente per l'attesa. Mi stavo
occupando di altre
questioni. Non mi aspettavo che arrivasse così in fretta."
"Siamo
partiti subito dopo esserci occupati del nostro—sfortunato
fratello," Gemello A inizia. "Volevamo presentarvi le nostre scuse
più sincere, di persona."
"Ma
certo," Elsa risponde, glaciale. "E magari assicurarvi
che le relazioni commerciali con le Isole del Sud sussistano ancora?"
"No,"
Gemello B scuote la testa, allacciandosi le mani dietro la
schiena, "no, davvero, Regina Elsa, siamo sul serio qui solo per
scusarci
del comportamento sconveniente di nostro fratello."
"Comportamento
sconveniente?" Anna non si trattiene. La sua voce
è aggressiva, piena di furia a malapena repressa. "Ha
tentato di
assassinare mia sorella."
"Anna,"
Elsa avverte, sottovoce.
"Non
possiamo fare altro," Gemello A comincia di nuovo, un'occhiata
tagliente diretta al fratello, "che offrire le nostre più
umili scuse, e
sperare che le nostre relazioni possano rinascere, nuove. Portiamo con
noi le
buone intenzioni di Re Alfons, e la speranza del nostro Paese."
Wow,
come se questo
non si chiamasse esagerare—
"Di
certo, compiremo dei passi," Elsa esclama. Anna le lancia
un'occhiata. Ha la schiena rigida come lo schienale del trono, come una
grossa
lastra di ghiaccio, il volto duro e freddo. E' in tutto e per tutto la
regina.
"Verso quale direzione, è ancora da vedere."
Ed
è così che facciamo le cose ad Arendelle, schifosi—
"Nel
frattempo, sono sicura che entrambe siate affaticati dal viaggio.
Posso suggerire una visita al palazzo? E la cena, dopo, certamente."
"Un'idea
deliziosa, sua maestà."
Anna
non può fare a meno di fare una smorfia al pensiero di tutti
e due che
vagavano in preda a frenesia omicida con qualche povero disgraziato
lì a
seguirli—
"Mi
perdonerete, se ho altri questioni di cui prendermi cura, ma mia
sorella sarà più che felice di farvi da guida."
Anna
ruota su sé stessa, la bocca spalancata, ma Elsa
è già in piedi,
lisciandosi la gonna, "A stasera, dunque," dice. Anna la segue,
ancora boccheggiante, ma prima che possa essere tutta un, scusami,
non mi
sono offerta volontaria per una cosa del genere, questo non
è un fronte
unito, carissima sorella, Elsa si ferma accanto a
lei e mormora,
"Ti prego, Anna. Ho bisogno che tu mi dica se assumono
comportamenti—sospetti."
Anna
prova a far funzionare la bocca, e alla fine ci riesce, con un sonoro
sospiro.
"Solo avvertimi la prossima volta."
Elsa
annuisce. Ha l'aria di qualcuno che si è piegato troppo.
Quasi
spezzato. Anna si morde il labbro, e non può farne a meno,
deve
chiederlo—"Perché non racconti loro di Albert?"
Elsa
sbatte le ciglia. "A tempo debito."
Esce
dalla sala.
Anna
sospira, prendendosi un lungo momento per calmarsi e tenere sotto
controllo la rabbia bruciante che era sul punto di
trasformarla in una
maniaca omicida—un'eroica maniaca, giustamente motivata, ma
comunque una
maniaca—prima di voltarsi, scendere i due scalini della
predella, e affrontare
gli occhi scaltri dei gemelli.
"Beh,"
esclama, senza entusiasmo. "Che il tour abbia
inizio."
"E'
in biblioteca, vostra maestà."
Elsa
apre le porte bianche e trovare Albert col naso incollato alle pagine
di uno dei libri non la sorprende. Sobbalza al suo ingresso, apparendo
subito
colpevole. Chiude il libro di scatto.
"E'—ah—scusa,” balbetta, guardando
su e giù. Spalanca gli occhi. "Sei, uhm," e gli si strozza
la voce,
diventando più acuta, e manda giù imbarazzato un
colpo di tosse. Si riconcentra
sul libro che ha in mano.
Scuote
la testa, divertita. Una perlustrazione veloce della stanza, e sono
da soli, nient'altro che un fuoco morente nel caminetto e una pila di
documenti—ignorati la notte prima—sulla scrivania.
