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Autore: syontai    02/07/2014    7 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 43

La spada di Cuori

Erano passati solo pochi giorni da quando Ludmilla era giunta al castello, e da quando Lena aveva deciso di mantenere il loro segreto. La compagna di stanza inizialmente non era riuscita ad evitare di esporle continuamente i suoi dubbi, ma bastò solo vederli un attimo insieme, le bastò studiare quello sguardo così diverso di Leon, quell’aria felice, per ritirare tutto e appoggiarli in pieno. Riusciva quasi ad avvertire anche lei l’amore che provavano, come delle onde positive e rilassanti, e così da contraria divenne una delle sostenitrici più forti della loro storia d’amore, insieme ad Humpty. Violetta avrebbe potuto tranquillamente paragonarla ad una tifosa ultras della sua squadra del cuore, e sebbene fosse contenta di aver ottenuto l’appoggio dell’amica a volte tutto il suo entusiasmo le metteva paura. “Ti rendi conto? Leon non aveva mai preso la mano di nessuna in quel modo!” continuava a ripetere frenetica, avendo assistito in prima persona a quella scena che a suo dire doveva essere considerato quasi un miracolo.
“Ti ho già detto di non urlare in questo modo almeno mille volte” sibilò la ragazza, trascinando Lena nelle cucine. “Non posso fare a meno di essere elettrizzata! Violetta, ti rendi conto che potresti addirittura diventare regina, sposandolo?”. Violetta si bloccò nel bel mezzo del percorso che portava allo sciabordare di pentole e allo sfrigolare delle padelle. Matrimonio? E chi aveva parlato di matrimonio? Suo padre le aveva spiegato un milione di volte che prima di sposarsi avrebbero dovuto passare almeno dieci anni. Poi scherzando concludeva sempre dicendo che nessuno avrebbe toccato la sua bambina nemmeno con un dito. Pensandoci bene, non era sicura si trattasse di uno scherzo. In ogni caso per una ragazza che aveva appena capito cose volesse dire amare, parlare di matrimonio le sembrava eccessivo. “Ma…tu pensi che lui voglia sposarmi?”. Dentro di sé sperava che la risposta fosse no, anche se in parte vedersi con un vestito bianco mentre si scambiava una promessa eterna con Leon non era poi una brutta visione. Casualmente quell’immagine divenne preponderante rispetto alla sua parte razionale. Lena poi annuì talmente violentemente da farla quasi sobbalzare: “Tu che credi? E’ ovvio! Visto come è preso, il principe non perderà tempo e annullerà le altre nozze per poterle chiedere a te”. “E io farò da testimone” aggiunse con aria sognante congiungendo le mani a mo’ di preghiera. Ultimamente stava diventando fin troppo sognatrice, pensò Violetta, scuotendo la testa rassegnata.
“Non potrei mai sposare Leon” disse, mordendosi il labbro inferiore. Non si trattava solo dell’essere sicuri del sentimento che provava per il principe, perché di quello ne era a conoscenza anche fin troppo bene. Si trattava di altro: lei non apparteneva a quel mondo, e più passava il tempo più la sua felicità le sembrava artefatta. Tornare da suo padre sarebbe stato come risvegliarsi da un sogno: un avvincente, inquietante, misterioso, ma anche bellissimo sogno. E anche Leon faceva parte di quella realtà inesistente, suo malgrado. Lena invece a differenza sua era così spensierata, convinta più che mai dopo il cambiamento di Leon che l’amore potesse trionfare su tutto, anche congiungendo mondi tra loro lontani. “E perché? Fidati che la richiesta arriverà prima che te ne renda conto!” la incoraggiò l’altra, aprendo la porta della cucina, dove una schiera di cuoche faceva avanti e indietro dal camino, ai ripiani ricchi di ingredienti e ortaggi. C’era chi tagliuzzava minuziosamente le verdure, chi le metteva a bollire, e di tanto in tanto assaggiava il risultato con un mestolo di legno. La capocuoca dirigeva tutti i movimenti e teneva sotto controllo la situazione.
“Certo, se poi darai a Leon dei motivi in più…potrebbe farti la richiesta anche il giorno dopo” aggiunse Lena maliziosamente al suo orecchio, per poi assumere un’espressione angelica. Angelica per modo di dire, perché dalla risata beffarda di fronte al colore rosso delle sue orecchie era certa che avesse voluto intendere proprio quello che lei aveva capito. In disparte si limitava ad osservare il lavoro nelle cucine, aspettando che allestissero poi la cena delle servitù; non sembravano essere le uniche ad attendere, perché anche un giovane vestito molto elegantemente, che faceva parte del seguito di Ludmilla faceva lo stesso. Il nome non lo ricordava affatto, ma notò da subito come Lena fosse rapita da quella bellezza tanto misteriosa. Eppure…Diego, si chiamava Diego. Non lo conosceva, eppure sapeva che il nome fosse quello. Come era possibile?
“Diego” sussurrò tra sé e sé, sentendo come il nome suonasse e provando ad immaginarselo sul moro; un po’ come si provavano i vestiti insomma. Si trattava di vedere se calzasse bene, male, oppure a pennello. E quest’ultimo era il caso di Diego.
“Si?” chiese il giovane, voltandosi verso di loro e sorridendo amabilmente. Violetta pensò che dovesse averla sentita e si fosse sentito chiamato, e questo accentuò ancora di più le sue perplessità: come aveva fatto ad indovinare il suo nome? “Non volevo chiamarti…solo che…”.