"Che libro è?"
chiede, cercando di mantenere un tono leggero, ma è
difficile. Così difficile.
"E'—ah—Le
Morte D'Arthur. Lo leggo per i duelli di spada" mormora,
quasi a sé stesso, infilando con attenzione il pesante tomo
tra gli altri sullo
scaffale. La guarda con aria timida, alzando gli occhi da dietro ai
ricci che
gli ricadono sulla fronte. "Il vestito," dice.
Aggrotta
le ciglia, all'improvviso imbarazzata. Guarda in giù, in
fretta.
"Cos'ha che non va?"
"Non
ha niente che non va, non—è che—" si
strattona la manica
della giacca. "Sembra luce delle stelle."
E
la notte precedente ritorna, investendola, il ronzio inebriante
dell'alcool, la sensazione di libertà della danza, il volto
di lui vicino al
suo—scuote la testa. "In quel caso sarebbe un vestito poco
pratico,"
afferma, incrociando le braccia
Rimangono
così per un momento, silenziosi, immobili. Si chiede come si
suppone che debba rivolgerglisi, e ha la sensazione che la sua
scelta, quella che avrebbe fatto a momenti, avrebbe deciso
come stavano le
cose tra di loro, e si chiede perché—"Principe
Albert,"
inizia, ed è sua impressione, o le sue spalle cascano,
leggermente? Non poteva
riportare alla luce la notte precedente, non poteva più far
finta di non
essere una regina. Adesso doveva occuparsi del problema in questione.
"Principe Albert, ha visto nel porto la nave delle Isole del Sud?"
"Che,
la mia, intende?"
"No.
Un'altra."
"Io—io
no, ma tanto, non ero molto attento alle cose attorno a me la
scorsa notte o—o questa mattina," conclude, strattonandosi di
nuovo la
manica, guardando velocemente l'avambraccio. Aveva davvero
l'aria
di uno che è uscito di corsa; ma gli occhi non avevano
più un'espressione
entusiasta. Aveva forse pensato—
Pensato
che gli avrebbe detto—
Che
l'avesse chiamato per dirgli—
Scuote
la testa, facendo tre passi svelti circondati da anelli di brina, e
sistemandosi nella sedia dietro la scrivania. "Una nave che trasporta
ambasciatori. I suoi fratelli."
"Che?"
"Li
ho appena incontrati nella sala del trono. I principi Viktor e
Tomas, come promesso."
"Dannazione—voglio
dire—scusi, non volevo—" Albert emette un
suono frustrato, passandosi le mani tra i capelli. "Non mi aspettavo,
quando mi ha detto della lettera, che arrivassero così in
fretta—"
"Nemmeno
io."
"—ovviamente,
probabilmente hanno avuto l'aiuto di mio fratello—un
tocco—un pizzico di magia nera." La guarda, e i suoi occhi
sono fissi, e
dice, "Mi dispiace."
"Per
cosa?" Elsa sospira, osservando le carte sparse sulla
scrivania. "Semplicemente, sono stata troppo lenta nello stilare una
risposta. Non li ha chiamati lei. Non ho," si stringe in grembo le mani
a
pugno, "detto loro che è qui."
"Beh,
dovrò farlo. Non posso nascondermi proprio sotto il loro
naso
per sempre," afferma, voltandosi a guardare fuori, borbottando, ed Elsa
pensa che in teoria non avrebbe dovuto sentirlo, "Per quanto lo
vorrei." Alza la voce. "Hanno già annunciato il motivo del
perché
sono qui?"
"Quello
ufficiale? Solo per porgere delle scuse." Si ferma,
osservando gli angoli della bocca di Albert piegarsi verso il basso.
"Stasera ceneranno con mia sorella e me. Dovrebbe unirsi a noi."
"Sì,"
Albert fa, distratto. "Sì, d'accordo,
ma—è davvero
questa? La ragione?"
"Sì,"
Elsa si acciglia. Vuole chiedergli perché all'improvviso
sia immobile, silenzioso, tranne che per le mani che non smettono di
muoversi
veloci. Dice, "Progettavo—voglio dire, pensavo che il modo
migliore di
gestire questa situazione sia—intrattenerli per alcuni
giorni, assicurar loro,
almeno, che non porto rancore alle Isole del Sud, e poi rimandarli a
casa." L'aria è diventata pesante e insopportabile, a un
certo punto negli
ultimi minuti, ed Elsa si sforza di alleggerirla, in qualche modo.
"Immagino sia più cortese di cacciarli via a calci, e basta."
"Mhmm,"
Albert risponde, guardando ancora fuori. Il cipiglio di
Elsa si fa più marcato, lo sguardo fisso sulla schiena, e
non può farne a meno,
le sfugge dalle labbra che tiene sempre più
premute—
"Dovrebbe
saperlo, non li ritengo particolarmente affidabili."
Albert
finalmente si volta, nei suoi occhi un'espressione illeggibile.
"Non
lo sono,"risponde. "Mi creda."
"E
questa è la galleria d'arte," Anna fa in tono piatto,
esaminandosi
le unghie, tentando di mantenere il batticuore al minimo, tentando di
ignorare
la sensazione di essere da sola con due lupi famelici. "Qui troverete
l'arte."
"Affascinante,"
Tomas—il più magro dei due, ha
imparato—biascica.
"Ci dica di più, la prego."
"Sono
stati dipinti," risponde. "Con della pittura."
Era,
letteralmente, peggio che ballare col Duca di Weselton.
Il
che diceva tutto.
"Secondo
lei quanto è spesso questo vetro?" Tomas chiede,
colpendo piano la finestra accanto a lui. "Di sicuro deve avere una
resistenza notevole, per sopportare gli inverni che Arendelle deve
affrontare."
Anna
deglutisce a fatica. "I più resistenti che ci siano,"
risponde.
"E
i preparativi per la cena?"
"Procedono,
vostra maestà. Il cuoco ha preparato tre portate, e in
più
il dessert."
"Assicuratevi
che ci sia il cioccolato." Elsa non aggiunge, perché
è il preferito di Anna, e quando tornerà
sarà di cattivo umore.
Ma
lo pensa.
"I
sacrifici che faccio per te, Elsa, ti giuro, è stato brutto
quanto
quelle lezioni di geografia che prendevo da piccola—no, me lo
rimangio, è stato
peggio—" Anna si ferma sulla soglia, e
rimane a bocca aperta.
Sua
sorella era alla scrivania, ma quella sottospecie di principe Albert
se ne stava seduto sulla chaise longue, e leggeva un libro.
Da
quand'è che sua sorella permetteva agli uomini
di venire a
leggere i loro libri?
"Oh,
non tu," Anna abbaia, perché per quel
giorno ha
raggiunto la sua quota massima di sottospecie di principi. Il Principe
Albert
scatta immediatamente in piedi, e sul serio, i suoi occhi assomigliano
davvero
a quelli di Hans, davvero troppo a quelli di Hans —
"Anna!"
Elsa fa, shockata.
"Devo
parlarti. Da sola." E questa volta non avrebbe
accettato "no" come risposta.
"Allora
io—scusi, è stata—aspetterò
fuori,” il principe Albert
balbetta, lasciando cadere il libro sulla chaise e oltrepassandola di
fretta,
fuori dalla porta. Anna la chiude dietro di lui con un calcio, le mani
strette
a pugno, ed Elsa si alza in piedi, e una volta tanto c'è
qualcosa sul suo
viso—un cipiglio. Beh, bene,
qualcuno doveva iniziare a parlare
in maniera sensata, e se doveva essere Anna a farlo, così
sia—
"Quindi
può venire a palazzo, ora?" le chiede, incrociando le
braccia. "Come se nulla fosse?"
"Non
puoi trattare le persone così, Anna, e
non mi interessa
come tu ti senta nei loro confronti—"
"Ma
come—Elsa, la mia fiducia verso di loro equivale
più o meno alla
distanza a cui riuscirei a scaraventarli via, che, fidati, non
è molta."
Fa un respiro profondo, forzandosi a trattenerlo fino al tre, guardando
Elsa
appoggiare una mano sulla scrivania e pizzicarsi la sommità
del naso con
l'altra.
"Fai
così," inizia, gli occhi chiusi, "fai così
perché ti ho costretta
a fare una cosa?"
Anna
fa un verso indignato. "Non riesco a crederci, sai benissimo
che voglio aiutarti—prendi tutti i pesi sulle tue spalle, e
poi scarichi una
cosa del genere—no, Elsa, non è
perché mi hai costretta a fare
qualcosa, è perché ho appena passato
tre ore a fare la guida turistica di
quei principi, e hanno qualcosa che non mi convince."
Respira a
fatica. Non riesce a trattenersi. E' così furiosa—"E,
ok, forse
non mi sono comportata proprio benissimo, ma erano così cortesi,
anche
quando io non —"
"Non
sei stata cortese?" Elsa sembra orripilata.