“La mia amica voleva dire che le farebbe piacere fare la sua conoscenza. Io sono Lena” si intromise Lena, presentandosi subito. Diego anche si presentò subito dopo e cominciò a parlare un po’ del più
e del meno. “Preferisco non cenare con tutta quella gente che ti osserva e con dieci forchette diverse davanti. Inoltre quelle conversazioni altolocate non fanno per me…preferisco di gran lunga il clima semplice della servitù!” disse, spiegando il motivo per cui si trovava nelle cucine, anziché nella sala da pranzo, visto l’importanza della carica che ricopriva. Il suo sorriso caloroso e i suoi modi gentili subito fecero una buona impressione sulle due amiche, che lo considerarono una persona degna di fiducia e di amicizia. Mentre parlava era molto a suo agio, conquistandosi così le attenzioni e le lodi perfino delle cuoche che da poco avevano finito i preparativi per la cena.
 Lara osservava la scena dall’altra parte della stanza, disgustata. Tutti i nuovi arrivati avevano sempre occhi solo per Violetta…che cosa poteva mai avere di così unico e affascinante? Inoltre le bruciava ancora il modo in cui Leon le si era rivolto nella loro ultima discussione, prendendo palesemente le difese di Violetta. Solo il nome bastava per farle venire un attacco di stizza e cieca rabbia. Fino a quel momento aveva mantenuto la parola ed era sottostata alle minacce del principe, tenendosi sempre a distanza dalla sua protetta, ma le cose stavano per cambiare. Il piano di Jackie stava proseguendo, e presto avrebbe avuto il suo riscatto. Dopo tutto quello che avevano condiviso come aveva potuto Vargas trattarla in quel modo? Si era giocato dei suoi sentimenti, l’aveva usata, e lei non era tipo da farsi usare senza pretendere nulla in cambio. Le bastava così poco in fondo, voleva solo il suo affetto, il suo amore. E forse ci sarebbe anche riuscita, se non fosse arrivata quella ragazzina incapace a rovinare tutto. Gliel’aveva tolto, e non avrebbe trovato tregua fino a quando non si fosse vendicata. Lena le lanciava di tanto in tanto sguardi divertiti, ma appena se ne rendeva conto, subito quella alzava il mento e si voltava dall’altra parte, tornando ad ascoltare con interesse i racconti di Diego. A volte scoppiavano tutti e tre a ridere per chissà quale battuta del giovane consigliere, che oltre ad essere affabile si rivelò essere un grande intrattenitore.
“Avreste dovuto vedere la sua faccia quando gli hanno tolto l’invito dalla mano…una vera figuraccia!” sghignazzò Diego, tenendosi la pancia e quasi piegato in due. Riuniti tutti intorno alla grande tavolata per la servitù ognuno si serviva la sua porzione, e scoppiava a ridere contagiato da tutta quell’allegria che mai si era vista nelle cucine. Diego aveva espressamente richiesto di sedersi vicino a Lena e a Violetta, con grande gioia della prima e un po’ di imbarazzo della seconda. A Violetta parve strano tutto quell’entusiasmo da parte dell’amica, che sembrava pendere da ogni singola parola di Diego. “Dominguez” disse quando gli venne chiesto quale fosse il suo cognome. “Non penso qualcuno di voi lo conosca, perché non faccio parte di alcun albero genealogico importante” si affrettò ad aggiungere, di fronte ai borbottii curiosi partiti non appena aveva risposto.
“E come hai fatto a diventare così importante? Raggiungere il titolo di consigliere della regina…” domandò Lena completamente presa dal sorriso smagliante di Dominguez. Si, Lena aveva preso una bella sbandata, e lei, Violetta, non era l’unica ad essersene accorta. A suo parere anche Diego aveva capito, e non stava affatto rifiutando quelle attenzioni, anzi le incoraggiava prontamente, senza però esporsi più di tanto. All’improvviso Dominguez le apparve molto meno simpatico, e anzi, dava l’idea di stare recitando in modo impeccabile. Ma probabilmente era l’unica ad avere quel sospetto perché tutti lo trattavano come uno di famiglia; ridevano e scherzavano con lui senza alcun problema. Di tanto in tanto però si era ritrovata le occhiate indagatrici di Diego addosso, e cominciò a sospettare il motivo di quella recita. Diego aveva un unico interesse in quelle cucine, e sedeva proprio al suo stesso posto.
Con una scusa Violetta si congedò dalla tavolata, intenzionata a dirigersi direttamente nella sua stanza. Non gli piaceva averlo vicino, aveva qualcosa di strano. Insieme a lei anche Lara e Diego si alzarono e cominciarono a seguirla, primo tra i due Dominguez, e Lara poco dietro.
“Ho detto o fatto qualcosa che potesse infastidirti?”. Diego le aveva preso il braccio costringendola a voltarsi prima ancora che potesse intrufolarsi nell’area degli alloggi dei domestici. Violetta non sapeva che rispondere; non poteva certo attirarsi così la sua antipatia solo per qualche sospetto, quindi si costrinse a scuotere la testa, indicando poi con lo sguardo la mano con cui Diego le aveva afferrato il polso. Subito il consigliere sciolse la presa e borbottò qualche scusa per il suo comportamento impulsivo.
“Ero solo molto stanca…per questo volevo andare a dormire presto. Non c’è alcuna antipatia nei vostri confronti”. Diego alzò l’angolo della bocca, sorridendo amaramente: “Sei l’unica che continua a darmi del ‘voi’, e questo mi fa capire che la buona impressione che hai avuto all’inizio è cambiata radicalmente dopo qualcosa che hai visto o sentito”. Violetta avrebbe voluto rispondere che andava tutto bene, ma non ne ebbe il tempo che sopra le spalle di Diego vide in lontananza la figura di Lara che sorrideva beffarda. Ci mancava solo che architettasse qualcosa anche lei, oltre alla compagnia, mossa da chissà quale interesse, di Dominguez. Ma che aveva da sorridere in quel modo? Spostò lo sguardo verso destra e in cima alla scalinata vide che tutti gli ospiti si stavano ritirando nelle loro stanze accompagnati da Leon, il quale era rimasto fermo come un palo con lo sguardo rivolto verso di loro.
“Qualcosa non va?” chiese Diego, notando il suo sguardo terrorizzato. Si voltò e guardò verso l’alto: vicino a Leon, Ludmilla lo teneva sotto braccio ed aveva il sorriso ancora congelato sul viso.
“Adesso devo proprio andare” sussurrò Violetta, allontanandosi di corsa. Leon si riscosse di colpo di fronte alle continue chiamate della madre, e annuì appena con la solita espressione impassibile. Lara invece si godeva la scena soddisfatta, e venne raggiunta dal nulla da Jackie che era comparsa apposta per godersi la scena: quel Diego stava portando parecchi sconvolgimenti all’interno del castello, e questo tornava ovviamente a suo favore.
 
“Hai saputo della serata che ha organizzato stasera Jade? Addirittura ha fatto rimettere in sesto la sala da ballo per l’occasione”. Mentre parlava Lena rimetteva in sesto i cuscini con un’attenzione maniacale: era la prima volta che le era stato affidato il compito di mettere in ordine la stanza della regina, e un solo errore avrebbe potuto comportare il rotolamento della sua testa. Violetta annuì con aria assente; nel frattempo disfaceva il letto e faceva prendere aria alle lenzuola.
“Tutti quegli abiti eleganti…tutto quello sfarzo! Come mi piacerebbe esserci!” esclamò Lena emozionata per l’evento, e anche un po’ intristita dal fatto che non avrebbe potuto presenziarvi.
“Eh?” chiese Violetta, sovrappensiero; ancora ripensava all’espressione combattuta di Leon quando l’aveva vista in compagnia Diego. In effetti forse erano un po’ troppo vicini mentre parlavano ed essendo sera avrebbe potuto essere un comportamento fraintendibile ma ci teneva a chiarire con Vargas prima che qualcuno potesse mettere in giro voci malevoli, come ad esempio Lara.
“Meriteresti di essere invitata da Leon per stasera” esclamò Lena, sollevando un cuscino ed agitandolo in aria. “Non fosse per quell’arpia della regina…e so che non dovrei dirlo, per fortuna qui non ci sente nessuno. Ma mi stai ascoltando?”. Violetta alzò lo sguardo e scosse la testa sconsolata.
“Sono due giorni che non lo vedo ormai; a questo punto penso che abbia deciso di rendere contenta la madre e di sposare Ludmilla”. Il sorriso sulla faccia di Lena scomparve; inarcò le sopracciglia, arrabbiata: “Violetta! Ti sembra il caso di piangersi addosso in questo modo? Dopo tutto quello che hai passato a causa di Leon, dopo tutta la fatica che hai fatto per cambiarlo, adesso molli tutto solo per delle supposizioni?” cominciò a parlare, alzando pericolosamente il tono della voce. Si avviò a passo spedito di fronte all’imponente armadio bianco posto vicino alla finestra e lo aprì per poi cominciare a rovistare senza curarsi del fatto che se fosse stata sorpresa avrebbe potuto rischiare una terribile punizione. Ma Lena era una ragazza sveglia e avrebbe sicuramente inventato una scusa per l’occasione. Tirò fuori un abito lungo e semplice rosso scuro; sul corpetto erano tessute alcune rose nere che si intrecciavano, ma non erano eccessivamente lavorate, così che non saltassero troppo all’occhio. Soddisfatta dell’esito della ricerca, si avvicinò all’amica, la portò di fronte ad uno degli innumerevoli specchi che costellavano la stanza, e le mise davanti il vestito con disinvoltura e aria sognante.
“Ti immagini con un vestito del genere addosso? Faresti morire d’invidia persino Ludmilla, persino la regina di Cuori…e di fronte a tutta questa bellezza non credi forse che Leon cederebbe all’istante?” le sussurrò all’orecchio. Violetta era rimasta incantata dal suo riflesso. Non si era mai immaginata vestita in quel modo, ma dovette ammettere che le piaceva da morire. Una cintura fatta di piccoli rubini all’altezza della vita brillava nei suoi occhi ipnotizzati. Era così bello! La presenza di Lena venne sempre meno, fino a quando non la sentì più al suo fianco. Reggeva il vestito con la destra, mentre la sinistra si lasciava catturare dalla gonna leggera. Piegò la testa di lato, e osservò la cascata di capelli invadere morbidamente il tessuto e parte delle rose nere. Nemmeno a Carnevale, quando si mascherava da principessa, aveva mai posseduto un vestito del genere, e al solo pensiero di separarsene quasi provava una sottile sofferenza. Un vestito perfetto, un ballo, un principe…quelli erano sogni che era solita fare quando era bambina, quando leggeva le favole e passava il dito continuamente sulla scritta ‘E tutti vissero felici e contenti’. Non c’era però nulla in quella realtà che le facesse pensare ad una simile eventualità.