"Anna!"
"—ero
particolarmente interessata, e
io—io—urgghah!"
urla, lanciandosi sulla sedia più vicina, prendendosi la
testa tra le mani. Non
è arrabbiata, non davvero. Beh, forse un pochino. Ma per lo
più ha solo paura,
perché i gemelli le ricordavano dei lupi, lupi famelici, ma
non sapeva perché,
quando o come—"Mi hanno fatto continuamente domande sulla
struttura del
palazzo. Gli ho detto che non lo sapevo." Fa un sospiro profondo.
"Non sono qui solo per scusarsi."
"Credi
che non lo sappia?" Elsa sospira, e poi si abbandona,
cadendo pesantemente sulla sedia, anche lei.
Un
momento. Un altro. Anna alla fine dice, "Scusa."
"Non
ti scusare."
"Ma
poi entro qui e ti trovo con—lui!" Anna
sussurra,
furtiva, gesticolando in direzione della porta chiusa dietro di lei.
"E legge un libro!"
"Dovevo
capire quale fosse il miglior modo di agire, per andare
avanti," Elsa sfa, evasiva, e Anna stringe gli occhi.
"Legge
un libro, Elsa."
"Anna,
ti prego." Elsa si torce le mani. Anna si guarda i
piedi, le scarpette nere, e si accorge che le dita stanno avanzando
verso il
cristallo che tiene appeso al collo. Si chiede cosa stia facendo
Kristoff in
quel momento.
Le
manca.
"Non
mi fido di nessuno di loro. Come si suppone che riusciamo a
mandarli via?"
"Gli
diamo quello che vogliono," Elsa dice, guardando fuori.
"Aggiustiamo la nave di Al—del principe Albert, e facciamo le
carine con
gli ambasciatori. Li mandiamo a casa, e diciamo loro addio per
sempre."
E
non può evitarlo, è come se scivolasse via dalle
labbra, così piano che
all'inizio pensa che Elsa non l'abbia sentita—"Vorrei tanto
che mamma e
papà fossero qui."
Elsa
fa, "Ma non ci sono."
Anna
guarda sua sorella, e prova la stessa sensazione, di essere talmente
piegata da star per spezzarsi. Chiede, "Cosa vuoi che faccia?"
Elsa
chiude gli occhi ancora una volta, ed è in quel momento che
Anna nota
il gelo e il ghiaccio formatisi agli angoli della stanza, lungo i bordi
della
scrivania, ma non l'aveva sentito—non aveva sentito la
temperatura calare di
dieci gradi, nemmeno un brivido—si ritrova con le mani vicine
al cristallo. Sua
sorella finalmente riapre gli occhi e afferma, "So che vuoi essere
d'aiuto."
Anna
annuisce vigorosamente.
"Ho
bisogno che domani porti i principi a visitare le montagne. Ho
bisogno che mostri loro che sono impenetrabili."
E
lo capisce. Capisce il perché. Non mettetevi
contro Arendelle, non ci
avrete mai. Quel genere di cose.
"Porta
Kristoff con te."
"Se
verrà. Convincerlo a socializzare è come
convincerlo a farsi un
bagno."
E,
in un momento, la tensione si spezza. Anna ridacchia, ed Elsa sorride,
e
si guardano, e quest'ultima dice, perché sente che
è la cosa giusta da dire,
"Presto sarà tutto finito, e potremo ritornarcene a
progettare
balli."
"Magnifico."
Anna
si alza in piedi, lisciandosi il vestito. "Beh, vado a cercare il
mio montanaro—voglio dire, il montanaro, non
è—vado a cercare Kristoff."
Va alla porta. "Ma, Elsa?" Guarda indietro. "Non mi fido di lui.
Non Kristoff, di lui mi fido, non mi fido di—" Fa un cenno
col mento
avanti a sé.
Sua
sorella, dopo un momento, annuisce.
Anna
apre la porta. Il principe Albert sta aspettando nel corridoio dei
ritratti, strizzando gli occhi in direzione di un angolo di un quadro
appeso al
muro. Sobbalza sentendo il rumore, e poi prova a fare un veloce abbozzo
di
sorriso, che immediatamente scivola via quando lei non lo ricambia.
"Ah,
salve."
"Principe
Albert?" sua sorella chiama.