“Ha ragione Lena, ti sta d’incanto”. Voltandosi di scatto, vide Leon appoggiato allo stipite della porte, con le bracca incrociate e lo sguardo fisso costantemente su di lei. Si guardò intorno per un po’: Lena era scomparsa. “E’ uscita dicendo che doveva andare a prendere qualcosa…ma mi sembrava piuttosto una scusa” rispose divertito nell’osservare la faccia sconvolta della ragazza che si sentiva letta nel pensiero.
“Dovresti indossarlo” suggerì subito dopo tornando ad osservare il suo riflesso. Si staccò dallo stipite e a passo lento la raggiunse. Le sfiorò la vita con la mano e si posizionò dietro di lei, studiando anch’egli i dettagli del vestito.
“Non potrei mai. Ci mancherebbe solo che Jade mi scoprisse con questo indosso. Avrebbe un motivo in più per desiderare la mia morte” scherzò Violetta, lasciando però trasparire una nota amara. Eccome se avrebbe voluto indossare quell’abito! Ma i pericoli erano già troppi e onestamente non se la sentiva di rischiare per un semplice capriccio. Sentì la mano di Leon percorrere la sua schiena con cura, giocando di tanto in tanto con i lacci del vestito e immediatamente la bellezza di quell’abito passò in secondo piano, sovrastata dal ricordo delle emozioni che aveva vissuto in quella radura. Il tocco del principe aveva il potere di donarle i brividi, di farla arrossire, di provocare tutte quelle reazioni inconsapevoli nel suo corpo. Era una ragazzina che si stava affacciando a un nuovo mondo, più adulto, ma soprattutto misterioso, e in modo completamente inaspettato. Leon non solo la stava guidando per mano in quel viaggio, ma lo stava compiendo lui stesso per la prima volta al suo fianco. Era evidente dal modo in cui le parlava, dallo sforzo che compieva per non affrettare le cose. Si, quel fuoco appariva sempre nei suoi occhi, come un incendio scoppiato nel mezzo di una prateria, e mentre prima forse era solo curiosa di vederlo scatenarsi, adesso ne sentiva un bisogno assoluto. Si voltò di scatto e incontrò lo sguardo concentrato di Leon che prima era rivolto alla sua schiena.
“Sei arrabbiato?”. Non riuscì a trattenersi da quella domanda che gli premeva più di ogni altra cosa. Leon inclinò la testa di lato e aggrottò la fronte: “Di cosa stai parlando?”.
“Quando mi hai visto con Diego…ecco, sembravi arrabbiato” disse flebilmente, abbassando di scatto lo sguardo. Sentì la presa su di lei farsi più forte, ma non le fece male; anzi, in un certo senso le donava un senso di protezione che ricercava sempre tra le braccia di Leon.
“Avrei dovuto essere felice? Quel tipo è poco raccomandabile…non mi piace per niente”. Il tono era deciso e fermo, incrinato appena da una vena di gelosia, che però le fece spuntare un sorriso spontaneo.
“Non ti darà fastidio solo il fatto che…” cominciò a parlare Violetta, poggiando con cura l’abito sul materasso candido, e tornando a guardare Leon.
“Non dirlo! Non ci provare” la avvisò l’altro, riducendo gli occhi a due fessure.
“Che si fosse avvicinato a me…per parlare” concluse la ragazza, a un centimetro dalla sua bocca, mentre a stento riusciva a trattenere una risata. In tutta risposta Leon le prese i fianchi e cominciò a farle il solletico. Non sapeva se lo soffrisse o no, ma quello gli sembrava un buon momento per scoprirlo, e quando le sentì scoppiare a ridere con le lacrime agli occhi, mentre cercava di dimenarsi fu soddisfatto di constatare che i suoi sospetti corrispondessero a verità.
“Basta, ti prego” lo supplicò invano Violetta, ma Leon non si sarebbe fermato per nulla al mondo. Solo sentire quella risata armoniosa era un motivo valido per continuare in eterno. Mentre senza alcuno sforzo cercava di trattenerla e continuarle a farle il solletico, perse l’equilibrio e cascò di schiena sul letto, tenendosi stretto il corpo di Violetta. Si ritrovarono a fissarsi negli occhi, e Leon lasciò la presa; Violetta appoggiò le mani sul suo petto, e si erse leggermente, avvicinando però il viso verso il suo. Il principe si poggiò velocemente sui gomiti, per facilitarle il compito, e lasciò che le labbra della ragazza lo catturassero ancora una volta. La dolcezza di quel bacio era infinita, così come era il desiderio di ciascuno dei due che potesse essere sempre così. Si separarono quasi in un sussulto; si stavano esponendo ancora una volta di fronte a un pericolo non indifferente, per di più se fossero stati colti di sorpresa in un momento del genere nelle stanze di Jade la loro colpa sarebbe stata perfino aggravata. Violetta scattò di lato, prendendosi la testa tra le mani e scuotendola piano, la mente era ancora annebbiata dal calore del corpo di Leon su cui fino a poco tempo prima era distesa. Vargas le poggiò una mano sulla spalla, comprendendo i suoi pensieri e le sue paure, quindi la strinse forte in un abbraccio, facendole poggiare il capo sul petto, mentre le accarezzava i capelli. Non riusciva a vederla in quello stato: per colpa sua Violetta era divisa in due. Da una parte ricambiava quell’amore che ormai era inevitabile sopprimere, dall’altra provava paura, e non era da biasimare. Era forse lui l’egoista nel volerla avere ancora al suo fianco? Se non si fosse innamorato di lei, forse le avrebbe risparmiato tanti dolori. Se si fossero limitati a stare distanza, non sarebbe mai successo nulla. Ma quella volta l’aveva sentita cantare, ed era cambiato tutto troppo in fretta. Adesso non poteva più tornare indietro. L’amore poteva essere anche tanto egoista? In fondo anche lui soffriva, sebbene non lo desse a vedere: da quando era cambiato gli incubi erano peggiorati, il senso di colpa era diventato talmente logorante da distruggerlo. La sua unica luce risiedeva in quella piccola creatura che stringeva tra le sue braccia e che non voleva lasciare andare. Senza di lei a quest’ora sarebbe stato perso.