"Si,
sono—solo—mi scusi," inciampa, oltrepassando Anna,
tenendosi
a debita distanza, ed ecco che entra in biblioteca, e dice, "Sapeva che
in
uno dei suoi ritratti la pittura si sta scrostando in un angolo?"
La
porta si chiude.
Anna
aggrotta le sopracciglia, e pensa ai lupi.
"Dobbiamo
che?"
"DiciamoportarealtridueprincipidelleIsoledelSudafareuntourdellemontagne?"
"Ma
perché continuano a spuntare? Come margherite!"
"E'
esattamente quello che ho detto io!" Pausa.
"Allora, lo farai?"
"Immagino
di sì. Solo—stammi vicina, okay?"
"Pfh,
Kristoff. Credi che sia stupida?"
"No.
Solo spericolata."
"Il
suo castello è davvero incantevole, Regina Elsa."
"Vi
ringrazio," Elsa risponde, cortese, lottando contro il
ghiaccio che si forma attorno alle caviglie, e che attacca il cuscino
della
sedia. Di sicuro lo sapevano; di sicuro—lui
gliel'aveva detto. Si
concentra sui piselli. "Ma dovreste vedere le montagne—sono
ancora più
incantevoli in questa stagione."
"E'
la calura," sua sorella interrompe con un sorriso. Elsa sa
benissimo che non è un sorriso che arriva agli
occhi—ma vuole ringraziarla, per
il tentativo. "Quaggiù. Quando siete là sopra,
è tipo—wow! Neve in
estate!"
"Saremmo
lieti di godere di più dei panorami di Arendelle," il
più magro dei gemelli dice, ed Elsa pensa che sia lui, per
qualunque motivo, il
portavoce per tutti e due. "Di fatti, stavamo proprio per chiedere il
permesso di visitare le campagne circostanti."
Elsa
sente la bocca farsi secca. Mentiva? Stavano per chiederlo davvero? O
stava solo implicando che ne avessero intenzione per,
per—per—
Per
fare cosa?
"Verrà
qualcun altro?" il più massiccio dei due indaga, gli occhi
fissi sul posto vuoto di fronte a lui, il cibo disposto e coperto.
"Credo
che sia così, sì," Elsa fa, cercando di restare
calma.
"Anna sarà lieta di farvi da guida, domani."
"Considerato
il magnifico lavoro che ha fatto quando ci ha mostrato il
castello," il gemello più magro esclama, piccato, con un
sorriso teso,
"ne saremmo onorati."
Anna
risponde cortese, ma a labbra strette. Per una volta, comunque, tiene
la bocca chiusa, ed Elsa è grata—sorpresa, ma
grata. "Magnifico,"
Elsa ripete, rompendo il silenzio. "Partirete domattina presto,
allora."
In
quel momento si aprono le porte della sala da pranzo, lasciando
intravedere, oltre, l'ingresso illuminato dalle candele, ed Elsa si
tampona la
bocca col tovagliolo, gli occhi fissi sui due ambasciatori.
"Ecco
il nostro quinto ospite," afferma.
"Fa
il suo ingresso," un ciambellano annuncia, " il Principe
Albert delle Isole del Sud!"
E
così, era giunto il momento.
Si
sente il suono di argenteria che sbatte sulla porcellana, e
poi i
gemelli scattano in piedi, le bocche spalancate dalla sorpresa mentre
Albert fa
il suo ingresso alla luce della sala. Ha la schiena rigida come una
tavola, il
volto impassibile; aveva tentato di lisciarsi i capelli all'indietro,
ma già
gli ricadevano scompigliati sulla fronte.
"Albert?"
"Fratello!"
I
gemelli corrono avanti, lungo il tavolo, e Albert corre avanti,
attraversando la sala, e si incontrano a metà, una calca di
abbracci mascolini
e pacche sulla schiena e sorrisi allegri. "Abbiamo temuto il peggio,
dopo—"
"Non
abbiamo visto la tua nave, nel porto—"
"Hans
mi ha indicato direzioni sbagliate all'altezza di Corona;
l'albero della mia nave è stato abbattuto da un temporale,
il che spiega il
fatto che non abbiate visto la nostra bandiera." Elsa sbatte le ciglia.
La
voce di Albert è sicura e disinvolta—diversa. I
suoi occhi scattano verso di
lei. Abbassa in fretta il proprio sul piatto, ma può sentire
lo sguardo della
sorella che le scava un buco nel cranio, e sa che Anna muore dalla
voglia di
dire, vedi, non mi fido, non—
"Regina
Elsa," Albert afferma, e lei lo guarda di nuovo. "Mi
perdoni per il mio—ah, ritardo."
L'avevano
concordata, la sua entrata successiva. Elsa era stata a
suggerirlo, perché voleva vedere—le reazioni, ed
eccoli tutti lì, pappa e
ciccia—
Sorride.
"Non deve preoccuparsi affatto. La prego, si sieda."
"Perdoni
la nostra mancanza di decoro, Regina Elsa,” ora il gemello
più magro esclama, qualcosa che scintilla attorno agli
occhi.
"L'entusiasmo di vedere qualcuno che pensavi morto, vivo—beh,
non c'è—più
grande gioia."
Elsa
sorride pacata, osservando Albert sedersi al tavolo, e—
E'
solo che non penso di potermi fidare di lei.
Quella
notte, sogna nasi rotti.
Anna
dorme pochissimo, e pensa che sia perché sa che nel castello
ci sono i
lupi. Almeno il Principe Albert se ne era ritornato sulla sua
nave. Si
sveglia all'alba, osservando il sole coronare le montagne, rosa
incantevoli e
arancioni accesi, prima di infilarsi il vestito invernale, e gli
stivali,
infilandosi con attenzione il cristallo sotto il collo alto. Kristoff
non ne
era stato felice.
Ci
avrebbe parlato di nuovo, prima di partire. Dirgli che, cioè
no, sai,
almeno sarebbero stati assieme, e non sarebbe andata in giro per le
montagne
sola con il gemello peggiore e gemello più
peggiore. Più peggio? Oh,
chi se ne frega—
Scivola
nel corridoio.
E'
vuoto. La porta di Elsa è serrata. Oltre le finestre,
Arendelle sembra
in pace, e vorrebbe poterla solo—solo prendere e trasportare
dall'altra parte
del mondo, in modo che le stupide Isole del Sud
fossero a metà—più
via—via—
Arriva
alle scale, un po' a disagio per il caldo che sente. Fa la sua
solita cosa per arrivare giù, una veloce
scivolata sulla ringhiera, e per
almeno tre secondi vola, spinta dall'aria, aggraziata, prima di
sbattere nelle
braccia dell'armatura che l'attendono. Il colpo rimbomba e rimbomba e
rimbomba
metallicamente tra le pareti vuote, ma nessun servo arriva di corsa,
nessuna
guardia scatta sull'attenti. Era quell' ora morta stranamente
assurda, quell'ora
in cui tutti approfittano delle ultime poche ore di sonno, e cavolo, se
Anna
non avrebbe voluto essere anche lei—
Scende
dalle braccia vuote del suo salvatore, aggiustandosi la gonna, ed
è
quasi alla porta che dà sul cortile quando lo sente. Un
debole mormorio.
Aggrotta le ciglia, voltandosi leggermente, strizzando gli occhi verso
il
corridoio dietro di lei.
Preme
le labbra, agitando le mani, e poi, con una scrollata di spalle, si
dirige in quella direzione, curiosa, perché,
cioè, nessuno poteva essere volontariamente
sveglio a quell'ora—ok, era una bugia, forse Kai lo
era, e qualche guardia,
ma lei, che sia risaputo, sarebbe rimasta molto volentieri a letto, se
non
fosse stato per il fatto che era più tesa di una corda di
violino e non
riusciva a dormire—
A
causa del profondo silenzio, si ritrova a camminare con cautela, in
modo
da non fare rumore coi tacchi rosa degli stivali. Passo, tacco punta,
passo,
tacco punta, lungo tutto il corridoio, e le voci si fanno
più forti. Provengono
dalla galleria d'arte. Inizia a distinguere le parole, i toni di
voce—
"—potrebbe
essere molto conveniente."
"Sì,
voglio dire—sì. Suppongo."
Anna
si blocca. Uno dei gemelli.
E
il Principe Albert.
Scivola
più vicino al muro, il cuore che le martella nel petto.
"Su,
fratello. Devi solo dirci tutto quello che sai di lei."
Anna
spalanca gli occhi. Si mette una mano sulla bocca solo per evitare di
urlare lo sapevo o te l'avevo detto
anche se in realtà lo
vuole davvero, davvero fare—
Doveva
dirlo a Elsa. Elsa aveva permesso a quel tizio di
leggere
un libro, ed Elsa parlava con lui, ed Elsa ovviamente si
stava facendo
fregare dal trucchetto della parte dell'ingenuo di campagna—
Anna
torna di corsa alle scale.