Jackie si nascose dietro il muro esterno alla stanza, cercando di non farsi vedere; aveva potuto osservare quasi tutta la scena, ed era combattuta sul da farsi: raccontare tutto a Jade non sarebbe servito a nulla, visto che sembrava che tra lei e il principe ci fosse una sfida in corso, per il momento vinta da quest’ultimo. No, questa volta aveva intenzione di agire per conto proprio e aveva trovato quello che faceva per lei.
 
Quella sera la servitù finì prima i suoi compiti, dopo aver allestito la sala da ballo, e aver aiutato ai musicisti provenienti dalle città vicine a predisporre ogni singolo strumento per la festa, tirando fuori gli ottoni tenuti al sicuro in qualche sperduto magazzino del castello e lucidando il pianoforte fino a renderlo lucido come uno specchio. Quando Lena e Violetta però aprirono la porta della loro stanza non si aspettavano certo quella sorpresa. Sul letto, appoggiato con cura, c’era proprio il vestito che quella mattina avevano preso ‘in prestito’ dal guardaroba di Jade per provarlo e fantasticarci su. Violetta rimase interdetta, invece Lena, immaginando tutto, si precipitò in tutta furia, scrutando attentamente intorno, e sopra l’abito, per poi estrarre con un sorriso trionfante un bigliettino ripiegato con cura.
“Lo sapevo!” esclamò eccitata, saltellando sul posto, mentre teneva stretto quel piccolo pezzetto di carta, che tra le mani ben poco sicure di Lena avrebbe presto fatto una brutta fine. “E’ un invito di Leon per stasera! Sarete come principe e principessa” aggiunse, passandole il biglietto, e poi buttandosi sul suo letto con un sospiro felice. Violetta aprì con mani tremanti il messaggio, e quando riconobbe la firma di Leon il suo cuore fece una doppia capriola. Eppure un sospetto fin troppo forte aveva raggiunto la sua testa: e se anche quello non fosse altro che un modo per farla cacciare in qualche guaio, come era successo per il labirinto?
‘Mi faresti l’onore di essere la mia principessa? Voglio che tutti possano ammirare quello che ho visto io stamattina’. Si portò una mano al cuore sollevata: si, era Leon. Chi altri poteva sapere di quello che era successo quella mattina nella stanza di Jade? Nonostante ciò quell’invito le sembrava fin troppo rischioso, anche per Vargas stesso. Come gli era venuto in mente di invitarla? Presentarsi a quella festa già sarebbe stato imbarazzante di suo, con quell’abito poi, che Jade avrebbe potuto riconoscere come suo!
“Ovviamente non andrò, e stasera approfitterò della festa per riportare questo vestito nella stanza della regina” esordì, sedendosi sul cuscino, e continuando a fissare con desiderio quel vestito: quanto era bello! Più lo guardava, più ne rimaneva affascinata. Alcuni dettagli poi che aveva rimosso gli fecero desiderare ancora di più di indossarlo.
“Tu cosa?”. Lena, che era rimasta stesa a pancia in giù, subito si drizzò nuovamente in piedi, scioccata e arrabbiata per quella notizia. “Non puoi buttare al vento questa occasione che hai! Potrai finalmente far vedere al mondo che hai sciolto il cuore di ghiaccio di Leon Vargas. Non uno qualsiasi, parliamo di Leon Vargas! Il temibile Leon Vargas!”. Proseguiva infervorata, come se da quel discorso dipendesse qualcosa di essenziale per la sua vita. Nonostante le sue reazioni esagerate la spaventassero a morte, Violetta dovette ammettere che la sua compagna di stanza sapeva essere molto convincente, ed ebbe l’impulso anche lei di scattare in piedi e seguire quei consigli all’istante. “Ci vado!” esclamò infatti, quasi inconsapevolmente, ottenendo un appoggio incondizionato di Lena.
Non passò neppure un minuto però che cambiò idea. “Non ci vado. Non posso. Ho paura!”. Altri minuti in cui Lena le fece forza, mentre la liberava delle vesti da lavoro, e la aiutava a indossare il vestito di Jade. Probabilmente la donna lo doveva aver indossato quando era giovane, perché le stava davvero alla perfezione. Mentre Lena le pettinava i capelli, sedute sul letto, fu tentata di mollare tutto, poi di nuovo pensò che doveva trovare il coraggio di andare. La sua mente faceva avanti e indietro come su un tavolino da ping-pong da una parte all’altra, da un ‘ci vado’ a un ‘non posso andarci’. Si guardò allo specchio, e non si era mai vista così: Lena aveva fatto anche un ottimo lavoro con i capelli, raccogliendoli di lato; le scivolavano delicatamente sulla spalla, e non erano mai stati tanto curati, nemmeno quando si trovava nel suo mondo. Odiava passare il tempo a pettinarsi, la riteneva una cosa stupida e inutile, ma vedendo l’effetto ottenuto dovette ricredersi.
Ancora una volta ebbe un attacco di panico e pensò di non presentarsi più; ma quando le venne sbattuta la porta letteralmente in faccia, mentre faceva marcia indietro si ritrovò con le mani legate. Poteva ancora sgattaiolare nella stanza di Jade e mettere tutto a posto? Non sapeva come, ma non poteva presentarsi a quella festa. Stava appunto per cercare un’alternativa valida per evitare quella porta quando Diego le si fece incontro con un sorrisetto sicuro di sé. Gli occhi per un istante gli brillarono, ma subito quella luce si perse nel buio.
“Ma quanta bellezza! Ci onorerai della tua presenza?” chiese, porgendole il braccio con fare galante. Si avvicinò maliziosamente al suo orecchio, facendola avvampare: “Qui non ci vede nessuno…il tuo Leon non ci creerà alcun problema”. Si allontanò e le fece l’occhiolino rinnovando poi l’invito, che Violetta non si sentì di rifiutare. Ormai le sembrava inevitabile entrare in quella sala, ma almeno non l’avrebbe fatto da sola. Per quanto strano e anomalo, c’era Diego al suo fianco, e questo le dava in qualche modo sicurezza.
Le porte si aprirono di fronte a un gesto imperioso di Dominguez, e subito venne abbagliata da una luce fortissima, proveniente dall’enorme lampadario appeso al soffitto illuminato con centinaia di piccole candele per l’occasione. Dai bracci argentati sporgevano tante piccole gocce di cristallo che creavano riflessi al cui interno venivano racchiusi i colori dell’arcobaleno. Non c’era tanta gente, ma non appena entrati si sentì talmente tanti sguardi addosso che le sembrava di essere in mezzo ad una folla pressante. Su tutti svettava Leon, che per l’occasione indossava dei pantaloni di velluto verde bottiglia aderenti, e una veste di un azzurro tenue con una giacca piena di bottoni dorati e ricami argentei. Teneva in mano, o meglio stritolava, un calice di vetro, riempito con del liquido rossastro. Non le staccava lo sguardo di dosso, e probabilmente davanti alla sorpresa di vederla lì con quel vestito, aveva prevalso ben altro. Violetta cercò di fingersi indifferente, e avanzò fino a raggiungere il centro della sala, dove Diego con un inchino le propose di ballare. La musica partì lenta e dolce, e Diego le circondò la vita con un braccio, conducendola in una sorta di valzer. “Guardano tutti noi” ghignò con soddisfazione Diego, facendo un lieve inchino col capo.
“Mi sento parecchio a disagio…non dovrei essere nemmeno qui!” rispose la Castillo, guardandosi intorno terrorizzata.
Leon osservava la scena a dir poco furioso. Non riusciva a sentire neppure quello che le stava dicendo una nobile con cui fino a poco fa stava intrattenendo una conservazione, e onestamente non gliene importava proprio nulla. Con la coda nell’occhio osservava ogni loro singolo movimento, e si rese conto di non essere l’unico a farlo: anche Ludmilla pareva innervosita dallo spettacolo che aveva messo su Diego. Ma nessuno poteva uguagliare la rabbia che provava Jade in quel momento. Persino lui, che fortunatamente era a debita distanza dalla madre, la avvertiva; non solo una serva si era presentata ad una festa senza un invito, ma adesso osava anche indossare quello che riconobbe subito come uno dei suoi vestiti. Quello era proprio un guanto di sfida che le era stato gettato in faccia, e da quella guerra non poteva né voleva esimersi. Ricordava ancora ciò che le avevano mostrato le ombre, e quell’incubo assunse un’aria sempre più concreta, al punto che per un  momento le sembrò di vedere la sua corona sul capo della giovane. Fece addirittura cadere la tartina che aveva in mano sotto lo sguardo allibito di alcuni invitati che le erano vicini. Si poteva quasi dire che le fumavano le orecchie per quanto erano diventate rosse per la collera. Ciò che più la mandava in bestia era il fatto di non poter agire: se l’aveva invitata Diego allora non poteva alzare un dito. Ma gliel’avrebbe fatta pagare in ogni caso, almeno per la storia del vestito. Eccome se gliel’avrebbe fatta pagare. Fece qualche passo in avanti, intenta a interrompere la musica e tutto, ma gli ospiti si misero in mezzo, contenti che finalmente qualcuno si fosse deciso ad aprire le danze. Leon approfittò subito di tutta quella confusione per farsi strada fino a raggiungere i due che continuavano a ballare indisturbati. Diego le aveva sussurrato all’orecchio qualcosa ed adesso lei rideva. Con i muscoli della faccia tesi al massimo, diede un piccolo colpetto alla spalla del consigliere di Quadri, che subito si voltò disponibile.