"Hai
sentito?" Viktor chiede, aggrottando le sopracciglia.
"Controlla
il corridoio."
Lo
fa, infilando la testa fuori dalla porta, e Albert deglutisce, il petto
che gli si stringe. "Non c'è nessuno," suo fratello risponde
in un
sussurro basso. Gli stivali pesanti lo riportano al centro della
galleria
d'arte. Albert lo guarda, e guarda Tomas, ed è osservato, da
tutti gli occhi
che lo circondano in quel tribunale silenzioso—guarda in su e
vede Giovanna
d'Arco che lo fissa con aria accusatoria.
Coraggio,
ragazzo,
pensa, ma è così semplice ricadere nelle vecchie
abitudini con Viktor e Tomas che torreggiano su di lui, che lo
minacciavano,
che si prendevano gioco di lui, la felicità di facciata
della scorsa notte
scomparsa. Le dita si muovono verso l'avambraccio, ma per quella
situazione non
esiste alcun tipo di appunto. Si schiarisce la gola. Pensa alla luce
delle
stelle. Pensa a un ballo insieme.
"No."
La
parola riecheggia. Avevano detto, la scorsa notte, avevano detto,
avevano sussurrato mentre se ne andava, ti apriremo la porta,
ti
aspetteremo, la galleria d'arte, dobbiamo parlare—
"No,"
ripete, a voce più alta, più sicura.
Tomas
ride, ma è una risata crudele, rauca, e si pulisce un
orecchio con il
dito, passando un braccio sulle spalle di Viktor con nonchalance. "Ho
sentito quello che penso di aver sentito?" chiede al suo gemello.
"Credo di aver sentito un no."
"Lascia
casa per un mese, e tutto all'improvviso pensa di avere il
diritto divino di fare come vuole." Il sorriso di Viktor potrebbe
tagliare
il vetro.
"Pensavi
che stessimo chiedendo, fratello?" Tomas chiede. Albert
cerca di non richiamare alla mente il cane che aveva trovato nel bosco,
il
cervello spiaccicato sulle pietre, e quei ragazzi, davanti a esso,
ridenti. Era
stato tanto tempo prima. Invece, pensa alla luce delle stelle.
"Dico
sul serio," fa, ed è sorpreso dalla sicurezza della propria
voce. Si lecca le labbra, riuscendo a fronteggiare lo sguardo dei
fratelli''.
"Non so cosa Alfons abbia pianificato. Non so cosa voi due
abbiate
pianificato. Ma Hans ha fatto abbastanza danni, e dovete lasciare
Arendelle in
pace." Rincuorato, fa un gran passo avanti. Era alto quanto
loro. E
aggiunge, sorpreso dalla propria voce, dalla sua durezza, "Dovete
lasciare
Elsa in pace."
Anna
si fionda in camera della sorella. E' un disastro, l'armadio ancora
sfasciato, e ora anche il letto, il baldacchino blu scuro sparso sul
pavimento
come sangue. Chiude la porta dietro di sé, chiudendo gli
occhi, cercando di
calmare il respiro, e quando li riapre vede tre stalattiti di ghiaccio
irregolare—una all'altezza della guancia destra, una della
sinistra, e una tra
la piega del gomito e il fianco, tutte e tre conficcate nel muro. Ma
lei non si
era accorta nemmeno della differenza di temperatura.
Elsa
la fissa, a occhi spalancati, una mano tesa. Un momento, due, poi,
"Anna, mi—"
"No,
non dispiacerti, va bene, non sono—" non le importa, ha
notizie più importanti, e aveva spaventato
Elsa, ecco perché—"Ho
appena sentito il Principe Albert che parlava con i gemelli e hanno
detto
qualcosa a proposito di una convenienza, e volevano sapere da lui cosa
sapesse
di te—"
"Che?"
gli occhi di Elsa hanno ancora un'espressione incredula,
le mani che le tremano all'altezza dei fianchi, e sta cercando di
alzarsi dal
letto. "Anna, rallenta—"
"—mi
sono alzata presto per andare a parlare con Kristoff, ma poi li
ho sentiti, e non capisci—è
venuto qui—Albert è venuto qui prima dei
gemelli solo per scoprire i tuoi segreti! Ti sta usando!