“Principe” lo salutò, staccandosi subito dalla sua dama, e rivolgendogli un debole inchino, sempre con quel sorrisetto beffardo. Leon sentiva che il suo pugno aveva un forte desiderio di spegnere quell’espressione divertita e provocatoria, ma non voleva certo far scattare un incidente diplomatico solo per la sua gelosia e possessività. Però non poteva nemmeno lasciare che continuassero a ballare spensierati, facendogli saltare letteralmente i nervi. C’era solo un’opzione, che era anche quella che il suo cuore gli stava suggerendo da quando l’aveva vista, e da quando il suo cervello si era completamente disconnesso di fronte a quello splendore. Il suo splendore. Si, ci teneva a ribadire che fosse suo e di nessun altro.
“Volevo chiedere alla damigella di concedermi un ballo” spiegò dopo un interminabile silenzio, in cui Violetta lo guardava confusa. “Sempre che non crei disturbo a nessuno dei due, ovviamente” si affrettò a dire, mentre Diego già aveva alzato le mani con aria rassegnata in chiave chiaramente ironica, e si stava dirigendo verso il tavolo dove venivano servite tartine, per procurarsi qualcuna di quelle prelibatezze.
Leon fece cenno come per chiederle il permesso anche solo di toccarla. Violetta si avvicinò con le guance in fiamme, e lasciò che il principe le cingesse la vita. Non era la prima volta che lo faceva eppure quella volta era diverso: era davanti a tutti. Era vero che nessuno li degnava di particolare attenzione, ma per lei era comunque motivo di imbarazzo e allo stesso tempo di compiacimento. Leon l’attirò prontamente a sé, facendo aderire i loro petti, e rimasero a fissarsi negli occhi per troppo tempo, dimenticandosi persino della musica. Rendendosi conto di aver esagerato, rallentò la stretta, e cominciò a muovere qualche passo. Odiava ballare più di ogni altra cosa, ma insieme a Violetta non si trattava più di qualcosa che avesse a che fare col ballo. Era come se gli fossero spuntate delle ali, e si muovessero sulle nuvole; perso nei suoi occhi poteva vedere i riflessi del cielo; solo nella sua mente certo, ma bastava a farlo sentire libero. Libero come una colomba, libero come l’acqua scrosciante di una cascata. Semplicemente libero. Sentì il bisogno di stringerla nuovamente, e stavolta lo fece.
Violetta poggiò il capo all’altezza del cuore del principe, che sentiva battere. Batteva per lei, e il solo pensiero le fece spuntare un sorriso. In fondo Lena aveva ragione: era stato merito suo se Leon avesse sciolto il suo cuore di ghiaccio, merito della sua tenacia. Le mani dalle spalle, gli circondarono il collo, lasciandosi cullare dal suo abbraccio.
“Non so perché tu sia qui, ma sei bellissima” le sussurrò dolcemente Vargas, facendole alzare lo sguardo.
“Non mi hai invitato tu?”. Leon scosse la testa allibito quanto lei: “Non avrei mai fatto una cosa tanto rischiosa! Dobbiamo ringraziare Diego se mia madre non ha mosso un dito. Pensavo ti avesse invitato lui” disse, con evidente stizza al pensiero che Dominguez avesse chiesto a Violetta di essere la sua dama.
“Ma allora…hanno cercato di tendermi una trappola? Non è possibile, solo tu e Lena sapevate di questo vestito” mormorò Violetta, rimanendo nella convinzione che solo Leon avrebbe potuto mandarle quel biglietto.
“A quanto pare non era così…e se quel Diego non la smette di fissarci lo infilzo come uno spiedino” digrignò Vargas tra i denti. La musica cessò, per poi riprendere più allegra e incalzante. Fu in quel momento che Leon le prese la mano, guidandola al di là dello spazio adibito per danzare. Violetta lo seguì confusa, fino a che il ragazzo stesso non pose fine ai suoi interrogativi. “Andiamo solo in un posto dove poter parlare indisturbati” la rassicurò guardando dritto davanti a sé con indifferenza, lanciando un ultimo sguardo di disprezzo a Diego, e sbattendo dietro di sé il portone.
Ludmilla cercava Leon in mezzo alla folla, ma lo vide solo per un attimo allontanarsi in compagnia di Violetta. Quella serva…le dava enormemente fastidio che avesse ballato col suo Diego, ma non intendeva rovinare tutto per il senso di gelosia, che mai aveva provato prima di allora. Aveva un solo obiettivo. Continuava a ripeterselo come una formula magica per ottenere ciò che voleva. Si avvicinò lentamente a Jade che ancora era rimasta profondamente scossa dalla presenza di Violetta, e soprattutto del fatto che avesse addirittura ballato con suo figlio. Vide però Jackie, alla sua sinistra sogghignare soddisfatta, e immaginò che dovesse esserci qualcosa che le nascondeva. Non aveva tempo di pensarci però, perché quella serata era l’occasione per consolidare il loro accordo.
“Mi chiedevo” intervenne, ottenendo l’attenzione della regina “Come potrei essere sicura che il nostro patto verrà rispettato da entrambe le parti. Io per certo so che sposerò Leon e manterrò fede alla nostra alleanza, ma come faccio a sapere che abbiate ancora con voi ciò che cerco?”.
Jade sventolò una mano in aria annoiata. “Bazzecole! Hai la mia parola, che altro ti serve?”. Ludmilla non batté ciglio, e si fece ancora più vicina.
“Voglio vedere la spada” sibilò decisa; Jade rimase sbigottita, e già immaginava che avrebbe opposto resistenza, adducendo assurdi pretesti, e invece semplicemente annuì. “Mi sembra corretto. Vieni con me” le ordinò, facendosi largo, fino ad uscire dalla sala da ballo, seguita da Ludmilla e Jackie.
La biblioteca era deserta e alla luce di alcune fiaccole Ludmilla rimase in disparte su ordine di Jade, sorvegliata a vista da alcune guardie. Quell’imponente ambiente di notte assumeva un aspetto spettrale, e le vennero i brividi.
“Fatto” esclamò la regina, facendole cenno di seguirla. Dove prima si trovava una libreria c’era uno stretto corridoio di pietra. Seguita da una sentinella, rischiò un paio di volte di inciampare in qualche lastra di pietra dissestata, e imprecò tra sé e sé. Ma dove la stavano portando? Lei aveva chiesto di vedere la spada, non di finire in un luogo del genere. Questo dimostrava ancora una volta che Jade sapeva essere veramente priva di classe. Allontanò schifata con la mano i resti di una ragnatela fatta a pezzi: lei lo scudo almeno lo aveva custodito in un posto degno del suo valore. Stava per chiedere quanto ancora mancasse quando una flebile luce gialla e un ruggito in lontananza non le diede un’implicita risposta. Erano quasi arrivati. Sentì il sudore scorrerle verso la fronte, e allo stesso tempo l’eccitazione nel vedere uno degli antichi cimeli del Paese delle Meraviglie. Desiderava così tanto quella spada che poteva già sentire il freddo metallo dell’elsa tra le dita.
“C’è un qualche mostro?” chiese, sentendo quei sibili e boati. Jade si voltò: la perfidia nel suo volto era accentuata dalla luce della torcia. “Molto di peggio, ma vedrai con i tuoi occhi”.
Non appena entrati la luce dirompente dorata la costrinse a proteggersi la vista con il braccio. Quando le sembrò che l’intensità fosse diminuita o che comunque potesse essersi abituata, lo abbassò piano, per la prima volta in vita sua impaurita. Un gigantesco cobra dorato occupava quasi tutta la stanza, e la testa raggiungeva persino il soffitto. Ma ciò che la sorprese è che non si trattava di una creatura realmente esistente, poiché la sua pelle era trasparente; sembrava più un fantasma ad essere sinceri. Tra le sue spire su un piedistallo giaceva la spada, protetta da una teca di vetro.
Su una parete della stanza era appoggiata un’enorme siringa di vetro, ma non sapeva in che modo potesse entrarci con quel prodigio. Il serpente spalancò le fauci, e mostrò la lingua biforcuta, sibilando e stridendo. La coda vibrò per qualche istante, prima di tornare immobile. Jade osservava compiaciuta la scena, e poggiò una mano sulla spalla della Ferro.
“Tranquilla, non ti farà nulla” disse notando il terrore che si era impadronito della regina di Quadri. “Ammira, ammira la perfezione della mia creazione. Perché questo è il mio personale protettore della spada, e nulla può distruggerlo” sorrise sorniona, allargando le braccia, e indicando la piccola stanza buia. A quel gesto, il cobra si serrò ancora di più intorno alla spada, quasi sentisse gli ordini della padrona, e volesse dimostrarle di stare svolgendo il suo compito più che adeguatamente. 












NOTA AUTORE: Nulla di ciò che direte o farete mi farà venire meno dalla consapevolezza che questo capitolo non solo è scritto con i piedi (e mi sanguinano gli occhi solo a rileggerlo, solo che avrei dovuto riscriverlo tutto, e non potevo, mi ci sarebbe voluto un mese per tirare fuori qualcosa di buono, ma va bene, siate indulgenti), ma è pure noioso...mi scuso con i lettori, che dopo questo capitolo si saranno praticamente addormentati, ma guardate il lato positivo, abbiamo trovato un nuovo sonnifero :D Detto questo, riassumo brevemente la situazione che si è delineata. Violetta è stata incastrata (di nuovo), e indovinare un po' da chi (per chi indovina tanti dolci xD) e con l'aiuto di chi (se non ci arrivate lo saprete nel prossimo capitolo). Pooooi, Leon e Violetta sono la mia unica gioia in questo capitolo, insieme ad una Lena che è diventata una tifosa utlras dei Leonetta, mentre fino a pochi giorni prima era contraria O.O Ma si sa, l'amore è l'amore, e alla fine ha capito secondo quale ottica deve vedere le cose *fa un applauso a Lena* Diego nel frattempo si guadagna le simpatie di tutti, ma non di Violetta, che sospetta qualcosa. Ballano anche insieme -.-" MA POI ARRIVA LEON, ed è la gioia massima :3 Quanto è teneroso quando è geloso <3 Vabbè, detto ciò arriviamo alla parte più interessante. La spada. Cuori. Cobra gigante. Ma non sappiamo che cos'è. In effetti non si tratta di una vera e propria creatura, perchè come avrete capito ha a che fare con Thomas, e nel prossimo capitolo saà spiegato tutto per benino :3 Grazie a tutti voi che mi seguite, che leggete questo capitolo (che brucerò non appena sarà possibile), e niente, alla prossima! Buona lettura *ironico* 
syontai :D 
  
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