Elsa, ti prego,
dimmi che non gli hai detto niente—"
"No,
Anna. Gli hanno dato indicazioni sbagliate—"
"Non
è vero, l'ha fatto—"
"E
qualora gli avessi detto qualcosa, sarebbe una mia
prerogativa—"
"Che,
e quindi che stai dicendo, l'hai fatto?
Come—ma per caso
ti—qual è la vostra—"
"—Perché
sono la regina!"
Silenzio.
Anna sbatte le palpebre.
Elsa
chiede, "Perché non vai a parlare con Kristoff?"
"Elsa—"
"Anna,
vai a parlare con Kristoff."
"Piantala
di lasciarmi fuori!"
"Non
lo sto facendo," Elsa scatta, la rabbia
che
trapela, e sarebbe una cosa positiva, Anna pensa, se
fosse diretta
verso qualcun altro, ma non appena la nota, già è
andata via, e sua sorella
chiude gli occhi, fa un respiro profondo, e afferma,
"Investigherò,
d'accordo? Dove hai detto che erano?"
"La
galleria," e Anna odia la propria voce, perché sembra
così
piccola.
"Ci
vado."
"E
io vado a parlare con Kristoff."
Anna
apre la porta senza un'altra parola e si stringe forte tra le proprie
braccia, incamminandosi per il corridoio a passi veloci.
"Lasciate Elsa
in pace ," Tomas mima le parole
con la bocca, ritraendo il braccio dalle spalle di Viktor. "L'hai
sentito,
fratello mio? Elsa. Il fratellino si è
ambientato bene. Vi
chiamate per nome, ora, eh? Ma credo che tu abbia commesso un
piccolo
errore," Tomas conclude, passeggiando fino a uno dei quadri del muro
vicino—una ragazza su un'altalena al culmine
dell'oscillazione, la scarpa che
vola via—"Perché la mia non era una
richiesta."
Albert
abbassa gli occhi. Li chiude, una sola volta. Poi li riapre, e alza
lo sguardo. "Andate all'inferno." Avrebbe avvertito Elsa.
"Andate all' inferno."
"Viktor,"
Tomas dice.
Succede
così in fretta.
Uno
scatto del polso di Viktor, e un pugnale sfilato dalla manica sinistra,
una lama sottile dalla crudele punta ricurva, qualcosa di cui Albert ha
a
malapena il tempo di rendersi conto prima che scivoli tra le sue
costole. La
avverte come un lampo, dietro gli occhi, come un pugno allo stomaco; la
punta
che si infila tra osso e muscolo, che gli contorce le budella, e gli si
spalanca la bocca. Il viso di Viktor è troppo vicino al suo,
e sta sorridendo,
e lui è lo stesso uomo che ha spappolato il cervello a un
cane, che ha spinto
Hans al limite, che li ha ignorati tutti—
Albert
allunga una mano. E' tutto quello che riesce a fare. Allungare una
mano. Vuole sfilarsi quella cosa dal torace, ma è come se le
mani non gli
appartengono più.
Da
qualche parte, lontano, Tomas fa, "Permettimi."
E
poi ecco Tomas, che si sfila un coltello dal fianco ; per la fretta,
qualcosa di piccolo, che sembra vetro, cade a terra. Il tintinnio
è forte, e,
irrazionalmente, Albert si aggrappa al rumore, prima che il secondo
pugnale gli
apra uno squarcio orizzontale lungo lo stomaco. Esala un rantolo
soffocato, e
sente qualcosa di vischioso e metallico che gli sale alla gola. Abbassa
lo
sguardo. E' tutto molto metodico, molto chirurgico, pensa vagamente,
tra
l'oscurità che avanza; il sangue è tutto
impregnato nei suoi vestiti.
Sul
pavimento nemmeno una goccia.
Viktor
lo lascia andare, e cade.
Albert
quasi non lo avverte. Colpisce il suolo, e sa che dovrebbe, dietro
la testa, ma non sente niente. Invece si scopre ad allungare la mano in
direzione della fialetta che luccica al sole crescente. La vuole. Tomas
la
afferra per primo, intascandola con facilità. Poi suo
fratello si abbassa,
prendendo un pugnale; prendendo anche l'altro, con la punta uncinata.
Mentre
viene estratto si impiglia e tira, portando fuori le budella, e Tomas
si china
su di lui, e gli sussurra all'orecchio, gli sussurra—
"Il
re ti porge i suoi saluti."
Giovanna
d'Arco li osserva impassibile dall'alto.